lunedì 30 gennaio 2012

L’Imperatore Francesco Giuseppe e il XXIII Congresso Eucaristico Mondiale di Vienna (1912)



di Don Antonio Pavissich S.I. (1)
(“La Civiltà Cattolica”, anno LXIII, 1912, vol. IV, fasc. 1495,  pp. 3-33)

Vienna nuova

   Conobbi Vienna 40 anni fa e vi dimorai lungamente: quando la regina del danubio, la residenza dell’Imperatore Apostolico, era in balia del giudaismo trionfante, che vi aveva piantato il suo trono col culto del vitello d’oro; quando il governo e il parlamento gareggiavano in manomettere la religione e si coniavano le famose leggi contro il matrimonio cristiano, contro la scuola cristiana, contro la libertà della Chiesa; leggi che Pio IX chiamò abominevoli; quando il giornalismo viennese, quasi interamente venduto all’alta banca giudaica, gettava a piene mani il fango sui misteri della fede, vituperava Gesù Cristo nel presepio e sulla Croce, oltraggiava turpemente la SS. Vergine e bollava col marchio d’infamia il cattolicesimo, facendosi leggere da tutte le classi della popolazione viennese, senza che sorgesse un movimento efficace di protesta e di reazione; quando le chiese deserte, la licenza dominante, il terrorismo settario prepotente, il clero insultato e schernito, i buoni cattolici avviliti e dispersi; tutto insomma sembrava cospirare a far di Vienna una Babilonia, una Sodoma, per sempre perduta alla fede e al buon costume.
   Ed ora invece quale cambiamento! Vienna si è in 40 anni rinnovata materialmente, perché si può dire che fu tutta rifabbricata e che ha raddoppiato il numero delle case e degli abitanti; ma, quanto lo spirito è più della materia, tanto riesce più ammirabile il suo rinnovamento religioso e morale. Onore a quei valorosi che hanno lavorato, penato e spesso agonizzato, per compiere un cambiamento sì prodigioso! Onore al clero e al laicato militante, che non hanno perduto la fiducia nella causa di Dio e della sua Chiesa, quando tanti e tanti, anche tra i buoni, non vedevano alcun raggio di speranza e perciò stavano colle mani alla cintola! Onore soprattutto a quel uomo del popolo, che confidò nel buon senso e nel buon cuore del popolo e, portato sulle spalle dal popolo, arrestò come per incanto la corsa devastatrice del liberalismo, del giudaismo e del socialismo, dicendo: “Indietro, o traditori e sfruttatori del popolo! Questo popolo non è vostro, ma di Cristo; Vienna non sarà giudaica, ma cristiana”. E come disse, così eseguì colla sua invincibile eloquenza l’O’Connell, il Windthorst viennese. Onore a Carl Lueger.
   Vienna non è più il primo ghetto del mondo, la nuova Gerusalemme della sinagoga deicida, il gran bazar dei vampiri bancari e borsaiuoli; ma è la degna capitale di un grande impero cristiano, che combatte valorosamente in campo aperto contro i nemici della fede e ne fronteggia efficacemente l’audacia e la prepotenza. Vienna è oggidì una città, dove non solo nella vita privata, ma anche nella vita pubblica il nome cristiano non è più segno d’infamia, ma di onore e di gloria. Vienna è una città spiritualmente rinnovata, una città eucaristica, che in questi giorni si accinge a rendere con pompa non più veduta il suo solenne omaggio a Gesù Sacramentato.
   Guardate, osservate, ascoltate, leggete: tutto vi parla di lui e del carattere religioso, apertamente cattolico di questa città mondiale coi suoi due milioni di abitanti; tutto vi rivela il suo profondo rinnovamento cristiano; tutto vi dimostra ch’essa è in gran festa per il 23° Congresso Eucaristico Mondiale.
   Dalle torri e dalle facciate delle chiese, dai palazzi e dalle case più modeste, sventolano bandiere innumerevoli, papali e imperiali, tra cui, specialmente dinanzi e intorno alle chiese, pendono dalle antenne i gonfaloni eucaristici riccamente fregiati, con in mezzo l’Agnello divino e intorno l’iscrizione Ecce Agnus Dei qui tollit peccata mundi. Busti del Pontefice e dell’Imperatore, arazzi e damaschi sui poggioli e sulle finestre, festoni e pavesi, di vari colori e di forme diverse, adornano singolarmente le piazze e i centri più animati dal movimento cittadino.
   Nell’interno delle chiese non trovate gli addobbi sfarzosi delle chiese italiane, ma la semplice e maestosa magnificenza del gusto germanico, adattata alla severità architettonica dei templi: festoni sottili di verde frasca intrecciati di fiori, piante sempre verdi, trofei di bandiere e arazzi preziosi, armonizzati colle linee gotiche e colla cupa solennità dell’ambiente. Fra tutte primeggia, coi suoi gobelins, arazzi, damaschi e giganteschi candelabri, il duomo di S. Stefano.
   E in mezzo a questo indescrivibile spettacolo di festa e di magnificenza universale, un altro, forse più grandioso, si offre, continuo e sempre vario, agli occhi dell’osservatore: una vera fiumana di popolo, che si affolla e si accalca dappertutto, volgendosi dalle stazioni della ferrovia e dai sobborghi verso l’interno della città e specialmente al punto centrico, cioè alla piazza di S. Stefano.
   Dappertutto campeggiano nappertutto campeggiano dmati deelle sfarzose vetrine dei negozi simboli, fregi, ricordi, illustrazioni, immagini, medaglie, stampe eucaristiche; dappertutto vi assediano i venditori ambulanti e gli strilloni, per offrirvene d’ogni specie; dappertutto v’incontrate in persone d’ogni ceto, preti, frati,  suore, signori, signore, signorine, popolani, contadini e contadine delle varie province austriache, nei loro vestiti pittoreschi, che portano al petto la coccarda eucaristica. Tutti hanno scolpita in fronte la letizia del grande avvenimento, tutti parlano del congresso con accento di entusiasmo, tutti mostrano la gran fretta che hanno addosso di giungere là dove li aspetta o una funzione, o un’adunanza eucaristica, o la tessera da pigliare, o il biglietto da assicurarsi per qualche convegno.
   Quante volte al passaggio di un sacerdote si vedono levarsi i cappelli degli uomini e le donne viennesi rivolgergli il saluto cristiano, e i fanciulli fargli festa di sorrisi, d’inchini e di apostrofi vivaci ed ingenue! Quanta premura in tutti i cittadini di offrire spiegazioni, informazioni ai forestieri! E le tramvie e gli omnibus e le automobili e le vetture, cambiatesi quasi dissi in altrettanti alveari, intorno a cui come api si addensano a grappoli le persone per entrarvi quasi d’assalto!
   Ecco un aneddoto colto di volo in una corsa della tramvia. Un viennese dice al suo vicino:
            - Hai capito? Il Van Rossum è già qui.
            - è già qui? Che vuoi dire con ciò?
            - O bella! Voglio dire che prima non c’era.
            - Bravo! – ripiglia in tedesco un boemo – Rossum da noi vuol dire ragione; ragione che prima non c’era a Vienna e che il Legato vi ha portato a nome del Papa. Ora sì che l’avete, voi viennesi!
   Sì, Vienna ha scosso il giogo dell’empietà e della corruzione, si è rinnovata cristianamente; il congresso eucaristico n’è la prova più evidente e grandiosa. E la sua salute è venuta dal centro della vita cattolica, cioè da Roma, come tutte le opere di rinnovamento religioso e morale; il ramo asburgico è rifiorito, perché intimamente congiunto al tronco vitale di Roma cattolica. Di tale rinnovamento la presenza del Legato Pontificio al Congresso eucaristico è, a dir così, la ragione personificata.
   Non si creda però che tutta Vienna viva nella luce del suo rinnovamento cristiano. Vi sono purtroppo le ombre e le tenebre. Ombre di liberalismo e tenebre di socialismo. Il primo è un’ombra del passato, ma è sostenuto dal giudaismo dell’alta finanza, a cui sono venduti in gran parte i giornali viennesi e da cui dipendono il commercio, l’industria, l’arte, la letteratura e i tanti veicoli della moderna cultura, fattasi propagatrice di empietà e corruzione. Il secondo accarezzato ed aizzato dal primo, ateo, feroce, brutale, impadronitosi degli operai industriali, minaccia di ricacciare la società nelle tenebre della rivoluzione e del caos, non riconoscendo altra legge che quella dell’istinto selvaggio, altro ideale che la lotta di classe per il trionfo del proletariato. L’uno e l’altro collegati insieme con un programma puramente negativo di guerra al cattolicesimo non rifuggono da alcun mezzo, per riuscire vincitori.
   A citare un esempio recentissimo, in questi giorni del Congresso, la Scuola libera, associazione di maestri e aderenti liberi pensatori, massoni, socialisti, ha pubblicato un fogliettaccio intitolato Josephblätter, in cui sotto questo titolo, scelto apposta per ingannare le anime semplici coll’apparenza della divozione a S. Giuseppe, si propina ai lettori, citando alcune sentenze di Giuseppe II, il veleno più sottile e micidiale dell’ipocrisia evangelica, per render loro odioso il cattolicesimo. Ne furono tirate un milione di copie per inondare tutta l’Austria, e si tentò di distribuirlo specialmente alle porte delle chiese. Ma la vigilanza dei cattolici fece arrestare non pochi dei distributori e sequestrare in gran parte la merce, proibita anche per legge civile, poiché in Austria non è permesso il colportage, cioè la vendita pubblica dei giornali. Vi fu pure qualche adunanza di protesta contro il congresso, la quale finì miseramente  con farsi sciogliere dalla polizia.
   Tali ombre però e tali tenebre non fanno che dar maggior risalto alla luce di quel rinnovamento cristiano, che abbiamo testé ricordato. Così è sempre nella storia della Chiesa. Il dragone infernale freme, sibila, schizza fuoco e veleno, minaccia  di mordere e di strozzare, ma finisce poi con farsi schiacciare la superba cervice.

L’arrivo del Legato

   Ho assistito a Vienna più volte a festeggiamenti solenni all’arrivo dei Sovrani di Germania, d’Italia, di Persia e di altri principi regnanti per l’esposizione mondiale del 1873; all’ingresso trionfale della sposa novella dell’infelice principe imperiale Rodolfo, Stefania del Belgio; al grande corteo storico e alle pompe popolari per le nozze d’argento dell’Imperatore Francesco Giuseppe colla sventurata Imperatrice Elisabetta. Vidi in tali occasioni tutto lo sfarzo che uscendo dalle consuete tradizioni di semplicità e di modestia, sa spiegare la corte vetusta dei sovrani d’Asburgo, e tutto l’entusiasmo cavalleresco di cui è sempre capace l’indole schietta e bonaria della cittadinanza viennese.
   Confesso però che non vidi mai uno spettacolo così sublime e insieme semplice, così grandioso e insieme tenero e commovente come l’arrivo del Cardinal Legato e il suo ingresso solenne nella capitale dell’Impero austriaco. Nei casi sopraccennati si trattava di personaggi e avvenimenti conosciuti già prima, aspettati, desiderati e festeggiati per ragioni d’interesse politico e di affetto dinastico; nel caso presente Vienna accoglieva un uomo che fino a ieri era un umile religioso, non conosciuto neanche di nome, e celebrava un avvenimento d’importanza puramente spirituale. Ma quest’uomo era il rappresentante del Vicario di Gesù Cristo e quest’avvenimento era il Congresso eucaristico; di qui il carattere strettamente religioso dell’uno e dell’altro, che impresse all’ingresso del Card. Legato una solennità religiosa e perciò veramente sublime.
   Bisognava vedere quelle due fitte e dense spalliere di popolo, che si stendevano dalla stazione ovest fino a S. Stefano e da S. Stefano fino al palazzo imperiale, dove Francesco Giuseppe volle ospitare l’inviato del Papa al pari dei sovrani regnanti. Bisognava vedere i due cordoni di membri delle associazioni cattoliche e specialmente delle associazioni mariane, schierati in prima fila, coi loro distintivi, colle coccarde eucaristiche al petto e coi loro stendardi variopinti, dorati e riccamente ricamati. Bisognava vedere le immense ondate di popolo che si aggiravano dietro alle file, la selva d’innumerevoli bandiere, le case pavesate, le finestre gremite, il contegno dignitoso, devoto di quelle centinaia di migliaia di persone, comprese dall’atto solenne che rendevano al rappresentante del Vicario di Cristo lungo quella via veramente trionfale. Chi ha veduto tutto ciò non può non serbarne incancellabile la ricordanza e riconoscere che solo il sentimento religioso sa ispirare manifestazioni così semplici e così sublimi.
   Ricevuto al confine austriaco della Pontebba da una deputazione, a capo della quale era il presidente del comitato di ricevimento Conte Jaroslav Thun, salutato al confine diocesano di Rekawinkel da un’altra deputazione, il cui capo era il vescovo ausiliare mons. Pflüger, Sua Eminenza il Legato Pontificio giungeva a Vienna col treno di corte, posto per ordine dell’Imperatore a sua disposizione, alle 15.50 del giorno 10 settembre, accompagnato dalle persone del suo seguito, mons. Sinibaldi, Barone Schönberg, Principe Lancelotti, mons. Borkovic e P. Drehmanns.
   La stazione ovest era riccamente addobbata come all’arrivo dei sovrani. Nel vestibolo interno lo aspettavano il Nunzio pontificio, S. E. Mons. Scapinelli, coll’Uditore Mons. Rossi e col segretario Mons. Ogno, come pure l’ambasciatore austriaco presso la S. Sede Principe Schönburg, e perecchi altri ragguardevoli personaggi: all’esterno stavano schierate in due lunghe file fanciulle biancovestite con mazzolini di fiori in mano; di fronte all’ingresso principale i ricreatorii cattolici col loro concerto musicale. Tre cocchi di gran gala, dalle ruote, dalle maniglie e dalle orlature sfarzosamente fregiate in oro, guidati da cocchieri in parrucca e dalla splendida divisa dell’antica corte spagnola, accompagnati da lacché e scudieri vestiti nella stessa foggia, stavano pronti a formare il corteo.
   Appena il Card. Van Rossum apparve sulla soglia esterna, tutti gli astanti proruppero in applausi e grida di evviva: hoch, hoch, hoch! Tra cui si distinguevano bellamente le voci argentine dei fanciulli e delle fanciulle; mentre il concerto intonava l’inno imperiale del giubileo e, quando il Cardinale fu salito in vettura, la marcia generale. Fu un momento di vivissimo entusiasmo.
   I tre cocchi giganteschi e sfarzosi, nel terzo dei quali siede il Legato col Consigliere intimo Conte Czernin in grande divisa, che gli siede di fronte, si muovono lentamente, seguiti da parecchie altre vetture di corte; percorrono la Mariahilferstrasse tra due muraglie di persone di ogni condizione, fattesi improvvisamente silenziose e immobili come statue. La via trionfale sembra un deserto tra due argini, perché non la attraversa alcun vivente ed è in sospeso il movimento dei rotabili. Il Cardinale si volge continuamente a destra e a sinistra colla mano sempre alzata a benedire: tutti lo contemplano attraverso le ampie vetrate del cocchio e sembrano rapiti all’aspetto di quell’apparizione sì nobile, dignitosa e paterna. Quand’ecco scoppiare in quel silenzio solenne un grido di applauso; grido che si ripete da mille a mille bocche, si diffonde, si propaga, si moltiplica senza posa. Sventolano le bandiere, si agitano i fazzoletti e i cappelli, si vedono molti occhi inumiditi e si odono i commenti più affettuosi che vengono dalla folla.
  Intanto il corteo ha già passato la Babenbergstrasse ed è giunto, attraverso l’Opernring, all’ingresso della Kärntnerstrasse. Quivi sta eretto un suntuoso padiglione, tutto adorno di piante a grande fogliame, di drappi, di tappeti e di bandiere: 200 fanciulle biancovestite e 300 fanciulli dei ricreatorii vi fanno spalliera dalla parte della Kärntnerstrasse: tutto all’intorno si accalca un’immensa moltitudine di popolo. Dinanzi al padiglione ha preso posto la rappresentanza municipale, la giunta provinciale, alcuni deputati, l’aristocrazia e le presidenze delle associazioni cattoliche; nell’interno la presidenza della sezione femminile del Congresso, alcune dame dell’alta aristocrazia, il Nunzio col suo seguito, il Cardinal Nagl Arcivescovo di Vienna, che vi è giunto in processione da S. Stefano col clero secolare e regolare, col capitolo metropolitano e con molti vescovi e prelati, schierati lungo la Kärntnerstrasse.
   Ad un segno convenuto tutti si pongono in ordine, le file si distendono in posizione militare, dalle finestre gremite di spettatori risuonano grida ed applausi, si agitano i fazzoletti; il popolo fa altrettanto; il coro di S. Stefano, rinforzato di altri cantori, intona l’antifona Fidelis namque. Arriva il corteo, il concerto batte la generale; passa il primo, passa il secondo cocchio; ecco il terzo dinanzi al padiglione. Scoppia un grido partito da un giovane sacerdote italiano: “Evviva il Cardinale!” a cui fanno eco nella stessa lingua centinaia e centinaia di voci: “evviva il Cardinale”. Le acclamazioni si ripetono e si intrecciano collo squillo festivo delle campane, mentre il Legato sceso dal cocchio si volge alla folla e, con inchini e gesti affettuosi, ringrazia della solenne accoglienza.
   Primo a dargli il benvenuto è il Card. Arcivescovo Nagl, che visibilmente commosso, gli porge, prima in latino e poi in tedesco il saluto ecclesiastico di Vienna cattolica, esprimendo la letizia comune per la presenza del Legato Pontificio al Congresso eucaristico, e ricordando i meriti di S. Clemente Maria Hofbaur, apostolo di Vienna, appartenente alla stessa congregazione del SS. Redentore, di cui il Legato è fulgido ornamento. Secondo il Sindaco viennese Neumayer, che gli offre il saluto della città di Vienna, nel cui scudo campeggia la Croce, e ricorda come appunto nel luogo dove ora Vienna accoglie festante il rappresentante del Papa, 400 anni fa fu decisa la vittoria della Croce sulla mezzaluna, cioè dinanzi a Kärntnerthör; aggiungendo che la presente rappresentanza comunale si studia, specialmente con l’azione sociale cristiana e con la scuola confessionale, di conservare nel popolo il gran tesoro della fede. Risponde ad entrambi il Legato con grandi elogi della fede viennese, di cui è prova mirabile l’accoglienza fattagli, e dice: “Sebbene io sia qui affatto sconosciuto, venni tuttavia ricevuto con tanto entusiasmo, perché in me si riconosce il Legato del Papa, del Vicario di N.S. Gesù Cristo in terra”.
   Dopo le presentazioni dei dignitari, si forma il corteo del clero e si avvia verso S. Stefano precedendo i due Cardinali, che lo seguono a piedi sotto il baldacchino.
   Qui dovrei descrivere il grandioso spettacolo che offriva la più sfarzosa via di Vienna, la Kärntnerstrasse, mentre sfilava il maestoso corteo; la piazza di S. Stefano, che sembrava una sala incantata tutta adorna per una festa sovrana; l’interno del tempio gremito di clero, tra cui campeggiavano il verde e il violetto di 150 vescovi e il rosso purpureo di parecchi Cardinali, e scintillavano l’oro e il diamante delle croci pettorali e degli ordini cavallereschi. Dovrei ritrarre il momento solenne in cui il Legato impartì la benedizione papale, la sua uscita dal tempio e il suo passaggio trionfale attraverso il Graben e il Kohlmarkt fino alla reggia imperiale, dove fu ricevuto come un sovrano dal gran maggiordomo e dal gran cerimoniere in forma solenne, e subito introdotto col suo seguito dall’Imperatore, venuto a posta in città dalla sua residenza estiva di Schönbrunn, al quale consegnò un autografo pontificio, e da cui fu insignito della Gran Croce di S. Stefano colla stella, ch’è l’ordine cavalleresco più alto, mentre le persone del suo seguito ebbero pure decorazioni distinte.
   Ma non potendo dilungarmi più in là dei confini segnati alla mia relazione, sono certo che dal fin qui detto i lettori converranno con me in riconoscere che le accoglienze fatte al Legato del Papa non potevano essere né più splendide, né più commoventi, né più degne di Vienna cattolica.

L’adunanza inaugurale (11 settembre 1912)

   Per le solenni adunanze del Congresso si era da principio stabilito il duomo di S. Stefano. Ma il numero stragrande di persone, che mandavano continuamente l’annunzio della loro partecipazione, persuase presto il comitato a cambiar disegno ed a fissare quale sede del congresso la Rotonda. È un vastissimo edificio circolare, simile, ma assai più vasto dell’Augusteo di Roma, solo superstite di tutti gli edifici improvvisati per l’esposizione del 1873. Invece dei palchi e delle gallerie, sono disposti tutto all’intorno, in forma di anfiteatro, i seggi degli spettatori, distribuiti in 26 settori. Computati insieme con questi anche i posti della platea e il gran numero degli spettatori che vi possono stare in piedi, l’ambiente è capace di 15.000 persone.
   Siamo alla solenne adunanza di inaugurazione del Congresso, nel pomeriggio del giorno 11. la Reichspost la chiamò giustamente un’adunanza veramente popolare, nel senso più cattolico di questa parola, perché vi erano rappresentati tutti i ceti sociali, dagli augusti membri della casa imperiale fino ai semplici contadini, dai più alti personaggi del patriziato fino agli umili operai, dai principi porporati fino ai poveri cappellani; anzi un’adunanza di popoli, dove convennero insieme confuse le varie nazioni dell’Austria, d’Europa e di tutte le parti del mondo, per accomunarsi nell’unità della fede e nel culto del SS. Sacramento; un concilio mondiale, raccolto nel simbolo dell’unione più sublime, l’Eucarestia.
   Non occorre dire che in questa prima, come in tutte le altre susseguenti tornate, l’ambiente era gremito di gente; bastava vedere quanti e quanti rimanevano al di fuori sotto la pioggia incessante per tutti e tre i giorni del Congresso, quanti e quanti si aggiravano nell’atrio circolare interno, cercando invano di penetrare tra gli spettatori, per riconoscere che la Rotonda, sebbene sì vasta, era insufficiente al bisogno. Eppure in mezzo a tanto affollamento di popolo sembrava di trovarsi in una chiesa; sì calmo, dignitoso e raccolto era il contegno degli spettatori; sì premuroso appariva in tutti l’impegno a mantenere, per unanime consenso, in questa e in tutte le altre adunanze l’ordine più perfetto, che non fu mai turbato da alcun incidente.
   Ma l’entusiasmo non aveva confini e traboccava dai cuori nelle acclamazioni e negli applausi fragorosi, ripetuti, interminabili, che salutavano la venuta dei personaggi più cospicui e le frasi più solenni ed efficaci dei varii oratori. Acclamazioni e applausi interminabili, che accolsero l’apparire del Cardinal legato e dell’Arciduca Pietro Ferdinando, rappresentante dell’Imperatore; acclamazioni e applausi che si ripeterono durante e dopo il discorso di apertura di Mons. Heylen, vescovo di Namur, presidente del Comitato permanente dei Congressi eucaristici internazionali; acclamazioni e applausi che si rinnovarono, con un fervore di commozione indescrivibile, durante e dopo la lettura in latino e in tedesco del breve pontificio, ascoltato da tutta l’adunanza in piedi; acclamazioni ed applausi, vivi, ardenti, veementi, accompagnati da interminabile agitar di cappelli e di fazzoletti, che accolsero il Cardinal Legato quando apparve sulla tribuna per tenere il suo discorso d’inaugurazione; che spesso lo interruppero durante il discorso e raggiunsero il colmo quando ebbe finito. Fu questo un omaggio indimenticabile, offerto alla maestà del Vicario di Gesù Cristo, nella persona del suo rappresentante. Il che non toglie però che l’adunanza abbia anche voluto esprimere, con quegli applausi e con quelle acclamazioni, la propria devozione alla persona sì nobilmente popolare del Legato; il proprio entusiasmo per le parole elevate, ricche di pensieri e sentimenti ispirati, che gli uscivano dalle labbra; la propria ammirazione per la sua facondia e per la sua voce chiara, squillante, potente, onde dominava l’udienza e si faceva intendere distintamente da tutti. Felicissima fu l’evocazione da lui fatta delle memorie eucaristiche austriache e specialmente viennesi: il ricordo di Rodolfo d’Asburgo e di altri Imperatori che si distinsero nel culto della SS. Eucaristia; di S. Stanislao e della sua comunione miracolosa; degli apostoli di Vienna, il B. Canisio e S. Clemente Maria Hofbauer, e del loro zelo nel promuovere il culto del SS. Sacramento.
   Dopo di lui parlò in latino ed in tedesco il Card. Arcivescovo Nagl. Chiamando l’Eucarestia la chiave per l’unione dei popoli, offrendo i suoi ringraziamenti a tutti coloro che cooperarono alla felice riuscita del Congresso, principalmente al Papa dei Congressi eucaristici Pio X e all’Imperatore che ne accettò il protettorato e con la sua famiglia e corte imperiale volle farsi dinanzi a tutto il mondo spettacolo ammirando di fede e devozione alla SS. Eucaristia.
   Profonda impressione e giubilo indescrivibile produsse poi il discorso del ministro del culto Hussarek, il quale accennò con sentimento e con espressioni di viva fede al grande spettacolo di “devozione verso il Divin Redentore dimorante tra noi sotto le specie eucaristiche”, di cui Vienna oggi è teatro, e ricordò le glorie cristiane dell’Impero, le chiese di origine apostolica, come Aquileia, Iuvanium, Laureacum; il sangue di tanti martiri; gli apostoli Severino, Ruperto, Vigilio, Cirillo e Metodio; Carlo Magno, le crociate e il Capistrano; l’opera di Innocenzo XI e del Sobiesky per la liberazione di Vienna e l’opera di Pio X per instaurare omnia in Christo. Quando ebbe finito, tutta l’udienza sorse in piedi come un sol uomo e gli fece un’entusiastica ovazione.
   Parlò poi il Principe Lichtenstein, presidente della Dieta e della giunta provinciale austriaca, e avvertì molto opportunamente che agli assalti maligni della stampa giudaica contro il Congresso si doveva rispondere col disprezzo, giacché tutto il vero popolo austriaco stava coi congressisti, donde scaturiva per i cattolici un insegnamento di somma importanza, per ridurre all’impotenza i nemici del cristianesimo.
  Quindi il Sindaco Neumayer di Vienna diede a tutti gli ospiti il benvenuto e disse che come un tempo, sbaragliate le orde mussulmane, che avevano scritto sui propri vessilli la distruzione di Vienna e del Cristianesimo, tutto il popolo, salvatori e salvati, si riversarono nel tempio di S. Stefano, per prostrarsi dinanzi a Gesù Sacramentato, così ora tutti i convenuti al Congresso gli rendevano solenne omaggio per rinfrancarsi nella fede e armarsi a combattere valorosamente contro i nemici del cristianesimo. Ricordò pure il grande esempio offerto in questi giorni ai suoi popoli dall’Imperatore, a cui nella sua lunga vita non fu risparmiato alcun dolore, e che ebbe spesso a dire di aver trovato nella confidenza in Dio conforto e consolazione a tanti guai.
   Seguirono altri tre discorsi; l’uno del deputato belga Brifant, che parlò in francese in vece del ministro  di Stato Helleputte, impedito d’intervenire al Congresso, come già aveva promesso, e ricordò le intime relazioni della Casa d’Asburgo con la SS. Eucarestia, di cui è degno rappresentante l’Imperatore Francesco Giuseppe, e fu fedele interprete, nella sua attività politica e sociale, il grande uomo del popolo Carl Lueger; l’altro del professore dell’università di Vienna prelato Swoboda, che illustrò il concetto fondamentale del Congresso, commentando il testamentum Jesu Christi e dimostrando che la SS. Eucarestia rappresenta il trionfo dell’impero di Cristo e che il suo trionfo è il trionfo dell’amore; il terzo del capitano provinciale Sustersic, il quale disse che la storia della Chiesa è la storia dell’Eucarestia, quale compendio di tutta la religione, dichiarando le ragioni per cui essa è per i laici l’arma più potente contro i nemici della fede, e affermando che la lotta per la vera civiltà è la lotta per il S. Tabernacolo.
   Così finì l’adunanza inaugurale del Congresso, tra grandi applausi e ovazioni al Card. Legato, agli arciduchi e agli altri personaggi che vi presero parte. Né mancarono all’uscita i soliti procaccini giudaici che, sotto il titolo di programmi completi del Congresso, offrivano a prezzi ridotti la merce dei loro padroni.
   La sera il comitato del terzo congresso internazionale delle dame cattoliche diede uno splendido ricevimento nei saloni dell’Angarten, a cui intervennero in gran numero arciduchi e arciduchesse, principi ed altri personaggi. “Fu  - dice la Reichspost -  una serata di splendore, di dignità e di familiare letizia”.

La seconda e la terza adunanza plenaria (12-13 settembre 1912)

   Appena aperta dal presidente mons. Vescovo Heylen, nel pomeriggio del giorno 12, la seconda adunanza solenne, il Card. Nagl lesse il seguente telegramma di omaggio al S. Padre:
   Al Santissimo Signore Pio Papa Decimo. Dieci Cardinali, centocinquanta Vescovi, e un ingente numero di sacerdoti e laici, riuniti sotto l’alto protettorato dell’augustissimo Imperatore Francesco Giuseppe, per celebrare il Congresso Eucaristico di Vienna, applaudono alla venerabile dottrina di Vostra Santità e le professano filiale obbedienza. Pregano con fervore Cristo nascosto nell’Eucarestia perché conservi, vivifichi e allieti sulla terra Vostra Santità e non la faccia cadere nelle mani dei suoi nemici. Imploriamo umilmente la benedizione apostolica sul suo Protettore, sulla Serenissima Casata e su tutti i congressisti.
      Cardinal Van Rossum
   Accolta con grandi applausi tale lettura, salì alla tribuna un italiano, il deputato al parlamento austriaco Bugatto di Gradisca, il quale, in un tedesco incensurabile, evocò la memoria della liberazione di Vienna dai Turchi, avvenuta 229 anni fa appunto in questo giorno, cioè il 12 settembre 1683, e tessé le lodi del cappuccino Padre Marco d’Aviano, friulano, grande predicatore, consigliere intimo di Leopoldo I, mediatore di fiducia del Papa e dei principi alemanni, angelo di consiglio nelle questioni religiose, politiche, diplomatiche e militari; alla cui infiammata parola e apostolica audacia si deve principalmente la salvezza di Vienna e di tutta la Cristianità nel 1683.
   Dopo un dotto discorso di Mons. Rainer, Vicario generale di Milwaukee nell’America del Nord, intorno ai grandi benefici dei decreti di Pio X per la Comunione frequente e quotidiana e per la Comunione dei fanciulli, comparve alla tribuna, salutato da grandi applausi, il P. Andlau, oratore sacro di bella fama, e prese a svolgere il tema molto simpatico all’udienza: “La SS. Eucarestia e la Casa d’Austria”. Il suo discorso fu un vero trionfo.
   Già all’apparire dell’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono, quale rappresentante dell’Imperatore, con la sua consorte la Duchessa di Hohenberg, mentre parlava il deputato Bugatto, l’entusiasmo dinastico era spontaneamente scoppiato in una solenne, ardente, prolungata ovazione, accompagnata da grida di hoch, eljen, evviva, zivio, slava, heil, in tutte le lingue dell’impero.
   Quando poi il P. Andlau prese a celebrare in forma elevata, poetica, compendiosa, colla sua voce potente, col suo gesto largo e vibrato, e con sentimento profondo, caldissimo di persuasione, le glorie eucaristiche della dinastia asburgica, ad ogni proposizione, ad ogni accenno prorompevano irrefrenabili le acclamazioni e gli applausi. Vi fu un punto in cui l’entusiasmo non ebbe più confini. Ricordati gli innumerevoli sacrifici della Casa d’Austria in quest’anno eucaristico per la glorificazione di Gesù Sacramentato, sacrifici scritti nel libro della vita, l’oratore esclama: “Ora io voglio qui ringraziarti in nome di tutte le nazioni, o Casa d’Asburgo”. A queste parole, accolte da fragorosissimi applausi, i Cardinali, i Vescovi e tutto l’immenso uditorio sorgono in piedi come un sol uomo, e si volgono giubilanti verso i membri della famiglia imperiale che, rimanendo seduti, s’inchinano per ringraziare. L’oratore aggiunge: “E soprattutto a te, o amato Imperatore!”. Qui si alzano in piedi anche gli Arciduchi e le Arciduchesse e l’entusiasmo, il giubilo, gli applausi, le acclamazioni formano un coro indescrivibile.
   L’oratore ripiglia: “A te, o amato Imperatore, per ciascun atto eucaristico di tutto il tuo lungo governo; per ogni buon esempio che ci hai dato attraverso la lunga serie di processioni teoforiche, che hai seguito di anno in anno insieme colla tua serenissima Casa, fino ad illustrare in questi giorni del Corpus Domini mondiale col più bello dei tuoi atti le tradizioni asburgiche (ovazione). Oggi, mentre tu con tutta la tua Casa, coi figli e coi figli dei figli, ti accostavi alla mensa del Signore (ovazione) eravamo anche noi genuflessi al banchetto eucaristico e ci sentivamo uniti a te (ovazione). Nessun tramonto saluterà così dolcemente la sera della tua vita, o amato Imperatore, come i raggi sereni del sole eucaristico, quando, nel giorno del grande omaggio al Divin Sacramento, esso si piegherà, in atto di benedire, dinanzi alla soglia della tua reggia, sul tuo capo paterno e su noi tuoi figli, i cui cuori non saranno animati che da un sol desiderio: Eucharistia Austriae vita! (orazione prolungata). Rimane, o Casa d’Asburgo, quella fulgida stella, che brillò fausta sulla tua culla, il tuo asilo, il tuo talismano, il Corpo del Signore! Essa ti conduce anche oggi, attraverso la notte, alla luce e alla vittoria!”.
   Qui la penna non vale a descrivere quel che avvenne. Basti dire che, dopo una lunga ovazione, fu intonato l’inno imperiale, cantato da tutta quell’immensa moltitudine con un fervore indicibile. Forse in tutto il tempo del suo lunghissimo governo, Francesco Giuseppe non ebbe mai un simile trionfo.
   La seconda adunanza si chiuse con un discorso, tenuto dal predicatore del duomo di Münster Donders, il quale parlò del pane terreno e del pane celeste di cui abbisogna l’operaio, dimostrando, con molta efficacia di ragioni e nobiltà d’eloquio, l’azione salutare della SS. Eucarestia per la vera riabilitazione dell’operaio.
   Nella terza adunanza solenne del 13 settembre, il primo oratore Mons. Stöber, parroco viennese, commemorò degnamente S. Clemente M. Hofbauer, delineando la sua ardente devozione al SS. Sacramento e l’attività prodigiosa ch’egli svolse, specialmente qui a Vienna, per ristabilirne e propagarne il culto.
   Quindi il presidente salì alla tribuna e lesse il seguente telegramma di risposta del S. Padre al telegramma di omaggio del Congresso.
   Roma, 11 settembre, ore 11.55. Al Cardinale Van Rossum. Profondamente commossi dalla perspicua dichiarazione di fede cattolica e dalla benevola carità nei nostri riguardi, ringraziamo di cuore te, gli altri figli nostri Cardinali, i venerabili fratelli Vescovi e i carissimi fedeli, riuniti per adorare NS Gesù Cristo nel divino dono dell’Eucarestia, implorando Dio, che vede la gradita e benevola disposizione dell’animo vostro, affinché tutti voi rimeriti di premio condegno. Impartiamo con vivo piacere all’Augustissimo protettore del Congresso, alla sua Serenissima Casa, a te e a tutti coloro lì riuniti la nostra Apostolica Benedizione.
PIO PAPA X”
   Appena finita questa lettura, che tutti ascoltarono in piedi con religioso silenzio, la parola del Papa fu salutata da uno scroscio di applausi.
   Seguirono poi tre discorsi: l’uno del P. Hofmann S.I. sulla Eucarestia e la vita degli Ordini religiosi, in cui l’oratore fece un parallelo molto felice sulla vita di nascondimento, di sacrificio, di obbedienza, di espiazione, di attività e di benedizione del Divin Redentore, quale modello della vita religiosa: l’altro del Conte Rességuier sulla pace per i popoli dinanzi al tabernacolo, che l’oratore chiuse con un’affettuosa invocazione a Gesù Sacramentato per la pace e la fratellanza universale; il terzo del P. Krotz O.P. di Berlino, sul rinnovamento del lavoro pastorale, in cui l’oratore a grandi linee tracciò il disegno di una organizzazione della cura d’anime nelle città e nelle campagne, e di una azione concorde del clero secolare e regolare e del laicato, per ricondurre specialmente gli uomini alla Chiesa.
   Notiamo infine che questo secondo giorno del Congresso fu degnamente celebrato anche dai capoccia della massonica Scuola Libera. I quali, essendo stati impediti dalla vigile solerzia della polizia nella distribuzione dei loro Josephsblätter, come abbiamo indicato sopra, pensarono di rifarsene con mandarli mediante posta in busta chiusa non affrancata, e ciò a nome del comitato del Congresso. Se fosse sincero il loro zelo per la diffusione del libero pensiero, dovrebbero provarlo almeno con la generosità di non risparmiare i francobolli.

La solenne adunanza di chiusura (15 settembre 1912)

   Sebbene in tutte le altre adunanze plenarie la Rotonda fosse così gremita di gente, da sembrar che non potesse capirvi un numero maggiore, tuttavia, quando vi entrai quest’oggi e, ostentando un poco il mio doppio distintivo di congressista e di giornalista, per non essere disturbato dalle guardie, presi a girare pettoruto e ad osservare intorno intorno lo spettacolo che si offriva ai miei occhi, ne rimasi profondamente colpito. I grappoli umani dei 26 giganteschi settori erano evidentemente più fitti, più densi e più turgidi delle altre volte; quello pure centrale della platea, in cui mi trovavo anch’io, era notevolmente più compatto.
   L’ambiente, come dissi sopra, è capace di 15.000 persone; ma, quando, alle 11 in punto, si aprì l’adunanza, la polizia ne aveva già contate 25.000! eppure si continuava ad entrare a grandi frotte, finché la pubblica sicurezza non ammise più nessuno, essendo impossibile di fargli posto anche in piedi. Talché l’udienza raggiunse la cifra di almeno 30.000 persone.
   Chi non ha veduto tale spettacolo, non può formarsene un’idea. Fuori pioggia, fango, vento che penetra fino alle ossa e fa intirizzire dal freddo, e una selva immensa di vetture e di automobili che giacciono nella mota e grondano d’acqua; dentro una serie di colline disposte ad anfiteatro e pendenti verso la valle centrale; quelle e questa interamente smaltate di fiori variopinti, che si muovono incessantemente e, osservati più da vicino, si cambiano in cappellini e in facce umane!
   Primo a parlare fu il P. Kolb S.I., chiamato apostolo della stampa, perché a lui si deve principalmente la fondazione e l’incremento del Piusverein. A lui fu pure affidato l’incarico di ordinare e compilare le singole risoluzioni, già votate nelle varie adunanze di sezione, per proporle poi alla votazione nell’ultima adunanza plenaria. Ma non essendo possibile preleggerle tutte, egli pregò l’adunanza di approvare che venisse letta solamente la prima, e quanto alle altre consentisse che si avessero per approvate quelle le quali fossero ratificate dal card. Arcivescovo di Vienna. Ottenuto ciò con unanime applauso, egli lesse la prima risoluzione:
   “Il 23° Congresso Eucaristico internazionale offre a S. santità Pio Papa X gloriosamente regnante, i più ossequiosi ringraziamenti, i ringraziamenti più sentiti (applausi fragorosi) i ringraziamenti per i decreti sulla Comunione da S. santità pubblicati. Esso vi riconosce un rimedio efficace contro le piaghe dei nostri tempi, uno scudo potente per conservare l’innocenza dei fanciulli, ed un aiuto importante per mantenere la vita di grazia negli adulti. Il Congresso eucaristico prega tutti i fattori a ciò chiamati per adoperarsi, con tutte le forze e con ogni diligenza, per la piena esecuzione di tali decreti”.
   Dopo ciò il P. Kolb riassunse brevemente le altre risoluzioni e conchiuse con una proposta personale, quella cioè di sopportare pazientemente la prova del mal tempo, giacché non si era venuti a Vienna per divertirsi, ma per offrire al Divin Redentore un sacrificio di espiazione e di riparazione; onde tutti dovevano mettere ai piedi del Crocifisso i propri disagi e le intemperie della stagione, per raggiungere meglio il vero scopo del Congresso.
   Non si può dire quanto tale esortazione fosse opportuna, e con quanto entusiasmo di applausi e di acclamazioni venisse accolta dall’uditorio.
  Venne quindi la volta del magnate ungherese Conte Bela Somssich, il quale svolse il tema: “La SS. Eucarestia e l’avvenire della Chiesa”, auspicando che il trionfo eucaristico di Gesù Cristo nella processione di domani sia presagio del grande trionfo che, nel segno del rinnovamento eucaristico, celebrerà la Chiesa in un prossimo avvenire, allorché tutte le lingue canteranno con giubilo l’inno della vittoria: sia lodato e benedetto per sempre il SS. Sacramento dell’altare!
   Quindi parlò, quale ultimo oratore del Congresso, il cappuccino P. Künzle sul tema: “La Madre del bell’amore e la SS. Eucarestia”, illustrando le intime relazioni di Maria, quale Madre di Dio, Corredentrice del genere umano, Regina del sacerdozio cristiano, colla SS. Eucarestia, e osservando che ogni congresso eucaristico è anche un congresso mariano, poiché la Madre non si può separare dal Figlio, e dove viene onorata maria, perciò stesso anche Gesù Cristo è glorificato.
   A nome dei cattolici spagnoli, l’Arcivescovo di Valencia, Mons. Guisasola y Menendez prese poi la parola in latino, per istituire un confronto tra il Congresso eucaristico di Vienna e quello dell’anno scorso a Madrid, inneggiando ai due monarchi cattolici, Francesco Giuseppe d’Austria e Alfonso di Spagna, legati insieme dai vincoli del sangue e della fede comune, e facendo voti per la prosperità della casa e dell’impero austriaco.
   Gli succedette il Card. Amette, Arcivescovo di parigi, con un discorso in francese, per offrire l’omaggio della Francia cattolica alla cattolica Austria, e rallegrarsi del grande trionfo, celebrato in questi giorni dal popolo di Vienna e di tutto l’Impero, in onore di Gesù Cristo Sacramentato, auspicando, quale frutto delle comuni preghiere, il ritorno della Francia ufficiale al culto eucaristico, di cui in questi giorni l’Imperatore austriaco volle dare ai suoi popoli sì nobile esempio.
   Finalmente salì alla tribuna S. Em. il Card. Legato, per recitare il suo solenne discorso di chiusura. Disse che il Congresso era non solo splendidamente riuscito, ma aveva superato le speranze più ardite! Ne ringraziò quindi la SS. Trinità, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, e la SS. Vergine, che in questi giorni fu sì larga delle divine grazie verso il Congresso.
    Di poi, abbassando il suo sguardo dal cielo alla terra lo rivolse al Vicario del Sommo Sacerdote Gesù Cristo, per ringraziarlo dell’aver attirato colla sua benedizione le benedizioni dell’Altissimo sull’opera del Congresso. E gli promise, a nome di tutti i congressisti, fedeltà e devozione immutabile. Ringraziò pure l’Imperatore, vero padre dei suoi popoli, che tenne sempre il bianco scudo d’onore proteso sul Congresso, per proteggerne i lavori, e che col suo esempio fu il modello dei congressisti. Gli porse quindi i più vivi ringraziamenti, estendendoli a tutti i membri della Casa imperiale, i cui meriti impareggiabili per la felice riuscita del Congresso sono scritti nel libro della vita. Aggiunse i più caldi ringraziamenti agli Em.i Cardinali, ai Rev.mi Vescovi e a tutti gli altri cospicui personaggi, specialmente al Card. Arcivescovo di Vienna, che in questi giorni fu l’anima della grande impresa, agli oratori, al comitato permanente, alla direzione viennese del Congresso e a tutti i congressisti, i quali, a costo di tanti sacrifici, cooperarono a far sì che il Congresso eucaristico viennese offrisse a Gesù Sacramentato un trionfo tale, quale il mondo finora forse non ha mai veduto.
   E pregò i congressisti, tedeschi e ungheresi, boemi e polacchi, ruteni e romeni, sloveni e slovacchi, croati e serbi, di portarne la lieta novella colla divozione al Divin Sacramento nelle loro patrie e nelle loro famiglie; pregò i sacerdoti di promuovere tra i fedeli la Comunione frequente e quotidiana; pregò tutti di opporre all’empio grido: Los von Rom (Via da Roma)! il grido cristiano: Hin zu Rom (A Roma)! Conchiuse con augurare a tutti i popoli dell’Austria che la SS. Eucarestia sia per loro il sole della luce e della vita, della felicità e della pace.
   Io mi sento affatto incapace di descrivere l’entusiasmo suscitato dalla parola ardente e vibrata del Card. Legato, e le ovazioni che ne accolsero la fine. Sono momenti grandiosi, che si sentono da tutti gli astanti, ma che nessuno è atto ad esprimere.
  L’ultima parola fu quella del presidente Mons. Heylen, che con costanza e zelo instancabile ebbe a dirigere le solenni adunanze della Rotonda. Dopo aver fatto recitare in piena adunanza un’Ave Maria per la felice riuscita della processione di domani, egli annunciò che il prossimo congresso verrà tenuto l’anno venturo a Malta, ed offrì a nome di tutto il congresso il tributo della più profonda riconoscenza al Card. Legato, a cui si deve in non poca parte lo splendido successo delle grandi assisse eucaristiche; pregandolo di portare ai piedi del trono pontificio l’espressione dell’amore filiale di tutti i congressisti.
   Tutto ciò avvenne tra interminabili ovazioni, che raggiunsero il colmo quando l’adunanza, cioè 30.000 bocche intonarono l’inno festivo: Grosser Gott, wir lober dich! e poi l’inno imperiale. Tra l’uno e l’atro inno risuonò il saluto cristiano del presidente: Sia lodato Gesù Cristo! a cui tutta l’adunanza rispose: Sempre sia lodato, amen!
   E il Congresso si chiuse colla Benedizione Apostolica, impartita dal Card. Legato.

La grande processione teoforica (16 settembre 1912)

   Quanti timori e quante speranze per questa tanto sospirata processione, nei tre giorni precedenti, in cui una pioggia invernale, accompagnata da un vento di ovest, umido e freddo, non cessò mai di molestare i congressisti! “Si farà? Non si farà? Sarebbe peccato! Che tempo avremo? Speriamo bello, o almeno discreto, dopo tre giorni continui di pioggia, sfido io! E poi, è detto negli avvisi che la processione si farà anche colla pioggia, se pure il cielo non voglia rovesciarsi in terra!” Io ero pure di questo avviso, conoscendo l’indole tedesca e la risolutezza dell’Imperatore.
   La mattina del 16, ahimé! tempo pessimo, vento freddo, uggioso e pioggia continua, di quelle che sembra non vogliano finir mai. Tutti coloro che sono in posizione tale da poter guardare verso la torre di S. Stefano, si volgono ad ogni istante con lo sguardo lassù per vedere se si scorgono le quattro bandiere bianche, sventolanti ai quattro lati: segnale questo convenuto, per disdire la processione un’ora prima ch’essa si muova.
   Ma le bianche bandiere non appaiono; onde centinaia di migliaia di persone, armate alla meglio di ombrelli e di mantelli, si riversano sui luoghi, dove deve formarsi e sfilare la processione. Ciascuno commenta il fatto con queste ed altre esclamazioni: “Pare che la processione si faccia davvero! Il tempo è pessimo, ma può farsi bello, o almeno cessare questa pioggia così molesta! Speriamo! E poi, una buona risciacquata caccia via i miasmi! Se anche pigliamo un raffreddore, non sarà il finimondo! Lo affogheremo nella birra! Avanti, coraggio! Brrr! A memoria d’uomo non vi fu mai a Vienna in settembre un tempo così indiavolato!”
   Quand’ecco spargersi dappertutto e correre di bocca in bocca la voce, diffusa dai membri del comitato, che l’Imperatore desiderava si facesse ad ogni costo la processione  e ch’egli stesso vi sarebbe intervenuto. Fu una risoluzione provvidenziale, conforme ai desideri di tutti; onde gli animi si calmarono interamente e la processione incominciò a muoversi alle sette e mezza, secondo il disegno lungamente studiato e preparato in tutti i minimi particolari dal principe Lichtenstein Edoardo, comandante generale del corteo, aiutato dai sottocomandanti generali conte Dubsky, barone Morsey e dal giovane ufficiale degli ussari Margravio Pallavicini, tutti a cavallo.
   La processione è composta di soli uomini e divisa, con tattica militare, in tre grandi corpi di linee a sedici per linea, ciascuno dei quali è suddiviso in parecchie colonne, capitanate dai propri comandanti. Il primo corpo, secondo il programma, ha 45.129 persone, il secondo 26.720, il terzo 16.800; in tutto 84.658 persone. Poi viene il clero con 6.000 sacerdoti. A cui si aggiungono i gruppi di donne che fanno spalliera al Ring, alla piazza di Maria Teresa e alla piazza degli Eroi (39.800); gli ufficiali (2.800), gli impiegati (3.500) e il pubblico delle tribune (14.000); e si ha il numero totale di 150.758 persone, che prendono parte attiva alla processione e i cui nomi sono tutti registrati negli uffici. Degli altri, che vi assistono da semplici spettatori, è impossibile sapere il numero; ma, se si rifletta che Vienna ha una popolazione di due milioni, aumentata in questi giorni da centinaia di migliaia di forestieri, si potrà facilmente formarsi un’idea dell’immensa moltitudine di popolo schierato al passaggio di Gesù Sacramentato.
   La processione procede dallo sbocco della Wollzeile sul Ring verso la porta esterna della reggia (Burgtor) fino alla piazza degli Eroi (Heldenplatz). Al punto di partenza si vede un movimento straordinario: quattro colonne si agitano da una parte, quattro da un’altra; un concerto militare entra nello spazio libero riservato alla processione; parecchi ciclisti si incrociano e volano in qua e in là; i telefoni da campo fan sentire il loro tintinnio; gli alfieri dei primi gruppi scuotono e fanno sventolare le loro bandiere; il comandante della prima colonna corre ad ordinare le sue file; l’alfiere dell’Arciconfraternita di S. Michele, sfarzosamente vestito in seta rossa, con una sciarpa biancogialla, accompagnato da uno scudiero degli stessi colori, si pone in testa al corteo, cavalcando un superbo destriero bianco e agitando lo stendardo ricchissimo della confraternita tra l’ammirazione degli astanti.
   Si sente un grido di comando: è il Principe Lichtenstein che chiama gli studenti a mettersi in testa al corteo. La musica suona una marcia, i comandanti a cavallo gridano: vorwärts (avanti)! Si muovono per primi gli studenti di Karlburg, poi l’Unione cattolica popolare austriaca. Seguono i rappresentanti delle varie nazionalità austriache e straniere, coi loro distintivi nazionali e coi loro vestiti pittoreschi: belgi, francesi, tedeschi, italiani, inglesi, spagnoli, albanesi, svizzeri, ungheresi, croati, sloveni, boemi, polacchi, ecc.
   Quello che attira in modo particolare l’attenzione e l’ammirazione di tutti è il “gruppo della Croce” Kreuzgruppe, composto di Tirolesi. Dodici robusti contadini portano un Crocifisso gigantesco del peso di 200 kg, lavoro assai pregiato di plastica in legno dello scultore bachlechner di Bruneck. Lo seguono alpigiani e valligiani tirolesi in gran numero, con le loro vetuste bandiere, lacere e foracchiate dalle palle nemiche nelle tante battaglie, sostenute già contro gli invasori.
   Il secondo corpo è tutto formato di società austriache, e il terzo tutto di associazioni viennesi.
   Spettacolo veramente grandioso ed edificante è quello del clero, 6.000 o meglio, contati quelli che si aggiunsero al corteo, 8.000 sacerdoti secolari e regolari, che procedono cantando, salmeggiando, recitando il Santo Rosario, senza punto curarsi del fango, del vento e della pioggia, né dei malanni, che si sarebbero buscati!
   Qui però mi accorgo che la mia relazione diventa ormai troppo lunga, e che mi è forza affrettarmi verso la fine. Lascio quindi di descrivere le altre parti del corteo, i vari gruppi composti di cavalieri, camerieri pontifici, di consiglieri intimi, di comitati direttivi del movimento e dell’organizzazione cattolica, di membri delle diete provinciali, della Camera dei deputati e della Camera dei signori, i cento rappresentanti del Municipio, tutti colle loro collane d’onore; i professori delle facoltà teologiche coi loro distintivi; le società di studenti universitari coi loro variopinti berretti goliardici ecc.
   Lascio pure di ritrarre l’impressione grandiosa, indimenticabile, che produceva in tutti gli spettatori il corteo della Corte imperiale, svolgentesi in tutta la magnificenza sfarzosa delle grandi occasioni, per rendere omaggio al Re dei Re  e al Sovrano dei Sovrani: squadroni di cavalieri della guardia imperiale, commissari di corte, trombettieri, paggi; una settantina di ciambellani e di consiglieri intimi a cavallo, una ventina di consiglieri intimi in cocchi di gala della corte imperiale.
   E dietro a tanta pompa, il gran cocchio, tutto scintillante di fregi in oro, a grandi vetrate, costruito a Madrid al tempo di Carlo VI, tirato da otto focosi destrieri bianchi, puro sangue spagnolo, accompagnati da scudieri imperiali, dove, visibile da tutte le parti, troneggia il Santissimo, col Card. Van Rossum a destra e col Card. Nagl a sinistra, inginocchiati dinanzi alla tremenda maestà di un Dio annientato; mentre a piedi lo circondano sacerdoti con ceri accesi e con gli incensieri in mano.
   Dietro al Santissimo l’Imperatore coll’Arciduca ereditario, in una berlina tirata da otto superbi morelli; poi 12 arciduchi in cinque cocchi tirati ciascuno da sei cavalli; finalmente una selva di guardie nobili e di arcieri a cavallo. Al passaggio del Santissimo, si fa dappertutto un silenzio profondo e tutti per adorarlo si prostrano nel fango, senza dar alcun segno di ossequio all’Imperatore, che immediatamente lo segue. Ma quando il Re della gloria è passato, allora scoppiano applausi e acclamazioni infinite, con cui si vuole evidentemente celebrare il grande atto di omaggio reso dall’Imperatore a Gesù sacramentato.
   Sfilato tutto il corteo fino alla piazza degli Eroi, il SS. Sacramento fu recato alla parrocchia di corte, dove il Card. Van Rossum celebrò alla presenza dell’Imperatore, della corte e dei vescovi, una Messa bassa, non permettendogli il mal tempo di celebrarla all’altare in forma di tribuna, preparato sopra il portone esterno della reggia, com’era fissato nel programma.
   Con questa grandiosa processione teoforica, di cui durerà incancellabile la ricordanza nell’animo di quanti vi hanno assistito, si chiuse degnamente il XXIII Congresso Eucaristico internazionale di Vienna, che per confessione di coloro i quali ebbero assistito agli altri precedenti, li ha superrati, e forse non sarà superato da alcun altro seguente. Vero è che, se il tempo non fosse stato così ostinatamente contrario, lo splendore dei festeggiamenti sarebbe riuscito più magnifico e la processione si sarebbe svolta con ben maggiore apparato di pompa solenne. Ma lo spettacolo di tanto concorso, di tanta costanza, e di tanto entusiasmo, in sopportare tutti i disagi e tutti i sacrifici della stagione precocemente invernale, ha impresso al Congresso e alla processione un carattere di grandiosità che altrimenti non avrebbe avuto, quello dell’abnegazione e della immolazione, ch’è privilegio e quasi – dissi – suggello di tutte le opere divine.
   Perciò gli stessi giornali giudaici ne parlarono con rispetto e persino con ammirazione.

Conclusione

   La mattina del giorno 13 fu tenuta nel giardino Schwarzenberg la Comunione dei fanciulli di ambo i sessi. Sette altari erano stati eretti all’aperto, per celebrarvi contemporaneamente  sette Messe; a quello che poteva dirsi l’altar maggiore, celebrò il Card. Legato; 26 sacerdoti distribuirono a più di 7.000 fanciulli la S. Comunione.
-          Quale impressione ne ricevette il relatore della “Civiltà Cattolica”?
-          Nessuna, perché senza sua colpa, non vi fu ammesso.
   Prima delle sette, mi presento fiero e sicuro del fatto mio alla porta del giardino, colla rosetta al petto e colla tessera in mano, e faccio per entrare, come se andassi a casa mia. Ma un signore con due guardie al fianco mi ferma e mi intima:
-          Non si entra.
-          Sono giornalista.
-          Non si entra.
-          Giornalista estero.
-          Non si entra.
-          Come non si entra? Vengo da Roma e devo entrare.
-          Non si entra.
-          Ma se ho fatto il viaggio apposta da Roma a Vienna per entrare
-          Ed io le ripeto che non si entra. Tale è l’ordine di Sua Altezza, che io devo eseguire appuntino. Guardi là quanti giornalisti stanno fuori a guardare i fanciulli che passano.
-          Ma io non capisco tanto rigore, e protesto.
-          Protesti pure.
-          Scriverò nella mia relazione che fui escluso.
-           Scriva pure.
-          Ebbene, io resterò qui alla porta finché non mi farete entrare.
   E rimango.
   Dopo un po’ mi si accosta una guardia e mi dice sottovoce:
-          Abbia pazienza un momento; si è proposto il caso a Sua Altezza, e si aspetta la sua decisione.
   Mi pareva di aver vinto la partita, tanto che a due giornalisti francesi, i quali facevano per andarsene, dissi:
-          Aspettino un po’, finché venga la risposta del Principe.
  Difatti viene il Principe stesso in petto e in persona, e mi dice con molta cortesia che, per ordine di Sua Eminenza il Cardinal Arcivescovo, non si poteva ammettere nessuno.
   Così dovetti andarmene colle trombe nel sacco. E per consolarmi dello scacco avuto, pensai che, dove fossero entrati i giornalisti, potevano entrare anche altri profani, non senza turbare il raccoglimento e la devozione di quei cari fanciulli. I quali dovettero offrire a Gesù Sacramentato anche il sacrificio di una buona pioggia, che li mandò a casa immollati per bene.
   Ad ogni modo questo incidente mi dispensa dall’esporre le mie impressioni sulla Comunione dei fanciulli; come la brevità di una relazione sommaria mi scusa dal riempire tante altre lacune per molte cose rimastemi nella penna. Invero, se invece di un articolo, scrivessi un libro dovrei ricordare ancora, per quanto in compendio, tutto l’immenso lavoro compiuto nelle adunanze di sezione e nei convegni delle singole nazioni austriache ed estere; ricordare i tre grandi Congressi internazionali, tenuti contemporaneamente a Vienna; quello catechistico e quello pedagogico, a cui prese parte attiva per l’Italia anche il prof. Boggiano, che vi fu eletto vice-presidente; il terzo della lega internazionale delle federazioni femminili; come pure l’adunanza solenne per la fondazione dell’università cattolica di Salisburgo. Dovrei descrivere le varie esposizione sacre, i concerti musicali e le rappresentazioni drammatiche, come i “Misteri della S. Messa” di Calderòn, tradotti in tedesco dal poeta Kralik, e un grande oratorio del P. Hartmann, a cui intervennero tutti gli Arciduchi e le Arciduchesse; le funzioni pontificali dei vari riti celebrate nella chiesa am Hof, le funzioni notturne a S. Stefano, l’adorazione del SS. Sacramento alla Chiesa Votiva ed altrove. Dovrei pure ritrarre i due grandiosi pellegrinaggi, l’uno alla chiesa di S. Giuseppe al Kahlenberg con 10.000 persone, e l’altro a Mariazell con più di 20.000.
   Dovrei trattenermi a discorrere in particolare della sezione italiana, presieduta da Mons. Portaluppi e onorata dalla presenza di parecchi vescovi; dei discorsi che vi tennero il comm. Paganuzzi, il Conte Gentiloni, il prof. Boggiano ed altri; delle relazioni presentate dal prof. Clemente Barbieri, dal dr. Tettamanti, dal cav. Grossi-Gondi ecc. e delle risoluzioni che vi furono votate; del numero unico illustrato, pubblicato dalla direzione dell’«Aurora del popolo del SS. Sacramento» di Milano e distribuito gratis ai congressisti; dei telegrammi spediti al S. Padre e all’Imperatore dal presidente Portaluppi e dal vice presidente Paganuzzi, a nome dei congressisti italiani, e dei ringraziamenti offerti al Card. Nagl e al sindaco di Vienna; della parte presa dagli italiani alla processione teoforica e della pubblica simpatia che si conciliarono con accogliere in mezzo a loro un gruppo di contadini sbandati.
    E dopo ciò non avrei ancora finito.
   Ma poiché è tempo ormai di finirla davvero, chiudo questa mia relazione con una notizia e con un ringraziamento.
    La notizia, non pubblicata da alcun giornale, si è che l’Arciduca Francesco Ferdinando, oltre alla comunione fatta coll’Imperatore e con tutta la Casa imperiale alla parrocchia di corte, ordinò un’altra Comunione generale per tutta la sua corte nella propria cappella privata, a cui intervenne pur egli con la sua augusta consorte.
   Il ringraziamento cordiale, sincero, vivissimo, è per l’Ufficio viennese della stampa cattolica, annesso alla direzione centrale del Pressverein, il quale, se è stato cortese e generoso verso tutti i giornalisti, al rappresentante della “Civiltà Cattolica” ha usato una cortesia e una generosità specialissima.
            Vienna, 18 settembre 1912.

(1) Antonio Pavissich (1851-1913). Gesuita, predicatore, sociologo, fu rettore del Seminario minore arcivescovile Zmajevic a Zara e poi dello scolasticato del suo ordine a Gorizia. Dotato di eccezionali doti oratorie si interessò specialmente dei più urgenti problemi sociali del tempo, che esaminò non solo nei suoi discorsi, ma anche nei suoi scritti ed in particolare attraverso la sua collaborazione alla «Civiltà Cattolica» dal 1905 al 1913. Tra le sue opere più importanti citiamo: La questione sociale. Conferenze triestine (Treviso, 1902); Il cancro civile (ivi, 1905); Milizia nuova dei cattolici italiani, ossia la riorganizzazione delle forze cattoliche in Italia secondo la mente del S. Padre Pio X (Roma, 1905); Il nemico d'Italia ossia l'antictericalismo (Treviso, 1909); Il codice della vita (Firenze, 1911); Scuola libera (Roma, 1913).