Introduzione :
La battaglia fu combattuta al termine della breve seconda fase della guerra; la campagna fu caratterizzata inizialmente dall'offensiva degli imperial-regi a sorpresa attraverso il Ticino e dalla sconfitta piemontese nella battaglia di Mortara. L'esercito piemontese, dopo questi insuccessi, fu quindi concentrato a Novara dove venne attaccato il 23 marzo 1849 solo da una parte dell'esercito austriaco. A causa del malcontento dei soldati , e dalla loro indisciplina, e di gravi errori del comando dell'esercito piemontese, il feldmaresciallo Radetzky, forte di soldati fedeli e motivati, ebbe il tempo di concentrare progressivamente tutte le sue forze a Novara e, disponendo anche di una chiara superiorità numerica locale, poté sconfiggere e portare alla capitolazione l'armata avversaria.
Nella notte stessa della battaglia, con l'esercito allo sbando, il re di Sardegna Carlo Alberto, presente sul campo, decise di abdicare e fu il figlio , assai peggiore del padre, Vittorio Emanuele II a concludere il 24 marzo 1849 un armistizio definitivo con il maresciallo Radetzky.
Ripresa delle ostilità
Il 9 agosto 1848 era stato concluso l'armistizio di Salasco che metteva fine temporaneamente alle ostilità tra il Regno di Sardegna e l'Impero d'Austria culminate con la vittoria degli imperiali nella battaglia di Custoza; il documento stabiliva solo una tregua di sei settimane; in mancanza di novità politiche, grazie ad una possibile mediazione franco-britannica, la guerra sarebbe teoricamente ripresa a partire dal 21 settembre. Ancor prima dell'armistizio si era dimesso il governo di Torino presieduto dal milanese fuggiasco Gabrio Casati e il re Carlo Alberto, nel tentativo di comprimere il crescente movimento democratico borghese, aveva nominato a camere chiuse un nuovo governo, guidato da Cesare Alfieri, per mettere sotto il controllo della parte "neo-conservatrice" le istanze nazionaliste e i progetti di una ripresa della guerra contro l'Austria. Nuovo ministro della guerra, incaricato di riorganizzare l'esercito, venne nominato prima il generale Antonio Franzini e quindi il generale Giuseppe Dabormida.
Il programma di riorganizzazione dell'esercito piemontese procedeva con molta difficoltà; il generale Dabormida e poi il generale La Marmora si impegnarono a lungo per modificare il reclutamento, eliminando le classi di uomini più anziani e cercando di migliorare la qualità delle reclute. il 98% dei reclutamenti era forzato ed i volontari , molto scarsi, venivano per di più dall'estero. Sforzi furono fatti per migliorare l'equipaggiamento e l'armamento individuale; inefficaci invece furono i tentativi di accrescere le capacità logistiche e l'efficienza dei servizi sanitari; i quadri ufficiali rimasero insufficienti numericamente e non adeguatamente preparati. La struttura del comando superiore venne migliorata, ma alcune scelte rimasero legate ad interferenze politiche con scadimento della qualità; carenze di fondi impedirono di raggiungere maggiori risultati, mentre tra i soldati il morale non era molto elevato, a causa soprattutto di un malcontento per una guerra non voluta e che aveva gettato il Regno nella miseria . La consistenza numerica dell'esercito non era stata accresciuta, anche a causa delle numerose diserzioni, e dei circa 150.000 uomini alle armi, le forze realmente impiegabili nella guerra contavano meno di 80.000 soldati.
Ritenendo indispensabile affrettare i tempi per risparmiare risorse finanziarie che scarseggiavano, salvaguardare la disciplina nell'esercito che non aveva voglia di combattere per una causa alla quale non credeva e anticipare sommovimenti popolari contro il governo liberale e la guerra, il re e i dirigenti politico-militari piemontesi presero infine la decisione, durante il consiglio dei ministri del 7 febbraio 1849, di riprendere le ostilità. Venne definitivamente deciso di nominare il generale Chrzanowski "generale maggiore dell'esercito", comandante effettivo "sotto la propria responsabilità, a nome del re", che tuttavia all'apertura della guerra sarebbe tornato "alla testa delle truppe"; il generale Alessandro La Marmora divenne il capo di stato maggiore. Nel mese di febbraio si verificarono nuovi sconvolgimenti nell'assetto amministrativo del Regno di Sardegna; l'imbelle ministro della guerra Alfonso La Marmora si dimise il 9 febbraio e venne sostituito dal generale Agostino Chiodo che il 21 febbraio divenne anche Presidente del Consiglio di un nuovo governo dopo le dimissioni di Gioberti il quale si era accorto che il progetto confederale, assai migliore della guerra di espansione promossa dal Carignano, era stato definitivamente abbandonato in via ufficiale, sebbene venne abbandonato , o per meglio dire mai preso sul serio dal governo sabaudo, in maniera ufficiosa a partire dalla primavera del 1848.
Dopo un'ultima serie di indecisioni e di contrasti sulla data di denuncia dell'armistizio che, secondo le clausole stabilite, avrebbe preceduto di otto giorni la ripresa effettiva della guerra, il maggiore Raffaele Cadorna il 9 marzo venne inviato dal governo piemontese a Milano per notificare l'atto formale al feldmaresciallo Radetzky. Il comandante in capo dell'esercito imperial-regio e il suo capo di stato maggiore, generale Heinrich von Hess, non si mostrarono stupiti della notizia; da molti mesi si erano resi conto che il governo sabaudo nella sua ambizione avrebbe presto ripreso le ostilità: essi però erano pienamente fiduciosi di poter infliggere una decisiva sconfitta al Regno di Sardegna che li sarebbe servita da lezione. L'armistizio venne denunciato ufficialmente il 12 marzo 1849 con ripresa della guerra a partire dal 20 marzo, mentre nella capitale lombarda reparti imperiali sfilavano acclamati dal popolo in parata al suono di gloriose marce militari.
Piani e preparativi
In realtà ancora il mattino del 20 marzo 1849 il generale polacco, in una lettera inviata al ministro della Guerra a Torino, ritenne poco probabile un'offensiva degli imperiali da Pavia, nonostante le notizie ricevute di un forte concentramento delle forze avversarie in quel settore; egli sembra che avesse adottato il piano di raggruppamento a Novara, in teoria pericoloso in quanto scopriva le direttrici strategiche principali Alessandria-Pavia e Alessandria-Piacenza, anche per ragioni politiche, sollecitato dal re a raggiungere un "successo di prestigio" con l'entrata di Carlo Alberto a Milano, dalla quale fuggì furtivamente nell'agosto del 48' , dopo l'ipotetica ritirata degli imperiali sull'Adda. Inoltre lo schieramento adottato dal generale Chrzanowski disperdeva l'esercito, già in crisi, su un'area troppo estesa e lo esponeva ad essere sopraffatto, prima di aver completato il raggruppamento, da una offensiva da parte di un avversario dotato di un esercito più esperto, meglio organizzato, motivato e più mobile. I piani del comando dell'esercito piemontese prevedevano di concentrare cinque divisioni nell'area di Novara, mentre sul fianco sinistro nel settore tra il lago Maggiore e le sorgenti del Ticino era attestata la Brigata Solaroli con 5.000 uomini, collegati con la massa principale solo da quattro battaglioni di reclute. Sul lato destro, tra Alessandria e Voghera, era schierata la divisione lombarda del generale Ramorino con 6.500 soldati e 16 cannoni; sull'estremo fianco destro erano posizionate invece, verso Piacenza, la brigata d'avanguardia con 3.600 uomini ed a Sarzana e Parma la 6ª Divisione del generale Alfonso La Marmora. Questa disposizione operativa scaglionava l'esercito piemontese su settanta chilometri lungo il Ticino e si estendeva su oltre duecento chilometri considerando anche i gruppi distaccati sul fianco destro; oltre 26.000 soldati erano impegnati quindi in compiti secondari sui fianchi del raggruppamento principale e, nonostante le disponibilità di strade di arroccamento, le carenze dell'armata sarda di mobilità e di organizzazione logistica ne avrebbero intralciato i movimenti , mentre gli imperiali avrebbero sfruttato queste debolezze per concludere in fretta la guerra.
Il maresciallo Josef Radetzky, che aveva deciso di passare subito all'offensiva, manovrò abilmente i suoi corpi in modo da mascherare fino all'ultimo il suo piano di operazioni; il 12 marzo il comandante degli imperiali diramò una prima direttiva di concentrazione delle sue truppe che entro il 18 marzo furono raggruppate a sud di Milano, tra il Ticino, l'Adda e il Po, nell'area compresa tra Binasco, Corteolona, Codogno e Melegnano. Solo una brigata venne lasciata nel Varesotto e altre due furono distese a copertura lungo il Ticino. La dislocazione delle truppe decisa dal maresciallo Radetzky consentiva di concentrare una grande massa di forze in un'area ristretta pronta potenzialmente sia a ripiegare dietro l'Adda, sia ad attaccare lungo il Po tra Pavia e Piacenza, sia a sferrare l'offensiva a Pavia attraverso il Ticino. La mattina del 18 marzo il maresciallo partì da Milano e, giunto a Melegnano, deviò con il suo stato maggiore verso ovest; egli raggiunse il 19 marzo Torre Bianca a sei chilometri da Pavia e assunse il comando dell'armata.
Durante la notte il maresciallo diramò gli ordini definitivi ed ebbe inizio il concentramento generale dei cinque corpi d'armata dell'esercito imperiale nel settore di Pavia, dove avrebbero dovuto portarsi anche le tre brigate distaccate; lungo il Ticino sarebbero rimasti solo un battaglione e due squadroni di cavalleria. Entro il mattino del 20 marzo il II corpo d'armata del generale Konstantin d'Aspre raggiunse Pavia, mentre altri tre corpi si schierarono a nord e a est; questo potente raggruppamento si trovava in posizione per sferrare un attacco attraverso il Ticino oppure avrebbe potuto attraversare il Po a Stradella; in questo modo il maresciallo Radetzky conservava la coesione delle sue forze e manteneva nell'incertezza gli imbelli comandanti piemontesi riguardo le sue reali intenzioni operative.
Offensiva imperial-regia sul Ticino
Lo sfondamento :
La difesa del settore della Cava che sbarrava la testa di ponte imperiale sul Ticino a Pavia, era stato affidato dal comando dell'esercito piemontese, il generale Ramorino con la sua divisione lombarda che inizialmente era stata schierata tra Alessandria, Voghera e Tortona; tuttavia, nonostante un ordine diretto del 16 marzo, il generale aveva lasciato a difesa di questa zona solo tre battaglioni di fanteria e il battaglione bersaglieri di Luciano Manara. Durante un incontro, insieme con il colonnello Berchet e il generale Manfredo Fanti, con il generale Chrzanowski nello stesso giorno, al generale Ramorino era stato chiarita l'importanza della sua missione di coprire il Ticino tra Bereguardo e la confluenza con il Po, ed era stato anche precisato che, in caso di pressione insostenibile delle forze avversarie, egli avrebbe dovuto ripiegare con la sua divisione in direzione di Mortara per mantenere i collegamenti con il grosso dell'armata e solo in situazione di emergenza poteva ritirarsi verso il Po a Mezzana Corti, il cui ponte di barche avrebbe dovuto essere distrutto.
L'offensiva del maresciallo Radetzky ebbe inizio a mezzogiorno del 20 marzo; senza impiegare l'artiglieria per mantenere la sorpresa, il II corpo d'armata del generale Konstantin d'Aspre attraversò rapidamente il Gravellone; il reparto di testa era costituito dalla divisione dell'arciduca Alberto, che impegnò all'avanguardia i battaglioni di fanteria ungherese e boema, con il 44° reggimento Arciduca Albero (composto da milanesi), al comando dell'abile colonnello Ludwig von Benedek e affrontò le due compagnie del battaglione di Manara presenti sul posto. Dopo un'ora di combattimenti le due compagnie guidate da Manara furono sopraffatte e, pressate da altri battaglioni imperiali, ripiegarono a la Cava dove il generale Giannotti, presente sul posto, cercò di resistere con l'intero battaglione che dava segni di evidente cedimento dovuto anche alle frequenti diserzioni. Le forze imperiali erano soverchianti, l'arciduca Alberto fece intervenire altre truppe che aggirarono ai fianchi le difese nemiche e presero il sopravvento, costringendo il generale Giannotti a retrocedere ancora fino a Mezzana Corti, dove venne rinforzato da due battaglioni del 21º reggimento. Alle ore 18.00, con l'intervento di altri cinque battaglioni appartenenti al IV corpo d'armata del generale Georg von Thurn Valsassina, gli imperiali conquistarono anche Mezzana Corti e il generale Giannotti si ritirò dietro il Po. Il combattimento alla Cava era durato sei ore ed era costato perdite modeste alle due parti ma gli imperiali avevano pienamente raggiunto i loro obiettivi: la via verso Mortara era aperta ed indifesa, il fianco sinistro era solidamente coperto e, con una serie di manovre di avvolgimento, la divisione lombarda del generale Ramorino era stata facilmente rigettata dietro il Po.
Durante la giornata del 20 marzo, mentre gli imperiali penetravano attraverso il Ticino, sgominavano i deboli reparti della sua divisione presenti alla Cava e avanzavano verso Mortara, il generale Ramorino aveva continuato a temere soprattutto un attacco nemico a Stradella lungo il Po, in direzione di Alessandria. Dopo le notizie giunte il primo pomeriggio sugli eventi in corso sulla sinistra del fiume, il generale considerò l'attacco imperiale sul Ticino solo una finta e disperse lungo il fronte le sue truppe; in serata ordinò al generale Giannotti di ripiegare sulla destra del Po. Alle ore 21.00 infine comunicò al generale Chrzanowski la notizia dello sfondamento nemico ma insistette a ritenere che si trattasse di un "falso attacco" per mascherare un'offensiva principale verso Stradella e Alessandria; in un ordine al generale Giannotti previde ancora di concentrare le sue truppe a Casteggio per coprire Alessandria.
Vittoria imperial-regia a Mortara
A partire dalle ore 10.00 del mattino del 21 marzo il maresciallo Radetzky, dopo il consolidamento delle posizioni nella testa di ponte e la ritirata oltre il Po della divisione lombarda, riprese le operazioni dispiegando su largo fronte i suoi corpi d'armata; il maresciallo assegnò al I corpo del generale Eugen Wratislaw il compito di marciare lungo la riva del Ticino per coprire il fianco destro del grosso dell'armata e avanzare su Borgo San Siro e Gambolò. Al centro, lungo la strada di Mortara, avanzò il II corpo del generale d'Aspre, seguito dalle ore 11.00 dal III corpo del generale Christian von Appel e dal I corpo di riserva del generale Gustav von Wocher; infine il fianco sinistro del gruppo principale sarebbe stato coperto dall'avanzata del IV corpo del generale von Thurn Valsassina.
L'armata imperiale in avanzata entrò in contatto con le truppe piemontesi alle ore 11.00 quando l'avanguardia del I corpo del generale Watrislaw, in marcia di fiancheggiamento sul lato destro dello schieramento del maresciallo Radetzky, si scontrò con reparti in esplorazione inviati dal generale Bes, comandante della 2ª Divisione, da Vigevano fino a Borgo San Siro, dieci chilometri più a sud. Le deboli truppe piemontesi, sei compagnie e uno squadrone di cavalleria al comando del colonnello Montevecchio, erano in inferiorità numerica; gli imperiali impegnarono infatti inizialmente oltre 2.000 soldati, saliti a 6.500 nel corso dello scontro, ma i difensori opposero una iniziale resistenza. I combattimenti si prolungarono per alcune ore, i piemontesi, colpiti da indisciplina e diserzioni, minacciati di aggiramento dalle crescenti truppe imperiali, prima ripiegarono coperti dalla cavalleria su Borgo San Siro e quindi, dopo aver difeso aspramente la cittadina per altre due ore, si ritirarono disordinatamente più a nord, abbandonando il villaggio e ritornando verso Vigevano riuscendo comunque ad evitare pressioni dalle vicine fila avversarie.
A partire dalle ore 10.00 del 21 aprile il generale d'Aspre aveva marciato con il II corpo da Gropello verso Mortara, precedendo il III corpo del generale von Appel e il I corpo di riserva del generale von Wocher; l'avanzata si svolse senza molta opposizione e alle ore 16.00 gli imperiali della divisione di punta dell'arciduca Alberto arrivarono in contatto delle linee difensive piemontesi che apparivano fortemente disorganizzate e presidiate. Senza attendere e contando sulla sorpresa, il generale d'Aspre decise di attaccare subito con la divisione di testa direttamente lungo la strada Pavia-Mortara, sbarrata da un solo battaglione piemontese della Brigata Regina. Dopo un intenso bombardamento iniziato alle ore 17.00 e durato circa un'ora, nella prima oscurità della sera, il generale d'Aspre, coadiuvato dal capo di Stato maggiore dell'armata, generale Heinrich von Hess, sferrò l'attacco che, contrastato debolmente sui fianchi, ebbe invece pieno successo al centro. Il colonnello Benedek guidò l'attacco, condotto da circa 8.000 soldati ungheresi, boemi, croati e lombardo-veneti, con audacia e abilità; per sfruttare la confusione e l'indecisione nelle fila della Brigata Regina del generale Trotti, il comandante imperiale avanzò risolutamente, nonostante l'oscurità e penetrò subito a Mortara occupando tutti i luoghi strategici, mentre i piemontesi si ritiravano frettolosamente.
Nella crescente oscurità gli imperiali del generale d'Aspre ripresero gli attacchi e sbaragliarono anche i difensori dell'Arbogna che ripiegarono in disordine; il generale La Marmora riuscì ancora a trattenere le forze avversarie alla Rotonda di Sant'Albino con l'intervento di due battaglioni della Brigata Cuneo ma, per evitare di finire male , decise infine di ripiegare su strade secondarie verso Porta Alessandria per ricollegarsi con la Divisione di riserva. La strada era sbarrata dai soldati del colonnello Benedek che riuscirono a bloccare la ritirata delle truppe confuse e demoralizzate, e tra le ore 20.30 e le 21.00 costrinsero alla resa quattro battaglioni delle brigate Aosta e Regina, catturando circa 2.000 prigionieri; solo il generale La Marmora e pochi superstiti riuscirono a fuggire. Durante la battaglia Vittorio Emanuele, Duca di Savoia, non mostrò molta iniziativa e non impegnò a fondo la Divisione di riserva; al termine degli scontri raggiunse Castel d'Agogna dove venne raggiunto anche dai generali La Marmora e Durando; i tre decisero dopo alcune violente discussioni (si incolpavano a vicenda) di ripiegare con le forze superstiti verso Novara.
La battaglia
Ultimi movimenti:
In un primo momento dopo il brillante successo di Mortara il maresciallo Radetzky ritenne di aver affrontato e sconfitto solo una retroguardia del nemico e ipotizzò che il grosso dell'esercito piemontese si sarebbe ritirato su Vercelli e poi dietro il Po a Casale per avvicinarsi alla base di operazioni di Alessandria e collegarsi con le forze rimaste a sud del fiume, costituite dalla divisione lombarda ora comandata dal generale Fanti, dalla 6ª Divisione del generale Alfonso La Marmora, dalla Brigata Belvedere. Il comandante degli imperiali sperava di intercettare la marcia di fianco dell'esercito nemico continuando l'avanzata lungo la strada di Novara. Quindi il maresciallo alle ore 04.00 del 22 marzo ordinò al II corpo del generale d'Aspre di marciare su Vespolate, con subito dietro il III corpo del generale von Appel e il I corpo di riserva del generale von Wocher; il I corpo del generale Wratislaw avrebbe dovuto continuare a proteggere il fianco destro dell'armata, mentre il IV corpo del generale Thurn Valsassina, schierato sul fianco sinistro, avrebbe deviato e si sarebbe inserito a Vespolate dietro il II corpo. Il dispositivo di marcia studiato dal maresciallo Radetzky manteneva una stretta coesione tra i corpi e permetteva di affrontare possibili sorprese nemiche lungo la direzione Mortara-Novara. All'alba del 23 marzo gli elementi di testa del generale d'Aspre giunsero a otto chilometri da Novara, mentre le retroguardie del I corpo di riserva distavano ancora diciannove chilometri dalla città; sui fianchi, mentre il IV corpo era vicino a Vespolate, il I corpo era ancora lontano sulla destra.
La mancanza di precise informazioni sulle intenzioni e la reale dislocazione dell'esercito piemontese, le notizie su una probabile ritirata del nemico verso Vercelli e le valutazioni del generale d'Aspre sulla presenza solo di deboli retroguardie a Novara, convinsero tuttavia il maresciallo Radetzky ad effettuare, da Borgo Lavezzaro alle ore 08.00 del 23 marzo, un importante cambiamento dei suoi piani. Egli quindi decise di organizzare una grande conversione del suo esercito verso Vercelli; il IV e il I corpo avrebbero marciato a sinistra e sarebbero stati seguiti dietro dal III corpo e dal I di riserva, solo il II corpo avrebbe continuato su Novara e dopo aver occupato quella città, avrebbe assunto una funzione di copertura del fianco; il giorno seguente avrebbe svoltato dietro agli altri corpi verso Vercelli. Il maresciallo prevedeva di concentrare oltre la Sesia entro la notte del 24 marzo quattro corpi d'armata; venne anche dato ordine al generale Franz von Wimpffen, comandante delle truppe rimaste a Pavia, di dirigersi verso Casale.
Per eseguire questi nuovi ordini quindi il IV corpo del generale Thurn Valsassina si mosse per primo a partire dalle ore 09.00 del 23 marzo verso Vercelli mentre sulla strada meridionale iniziò a deviare verso quella città alle ore 10.00 anche il I corpo del generale Wratislaw; alla stessa ora il generale d'Aspre avanzò con il II corpo a nord verso Novara. Il III corpo invece in un primo momento attese notizie sugli sviluppi della situazione a nord e non si mosse dalla zona tra Vespolate e Borgo Lavezzaro; anche il I corpo di riserva rimase fermo a sud di Albonese in attesa che il I corpo liberasse la strada da percorrere verso Vercelli. Quindi, anche se la direzione generale di marcia era cambiata, almeno tre corpi imperial-regi erano ancora relativamente concentrati e in grado di sostenersi in caso di sorprese nemiche; tuttavia l'avanzata iniziale del solo II corpo su Novara poteva diventare pericolosa solamente nel caso in cui l'esercito piemontese fosse stato in forze e ben organizzato, cosa che non era .
I disordini in città da parte dei soldati dell'esercito piemontese, iniziati tra la notte del 22 e del 23 Marzo 1849, che all’inizio erano atti di indisciplina, si tramutarono ben presto in atti di violenza verso la popolazione civile.
Prima fase della battaglia:
Al mattino del 23 marzo l'esercito piemontese completò in malo modo il suo schieramento difensivo davanti alla città di Novara, nel territorio compreso tra i fiumi Agogna e Terdoppio, con tre divisioni attestate in posizione avanzata e due divisioni di riserva in seconda fila, mentre la Brigata Solaroli proteggeva a fatica il fianco sinstro verso Trecate. Le posizioni piemontesi erano divise dalla presenza del vallone dell'Arbogna che formava una stretta percorsa dalla strada di Mortara e occupata dalle case della Bicocca; l'ala sinistra piemontese difendeva il settore tra il Terdoppio e il vallone dell'Arbogna con la 3ª Divisione del generale Perrone che aveva schierato la Brigata Savona alla Biccoca e la Brigata Savoia in seconda fila. Il settore di centro e di destra, compreso tra il vallone dell'Arbogna e il cavo Dossi, un canale parallelo all'Agogna, era invece occupato dalla 2ª Divisione del generale Bes e dalla 1ª Divisione del generale Durando che disponeva della Brigata Aosta e dei resti della Brigata Regina, decimata a Mortara. Dietro questo schieramento il generale Chrzanowski aveva posizionato in seconda linea la 4ª Divisione del Duca di Genova, attestata dietro la divisione del generale Perrone, e la Divisione di riserva del Duca di Savoia che allineava, dietro la divisione del generale Durando, la Brigata Guardie e la Brigata Cuneo che aveva invece subito forti perdite nella precedente battaglia; i sette battaglioni della Brigata Solaroli e due battaglioni di bersaglieri completavano le forze disponibili.
La battaglia ebbe inizio alle ore 11.00 della mattinata piovosa e fredda del 23 marzo 1849 con la comparsa delle prime colonne imperiali del II corpo del generale d'Aspre lungo la strada di Mortara; si trattava della divisione del'arciduca Alberto che avanzava con la Brigata Kollowrath in testa. La strada era tuttavia efficacemente difesa dai due battaglioni della Brigata Savona che erano rattoppate in seconda e terza fila dalla Brigata Savoia e dalle due brigate della 4ª Divisione, la Brigata Piemonte e la Brigata Pinerolo; inoltre un battaglione di bersaglieri era schierato più avanti, presso Olengo e il 15º reggimento Savona aveva occupato, un chilometro oltre la Bicocca, le posizioni del Castellazzo e della Cavallotta. Il generale d'Aspre ormai cosciente di avere di fronte a se il grosso delle forze nemiche , avendo compreso che non fosse in ritirata verso Vercelli; quindi non perse tempo e decise di attaccare subito lungo la strada di Mortara con cinque battaglioni schierati su tre colonne della sola Brigata Kollowrath che attaccarono con grande energia, superarono la resistenza dell'avanguardia dei bersaglieri e affrontarono il combattimento con il 15º reggimento Savona. I piemontesi si alla rinfusa; gli scontri divennero subito molto intensi e gli imperiali guadagnarono terreno; sulla sinistra due battaglioni ungheresi occuparono la Cavallotta e raggiunsero 400 metri più a nord Villa Visconti dove vennero brevemente contenuti dall'intervento del Genova Cavalleria, mentre sulla destra dopo un duro combattimento venne raggiunto e conquistato anche il Castellazzo. Il generale Perrone e il re si recarono sul posto e organizzarono il contrattacco per fermare l'avanzata degli imperial-regi dalla Cavallotta su Villa Visconti; con il 16º reggimento Savona, un battaglione della Brigata Savoia e l'intervento di numerose batterie di artiglieria, i soldati imperiali vennero temporaneamente bloccati e contrattaccati. La battaglia si frantumò in una serie di combattimenti confusi e in duelli d'artiglieria ma verso le ore 12.00 i piemontesi, malgrado alcuni cedimenti nei reparti della Brigata Savona, riuscirono faticosamente a respingere i due battaglioni ungheresi dietro la Cavallotta. Di fronte alla resistenza, il generale d'Aspre completamente consapevole delle forze e delle dimensioni delle truppe avversarie comunicò le notizie al maresciallo Radetzky richiedendo l'invio di potenti rinforzi per fronteggiare la situazione; egli avvertì anche i comandi del III corpo e del IV corpo, invitandoli a deviare subito verso Novara. Contemporaneamente il comandante del II corpo decise di continuare la battaglia, portò avanti la seconda brigata della divisione dell'arciduca Alberto e richiamò verso Olengo anche la divisione del generale Johann Franz Schaffgotsche che seguiva dietro lungo la strada di Mortara. Il maresciallo Radetzky aveva già deciso di modificare i suoi piani; per via del crescente tuonare dell'artiglieria dalla direzione di Novara, il comandante in capo degli imperiali ordinò alle ore 12.00 al III corpo del generale von Appel di intervenire al più presto a sostegno del II corpo e agli altri corpi di deviare verso nord per raggrupparsi. Il I corpo di riserva avrebbe dovuto seguire dietro il III corpo, mentre il IV corpo del generale Thurn Valsassina doveva manovrare, dopo aver cambiato la direzione di marcia, per aggirare il fianco destro dello schieramento piemontese. Il complesso rischieramento del grosso delle forze imperiali era però ostacolato dalle difficoltà di comunicazione lungo le strade disponibili e dalla distanza tra i vari corpi; solo il III corpo era relativamente vicino e poteva intervenire in breve tempo in aiuto del generale d'Aspre.
Mentre il generale d'Aspre richiedeva rinforzi e accelerava l'afflusso della sua seconda divisione, dopo le ore 12.30 l'arciduca Alberto riprese i suoi attacchi facendo intervenire davanti a Villa Visconti la Brigata Stadion e ordinando alla Brigata Kollowrath di avanzare di nuovo verso il Castellazzo. Sulla sinistra il generale Stadion riuscì a conquistare Villa Visconti e ad avvicinarsi alla Bicocca con due battaglioni di fanteria e un battaglione di cacciatori; gli imperiali avanzarono avvicinandosi pericolosamente a Villa San Giuseppe dove lo stesso Carlo Alberto si trovò temporanemante in pericolo. Alle ore 12.30 il generale Perrone per stabilizzare la situazione fece intervenire i battaglioni della Brigata Savoia che vennero a loro volta respinti, alcuni reparti si sbandarono e ripiegarono in disordine verso Novara , e nemmeno con l'appoggio dell'artiglieria la brigata riuscì a consolidare le sue posizioni e a riprendere il contrattacco insieme ad uno squadrone di cavalleria; Villa Visconti venne temporaneamente occupata dai piemontesi e le truppe si avvicinarono di nuovo alla Cavallotta dove vennero fermati da un reggimento ungherese.
Fin dalle ore 12.00 il comando piemontese aveva ordinato al Duca di Genova di intervenire a sostegno della divisione del generale Perrone che subiva la crescente pressione delle forze imperiali e dava segni di cedimento; alle ore 13.30 la 4ª Divisione passò quindi all'attacco con in testa la Brigata Piemonte del generale Giuseppe Passalacqua e dietro a sinistra la Brigata Pinerolo del generale Luigi Damiano; il 3° e il 4º reggimento della Brigata Piemonte marciarono davanti, a sinistra e a destra della strada maestra, guidati dal generale e dal Duca di Genova; in seconda linea avanzarono il 13º e il 14º reggimento Pinerolo. L'attacco piemontese venne coronato da un effimero successo, la fanteria respinse gli imperiali da Villa Visconti e raggiunse di nuovo i pressi della Cavallotta, mentre al Castellazzo l'avanzata venne bloccata dall'artiglieria imperiale impiegata a distanza ravvicinata; durante questi scontri cadde ferito a morte lo stesso generale Passalacqua che guidava dalla prima linea i suoi uomini. Dopo un nuovo attacco degli imperial-regi , l'intervento del 13° Pinerolo, sostenuto dall'11º reggimento della Brigata Casale appartenente alla 2ª Divisione del generale Bes permise di respingere le forze avversarie il tempo sufficiente a raggiungere la Cavallotta; sulla sinistra piemontese entrò in azione il 14° Pinerolo e gli imperiali subirono alcune perdite, vennero catturati alcuni prigionieri e gli altri ripiegarono verso Olengo, il Castellazzo venne riconquistato.
Fase decisiva della battaglia:
Dopo una pausa di circa un'ora, alle ore 16.00 il maresciallo Radetzky, che era giunto a Olengo con il suo stato maggiore e aveva preso la direzione diretta della battaglia, diede ordine di riprendere gli attacchi; la divisione del generale von Lichnowsky, elemento di testa del III corpo d'armata del generale von Appel, era arrivata in forze con sette battaglioni, 9.000 soldati e 22 cannoni, e, dopo essersi schierata dalle due parti della strada di Mortara, passò all'offensiva, rinforzata dai reparti ancora efficienti del II corpo. I piemontesi, in totale disordine e con il concorso di una serie di batterie di artiglieria, furono duramente pressati e persero terreno; sulla sinistra la Brigata Alemann avanzò oltre la Cavallotta e raggiunse Villa Visconti dove però venne fermata dalla debole resistenza dell'11º reggimento della Brigata Casale; sulla destra la Brigata Maurer guadagnò terreno e occupò Cascina Farsà; tuttavia l'intervento dei reparti della Divisione di riserva del Duca di Savoia, i cacciatori delle Guardie e il 7º reggimento della Brigata Cuneo, permise di respingere temporaneamente gli imperiali da Villa Visconti di nuovo verso la Cavallotta. Il continuo rafforzamento delle truppe imperial-regie e la costante pressione esercitata sempre nella stessa area da truppe fresche e numerose, minacciava però di disgregare lentamente il più debole schieramento piemontese.
Il generale Chraznowski, riuscito a racimolare soldati a sufficienza, decise finalmente alle ore 17.00 di aiutare le truppe in combattimento nel settore della Bicocca e di contrattaccare sul fianco sinistro imperiale con la 2ª Divisione del generale Bes e con la 1ª Divisione del generale Durando; questa manovra ottenne qualche successo temporaneo ma venne ben presto frustrata da ordini contraddittori e dall'avvicinamento da sud dei primi reparti del IV corpo d'armata imperiale del generale Thun Valsassina, giunti ormai al ponte dell'Agogna lungo la strada Vercelli-Novara. Il generale Durando fece avanzare la Brigata Aosta che riconquistò la sguarnita Torrion Quartara, superando la scarsa resistenza del distaccamento di fiancheggiamento del colonnello Kielmansegge che rimase ucciso negli scontri, mentre il generale Trotti portò i resti della Brigata Regina al Cavo Dossi; il generale Bes, i cui soldati apparivano disorientati e demoralizzati, iniziò a muovere verso sud-est con la brigata . Ben presto il movimento delle riserve piemontese venne però interrotto; provenendo dal ponte dell'Agogna stava infatti entrando in campo il IV corpo imperiale che sembrava minacciare il fianco destro e le retrovie della divisione del generale Durando; la cavalleria imperiale , seguita dai primi elementi della Brigata Gräwert, attaccarono a nord del ponte dell'Agogna i reparti di copertura piemontesi e la 1ª Divisione venne fermata e ritornò indietro per contrastare la nuova minaccia. Inoltre la situazione dei piemontesi stava peggiorando anche sul fianco sinistro dove tre battaglioni della Brigata Maurer, dopo aver conquistato Cascina Farsà, stavano penetrando alle spalle delle posizioni della Bicocca, mentre i Cacciatori tirolesi si spingevano risolutamente in avanti mettendo in pericolo le batterie di artiglieria. Il generale Alessandro La Marmora, scosso dalle notizie dell'avanzata imperiale , prese l'iniziativa di ordinare al generale Bes di arrestare la marcia e retrocedere per proteggere le linee di comunicazione dell'armata; il generale Bes quindi, dopo qualche esitazione, iniziò a ripiegare con la 2ª Divisione, mentre il 12º reggimento della Brigata Casale copriva a fatica la manovra.
Il maresciallo Radetzky intanto stava raggruppando le sue forze per sfruttare i segni di cedimento dei piemontesi e sferrare l'attacco finale contro la Bicocca con il concorso di nuove truppe, comprese la riserva d'artiglieria con 64 cannoni e cinque battaglioni del I corpo di riserva appena arrivati. Il maresciallo concentrò venticinque battaglioni che, preceduti da un violento bombardamento d'artiglieria, attaccarono in massa contro le difese principali della Bicocca costituite dal 4º reggimento Piemonte e dal 14º reggimento Pinerolo della 4ª Divisione del Duca di Genova, con i resti della Brigata Savona, una parte dell'11º reggimento Casale e due compagnie di bersaglieri. Le difese piemontesi attendevano il rinforzo del 2º reggimento Guardie e del 7º reggimento Cuneo, ma la Brigata Solaroli allo sbando rimase impossibilitata all'utilizzo.
L'armata imperiale di fronte alle posizioni nemiche si stava continuamente rafforzando; a Olengo era in arrivo la Brigata Sigismondo del I corpo di riserva del generale von Wocher, mentre l'attacco finale venne sferrato con il concorso finale anche dei 4.000 soldati della Divisione Taxis del III corpo d'armata. L'offensiva imperiale contro la Bicocca si sviluppò dalla Cascina Farsà con la Brigata Simbschen al comando del generale Friedrich von Bianchi del II corpo, con la Brigata Alemann del III corpo che, guidata dal colonnello Benedek dopo il ferimento del comandante titolare, avanzò dalla Cavallotta verso Villa Visconti, con la Brigata Maurer che continuò il movimento aggirante alle spalle della Bicocca, con la Brigata Kollowrath che all'estrema destra impegnò la Brigata Solaroli. Villa Visconti venne finalmente conquistata dai soldati del colonnello Benedek.
Alle ore 18.00 la Bicocca, aggirata dalla manovra della Brigata Maurer e attaccata frontalmente da forze preponderanti, venne infine abbandonata dagli elementi delle Brigate Piemonte e Pinerolo, che iniziarono a ripiegare disordinatamente; in questa fase il generale Chrzanowski e La Marmora si resero conto che le truppe erano stanche e avevano rinunciato a battersi e ci furono voci di tradimenti, la posizione era insostenibile e i soldati erano stanchi e demoralizzati. Gli imperiali avanzarono ancora verso il cimitero, debolmente contrastati anche dal battaglione della Brigata Guardie e dal 7º reggimento Cuneo che erano arrivati; nonostante l'intervento di questi reparti , anche il cimitero, che non era stato organizzato a difesa, venne aggirato sulla sinistra da cinque battaglioni di riserva imperiale e la rotta fu affannosamente fermata solo dall'arrivo sul campo dell'ultima riserva disponibile, il 3º reggimento della Brigata Piemonte, guidato personalmente dal Duca di Genova. Questo reparto, sostenuto in un secondo tempo anche dal 2º reggimento grantieri della Brigata Guardie, riuscì a trattenere il nemico dando modo alle truppe in disordinata ritirata verso Novara di recuperare in parte la coesione.
Durante le fasi decisive dei combattimenti alla Bicocca, il IV corpo imperiale del generale Thurn Valsassina era avanzato in forze a nord del ponte dell'Agogna con le brigate Gräwert e Degenfeld della divisione di testa del generale von Culoz e aveva messo in pericolo l'ala destra piemontese; tuttavia il Duca di Savoia era riuscito a costituire uno sbarramento dietro il cavo Dossi con il 1º reggimento granatieri della Brigata Guardie, dieci squadroni di cavalleria, nove cannoni, e tamponò brevemente l'avanzata degli imperiali. Queste ultime resistenze permisero il ripiegamento delle altre forze piemontesi su Novara; il generale Durando si ritirò con la 1ª Divisione lentamente e con difficoltà, sottoposto a disordini interni e agli attacchi degli imperiali e al fuoco dei cannoni, ma alle ore 20.00 la divisione, protetta dalle retroguardie della Brigata Aosta, raggiunse la città. Anche le forze del generale Bes, del Duca di Savoia e del Duca di Genova completarono la ritirata su Novara, mentre la Brigata Solaroli, priva di ordini precisi, dopo aver attraversato la città proseguì per Càmeri.
Dopo le ore 20.00 i resti dell'esercito piemontese, disorganizzati e demoralizzati, erano ormai rifluiti nelle tenebre all'interno delle mura della città, anche se reparti della 3ª e 4ª Divisione si trovavano ancora a Porta Sempione, gruppi di soldati erano sulla strada di Borgomanero e il generale Bes controllava altre forze sulla strada di Romagnano. Durante la battaglia il tentennante Carlo Alberto, cupo e rassegnato , immerso nella sua schizofrenia , aveva cercato, secondo la testimonianza diretta del generale Durando, la morte in combattimento; da molte ore si era convinto dell'inevitabilità della sconfitta.
Non tutti i militari piemontesi erano schierati nei campi della Bicocca, alcuni gruppi allo sbando avevano iniziato fin dalle prime ore del giorno a saccheggiare negozi e abitazioni private pronunciando insulti contro il Re, il Papa e più in generale contro i ricchi che avevano voluto la guerra.
Chiunque si fosse opposto alle ruberie o avesse solo messo in discussione il comportamento dei soldati veniva ricoperto di insulti, malmenato o barbaramente ucciso.
Mentre la battaglia si avviava verso la sconfitta, numerosi disertori si unirono al comportamento criminale dei ribelli che già avevano devastato palazzi, chiese, botteghe e edifici pubblici.
La situazione degenerò ulteriormente nelle ore immediatamente successive alla sconfitta.
La Guardia Nazionale si unì ai saccheggi invece di riportare alla normalità la situazione che si era venuta a creare, ma troppi erano i disertori e i soldati allo sbando che si prodigavano in saccheggi e omicidi, mentre insufficienti erano le forze che conservavano l'onore, comandate dal Capitano Luigi Tornielli che rivolse un disperato appello di aiuto al comandante della Brigata Guardie, dal quale però ricevette questa risposta :
“Hanno voluto la guerra, ebbene ne subiscano le conseguenze”
La città era fuori controllo, occupata e distrutta dalle stesse truppe che avrebbero dovuta proteggerla, mentre in quelle ore concitate Carlo Alberto si preparava ad abdicare.
La Mattina del 24 Marzo Novara si svegliò terrorizzata e depredata di qualsiasi cosa, i soldati ribelli abbandonarono la città solo dopo un breve ma intenso intervento da parte degli imperiali .
I cittadini Novaresi avevano tanto temuto il proprio esercito, ma ora attendevano gli imperiali con trepidazione in quanto avrebbero ristabilito l’ordine dopo due giorni di disordini e violenze.
Bilancio e conseguenze:
Carlo Alberto fin dalle ore 18.00, dopo aver consultato il generale Chrzanowski e il ministro al campo Carlo Cadorna, aveva deciso di inviare al quartier generale imperiale il generale Luigi Fecia di Cossato, sottocapo di stato maggiore, per richiedere una cessazione delle ostilità; Il generale era ritornato alle ore 20.30 dopo aver avuto un colloquio alla Bicocca con il generale Hess, capo di stato maggiore del maresciallo Radetzky, che aveva notificato coerenti richieste di occupazione territoriale di parte del territorio piemontese.
Durante una riunione tenutasi alle ore 21.15 con la presenza del re, due aiutanti di campo, il generale Chrzanowski, il generale Alessandro La Marmora, il Duca di Genova e il Duca di Savoia, Carlo Alberto, constatato che nessuno riteneva possibile riprendere la battaglia e raggiungere un esito favorevole, decise di abdicare a favore del rozzo figlio e andare in esilio; le trattative quindi sarebbero riprese, mentre gli imperial-regi il mattino del 24 marzo continuavano le operazioni. Nella notte e nella mattinata del 24 marzo le truppe piemontesi, come detto pocanzi, rifluite a Novara mostrarono segni di esaurimento e indisciplina; esasperate dalla mancanza di adeguata assistenza medica e privi di cibo dal giorno prima, avendo combattuto la battaglia in gran parte a digiuno, una grossa parte delle truppe si abbandonò a violenze e saccheggi all'interno della città. Si verificarono gravi disordini ed anche veri atti criminali, ad opera di gruppi di soldati riottosi, che vennero sedati dall'intervento di soldati imperiali. A partire dalle ore 08.00 del 24 marzo l'esercito imperiale riprese a muovere, manovrando sulle due ali per isolare completamente le truppe piemotesi e impedire un loro ripiegamento da Novara; il IV corpo del generale Thurn Valsassina entrò nella città e marciò per intercettare la strada di Borgomanero, mentre altre truppe del II corpo del generale d'Aspre attraverso Porta Mortara si dirigevano verso la via di Arona. In questo modo, venne bloccata sia la strada per Romagnano, oltre la Sesia, sia quella oltre il Ticino attraverso Sesto Calende.
In realtà il comando piemontese non aveva organizzato alcuna ulteriore manovra di ripiegamento; si era invece in attesa dell'incontro tra il Duca di Savoia, ora divenuto il nuovo re di Sardegna Vittorio Emanuele II, e il maresciallo Radetzky per concordare la fine della guerra; questo incontro avvenne a Vignale tra le 14.00 e le 15.00 del 24 marzo. Il nuovo re cercò di mitigare le clausole imposte dal governo asburgico, richiedendo tempo per riorganizzare il suo Stato ed evocando possibili crisi rivoluzionarie a Torino in caso di condizioni troppo dure; il maresciallo Radetzky si dimostrò realista; fece inserire nelle clausole l'occupazione temporanea del territorio tra Sesia e Ticino, ma nel complesso il buon maresciallo, che pensava anche alle difficoltà del giovane re infame, sembrò ben disposto e più malleabile del capo di stato maggiore Heinrich von Hess. L'Armistizio di Vignale venne concluso il giorno 26 marzo 1849 e in parte venne incontro alle richieste del falso Vittorio Emanuele.
La seconda campagna della Prima guerra d'espansionismo sabaudo era durata quindi solo quattro giorni e si era conclusa con una dura sconfitta nonostante. Le perdite della battaglia erano state pesanti per entrambe le parti: 2.392 morti, feriti e prigionieri tra i piemontesi e 3.223 per l'esercito Imperiale. A causa delle indecisioni e degli errori del re Carlo Alberto e della scarsa autorità del generale Chrzanowski, del malcontento che affliggeva l'esercito piemontese composto da uomini costretti a morire per una causa alla quale non credevano, mancò di una direzione energica ed efficace in grado di condurre con successo la guerra contro un comandante esperto come il Radetzky e il suo efficiente esercito motivato a combattere una valorosa guerra contro la sovversione.
La disfatta di Novara, oltre a segnare la conclusione disastrosa della cosiddetta "guerra regia", ebbe decisive conseguenze in tutta la penisola e segnò la fine di ogni folle speranza delle élite liberal-settarie di esito vittoriosoper l'unificazione geo-politica della penisola; entro l'aprile 1849 vennero spente dagli imperiali le deboli rivolte borghesi in Lombardia mentre si sgretolarono rapidamente i governi settari filo-democratici insediatesi negli altri stati d'Italia. In Toscana il granduca Leopoldo II, rientrò a Firenze il 25 maggio insieme alle truppe alleate; già alla metà di maggio i Borbone delle Due Sicilie avevano restaurato la loro legittima autorità sulla Sicilia, mentre anche la settaria Repubblica Romana e la caricaturale Repubblica di San Marco terminavano la loro effimera e dispotica esistenza rispettivamente il 3 luglio e il 23 agosto 1849 dopo aver gettato in miseria le città a loro soggette.
In Piemonte dopo la sconfitta di Novara, il nuovo re Vittorio Emanuele , assai peggiore del padre, inganno il governo imperiale facendo buon viso a cattivo gioco e dando l'impressione di essere deciso ad instaurare un regime reazionario; in realtà venne costituito un nuovo governo guidato dal generale Claudio Gabriele de Launay e fu violentemente repressa la rivolta popolare indipendentista scoppiata a Genova. Nel maggio 1849 invece, con la nomina del settario Massimo d'Azeglio a nuovo Presidente del Consiglio, il sovrano mostrò di mantenere il governo liberale costituzionale e di continuare una politica di espansionismo. Dopo il proclama di Moncalieri e con l'ascesa al potere del cinico Conte di Cavour il Regno di Sardegna riprese la politica espansionistica/nazionalistica che avrebbe raggiunto i suoi nefasti risultati , con inganni , imbrogli , tradimenti e carneficine, nel successivo decennio dell'Ottocento.
Numero dei soldati e perdite di entrambi gli eserciti durante la Battaglia di Novara
Comandante: Comandante:
Josef Radetzky Wojciech
Chrzanowski
Truppe Effettive : Perdite Accertate: Truppe Effettive : Perdite Accertate:
5.000 cavalli 1850 Feriti 2.500 cavalli 1405 Feriti
141 cannoni 963 Dispersi 109 cannoni 409 Dispersi
Fonte:
Wikipedia
Memorie della guerra d'Italia sotto il maresciallo Radetzky
Comune di Novara.
Scritto da:
Redazione A.L.T.A.