Flottiglia Garibaldina in procinto di sbarco a Reggio Calabria( Veduta dal Faro di Messina).
Voglio ricordare che tale documento e stato scritto da un testimone dei fatti,quindi data la preziosa importanza del testo ne consiglio un attenta lettura.
Già Garibaldi faceva strombazzare da tutta la stampa settaria, che sarebbe passato sul continente napoletano dalla parte di Reggio di Calabria; ed in effetto in Messina si lavorava alacremente a questo scopo.
In Napoli correano voci allarmanti credute da tutti, perché i fatti precedenti di Sicilia erano un esempio poco rassicurante per la gente pacifica; e qualunque audacia di Garibaldi sembrava facile, maggiormente che il Ministero liberale non prendeva alcuna energica misura per impedire l'invasione del resto del Regno, ed infrenare l'audacia del duce rivoluzionario.
In quel tempo cominciarono le prime emigrazioni all'estero. Il tenente generale Filangieri fu il primo a darne l'esempio. De' negozianti ricchi, alcuni emigrarono, altri si misero in salvo sopra i bastimenti che stavano nel porto di Napoli.
Parte dell'aristocrazia napoletana, già borbonica, sin da quel tempo cominciò a muovere per l'estero, lasciando il Re, senza assistenza ne' più terribili perigli, altra parte non sò se sciocca o trista, fingendo sentir paura non già della rivoluzione ma de' soldati, muoveva pure per l'estero.
Però, l'aristocrazia affezionata e fedele alla dinastia restò impavida attorno al Sovrano, dividendo i pericoli dell'imminente e certa catastrofe, dopo di aver fatto tutto per iscongiurarla. Alcuni di questi signori, è vero che partirono per l'estero attese le particolari circostanze, ma resero grandi ed amorevoli personali servizi, ed altri poi raggiunsero la Corte, quali a Gaeta, quali a Roma, e questi ultimi non tutti si mostrarono all'altezza de' tempi. Per alcuni signori sarebbe stato meno disonorevole se fossero rimasti sin dal principio in mezzo alla rivoluzione, che poi riconobbero, e dalla quale trassero profitto in tutti i modi e sotto varii rapporti. Il movente di questi signori non fu principio di riconoscenza verso la dinastia, che lor fece seguire a Roma Francesco II, ma solamente il calcolo. Di fatti, finchè sperarono una pronta restaurazione si mostrarono caldi borbonici, quando poi cominciò loro a venire meno questa speranza, si dichiararono partigiani del nuovo ordine di cose, e si sarebbero dichiarati anche sanculottes e maomettani se vi avessero trovato tornaconto, ch'è spesso lo scopo di tutte le evoluzioni politiche e religiose. Questi uomini, sebbene discendenti dai magnanimi lombi, talvolta sono la gente la più abbietta, quelli stessi dipinti a maraviglia dal poeta Giusti nel Brindisi di Girella dedicato al sig. Talleyrand, buon'anima sua.
Conosciuto il grande bisogno di guarentire le Calabrie da un colpo di mano garibaldesco, il Ministero della guerra fu costretto a mandare della truppa in quelle province.
In tutte le Calabrie erano disseminati circa 20 mila uomini divisi in quattro brigate: una comandata dal generale Ghio in Monteleone, un'altra in Cosenza comandata dal generale Caldarella, un'altra in Reggio comandata dal generale Bartolo Marra, e la quarta comandata dal generale Melendez occupava diversi paesi nella provincia di Reggio. In Catanzaro era un battaglione del 2° di linea, comandato dal Maggiore de Francesco sotto gli ordini del Colonnello Lo Cascio Comandante della Provincia.
Comandante in capo di tutte le forze delle Calabrie fu scelto il Maresciallo Giovanbattista Vial. Non era costui un gran generale, ma avea fama di essere fedele al Re. A capo dello stato maggiore del Vial fu destinato il Colonnello Bertolini.
Fu scelto per quartier generale Monteleone quasi centro delle tre Calabrie, d'onde potevasi accorrere ove il bisogno il richiedesse.
La maggior parte de' generali e capi di corpi mandati in Calabria a combattere Garibaldi, erano poco conosciuti da' soldati, e non ispiravano alcuna fiducia nell'esercito. Vi erano dei liberali, ma nullità militari, e quindi da non potersene fidare. Un generale Gallotti avuto per liberale e per militare da nulla, fu destinato a comandare la Piazza di Reggio luogo allora tanto interessante. Di fatti il Marra da generale accorto conobbe la difficile posizione in cui si trovasse la truppa nella provincia di Reggio, e si rivolse al generale in capo Vial, il quale si cullava nelle promesse del Ministero. Quando vide che il Vial a nulla provvedeva, scrisse al Ministro della guerra e gli fece notare, che le brigate erano malamente ripartite, che i soldati mancavano di tutto, e che alcuni duci ispiravano poca fiducia, e principalmente il Gallotti. Il ministero della guerra fece il sordo alle giustissime osservazioni fatte dal generale Marra. Fra questo generale e il ministro Pianelli vi fu uno scambio di lettere, dalle quali si rileva, da una parte le ragioni di un accorto ed onorato Generale, all'altra un borioso Ministro intollerante, perché gli si scoprivano le sua magagne e il suo sleale procedere; ed abusando di quel posto che indegnamente occupava, osò minacciare castighi esemplari ad un duce accorto ed onesto.
Il generale Bartolo Marra fu l'unico ch'ebbe il coraggio e l'occasione di dire la verità in faccia ad un prepotente e sleale Ministro. Ecco quello che gli scrisse ufficialmente: «Ed infine, a quanto mi sembra, manca la buonafede, onde mi decido al passo di chiedere l'esonerazione di un così lusinghiero comando. Se i miei onorati servizii meritano una considerazione, spero una seconda classe, se ciò non si crede, la mia dimissione.
Che far potea di più il generale Bartolo Marra? Egli dopo di aver fatto di tutto con la sua preveggenza ed osservazioni militari per salvare le Calabrie dall'imminente invasione garibaldesca, per non macchiare il suo onore di gentiluomo e di soldato, rinunzia ad una onorata e laboriosa carriera, quando era giunto ad un posto lucroso e rispettato!
10non ho conosciuto da vicino il generale Bartolo Marra; lo vidi qualche volta in Palermo prima del 1860 e mai ebbi l'occasione di avvicinarlo: dopo che scrisse quel le lettere al Pianelli, avrei avuto un gran desiderio di esternargli la mia ammirazio ne per la sua condotta tenuta in Calabria nel 1860; oggi però, che sento con vero dolore dell'animo mio essersi egli suicidato con un colpo di pistola al cuore, per dis sesti privati, gl'invoco da Dio perdono e consacro in queste memorie l'onorato suo nome!
Mio Dio! anche l'altro distintissimo generale Bartolini si uccise, e l'uno e l'altro ancora nella età della vigoria morale e materiale. Imperscrutabili decreti della Provvidenza, chi può mai rendersene ragione?
Il Pianelli risentito come una femmina da trivio, intollerante come un liberale, volle vendicarsi del leale e franco general Marra. Il 7 agosto spedì appositamente a Reggio il Pompei,
recando ordine di arresto al Marra, ed appena giunto a Napoli lo chiuse nel forte di S. Elmo passandolo alla terza classe. Il Marra già sapea anticipatamente i fulmini che doveagli scagliare il ministro Pianelli; dappoichè l'avea saputo da persona proveniente da Messina, che dicea averlo inteso dallo stesso Garibaldi. Lo che dimostra, come di ogni disposizione, che il ministero emanava ne era, primo d'ogni altro, informato il nemico.
Intanto il Marra in compenso della sua nobile condotta tenuta in Calabria, non assistette alle vergogne militari che poi ivi successero, né perdè quell'onore del quale era tanto geloso e giustamente altiero.
Il Pianelli dopo di aver tolto dal comando della brigata di Reggio, l'importuno
generale Marra, mandò invece il celebre Briganti, il bombardiere di Palermo, fatto già brigadiere; in seguito vedremo la condotta che tenne questo sfacciato traditore e qual fu la sua miseranda fine.
Il 13° di linea, supponendosi rilasciato nella disciplina, fu mandato in Puglia, il suo Colonnello Torrebruna mandato alla seconda classe, mentre questo colonnello consigliava i suoi compagni a seguire il Re dietro il Volturno: così il ministro Pianelli trattava i militari fedeli al Re, esaltando i bombardatori ed i traditori. Invece fu mandato a Reggio il 14° di linea comandato dal colonnello Dusmet, e forse per isbaglio del Ministro; fu questa un'ottima scelta, dappoichè il Dusmet fece onore al proprio nome ed all'esercito. Intanto si davano ordini e contrordini per fatigare i soldati con marce e contromarce. Difatti si mandò un battaglione del 4° di linea a Catanzaro per rilevare il 2°; poi fu questo mandato di nuovo a Catanzaro, ed il 4° mentre stava per giungere a Nicotera, ebbe avviso per telegrafo, che tre compagnie colà fossero rimaste sotto il comando del maggiore Anguissola, e le altre tre si fossero recate a Palmi. Come ho detto, vi erano circa ventimila uomini di truppa disseminati in tre estese province,
in modo che al bisogno non si sarebbero potuti riunire, e divisi erano debolissimi a sostenere un men che vigoroso assalto. Vi era un altro svantaggio per la truppa, che tutte le autorità delle Calabrie erano settarie, e che gli amici del Re erano stati destituiti e sostituiti dalle creature di D. Liborio Romano. Conciosiachè il D. Liborio avea tutto preparato in Calabria al facile trionfo di Garibaldi.
In Reggio era rimasto a reggere la provincia il Segretario generale signor Cammarota, e sebbene unitario, pur tuttavia, onesto com'era, non volea tradire il Re, intanto avrebbe voluto contentare i rivoluzionari. Si rivolse a domandar consigli al Ministero, ma questo volea esser compreso senza spiegarsi. Cammarota non volendo tradire il Re, né contrariare il partito rivoluzionario, si finse ammalato e lasciò fare: ed in questo modo credè salvare il suo onore, e non opporsi ai rivoluzionarii. Nondimeno ciò non piacque a D. Liborio, il quale volea traditori attivi ed energici, quindi il 10 luglio nominò Intendente di Reggio il cav. Giuseppe Dentice Accadia, illustre giureconsulto già Sottointendente di Gaeta. Nonpertanto costui tenuto per liberale era autonomico, e quindi fedele alla causa del Re. Quest'uomo avrebbe potuto guastare i piani rivoluzionarii; ma il comitato di Reggio spedì un certo Rognetta a D. Liborio, facendogli nota la lealtà del sig. Dentice e l'errore d'averlo colà inviato; esser necessario di toglierlo da quel posto allora tanto interessante, e sostituire un rivoluzionario senza coscienza politica. D. Liborio, considerando la gravità del suo sbaglio, con decreto del 27 luglio esonerò il Dentice da Intendente di Reggio, e lo mandò al ritiro, nominando invece l'avvocato la Russa di Catanzaro, ma questi non accettò.
Vacando quel posto, il pittore Demetrio Salazaro Capo del Comitato rivoluzionario di Reggio, antico emigrato ed amico di Manin e del marchese PallaviciniTrivulzio, si diresse a D. Liborio e gli espose la gravità del fatto, proponendogli ad Intendente di Reggio lo stesso sindaco Bolani. D. Liborio, ministro liberale dell'interno, che in tutto volea contentare i suoi amministrati, cioè i comitati rivoluzionarii, nominò tosto il Bolano Intendente. Fu questo un vero trionfo pel partito rivoluzionario. Bolani si annunziò a' suoi concittadini con un programma equivoco, essendo egli in fondo un federalista, ma circondato dai più furbi settarii, i quali gli sottraevano pure le carte le più interessanti, di tal che finì di divenire un arnese di setta secondando in tutto e per tutto il comitato rivoluzionario.
Le guardie urbane furono disarmate, e da allora in poi divennero più facili e più frequenti le comunicazioni con Messina, d'onde le armi s'inviavano senza ostacolo di sorta, e si depositavano in luoghi pubblici. Così tutto era pronto, solo si aspettava Garibaldi; ed affinchè il passaggio di costui sul continente non sembrasse un'invasione, una eletta di giovani dei più influenti del partito, si recò a Messina ed invitò il Dittatore a passare sul continente dalla parte di Reggio.
Vi erano poi in tutte le Calabrie anche ne' piccoli paesi, comitati rivoluzionari, protetti già s'intende dal ministero liberale, e specialmente da D. Liborio, i quali raccoglievano danaro pubblicamente per agevolare la Santa Causa e per far disertare i soldati. Aveano pure la missione di far mancare i viveri alla truppa, di spacciare false notizie com'è costume de' rivoluzionarii
per animare il partito sovversivo, e scoraggiare gli animi degli amici del Re e dell'ordine pubblico, i quali erano spiati e perseguitati senza tregua.
Ho già detto che il Conte d'Aquila, zio del Re, Capo della flotta napoletana, avea fatto di questa un tristo arnese di setta. Vi era, è vero, qualche eccezione, e propriamente in qualche comandante di legni subalterni, ma poi quasi tutti o pel cattivo esempio, o perché adescati dal Piemonte si fecero trascinare dalla corrente rivoluzionaria, e finirono col disonorarsi. Le ciurme eran fedeli e devote al Re, ma erano sempre giuocate ed ingannate da' proprii superiori.
Nel tempo che Garibaldi preparava il suo passaggio sul continente reggino, comandava la squadra del Faro il generale di Marina Vincenzo Salazar; era costui in fama di uomo energico e fedele al Re, ma la sua condotta dimostrò essere falsa quella fama che godea, resta dubbio se fosse stato traditore o inetto. Io vorrei crederlo inetto solamente, avendo riguardo che era poco ubbidito da' subalterni, e perché operò senza energia e senza senno militare tanto nel guardare il Faro, quanto nell'impedire a Garibaldi lo sbarco sul continente calabro.
Anche Garibaldi volle organizzare una flottiglia di barcacce, non già per opporla a quella napoletana, ma per far passare i suoi militi sul continente reggino. L'organamento della flottiglia l'affidò al Siciliano Salvatore Castiglia, che fu comandante de' legni siculi nel 1848, ed uno de' mille che avea comandato il Piroscafo Piemonte
nella traversata da Quarto a Marsala.
Il Castiglia energico ed intraprendente com'era, dopo di aver organizzata in Palermo una flottiglia di barcacce, il 28 luglio comparve nel Faro di Messina, senza che i legni napoletani ne avessero impedita la traversata.
Il giovine Capitano Ruggiero Besio, Comandante l'Avviso Aquila, fedele al Sovrano e tenero dell'onor suo, mostrava francamente di vergognarsi a rappresentare quella commedia riprovevolissima, e, ardito com'era, domandò che gli si accordasse il permesso di cimentarsi con la flottiglia garibaldesca, che col suo piccolo legno avrebbe bruciate quelle barcacce o affondate.
Ma l'energico e fedele Generale di Marina Vincenzo Salazar comandante la squadra del Faro, impedì al Besio di molestare il nemico.
Salazar per far credere che volesse operare qualche manovra alla Nelson, o che non volesse restare inoperoso, scrisse al Ministero di Napoli che sapea negarsi sempre ad ogni provvedimento favorevole alla causa del Re - e lo pregava di mandargli de' lancioni, non potendo egli accostare con grossi legni alla rada per isgominare le barcacce nemiche. I lancioni furono armati, ma non uscirono mai dal porto di Napoli.
(Estratto dal libro di Giuseppe Buttà, Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta).