domenica 8 gennaio 2012

I morti del cosiddetto risorgimento: 9mila


Il celebre storico Gaetano Salvemini fece una volta il conto dei caduti di parte piemontese e garibaldina. Custoza (1848): 270. Curtatone: 166. Novara (1849): 578. Cernaja (Crimea): 14. San Martino (1859): 761. Varese: 22. Calatafimi (1860): 30 (i garibaldini durante tutta la spedizione ebbero in tutto 68 morti). Volturno: 506. Castelfidardo: 61. Bezzecca: 121. Custoza (1866): 736. Lissa: 620. Mentana: 150. Qualcuno, per cortesia, faccia ora la conta dei morti di parte avversa, “briganti” compresi, e vediamo se il conto torna.
Ed ecco l’articolo originale di Gaetano Salvemini:
Le guerre del Risorgimento
La presente guerra avrà tre gli altri vantaggi, quello di guarirci dalla retorica [censura].
La battaglia di Custoza del 1848 ebbe 270 morti e 497 feriti.
A Curtatone si ebbero 166 morti e 508 feriti.
A Novara, nel 1849, 578 morti e 1.405 feriti.
Nella difesa di Venezia 310 morti e 688 feriti.
La troppo famosa battaglia della Cernaia ebbe 14 (diconsi quattordici) morti e 202 feriti.
A San Martino avemmo 761 morti e 3.661 feriti.
A Varese 22 morti e 61 feriti.
La battaglia di Calatafimi ebbe 30 morti.
Dei Mille, ne morirono in tutta l’impresa tra Calatafimi e il Volturno, 68.
La battaglia del Volturno costò 506 morti e 2.697 feriti.
Castelfidardo ebbe 61 morti e 140 feriti.
Bezzecca, 121 morti, 266 feriti.
Custoza (1866), 736 morti e 3.189 feriti.
Lissa, 620 morti, 40 feriti.
Mentana, 150 morti e 206 feriti.
Le guerre d’indipendenza, fra il 1848 e il 1870, hanno avuto in tutto, 6.262 morti e 19.981 feriti.
La sola battaglia di Gravelotte costò alla Germania, nel 1870, 9 mila morti e 18 mila feriti.
L’intero Risorgimento italiano è costato ai nostri padri una miseria, quello che costa oggi una battaglia di mediocre importanza. Il Risorgimento italiano è stato un terno al lotto, guadagnato con molta fortuna.
La sua prima vera grande prova [censura] – la nazionalità italiana la sta dando nella guerra attuale.
Qui comincia la sua nuova storia.
g.s.
Da La Voce politica, anno VII, n.5, 7 luglio 1915