Gaspare Vanvitelli - Posillipo con Palazzo Donna Anna
Gli anni della guerra di Sicilia (1718-20), se da un lato rappresentano una stasi per quanto riguarda lo stimolo a riforme economiche e finanziarie, dall’altro segnano un nuovo sforzo dell’apparato produttivo regnicolo, stimolato dalla spesa bellica, che culminerà nella fase espansiva post-bellica degli anni 1722-23. Si tratta di anni (1718, 1720, 1721) ancora una volta di forte pressione fiscale, di notevole livello delle entrate statali – attorno ai 2.500.000 ducati –, ma anche di anni di continui disavanzi del bilancio statale. L’agricoltura, nonostante le scarse considerazioni in cui fu tenuta da Vienna a causa delle teorie dello sviluppo alle quali ispirava la propria politica economica, funge da valido cardine dell’apparato produttivo del Regno grazie anche alla lunga serie di buoni raccolti di cui viene a godere in questi anni (fino a tutto il 1721), appena interrotta, ma già ripresa nel 1723.
La produzione manifatturiera, tessile in specie, mantiene in questi anni un ritmo sostenuto, come fanno fede le matricole dell’Arte della seta, che nel 1722 raggiungono un nuovo vertice per quanto riguarda i maestri ed una cifra assai notevole per quanto riguarda i mercanti, mentre gli introiti derivanti dalle Grana due a libbra di seta che si tinge di nero si mantengono ad un livello eccezionalmente alto tra il 1721 e il 1723. Le aumentate entrate di questi anni provenienti dalle Ferriere di Stilo testimoniano del notevole sforzo produttivo sostenuto anche dall’industria del ferro regnicola.
È da notare in questo periodo la forte contrazione delle esportazioni di grano, vino e di altre derrate agricole, ma essa va addebitata alla necessità di rifornire l’esercito imperiale in Sicilia, oltre che di provvedere alle crescenti esigenze del Regno, con una popolazione in aumento, ed in particolare della capitale, che proprio in questi anni, per l’aumento dell’uscita di grani dal Regno, conosce l’aggravarsi del problema annonario, al quale un certo rimedio intende portare l’appalto generale della panificazione del 1722.
La circolazione bancaria registra un aumento assai notevole nel 1719 (rispetto al 1718) ed un nuovo balzo in avanti nel 1722 (rispetto al 1721), chiaro indice di una fase inflazionistica.
Si tratta infatti ancora una volta di anni di eccitazione e, in definitiva, di allargamento della massa monetaria cartacea del Napoletano.
A cominciare dal 1723 si assiste a una fase di risveglio dell’economia regnicola che culminerà negli anni 1727-29. Le entrate statali rimarranno attestate in tale periodo attorno ai 2.500.000 ducati, ma non per effetto di una accentuata pressione fiscale, bensì per un aumentato gettito delle entrate indirette, indice della fase espansiva conosciuta dall’economia meridionale in tali anni. Il venir meno delle forti spese militari di qualche tempo addietro permette al bilancio statale di chiudersi con più frequenza in pareggio. Il settore agricolo conosce, con le carestie del 1724, 1728, 1729, gravi crisi in questo periodo, ma il minor apporto alla formazione del prodotto nazionale proveniente da tale settore viene bilanciato dagli altri, che beneficiano di cure e stimoli di sviluppo mai goduti in precedenza al fine di permettere all’economia regnicola di inserirsi nel più vasto tessuto economico imperiale.
Sono questi gli anni del “boom” minerario in Calabria, del piano Sinzendorff per lo sviluppo delle manifatture del Regno, dello spiccato interesse per le esigenze portuali del Mezzogiorno, dell’ampliamento – con progetti e trattati di commercio – dell’area commerciale del Paese, dello sviluppo della marineria, militare e mercantile38, di cure prestate al servizio postale ed infine di riforme finanziarie, quali l’avviata ricompra, attraverso il Banco di S. Carlo, dei fiscali. La circolazione bancaria registra livelli che non saranno mai più raggiunti sino alla fine del periodo austriaco, mentre il gettito proveniente dagli arrendamenti appare in continuo rialzo. Il risveglio di attività commerciale degli anni 1725-29, pur contribuendo a una ripresa della bilancia commerciale del Regno, non evitò che la bilancia dei pagamenti del Paese, deficitaria all’entrata degli Austriaci nel Regno, rimanesse, come attesta il movimento dei cambi esteri, nel complesso impacciata e contenuta nei suoi movimenti, risentendo, senza dubbio, della non eccellente situazione agricola di alcuni di questi anni.
Il cambiamento della situazione politica in Europa nel 1729, determinato dal trattato di Siviglia, che univa Spagna, Francia, Inghilterra e Olanda con esclusione dell’Impero e che prevedeva per la Spagna la possibilità di ritornare in Italia con la successione dell’infante don Carlos negli Stati di Toscana e di Parma e Piacenza, inizia un nuovo periodo nella vita economica del Mezzogiorno. Gli anni successivi al 1729 – e sino alla fine della dominazione austriaca nel Regno (1734) – sono caratterizzati infatti da un lato dai preparativi bellici, dall’altro dall’interruzione dei programmi avviati nel periodo precedente oltre che di quei pochissimi – la numerazione dei fuochi in principal luogo – messi in cantiere all’inizio proprio di quest’ultima fase della dominazione asburgica nel Mezzogiorno. Preparativi bellici da un lato, interruzione dei programmi economici e finanziari dall’altro, vengono a por fine a quel moderato risveglio economico degli anni ’20 del secolo, promosso da Vienna secondo i canoni della dominante concezione mercantilistica.
Antonio Di Vittorio