Gaspare Vanvitelli - Costa di Napoli dal mare
Allorché nel 1707 le truppe imperiali conquistarono il Regno di Napoli si trovarono di fronte ad un Paese finanziariamente ed economicamente stremato da anni di guerra, di una guerra che, anche se non “guerreggiata”, era stata pur sempre costosa. Le entrate statali nel 1707-8 si aggiravano sul milione e mezzo di ducati, cifra ad un livello così basso quale non sarà mai più toccato nell’intero arco del periodo di dominazione austriaca e, ad ogni modo, del tutto insufficiente a coprire le stesse spese di carattere più urgente. La principale attività economica della popolazione del Regno, l’agricoltura, pur rappresentando sempre il cardine dell’intero sistema economico meridionale, non giocava più il ruolo che essa aveva svolto nel passato. La produzione agricola, granaria in specie, già dalla fine del ‘600 serviva, infatti, in misura crescente a sfamare una, popolazione in aumento, contribuendo in tal modo non poco ad una riduzione delle esportazioni del Regno e in sostanza ad un ulteriore appesantimento della sua bilancia dei pagamenti.
Il contributo degli altri settori alla formazione del prodotto nazionale era quanto mai modesto. La produzione mineraria era quasi del tutto assente ed in ogni caso limitata a minerali di scarsa o di secondaria importanza. Il minerale ferroso tuttavia aveva un centro di estrazione di una certa rilevanza in Stilo, in Calabria. Le manifatture, alcune delle quali avevano goduto in passato di una certa rinomanza, quali quelle seriche, si limitavano ad una produzione di qualità nel complesso mediocre, non in grado di competere sui mercati internazionali con i prodotti non solo stranieri, ma neppure con quelli di altri Stati d’Italia. La produzione – si trattasse di manifatture tessili, o della concia, o della ceramica, o di altre – era di conseguenza diretta a soddisfare la domanda interna, soprattutto, è da aggiungere, quella domanda meno esigente, che rappresentava tuttavia la maggior parte della domanda totale. La stessa industria del ferro, che aveva ancora una volta in Stilo un cospicuo centro produttore, non riusciva a soddisfare che in parte le necessità del Regno.
La marineria del Paese si dedicava essenzialmente al piccolo cabotaggio ed ai trasporti dall’uno all’altro versante del Regno, non riuscendo neppure a coprire da solo, negli anni iniziali della dominazione austriaca, tale limitata rete di traffici. Il commercio estero era di conseguenza affidato alla bandiera straniera, che provvedeva allo scambio dei prodotti agricoli del Regno contro materie prime – ferro in primo luogo e prodotti manufatti –, tessili in specie.
E tuttavia gli Austriaci avevano, nel 1707-8, una guerra in corso, per la quale abbisognavano di notevoli mezzi, finanziari e di altro genere. Era inevitabile che il Regno venisse chiamato a dare il contributo per combattere quelle stesse forze, vale a dire quelle ispaniche, dalle quali sino a qualche tempo prima esso era dipeso. Gli anni successivi al 1707-8 sono di conseguenza anni di accentuata pressione fiscale ma anche, a causa delle esigenze della guerra di Successione in corso, di stimolo della produzione, di aumentate esportazioni e in definitiva di eccitazione economica, come il periodo ciclico di rialzo, desunto dall’andamento dei cambi esteri, sta a testimoniare.
Antonio Di Vittorio