Roberto d’Angiò |
L’astrologia ebbe un peso ragguardevole nel Mezzogiorno normanno-svevo. Anna Comnena (Alessiade, VI, 7) riporta per esempio una misteriosa profezia riguardante la morte di Roberto il Guiscardo ed effettivamente verificatasi: “Un indovino, di nome Seth, che ostentava grande competenza in fatto di astrologia, aveva predetto in tono oracolare che Roberto sarebbe morto dopo la traversata dell’Illiria: aveva esposto per iscritto la sua previsione, sigillandola e consegnandola nelle mani di alcune persone in rapporti molto stretti con il sovrano, e raccomandando loro di conservarla per un certo periodo. Alla morte di Roberto, su invito di Seth, aprirono il documento. Questa era la predizione: ‘Un grande nemico, giunto dall’occidente, dopo aver seminato lo scompiglio, morirà all’improvviso’. Tutti restarono ammirati della scienza di quest’uomo, che aveva raggiunto la vetta nella sua arte”.
Maghi e veggenti alla corte di Federico II
L’arte volta a determinare il tempo e a correlare gli eventi ai movimenti dei pianeti ebbe un attento sostenitore anche in Federico II alla cui corte giocarono un ruolo notevole due astrologi: Guido Bonatti e Michele Scotto. Il primo, dall’alto della sua torre di Forlì, si diceva fosse in grado di osservare una serie di straordinari presagi attraverso i quali nel 1246 fu in grado informare Federico II, allora a Grosseto, di una cospirazione con cui il Papa Innocenzo IV mirava ad assassinarlo assieme del suo alleato, Ezzelino da Romano, nella nota congiura di Capaccio. Bonatti è anche citato da Dante, nell’Inferno (XX, 118), ove è posto nella quarta bolgia dell’ottavo cerchio, tra astrologi, falsi profeti e indovini impostori. Il secondo fu invece un astrologo ed alchimista scozzese, nonchè filosofo scolastico, e secondo la leggenda avrebbe predetto a Federico II il luogo della sua morte in una località dal nome di un fiore, che fu poi effettivamente Castel Fiorentino nei pressi di Foggia. Nell’Inferno (XX, 116 s.) Dante lo definisce come colui “che veramente / delle magiche frode seppe il gioco”, viene citato anche da Giovanni Boccaccio nel Decameron (VIII, 9) come “gran maestro in nigromantia” e da Walter Scott che riporta la leggenda secondo cui fosse in grado con una bacchetta magica di far suonare le campane di Notre-Dame dalle grotte di Salamanca.
Un re mago
Il più grande astrologo del Mezzogiorno medioevale però fu senza ombra di dubbio un re, parliamo dell’angioino Roberto il Saggio, la cui fama di indovino si diffuse in tutto il continente europeo. Si narra che i suoi consigli venissero seguiti ciecamente dai sovrani di tutta Europa e finirono con l’influenzare anche le sorti dei più importanti combattimenti della sua epoca.
Nel 1328 a Carlo IV detto il Bello, morto senza eredi, successe Filippo di Valois cugino germano del defunto re, nonché nipote di Roberto d’Angiò. Il parente maschio più prossimo di Carlo era suo nipote Edorardo III, re d’Inghilterra, figlio di Isabella di Francia, le cui pretese erano però infondate giacché egli discendeva da Carlo IV in linea diretta da parte femminile e non da parte maschile come esigeva la legge salica. Le rivendicazioni di Edoardo rispondevano in realtà a mire espansionistiche che l’avevano già portato a promuovere sollevazioni nelle Fiande domate da Carlo IV. Filippo di Valois divenne dunque sovrano di Francia col nome di Filippo VI, mentre all’orizzonte già si intravedeva lo scoppio di quella che è ricordata col nome di Guerra dei Cento Anni.
Una delle cronache più importanti di queste vicende è quella di Sir Jhon Froissart. In essa Roberto d’Angiò appare in qualità di noto ed influente veggente, ascoltato da entrambi i re contendenti (Chroniques, Chapter XLII, 1400 d. C.). Vi leggiamo infatti: “Roberto di Sicilia era famoso come astrologo di gran valore e come cultore di scienze occulte; aveva spesso fatto l’oroscopo dei re d’Inghilterra e di Francia ed era giunto alla conclusione, grazie alle sue conoscenze astrologiche e all’esame dell’influenza delle stelle, che se il Re di Francia avesse combattuto personalmente con il Re d’Inghilterra, sarebbe stato certamente sconfitto”.
Così quando a Vironfosse i due rivali si trovarono faccia a faccia, nonostante Filippo VI avesse al suo seguito più di centomila uomini contro i quarantaquattromila di Edoardo, scelse la ritirata.
C’è appena da notare che Roberto d’Angiò riuscì ad estendere il suo potere al di fuori del regno di Napoli, fu infatti nominato senatore di Roma, signore di Brescia e signore di Genova, cariche che andavano ad aggiungersi ai suoi domini piemontesi, ma neppure le arti divinatorie gli furono d’aiuto per riconquistare la Sicilia perduta con i Vespri.
In foto: "San Ludovico di Tolosa che incorona il fratello Roberto d'Angiò", opera di Simone Martini conservata presso il Museo di Capodimonte a Napoli