martedì 31 gennaio 2012

MEMORIE PER LA STORIA DEL GIACOBINISMO SCRITTE DALL' ABATE BARRUEL TRADUZIONE DAL FRANCESE. TOMO I. 1802 (Parte 6°)CAPITOLO IV.PRIMO MEZZO DEI CONGIURATI.L'ENCICLOPEDIA.

Per distruggere l'infame nel senso di Voltaire e per giungere al punto di rovesciare gli altari ed il culto del Dio predicato dagli Apostoli occorreva cambiare l'opinione pubblica, cioè bisognava aver ragione della fede dei popoli cristiani sparsi sulla superficie della terra: all'inizio della loro coalizione i congiurati non avevano il potere di averne ragione con la forza, bisognava perciò che la rivoluzione delle idee religiose fosse preparata con destrezza e portata fino al punto in cui la trovarono i nostri legislatori Giacobini.
Era necessario che l'incredulità avesse conquistato un numero di adepti abbastanza grande per poter dominare nelle corti, nei senati, nelle armate e nelle differenti classi del popolo; per fare simili progressi di corruzione e d'empietà occorrevano molti anni, e perciò Voltaire e Federico non potevano pensare di vederne gli effetti. ( Lett. di Fed. a Volt. 5 maggio 1767. ) I consigli dei congiurati non potevano essere dunque per nulla paragonabili a quelli dei nostri conquistatori carmagnoli;a così non parleremo qui di ghigliottine, di requisizioni violente e di combattimenti ingaggiati per abbattere gli altari del cristianesimo.
I primi mezzi dei sofisti avrebbero dovuto essere meno tumultuosi, più in sordina, più occulti, più lenti, ma perfino nella loro lentezza sarebbero stati addirittura più insidiosi ed efficaci; occorreva che l'opinione pubblica perisse in qualche modo di cancrena prima ancora che gli altari cadessero sotto la scure, e questo Federico l'aveva previsto quando scriveva a Voltaire che minare sordamente e senza strepito l'edificio era come obbligarlo a cadere da se stesso. (13 agosto 1775.) D'Alembert se n'era accorto anche meglio, poiché
rimproverava a Voltaire di correre troppo scrivendogli che se il genere umano s'illuminava, ciò si doveva alla precauzione d'illuminarlo solo a poco a poco. (31 luglio 1762.) Infine la necessità di tali precauzioni suggerì a d'Alembert l'idea dell'Enciclopedia come mezzo migliore per illuminare lentamente il genere umano e distruggere l'infame. Egli concepì questo progetto e Diderot lo fece suo con entusiasmo, Voltaire lo sostenne con una costanza che rianimò sovente d'Alembert e Diderot, vicini a soccombere entrambi più d'una volta sotto il peso del loro compito.

Denis Diderot (1713-1784). Fu scrivano, precettore  e “bohemien”. Condannato a 5 mesi di “blanda prigionia” per stampa sovversiva nel 1749, li scontò nel castello di Vincennes. Si sposò con una camiciaia pur avendo una relazione con Sophie Valland. Fu promotore, editore e colonna dell’Encyclopedie, che non abbandonò neppure dopo la sospensione dell'opera in seguito ad una censura della Sorbona (1752). L'Enciclopedia fu ripresa per opera del ministro D'Argenson. La zarina Caterina II acquistò la biblioteca di Diderot, ma lo cacciò dalla corte.

Per comprendere fino a che punto il successo di questo famoso dizionario interessasse il capo ed i complici, è assolutamente necessario sapere in base a quale piano era stato concepito ed in che modo l'esecuzione di questo stesso piano era divenuta per loro il mezzo principale e più infallibile, destinato a cambiare gradualmente l'opinione pubblica insinuando tutti i princìpi dell'incredulità per poi rovesciare i princìpi del cristianesimo.
All'inizio l'Enciclopedia fu annunziata come l'insieme, il thesaurus più completo di tutte le conoscenze umane; religione, teologia, fisica, storia, geografia, astronomia, commercio e tutto quello che può essere oggetto di una scienza, poesia, eloquenza, grammatica, pittura, architettura, manifatture e tutto quanto è l'oggetto delle arti utili o dilettevoli, tutto insomma, persino i precetti ed i modi di procedere dei mestieri e delle più semplici arti manuali doveva essere riunito in quest'opera, che sarebbe stata l'equivalente delle più grandi biblioteche
e tale da supplire a tutte; avrebbe dovuto essere il risultato del lavoro di una società di persone scelte fra le più celebri di Francia in ogni genere di scienze. Il discorso con cui d'Alembert l'annunciò al mondo intero era scritto con abilità, ben pesato e meditato; la concatenazione delle scienze, i progressi dello spirito umano vi erano molto ben indicati, tutto ciò che aveva tratto dalle opere di Chambers e del cancelliere Bacon sulla filiazione delle idee era assai ben travestito; il sofista plagiario aveva saputo adornarsi così bene della sapienza altrui, che il prospetto dell'Enciclopedia fu considerato un capolavoro ed il suo autore come l'uomo più degno di essere posto alla direzione di un'opera così meravigliosa.



Frontespizio della prima edizione dell'Enciclopedia. Doveva essere la raccolta
delle cognizioni del genere umano: si trasformò in strumento di propaganda atea ed
anticristiana. Al suo esordio l'opera ebbe la ferma opposizione dei Gesuiti.

Così le promesse erano superbamente annunciate, anche se si aveva poca voglia di mantenerle; tuttavia vi era un obiettivo tenuto profondamente segreto e ritenuto di pressoché certa realizzazione, il quale consisteva nel fare dell'Enciclopedia un immenso deposito di tutti gli errori, i sofismi e le calunnie che potessero essere state inventate contro la religione a partire dalle prime scuole dell'empietà sino a questa enorme compilazione; ma il veleno avrebbe dovuto essere abilmente nascosto in modo che si infondesse insensibilmente nell'animo dei lettori senza che se ne potessero accorgere. Per abusare della loro credulità, l'errore non si doveva trovare mai in modo troppo scoperto, ma si doveva nascondere con cura particolare nelle voci dove si sarebbe potuto prevederlo o sospettarlo. La religione avrebbe dovuto sembrare rispettata e persino difesa nelle discussioni che la riguardavano direttamente. Qualche volta l'obiezione doveva essere confutata in
modo da persuadere che si voleva annientarla, mentre invece si pensava solo a renderla più pericolosa fingendo di combatterla. Vi è anche di più: gli autori che dovevano aiutare d'Alembert e Diderot in questo immenso lavoro non erano tutti uomini di religione sospetta; la probità di alcuni, come per esempio quella del signor Jaucourt, dotto scrittore che da solo ha composto un numero prodigioso di voci dell'Enciclopedia, era tanto nota che sembrava dovesse servire da garante contro le insidie dell'astuzia e della perfidia. Infine si
annunziava che gli argomenti religiosi sarebbero stati trattati da teologi noti per il loro sapere e per la loro ortodossia; anche se tutto ciò fosse stato verissimo, l'opera sarebbe risultata solo più perfida, poiché a d'Alembert e a Diderot rimaneva una triplice risorsa per portare a termine lo scopo ultimo della cospirazione anticristiana.
La prima era l'arte d'insinuare l'errore e l'empietà nelle voci che per loro natura ne sarebbero state meno suscettibili, nella storia, nella fisica, perfino nella chimica e nella geografia, in quelle parti cioè che si sarebbe creduto di poter consultare senza il minimo pericolo. La seconda era l'arte dei richiami, quell'arte così preziosa che, dopo aver messo sotto gli occhi del lettore alcune verità religiose, lo rinviava ad altre voci di diverso tipo per acquistare maggiori nozioni; qualche volta perfino la sola parola del richiamo poteva costituirne la satira ed il sarcasmo: per far ciò bastava porre sotto l'articolo trattato religiosamente una di queste espressioni: Vedi la voce “pregiudizio”, oppure: Vedi “superstizione”, vedi “fanatismo”. Infine, se il sofista che faceva il richiamo temeva che questa astuzia fosse insufficiente, poteva alterare le discussioni di un collaboratore onesto e aggiungere il proprio articolo sul medesimo argomento fingendo di sostenerlo
mentre lo confutava; insomma, il velo avrebbe dovuto essere abbastanza trasparente per rendere l'empietà pungente ed abbastanza oscuro per riservarsi la possibilità di eventuali scuse e sotterfugi.
Questa era l'abilità particolarmente propria al sofista volpone d'Alembert; Diderot, più ardito, si abbandonava qualche volta a tutta la follia della sua empietà, ma quando riflettendo gli tornava il sangue
freddo doveva ritoccare i suoi scritti, aggiungendovi qualche restrizione apparente in favore della religione, o qualcuna di quelle espressioni reverenziali che nondimeno lasciavano sussistere tutta
l'empietà; e se non voleva farlo, se ne incaricava il revisore generale d'Alembert,.
Soprattutto i primi volumi dell'immensa collezione dovevano essere digeriti con prudenza per non irritare il clero e tutti coloro che i congiurati chiamavano uomini di pregiudizio. Man mano che l'opera avanzava si sarebbe fatto uso di maggiore audacia e, se le circostanze non permettevano ancora di dire abbastanza apertamente tutto ciò che si voleva, rimanevano come ultime risorse i supplementi e le nuove edizioni da stamparsi in paesi stranieri, rendendole meno costose per diffonderle meglio e mettere il loro veleno alla portata dei lettori meno abbienti.
L'Enciclopedia, a forza di essere raccomandata e strombettata dagli adepti, avrebbe dovuto essere presente in tutte le biblioteche facendo in modo che a poco a poco tutto il mondo dei dotti diventasse
anticristiano.
Questo progetto non avrebbe potuto essere concepito meglio per arrivare al fine dei congiurati, e ben difficilmente avrebbe potuto essere eseguito più fedelmente di quanto lo sia stato.
Dobbiamo allo storico le prove del fatto e quelle dell'intenzione; per avere le prime basta dare un'occhiata a vari articoli di questa immensa collezione e confrontare ciò che vi si trova di abbastanza esatto sui principali dogmi del cristianesimo ed anche sulla religione naturale con gli altri articoli ai quali i nostri congiurati si preoccupano di rinviare il lettore; ci si renderà conto che l'esistenza di Dio, la libertà, la spiritualità dell'anima erano trattate all'incirca come lo dovrebbero essere da parte di qualsiasi filosofo religioso, ma il lettore
che d'Alembert e Diderot si preoccupano di rinviare alle voci "dimostrazione" e "corruzione" vedrà successivamente sparire tutta questa dottrina, perché quella che si trova nelle voci dell'Enciclopedia
raccomandate da d'Alembert e Diderot è proprio la dottrina degli scettici, degli spinozisti, dei fatalisti e dei materialisti.1
Questo trucco non sfuggì alle osservazioni degli autori religiosi, (ved. La Religione vendicata, Gauchat, Bernier, Lett. Elviesi.) e dal canto suo Voltaire si incaricò di difendere l'Enciclopedia dalle critiche, descrivendo questi autori religiosi come nemici dello stato e come cattivi cittadini; (Lett. 18 ad Alemb.) d'altronde erano queste le sue armi ordinarie, e se l'inganno gli era riuscito, bastava esaminare la sua corrispondenza confidenziale con gli autori reali dell'Enciclopedia per rendersi conto se le intenzioni che a loro si attribuivano fossero 
prive di fondamento.
Lontano cento leghe da Parigi ed esente dagli ostacoli che incontrava d'Alembert, Voltaire avrebbe desiderato che le intenzioni dei congiurati si manifestassero con attacchi più diretti; egli non gradiva certe restrizioni che per d'Alembert erano usuali, e gli rimproverò specialmente quella che aveva impiegato nella voce su Bayle; ma d'Alembert gli rispose: “Voi mi fate una lagnanza da svizzero riguardo all'articolo su Bayle. Per prima cosa non ho detto felice lui se avesse rispettato di più la religione ed i costumi: la mia frase è più modesta. Ma poi chi non sa che nel maledetto paese in cui scriviamo questo tipo di frasi è in stile notarile e serve solo da passaporto alle verità che si esprimeranno altrove? Nessuno al mondo le crede.” (L. d'Alemb. 10 ott. 1764.) Voltaire, al tempo in cui era occupato a redarre gli articoli che spediva a d'Alembert per l'Enciclopedia, non potendo nascondere quanto avrebbe preferito che si andasse direttamente all'essenziale
tralasciando i riguardi che si avevano ancora per la religione, scriveva: “Mi stringe il cuore quel che mi vien detto degli articoli di teologia e di metafisica; è cosa molto crudele stampare il contrario di quel che si
pensa.” (L. 9 ott. 1755.) D'Alembert, più astuto, si rendeva conto di quanto questi riguardi fossero necessari per non essere trattato da matto proprio da coloro che voleva convertire, cioè da coloro di cui voleva fare
altrettanti apostati: egli prevedeva il tempo in cui avrebbe potuto rispondere: “Il genere umano oggi è così
illuminato solo perché si è avuta l'avvertenza di illuminarlo a poco a poco." (L. 16 luglio 1762.)



Brano della lettera n° 145 di d'Alembert a Voltaire, 10 ottobre 1764 (Oeuvres completes de Voltaire, tomo 68, Kehl 1785). Si tratta di una vera e propria confessione: d'Alembert affermache le frasi apparentemente in favore della religione servivano solo da copertura per veicolare ben altri contenuti che si trovavano in altri luoghi dell'Enciclopedia. Querelle de suisse si può tradurre: lamentela pedante.



La frase estratta dalla lettera di Voltaire a d'Alembert del 9 ottobre 1755 (Oeuvres completes de Voltaire, tomo 68, pag. 9, Kehl 1785)

Quando Voltaire, col nome di un prete di Losanna, inviava degli articoli troppo arditi, d'Alembert gli diceva: “Noi riceveremo volentieri tutto ciò che ci verrà dalla stessa mano; chiediamo solo il permesso al vostro eretico di fare zampa di velluto in quelle parti in cui avrà mostrato troppo le unghie: è il caso di indietreggiare per saltar meglio.” (L. 21 luglio 1757.)
Per dimostrare nel medesimo tempo che non dimenticava mai quest'arte di ripiegare per saltare meglio, d'Alembert rispondeva ai rimproveri che Voltaire gli faceva sulla voce “inferno”: “Senza dubbio abbiamo delle pessime voci su teologia e metafisica; ma con dei censori teologi e un privilegio vi sfido a farli migliori. Vi sono degli altri articoli meno in vista in cui tutto è riparato.” (Ibid.)
Infine come dubitare dell'intenzione precisa e decisa degli enciclopedisti, quando si vede Voltaire esortare d'Alembert ad approfittare del tempo in cui l'autorità, maggiormente occupata in altre questioni, si mostrava meno attenta ai progressi degli empi, scrivendogli formalmente: “Durante la guerra dei parlamenti e dei
vescovi, i filosofi avranno buon gioco; avrete agio di riempire l'Enciclopedia di verità che solo vent'anni fa nessuno avrebbe osato dire.” (L. a d'Alemb. 13 nov. 1756.)
Tutti questi intrighi, tutte queste sollecitudini di Voltaire si comprendono facilmente sapendo a qual punto egli faceva dipendere dall'Enciclopedia il successo della sua cospirazione. Sono molto interessato ad una buona opera teatrale, scriveva egli a Damilaville, “ma preferirei di molto un buon libro di filosofia che distruggesse per sempre l'infame. Io pongo tutte le speranze nell'Enciclopedia.” ( L. a Damil. 23 maggio 1764. ) Quale storico dopo una confessione così formale potrebbe rifiutarsi di ammettere che questa enorme compilazione fosse destinata particolarmente a diventare l'arsenale dei sofisti contro la religione?



Étienne Noël Damilaville, funzionario statale divenuto responsabile per la raccolta del "Ventesimo" (un'imposta del 5% sui redditi introdotta in Francia a partire dal 1750) e collaboratore dell'Encyclopédie, fu uno dei corrispondenti più assidui di Voltaire.

Diderot, il cui procedere era sempre più schietto perfino nelle sue doppiezze, non nascondeva quanto gli costasse l'essere ridotto così spesso ad impiegare l'astuzia; egli non nascondeva che avrebbe voluto inserire i suoi princìpi con minori riserve, ed era facile capire cosa fossero i suoi princìpi quando diceva che: “Tutto il secolo di Luigi XIV aveva prodotto solo due uomini degni di lavorare all'Enciclopedia.”
Questi due uomini erano Perrault e Boindin; riguardo al primo non si sa il perché, mentre riguardo al secondo la ragione era più chiara: Boindin, nato nel 1676, morì con fama pubblica di ateismo, ci si rifiutò di seppellirlo con le cerimonie cristiane e questa sua fama di ateo gli aveva impedito l'ingresso nell'accademia di Francia; questi erano i titoli che, se fosse vissuto, gli avrebbero garantito una collaborazione all'Enciclopedia.
Tale era dunque lo scopo di quest'opera e l'intenzione dei suoi autori coalizzati; secondo la loro stessa confessione, l'essenziale non consisteva nel riunirvi tutto ciò che avrebbe potuto costituire il tesoro delle scienze, ma di farne invece il deposito di tutte quelle pretese verità, cioè di quelle empietà che non si sarebbe osato pubblicare quando l'autorità vegliava sui propri interessi e su quelli della religione, e di introdurre con l'ipocrisia tutte queste empietà affermando contro voglia alcune verità religiose cioè stampando diversamente da ciò che si pensava sul cristianesimo, per poi cogliere l'occasione di stampare tutto quello che si pensava contro di esso.
Malgrado tutti questi trucchi, le persone zelanti per la religione si levarono con vigore contro l'Enciclopedia; soprattutto il Delfinoa se ne risentì e ne ottenne per qualche tempo la sospensione. Gli autori ebbero degli intoppi a diverse riprese, ed d'Alembert, stanco, sembrava voler rinunciare. Voltaire, che meglio di tutti sentiva l'importanza di quest'opera che costituiva il mezzo principale dei congiurati, riconfortò il loro coraggio; egli stesso, ben lungi dall'avvilirsi, redigeva, commissionava e spediva di continuo nuovi articoli. Esaltava principalmente l'onore della perseveranza in una impresa così bella, mostrava a d'Alembert e a Diderot che l'obbrobrio degli ostacoli ricadeva sui loro persecutori, (v. le sue lett. degli anni 1755 e 1756) li sollecitava, scongiurandoli in nome dell'amicizia e della filosofia, a vincere i dispiaceri, a non lasciarsi scoraggiare di
fronte ad un compito così importante. (V. le sue lett. del 5 sett. 1752, del 13 nov. 1756 e soprattutto dell'8 gennaio 1757.)
L'Enciclopedia fu finalmente terminata e comparve col sigillo di un privilegio pubblico; questo primo trionfo annunciò ai congiurati tutti gli altri successi che potevano ripromettersi di ottenere contro la religione.
Per meglio valutare l'intenzione che aveva presieduto a questa enorme compilazione, lo storico deve conoscere la scelta che d'Alembert e Diderot si erano preoccupati di fare nel darsi dei cooperatori, soprattutto per quel che riguardava la parte religiosa. Il primo dei loro teologi fu Raynal; i Gesuiti, che avevano scoperto la sua inclinazione all'empietà, l'avevano appena scacciato dalla loro compagnia, e proprio questo fu per d'Alembert il migliore dei suoi titoli. Si sa fino a quale punto quest'esaltato abbia confermato per mezzo delle sue atroci declamazioni contro la religione sia il giudizio che avevano dato su di lui i suoi ex-confratelli sia la scelta degli enciclopedisti. Ma ciò che non si sa e che si deve sapere è l'aneddoto
della cancellazione di Raynal dal ruolo di cooperatore dell'Enciclopedia, e che unisce la sua storia con quella di un secondo teologo che, pur non essendo stato un empio, si era lasciato tuttavia trascinare dalle società filosofiche.
Costui era l'abbé Yvon, singolare metafisico ma uomo buono e pieno di candore e che spesso mancava di tutto; così usava della sua penna per sostentarsi nella sua indigenza, pensando di poterlo fare onestamente. Con tutta la buona fede del mondo egli aveva redatto la Difesa dell'abbé de Prades. Lo so da lui stesso; l'avevo sentito sfidare un teologo a trovare il minimo errore in quest'opera, arrendendosi poi alle prime parole della confutazione, e l'ho udito raccontare con la medesima semplicità come si era impegnato per lavorare
all'Enciclopedia: “Avevo bisogno di soldi, mi disse; incontrai Raynal che mi esortò a scrivere alcune voci, aggiungendo che sarei stato ben pagato. Accettai l'offerta; il mio lavoro fu rimesso al collegio degli
 da Raynal, ed io ricevetti da lui venticinque luigi. Mi credevo pagato assai bene, ma uno dei librai dell'Enciclopedia, al quale avevo svelato la mia buona fortuna, mi parve sorpreso di sentire che gli articoli portati al collegio da Raynal non erano suoi, e si indignò sospettando l'inganno. Pochi giorni dopo fui chiamato al collegio e Raynal, che aveva ricevuto mille scudi facendo passare per propria la mia fatica, fu condannato a restituirmi i cento luigi che aveva trattenuto per sé.
Questo aneddoto non sorprenderà chi conosce almeno un po' gli altri plagi letterari di Raynal, ben noto per questo genere di imprese. Il collegio non volle più niente da lui, tuttavia la sua costanza nell'empietà lo riconciliò con d'Alembert e Diderot.
Ad onore dell'abbé Yvon devo aggiungere che i suoi articoli su Dio e sull'anima nell'Enciclopedia erano proprio quelli che facevano stringere il cuore a Voltaire, ma d'Alembert e Diderot supplirono assai
bene a quelle voci con i loro richiami.
Il terzo teologo dell'Enciclopedia, o meglio (a voler contare come d'Alembert che non osa neppure nominare l'abbé Yvon a Voltaire) il secondo di questi teologi fu il famoso abbé de Prades, costretto a fuggire in Prussia perché aveva voluto ingannare perfino la Sorbona pubblicando le sue empie tesi e facendole passare per religiose; era la doppiezza delle sue tesi che aveva ingannato l'abbé Yvon, e quando questa doppiezza fu scoperta, il parlamento procedette contro l'autore; ma Voltaire e d'Alembert lo posero sotto la protezione del re di Prussia. (Corrispond. di Volt. e d'Alemb. lett. 2 e 3.) L'onore del de Prades esige che io riveli anche ciò che non si trova nella corrispondenza dei suoi protettori; tre anni dopo quella sua specie di apostasia pubblica, ritrattò pubblicamente i suoi errori con unadichiarazione firmata il 6 aprile 1754, detestando i suoi legami con i sofisti ed aggiungendo che non gli sarebbe bastata una vita per piangere la sua condotta passata. Morì nel 1782. (Dizion. stor. di Feller.)
Un altro teologo dell'Enciclopedia fu l'abbé Morellet, uomo infinitamente caro a d'Alembert e soprattutto a Voltaire che lo chiamava Mòrsicalia perché, col pretesto di levarsi contro l'inquisizione, aveva morso la Chiesa con tutte le sue forze. (V. corrispond. di d'Alemb. lett. 16 giugno 1760 e lett. a Thiriot 26 gen.
1762. )
La maggioranza degli scrittori secolari coadiutori dell'Enciclopedia erano anche peggiori; fra costoro nominerò solamente l'empio Dumarsais, il quale godeva di una tale pessima fama che la pubblica
autorità si vide obbligata a chiudere la scuola che aveva fondato per far succhiare ai suoi allievi tutto il veleno della sua empietà. Anche questo disgraziato ritrattò i suoi errori, ma soltanto sul letto di morte; il fatto che d'Alembert lo avesse scelto come collaboratore dimostra quali fossero gli uomini che gli erano necessari e quale fosse l'intenzione dei suoi progetti enciclopedici.
Non bisogna tuttavia confondere indistintamente con tali personaggi tutti coloro che hanno avuto parte in quest'opera, ad esempio i signori Formey e de Jaucourt; quest'ultimo soprattutto ha redatto un gran numero di voci, ma tutto il rimprovero che la storia deve fargli è di aver continuato a scriverne quando si accorse, o
avrebbe dovuto accorgersi, dell'abuso che si faceva del suo zelo mescolando alle sue vaste compilazioni tutti i più empi sofismi ed inganni.
Eccezion fatta per questi due uomini e per pochissimi altri, la storia può riconoscere il resto degli altri autori enciclopedici nel quadro fatto Diderot che così li dipinge: “Tutta questa razza detestabile di lavoratori, nulla sapendo ma piccandosi di sapere tutto, cercarono di distinguersi per mezzo di una disperante universalità; si buttarono su tutto, mescolarono tutto, guastarono tutto, facendo di questo cosiddetto deposito delle scienze una voragine, nella quale, alla maniera degli straccivendoli, gettarono alla rinfusa un'infinità di cose mal combinate, mal digerite, buone, cattive, incerte ma sempre incoerenti.” Questa confessione è preziosa quanto al merito intrinseco dell'Enciclopedia, ma quanto all'intenzione degli autori principali ve ne è un'altra ancora più preziosa di Diderot proprio nel luogo delle sue opere in cui parla dell'abilità, delle pene e dei sacrifici che erano stati necessari per insinuare tutto quello che non si poteva dire apertamente senza l'opposizione del pregiudizio, il che nel suo linguaggio significava: per rovesciare le idee religiose senza che nessuno se ne accorgesse.
Peraltro le cosiddette inezie degli straccivendoli riuscirono utilissime ai congiurati, perché quelle compilazioni facevano massa ed acceleravano la comparsa dei volumi. Voltaire, d'Alembert e Diderot dal canto loro si
premuravano d'inserire qui e là in ciascun volume ciò che tendeva allo scopo fondamentale. Alla fine
l'opera fu terminata, ed i trombettieri di tutti i giornali del partito la resero famosa in tutto il mondo;
ciò ingannò l'universo letterario, ed ognuno volle avere un'Enciclopedia. Se ne fecero delle edizioni in tutti i formati e di vario prezzo, e col pretesto di fare delle correzioni si usò maggiore sfrontatezza.



La definizione dell'Enciclopedia data da Diderot, tratta da Francesco Saverio Feller, Dizionario storico ossia storia compendiata degli uomini memorabili..., vol. IV, prima trad. ital., Venezia 1832.

Al momento in cui la rivoluzione dell'empietà era quasi completa, comparve l'Enciclopedia per ordine di materie; quando la si cominciò, bisognava avere ancora qualche riguardo per la religione, ed un uomo
di grandissimo merito, il signor Bergier canonico di Parigi, credette opportuno incaricarsene arrendendosi alle sollecitazioni che gli si facevano per timore che in quest'opera la scienza religiosa fosse trattata dai suoi più grandi nemici. Avvenne ciò ch'era facile prevedere: il lavoro di quest'uomo dotto, noto per alcune eccellenti
opere contro Rousseau, Voltaire e gli altri empi del momento, fu solo un passaporto, una copertura per la nuova collezione intitolata:
Enciclopedia metodica. Quando quest'ultima venne iniziata, la rivoluzione francese era sul punto di scoppiare, e così i piccoli empi moderni che si erano incaricati di questo lavoro si resero subito conto che potevano far a meno delle riserve e dei riguardi per la religione avuti dai loro predecessori. Nonostante si debba elogiare sia il lavoro del signor Bergier che alcune altre parti di quest'opera, la nuova Enciclopedia divenne ancor più della prima il deposito dei sofismi e dei principi antireligiosi, e per mezzo di essa i sofisti del momento
portarono a termine le intenzioni ed i progetti di d'Alembert e di Diderot relativamente a questo primo mezzo impiegato dai congiurati anticristiani.