Antonio Joli (1700 - 1777), Napoli vista dal porto
VII. Subito. attese a ricuperare le fortezze (dette Presìdi) della Toscana, che soldati
spagnuoli guardavano. Al general Vetzeel, colà spedito con buona schiera, si renderono santo Stefano ed Orbitello: indi, per più gravi travagli di guerra, Porto Longone; e finalmente, nel 1712, Portércole. Chiamato il Daun a guerreggiare in Lombardia, gli succedé nel viceregno il cardinale Vincenzo Grimani, veneto.
Era finita per Napoli la guerra: ma l'occupazione di Comacchio da' soldati cesarei, la
intimazione di Cesare al duca parmigiano di tenersi feudatario non più del papa ma dell'imperio, e infine il divieto al regno di pagare le tasse consuete al pontefice, mossero Clemente XI ad assoldare ventimila uomini d'arme sotto il conte Ferdinando Marsili bolognese, ed accamparli nelle terre di Bologna, Ferrara e Comacchio. Ciò visto, il Daun partivasi dalla Lombardia verso quella schiera, ed in Napoli si adunavano altre forze contro Roma. L'imperatore Giuseppe non voleva contese col papa, ma intendeva per quegli atti di guerra forzarlo a riconoscere sovrano di Spagna Carlo suo
fratello. Perciò il Daun, procedendo contro que' campi, proponeva accordi al pontefice, il quale, alle risposte audace e saldo, mostrava confidare nella guerra. Strano perciò vedere un felice capo di eserciti invocar la pace, ed un papa le armi.
Alle ostinate ripulse procedendo le genti tedesche, presero con poca guerra Bondeno e Cento, circondarono Ferrara e Forte Urbano; e imprigionata parte delle milizie papali, fugati i resti, stanziarono ad Imola e Faenza. Clemente, sotto quelle sventure, e alle peggiori che minacciava l'esercito mosso da Napoli, piegò lo sdegno e, non più pregato, pregando accordi, accettò patti e pubblici e secreti, per i quali tutte le voglie del vincitore si appagavano. Fu vera pace negli atti scritti e nella mente degli uomini, ma tregua e inganno nell'animo del pontefice; il quale aspettava opportunità di rompere quegli accordi, che, non ratificati dalla coscienza, parevano a lui leggi di
forza, durabili quanto la necessità.
VIII. Morto in Napoli nel 1710 il cardinal Grimani, venne viceré il conte Carlo Borromeo, milanese. E nel seguente anno trapassò l'imperatore Giuseppe, al quale succedé Calo, fratello di lui, terzo di quel nome nelle contrastate Spagne, sesto nella Germania e nel reame di Napoli. Durò altri due anni la guerra che fu detta di successione; ma dipoi la pace di Utrecht venne a rallegrare le travagliate genti (1713), Ciò che importò di quegli accordi alla nostra Istoria fu il mantenimento del
regno di Napoli a Carlo VI, e la cessione del regno della Sicilia al duca di Savoia Vittorio Amedeo. E pure importa sapere, per i futuri destini di questi due regni, che la corona delle Spagne si fermò in Filippo V. Poco appresso alla pace di Utrecht, il re Vittorio andò a Palermo per entrare al possesso del regno, e godere gli omaggi e 'l nome nuovo di re. Giunto nell'ottobre, e lietamente accolto dai popoli, ebbe il dominio dei regno dal marchese de Los Balbases, viceré per Filippo V: e coronati con la moglie nel seguente dicembre, tornarono in Piemonte, lasciando l'isola, presidiata e
obbediente, a Governo del viceré Annibale Maffei, mirandolese.
Ma nella pace di Utrecht, non essendo chiamato l'imperatore Carlo VI (così che in tutto l'anno 1713 durò la guerra in Spagna, in Italia, nelle Fiandre) abbisognò nuova pace che si fermò in Rastadt l'anno 1714; per la quale l'imperatore teneva la Fiandra, lo stato di Milano, la Sardegna, il regno di Napoli e i Presìdi della Toscana. Il conte Daun ritornò in Napoli viceré. Pareva stabile quella quiete; però che le ambizioni de' re potenti erano soddisfatte, quelle de' deboli principi disperate, quando tre anni appresso, nel 1717 senza motivo di guerra senza cartello senza contrasto, poderosa armata spagnuola occupò la Sardegna. Dopo la universale maraviglia si apprestavano armi nuove in Germania ed in Francia; ma lo stesso naviglio di Spagna improvvisamente assaltando la Sicilia prese Palermo, fugatone il viceré di Amedeo, espugnò Catania, bloccò Messina, Trapani, Melazzo. Reggeva tanta guerra il marchese di Leede, nato fiammingo, generale di Filippo V.
Si collegarono in Londra nel 1718, contro la Spagna, infida e ingorda di reami, l'impero, il Piemonte, la Francia e l'Inghilterra; e per patti, allora secreti, assalirono gli eserciti e le armate spagnuole in varie parti. Molte navi inglesi con soldati di Cesare ancorarono nel porto di Messina; oltre dieci migliaia di Napoletani e Tedeschi accamparono a Reggio; intendendo a liberare la cittadella di Messina e 'l forte di San Salvatore dell'assedio che stringeva l'intrepido Leede. In due battaglie navali ebbe piena vittoria l'ammiraglio inglese Bing su lo spagnuolo Castagnedo, così che molte navi furono prese, altre affondate, poche fugate o disperse. La città di Messina, benché dagli Spagnuoli posseduta, era investita; i campi spagnuoli minacciati; ma quel Fiammingo, assediato ed assediatore, provvedendo quando alle offese quando al difendersi, espugna le due fortezze, e innanzi agli occhi del vincitore Bing e de' campi cesarei, avventuroso innalza sopra quelle rocche la bandiera di Spagna. Lasciata la città ben munita, corre all'assedio di Melazzo.
(1720) Altre armate, altre schiere nemiche alla Spagna arrivano in Sicilia: è presa per esse Palermo, liberata Melazzo, ricuperata Messina: i popoli che parteggiavano per il fortunato Leede, oggi, mutata sorte, parteggiano per Cesare: tutto va in peggio. Il generale spagnuolo, sospettando le sventure estreme, preparava l'abbandono dell'isola. La Spagna, travagliata in altre guerre, ormai non eguale a' potentissimi suoi contrari, accetta per pace i secreti accordi dell'alleanza nemica, e riceve piccolo e futuro premio contro i danni gravi e presenti della guerra. La Sicilia per quella pace fu
data a Cesare: il re Amedeo n'ebbe, ricompensa povera, la Sardegna: ebbe Filippo V la successione a' ducati di Parma, Piacenza e Toscana. I principi ancora viventi di quei paesi, il papa pretendente al dominio di Parma, e 'l re Amedeo restarono scontenti di que' patti: ma in povertà di stato null'altro poterono che lamenti e proteste. Il generale Leede imbarcò per la Spagna le sue genti e cinquecento dell'isola, che volontari si spatriarono; però che, rimasti fedeli alla parte spagnuola, temevano lo
sdegno e la vendetta del vincitore. Misera sorte di chi s'intrigò nelle contese dei re, e meritata se lo fece, non a sostegno di massime civili, ma per ambizione o guadagno.
Le due Sicilie si unirono sotto l'impero di Carlo VI, che nominò viceré nell'isola il duca di Monteleone, ed in Napoli il conte Gallas, dopo il conte Daun richiamato. Morto il Gallas gli succedé il cardinale di Scotembach. E poiché nell'anno 1721 mori Clemente XI e fu eletto Innocenzo XIII, il nuovo papa, vedendo dechinata la fortuna e la potenza di Filippo V, non dubitò di concedere al felice Carlo VI la domandata investitura de' due regni. A questo Innocenzo, nell'anno 1724, Benedetto XIII successe.