martedì 15 luglio 2014

Juan Donoso Cortés

a  cura di Marco Massignan (http://radiospada.org/)

Juan Donoso Cortés (1809-1853)

Juan Donoso Cortés

Poiché Dio crea tutte le cose in maniera perfetta e definitiva, non sarebbe stato conveniente alla Sua infinita sapienza, dopo aver dato al mondo la Verità, ritirarsi poi nella Sua pace eterna, lasciando la Verità in balia dei litigi degli uomini e dei capricci dei tempi. Dio ha perciò suscitato, sin dall'eternità, la Sua Chiesa. Nella pienezza dei tempi essa venne nel mondo, preziosa e perfetta, nello splendore di quella solenne perfezione e sovrana bellezza che già possedeva sin dall'inizio nello Spirito di Dio. Da allora, la Chiesa è per noi, che attraversiamo i mari in burrasca di questo mondo, il faro radioso posto su di una possente roccia. La Chiesa sa ciò che serve alla nostra salvezza e ciò che invece è la nostra rovina. Essa conosce il nostro principio e la nostra meta definitiva; e sa anche in che cosa consista la salvezza e la dannazione dell'uomo: e solamente essa lo sa.
 
Sotto la benefica autorità della Chiesa sono fiorite le scienze, nobilitati i costumi, perfezionate e civilizzate le leggi. Essa scagliò le sue scomuniche solamente su uomini malvagi, a popoli ribelli e a re tiranni. Essa ha difeso la libertà contro quei re che volevano trasformare l'autorità in tirannia; e l'autorità contro quei popoli che perseguivano una emancipazione assoluta: ma essa difese, contro chicchessia, la giusta causa di Dio e l'inviolabilità dei suoi sacri comandamenti. Non vi è Verità che la Chiesa non abbia proclamato, non c'è errore che non abbia riprovato. La libertà nella Verità è per lei sacrosanta, ma se nell'errore, le è detestabile tanto quanto l'errore medesimo: ai suoi occhi l'errore è nato senza alcun diritto e vive anche senza diritti.

Chi sorpassa nella scienza S. Tommaso d'Aquino; chi nello spirito Sant'Agostino; chi in maestà Bossuet; chi in vigore S. Paolo? Se mettiamo gli uomini davanti alle piramidi egiziane, diranno: “da qui è passata una grandiosa civiltà barbara!”. Mettiamoli d'innanzi ad un monumento romano, e ci diranno: “qui è passato un grande popolo!”. Mettiamoli poi d'innanzi ad una cattedrale e vedendo una tale maestà unita a tanta bellezza, una simile magnificenza unita ad un tale buongusto, la stupenda armonia tra un'oscurità quieta e la luce, tra le ombre e i colori, ci diranno: “qui ha vissuto il più grande popolo della storia, e da qui è passata la più straordinaria delle civiltà umane. Questo popolo ha preso la grandiosità dagli Egizi, dai Greci lo splendore, dai Romani la potenza; e al di là della forza, dello splendore e della grandiosità, possiede qualcosa che è ancora più prezioso: l'immortalità e la perfezione”.

L'intelligenza dei non credenti può essere eccelsa e quella dei credenti modesta. Ma la prima, superiore, può essere tanto grande quanto lo è un abisso, mentre la seconda è santa quanto un tabernacolo. Nella prima vive l'errore, nella seconda la verità. Nell'abisso vi abita con l'errore la morte; nel tabernacolo invece, con la Verità, la vita. Perciò, per quelle società che abbandonano il severo culto della Verità a favore dell'idolatria della ragione, non vi è speranza. Ai sofismi seguono le rivoluzioni e dietro i sofismi marciano i boia.

Il decrescere della fede, il dissolversi della Verità non significa necessariamente, come conseguenza, una diminuzione dell'intelligenza nell'uomo, ma piuttosto il suo smarrimento. Dio, nello stesso tempo misericordioso e giusto, sottrae alle intelligenze colpevoli la Verità, ma non la vita. Le condanna all'errore, ma non alla morte. Così, abbiamo visto passare davanti ai nostri occhi tutti questi secoli di altissima cultura; secoli che nello scorrere dei tempi, più che un scia di luce hanno lasciato tracce di fiamme.

Il paganesimo moderno ebbe inizio adorando il proprio Io nelle sembianze di una prostituta, per poi gettarsi nella polvere ai piedi del cinico e sanguinario tiranno Marat, e a quelli di Robespierre, l'incarnazione più alta della presunzione umana e dei suoi selvaggi istinti crudeli e spietati. Il nuovo, il futuro paganesimo cadrà in un baratro ancora più profondo e tenebroso; forse si muove già, nel fango della cloaca sociale, colui che porrà sulle spalle di questo paganesimo il giogo della sua impudente arroganza.