Armi d'Aragonona conservate nel Museo di San Martino
Alfonso potenziò gli organi centrali creando un
“centro burocratico” che eliminava la confusione delle attribuzioni proprie
dello stato feudale, che riduceva “il gioco anarchico delle forze
particolaristiche” “con il garantismo della legalità” e che introduceva un
“fattore di mobilità e promozione sociale” che avrà conseguenze nella vita del
Mezzogiorno. Poiché le Universitas, avendo raggiunto lo status di personalità
giuridicoamministrativa, potevano tendere all’autonomia, Alfonso con la riforma
della Sommaria, instaurò nei loro riguardi un sistema di controllo. Nello stesso
tempo ne valorizzò il ruolo di sostegno alla sua politica accentratrice creando
le Udienze provinciali - sostituirono i Giustizierati angioini - , tribunali
amministrativi e giudiziari che divennero precisi punti di riferimento a
sostegno della vita delle comunità e che avrebbero dovuto porle al riparo dagli
arbitri della feudalità.
Un’altra riforma, che riguardò le Universitas,
fu quella tributaria in seguito alla quale furono abolite le “collette”,
sostituite con una tassa su ogni effettiva unità lavorativa. Il nuovo sistema,
che voleva eliminare le ingiustizie e le sperequazioni possibili a livello
comunitario nella divisione del carico delle collette, poggiava il peso fiscale
sul “fuoco”, che venne ad assumere il ruolo di unità fiscale, formato infatti
dalle famiglie che producevano un reddito da lavoro. In cambio di tale tassa i
“fuochi” ricevevano gratis un tomolo di sale all’anno, elemento di grande valore
visto che serviva per conservare gli alimenti. Tale sistema, che comportava un
continuo aggiornamento dei fuochi, non escludeva il ricorso ad altri tipi di
tassazioni ordinarie e straordinarie, tra queste le imposte dirette gravanti sui
consumi e sul movimento delle merci - dazi o gabelle - che favorivano i centri
commerciali e che furono sostenuti da Ferrante.
Un atto importante verso le Universitas fu la
regolamentazione (1477) della funzione del notaio, una figura pubblica che aveva
assunto un grande significato nella vita delle comunità, perché oltre a
presiedere alle attività mercantili era presente in tutti i rapporti che
interessavano la vita comunitaria introducendo in esse la legalità e dando
sicurezza. Il notaio, la cui presenza era obbligatoria in ogni luogo con una
sede propria e l’assistenza di almeno due giudici, si configurava come il
saggio, colui che dirimeva le questioni, la massima autorità, il custode delle
tradizioni e, pur non risultando organizzato in alcuna corporazione o collegio,
ebbe una notevole influenza nella vita, specie dei centri minori.
Nei riguardi dei feudatari Alfonso impose
precisi obblighi come la costituzione di un registro dei privilegi goduti e il
pagamento del “relevio”. E poiché costoro si erano già avviati a diventare
“grandi proprietari terrieri e percettori di redditi agrari o di censi sui
redditi” ed apparivano sempre più chiaramente come “locali rappresentanti o
detentori del potere pubblico”, i due aragonesi, in linea col carattere di
“patrimonio familiare” che aveva acquisito la proprietà feudale, ne
incrementarono la compra-vendita creando un’ampia trama di feudi che passavano
di mano in mano. Dettero così una spinta alla trasformazione del feudo in
“un’azienda economicamente redditizia, e socialmente prestigiosa e potente”, che
fu grande fattore di sviluppo.
I feudatari infatti diventarono sempre più
“agenti economici” nei loro possedimenti, interessati a potenziarne lo sviluppo
in senso produttivo, divenendo il nerbo della rinnovata economia del
paese.
Lo sforzo di razionalizzazione messo in atto fu
però ostacolato dalla invadenza dei feudatari, vere forze particolaristiche
locali, con cui Alfonso fu costretto a venire a patti facendo loro delle
concessioni come l’abolizione dell’obbligo dell’adoha e il godimento senza
riserva del “mero e misto imperio” e delle “lettere arbitrarie”, già date da
Roberto d’Angiò, che ne rinforzarono l’indipenenza. L’esempio più chiaro fu
proprio la piena giurisdizione che con gli Aragonese giunse al culmine di un
processo che aveva visto i feudatari prendersi lentamente il potere nelle loro
terre fino a gestirnea pieno la vita come dei piccoli re. Questo fatto però, per
le ragioni dette, aprì prospettive di sviluppo dei feudi, che dipesero dalla
liberalità e dalla capacità imprenditoriale dei loro feudatari. Comunque le
trasformazioni introdotte sia dal Magnanimo che da Ferrante furono valide e
soprattutto rispondenti ai bisogni del paese, che aveva forze sociali ormai
mature per accoglierne le spinte innovative. Esse infatti innescarono processi
etico-politici ed economico-sociali che ebbero i tempi lunghi di ogni processo
sociale, ma avviarono il Mezzogiorno a diventare uno stato moderno.
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