immagine di Carlo VI tratta da Bastian Biancardi, Le vite dei re di Napoli, Venezia 1737
Il 6 novembre del 1700 salì al trono di Spagna Filippo V di Borbone, nipote di Luigi XIV di Francia, come da disposizioni testamentarie del defunto re Carlo II d'Asburgo. La successione fu però impugnata da Austria e Inghilterra, che il 7 settembre 1701 costituirono all’Aia la Grande Alleanza, proclamando re di Spagna Carlo d'Asburgo, secondogenito dell'imperatore Leopoldo. Nella coalizione antifrancese entrò quindi la Prussia di Federico I Hohenzollern. L’intento degli alleati era quello di impedire un ulteriore rafforzamento del “Re Sole”. Ebbe così inizio quella che sarebbe passata alla storia come la Guerra di Successione Spagnola. Dopo alcuni iniziali successi francesi, la guerra proseguì con alterne fortune. Nel 1703 anche il Portogallo aderì alla Grande Alleanza ed il duca di Savoia Vittorio Amedeo II, che fino ad allora era stato alleato della Francia, passò dalla parte degli Austriaci.
Nel 1704 l’esercito francese fu sconfitto a Hochstadt-Blenheim. Nello stesso anno la flotta inglese occupò la rocca di Gibilterra e, l’anno successivo, Barcellona. Nel 1706 le truppe inglesi vinsero a Ramillies e occuparono le Fiandre spagnole. I Francesi furono sconfitti a Torino e la stessa Madrid venne occupata dagli alleati.
L’assedio di Torino del 1706
“Sebbene molti ricordino l'episodio di Pietro Micca, che si sacrificò per impedire l'ingresso del nemico francese all'interno del perimetro cittadino, non altrettanto si può dire per il contesto storico in cui avvenne il suo gesto eroico. Eppure l'assedio di Torino dei franco-spagnoli nell'estate del 1706 e la battaglia che vi pose fine il 7 settembre furono un evento non solo cruciale della guerra di successione spagnola - scoppiata per impedire, da parte di Austria, Inghilterra e Olanda, l'egemonia di Luigi XIV sull'Europa - ma produssero effetti fondamentali di grande portata nello sviluppo politico e sociale di tutta la Penisola.
L'assedio della città, che aveva già dovuto subire l'anno precedente un analogo e inconcludente attacco delle forze di Luigi XIV, era la conseguenza dell'ardito cambio di schieramento attuato da Vittorio Amedeo II [1666 - 1732], il duca artefice del rinnovamento politico, in senso assolutistico-illuminato, ed economico dello Stato sabaudo, che nel 1703 decise di contrapporsi al più potente sovrano del continente. L'esercito transalpino, sui vari fronti europei, raggiungeva all'epoca oltre 300.000 uomini, quello sabaudo era dieci volte inferiore. Il rovesciamento di alleanze era una scommessa rischiosa, ma il duca capiva di non avere alternative se voleva svincolarsi da un ruolo di vassallaggio nei confronti della Francia. Il duca, che aveva l’ambizione di ingrandire i suoi domini e di ottenere il sospirato titolo di “re”, aveva ben compreso che non sarebbe mai riuscito a realizzare i suoi sogni senza liberarsi prima dall’egemonia francese. Il piccolo esercito del duca, che già dal 1690 al '96 si era scontrato con i francesi, aveva subito dure sconfitte, ma ne era uscito più efficace, numeroso, meglio armato e organizzato e il duca aveva imparato a essere un comandate esperto di logistica e tattica, che conosceva ogni aspetto dell'amministrazione militare.
Quando si affiancherà agli austriaci il Savoia dimostrerà, nei tre anni successivi, la sua abilità strategica, guidando prima una lunga campagna difensiva e attaccando poi apertamente al momento giusto: nella battaglia decisiva di cui oggi Torino celebra con giustificato orgoglio i 300 anni.
Occorre ricordare che la città subì due assedi: storici e tradizioni popolari hanno sempre concentrato l'attenzione sul secondo, ma già nel 1705 il borioso duca di La Feuillade aveva visto fallire il suo tentativo di conquista, mentre ferveva sotto la città lo scavo di quel geniale dedalo di gallerie e contro-mine che risulteranno fondamentali nella vittoriosa difesa prima della battaglia decisiva dell'anno successivo.
Cominciato l'assedio fu introdotto in città del bestiame come scorta di carne fresca e il fieno per nutrirlo; 10.000 uomini, con 130 cannoni e 24 mortai erano pronti a resistere a 40.000 soldati francesi e spagnoli, che apprestavano le linee di assedio esterno, costantemente bersaglio di scorrerie degli assediati. Dentro le mura tutta la popolazione partecipò al consolidamento delle fortificazioni mentre la famiglia del duca, portando con sé la Sindone, abbandonava ai primi di giugno la città, poco prima che venisse totalmente accerchiata. Il 17 il duca stesso - dopo aver lasciato il comando al maresciallo austriaco Daun - lascia la città con un distaccamento di cavalleggeri, organizzando una sorta di guerriglia, vanamente inseguito da La Feuillade, che spera di guadagnarsi la gloria catturandolo. L'obiettivo di Vittorio Amedeo è di togliere energie agli assedianti - che martellano costantemente la città con le artiglierie - poiché sa che l'armata austriaca, guidata dal cugino Eugenio di Savoia, sta arrivando dal Veneto in soccorso, procedendo dalla sponda a sud del Po.
Quella di Eugenio è una lotta contro il tempo che lo vede, a nell'arco di due mesi, impadronirsi delle roccaforti nemiche, eludendo al tempo stesso i tentativi francesi di intercettarlo. Il 28 agosto Eugenio e Vittorio si incontrano a Carmagnola. Nei tre giorni successivi gli assedianti si sfibrano in vani assalti, sia attraverso le gallerie che in attacchi alle mura, al punto che il 1° di settembre i francesi rinunciano a nuovi attacchi. Il giorno dopo, sulla collina di Superga, il Duca e il cugino studiano le linee francesi e preparano l'attacco, decidendo di colpire nel punto più debole tra i fiumi Dora e a Stura.
Giunge così l'alba del 7 settembre. Le forze in campo ora si equivalgono, coinvolgendo complessivamente oltre 80.000 soldati, ma i francesi distolgono molti uomini per continuare il bombardamento su Torino. Inizialmente gli attaccanti non riescono a penetrare le trincee francesi, lo scontro è il cruentissimo, finalmente cinque reggimenti del Wurttemberg uniti ai prussiani riescono a irrompere nelle linee francesi, mentre Vittorio Amedeo guida un'epica carica di cavalleria che spezza il fianco nemico vicino allo Stura. Le truppe francesi si sfaldano, mentre piombano su di loro la guarnigione della città e la milizia, che sfogano tutta la rabbia vendicativa di quattro mesi di estenuante assedio. La maggior parte dei franco-spagnoli sopravvissuti - perderanno circa 6000 uomini - scappa verso Pinerolo, altri fuggono a est, finendo annegati nel tentativo di attraversare il Po. Oltre all'ingente bottino (tra cui l'argenteria del fuggiasco La Feuillade ) numerosissimi sono i prigionieri.
Poco dopo mezzogiorno i primi liberatori entrano a Torino. A metà pomeriggio il duca e il principe Eugenio assistono al Te Deum nella cattedrale, partecipando poi a un banchetto con Daun e lo stato maggiore, I soldati feriti o morenti vengono ricoverati in affollatissimi conventi e ospedali, i caduti risulteranno circa duemila, Il loro sacrificio e quello di tutta la popolazione torinese aveva permesso una clamorosa vittoria. L'indipendenza dello Stato sabaudo è assicurata, il tentativo francese di dominare l'Italia del nord sconfitto.
Ma il trionfo di settembre fu molto di più. Fece della casa d'Asburgo la potenza dominante della Penisola, con ambizioni diametralmente opposte a quelle dei Savoia. Dopo la battaglia crebbe l'appoggio diplomatico inglese al "fidatissimo duca di Savoia", il cui coraggio in battaglia aveva destato grande ammirazione, Alla fine tale sostegno portò, dopo la pace di Utrecht, all'acquisizione del titolo di Re di Sicilia”.
La controffensiva francese
Luigi XIV° di Borbone-Francia.
Nel 1707 tutta l'Italia era in mani austriache, ma i Francesi si ripresero sconfiggendo gli alleati a Tolone e nella battaglia di Al Mansa in Spagna. Filippo V riconquistò Madrid. L’anno successivo, però, i Francesi uscirono sconfitti a Oudenarde e la flotta inglese si impadronì della Sardegna, allora ancora possedimento spagnolo. Nel 1709 le truppe franco-spagnole furono nuovamente sconfitte a Malplaquet e, l'anno successivo, a Almenara in Spagna. Nonostante queste rovesci, Filippo V il 10 dicembre 1710 riuscì a battere Carlo d’Asburgo nella battaglia di Villaviciosa.
Il trattato di Utrecht e la pace di Rastadt
Nel 1711 morì, l'imperatore d’Austria Giuseppe I, e gli succedette lo stesso Carlo d'Asburgo (Carlo VI). La Grande Alleanza vacillò, in quanto le motivazioni di alcune potenze per appoggiare Carlo alla successione del trono spagnolo si erano completamente ribaltate. L’Austria, se avesse preso possesso anche della Spagna e delle sue colonie, sarebbe tornata ad essere la potenza dei tempi di Carlo V, con conseguenze devastanti sul piano dell'equilibrio internazionale. Nel 1712 vennero pertanto intavolati negoziati di pace nella città olandese di Utrecht, conclusisi il 13 luglio del 1713. Il 6 marzo 1714, a Rastadt venne concluso il trattato definitivo tra Francia ed Austria e l’impero spagnolo subisce una drastica ripartizione, senza come è d’uso tener conto delle persone che lo abitano. Intanto Filippo V, aveva rinunciato ad ogni futura pretesa sulla corona di Francia. Con il trattato di pace, venne riconosciuto re di Spagna. La Spagna a sua volta cedeva all'Austria Le Fiandre, il regno di Napoli, di Sicilia e la Sardegna, nonché il Ducato di Milano e lo Stato dei Presidi in Toscana. La Spagna cedeva anche all'Inghilterra Gibilterra e Maiorca. Con buona pace l’Italia, dopo Utrecht e Rastadt, passa dalla dipendenza spagnola a quella austriaca, tranne la Sicilia che finisce nelle mani, o meglio sulla testa del duca Vittorio Amedeo di Savoia.
Il duca Vittorio Amedeo II di Savoia non solo ottenne la Sicilia con il relativo titolo regio, ma anche Casale e tutto il Monferrato, parte della Lomellina e la Valsesia.
La Sicilia sabauda
Vittorio Amedeo II° di Savoia
Nel trattato di Utrecht, il Regno di Sicilia veniva formalmente concesso dalla Spagna in feudo ai Savoia, che pertanto non potevano scambiarlo o cederlo. All’estinguersi del ramo maschile dei Savoia, esso sarebbe tornato alla Spagna.
Il 3 ottobre 1713 il nuovo re salpò da Nizza alla volta di Palermo, dove venne solennemente incoronato re la notte di Natale nella Cattedrale di Palermo. In un suo discorso al parlamento siciliano, il nuovo re dichiarò: «I nostri pensieri non sono rivolti ad altro che a cercare di avvantaggiare questo Regno per rimetterlo, secondo la Grazia di Dio, al progresso dei tempi, riportarlo al suo antico lustro e a quello stato cui dovrebbe aspirare per la fecondità del suolo, per la felicità del clima, per la qualità degli abitanti e per l'importanza della sua situazione.»
Vennero infatti presi provvedimenti per contrastare il brigantaggio, dare fiato alle attività mercantili, risanare le finanze e riorganizzare l'esercito. Vittorio Amedeo cercò di fare del suo meglio: pur essendo un fautore convinto dell’assolutismo non mise mai in discussione il (pur discutibile) parlamento siciliano, introdusse nell’isola sistemi di gestione finanziaria e politica diversi da quelli spagnoli, eliminando le frodi doganali e rendendo efficaci le leggi di pubblica sicurezza che responsabilizzavano i baroni per i delitti commessi nelle loro terre, e obbligando i baroni a pagare i debiti. Ma quando si tratta di pagare si viene considerati “necessariamente” cattivi ed il “povero” Savoia passò alla storia come fosse stato una sanguisuga. In realtà il sabaudo si mostrava più vicino alla Francia illuminista che alla Spagna o all’Austria. Ma rimase troppo poco tempo e in questo tempo fu costretto ad affrontare, o meglio continuare, una guerra con la Santa Sede. Una guerra “ridicola”, perché non scoppiata per “grandi temi” ma semplicemente per una tassa da pagare su un pugno di ceci! (La controversia liparitana).
Lo sconquasso determinato dalla diatriba su un pugno di ceci fu enorme e comportò scomuniche e controscomuniche per l’isola (ricordo che una scomunica allora equivaleva ad un embargo, con tutte le relative conseguenze).
La permanenza del re in Sicilia durò fino al 7 settembre 1714, quando ripartì carico di beni e soprattutto accompagnato da uomini di cultura, come l'architetto Filippo Juvara e i giureconsulti Francesco D’Aguirre e Niccolò Pensabene. Lasciò come viceré il conte Annibale Maffei (seguito in tale incarico nel 1718 da Giovanni Francesco di Bette marchese di Lede e nel 1719 da Niccolò Pignatelli duca di Monteleone).
Francia, Olanda, Inghilterra e Austria avevano intanto dato vita alla Quadruplice Alleanza, e Vittorio Amedeo II fu invitato segretamente – era feudatario della Spagna! - a prenderne parte dal cardinale Giulio Alberoni (1664 - 1752), statista al servizio di Filippo V.
Giuglio Alberoni
La Spagna, non fidandosi del Savoia, giocò d’anticipo ed invase la Sicilia con un esercito di 30.000 soldati. Quando l’Austria propose a Vittorio Amedeo II la Sardegna in cambio della cessione della Sicilia, il Savoia accettò ed entrò nella Quadruplice. Nel 1718 venne incoronato Re di Sardegna, confermandosi così astuto uomo politico. Era riuscito a ottenere e mantenere per il suo casato la sospirata corona regale e si era dimostrato ampiamente valoroso e audace soldato. Non poteva però definirsi uomo di parola.
Gli Austriaci
Mongitore, L’atto pubblico di fede solennemente celebrato dal Tribunale del S. Uffizio di Sicilia a 6 aprile 1724 (frontespizio)
Il passaggio della Sicilia dal possesso sabaudo a quello austriaco, nonostante l’accordo sulla carta tra le parti interessate, non fu facile. Tra il 1718 e il 1720 infuriò la guerra tra Austriaci e Spagnoli per la conquista della Sicilia. La guerra fu sanguinosa e fu la prima in territorio siciliano dopo il tempo dei Martini. Il conflitto si concluse con il trattato dell'AIA del 1720: Carlo VI d'Austria, già re di Napoli, diventava anche il nuovo re di Sicilia, con il numerale "3°" [3]. Il duca di Monteleone fu confermato viceré.
Il dominio austriaco durò 14 anni. Carlo VI si limitò ad una semplice gestione amministrativa ma per non inimicarsi la Spagna, alla cui corona aspirava, mantenne l’Inquisizione (cosa che del resto aveva fatto anche il sabaudo! Quando c’è da guadagnare non si guarda in faccia nessuno!) e non solo ma istituì anche una Inquisizione generale a Vienna con autorità solo sulla Sicilia! Istituzione che ben si è distinta dando via libera al braccio secolare per le esecuzioni che da tempo erano in sospeso [2].
La congiura di Macchia
Cosa era intanto successo nel regno di Napoli? Alla morte di Carlo II di Spagna, nel 1701 alcuni nobili napoletani, con a capo il principe di Macchia, si misero in contatto con l'Austria sperando di potersi finalmente liberare della dominazione spagnola, ma la congiura fallì ed il viceré proclamò nuovo re di Napoli Filippo V di Spagna (IV di Napoli). A seguito del trionfo delle armi austriache del 1707, l’esercito imperiale occupò Napoli, dove fu insediato un viceré austriaco. Carlo VI d'Austria fu quindi anche re di Napoli (il sesto re di Napoli con questo nome). Il dominio austriaco terminò col viceré conte delle Pieve Giulio Visconti nel 1734, come conseguenza della guerra per la successione di Polonia.
Carlo di Borbone
Dopo il breve dominio austriaco, per i regni di Sicilia e di Napoli inizia un periodo di indipendenza, in mano ad un re “italiano” (si fa per dire). Infatti Carlo di Borbone, duca di Parma e figlio di Filippo V di Spagna e di Elisabetta Farnese, profittando della guerra di successione polacca, che impegnava militarmente l’Austria, riconquista, con il sostegno spagnolo, i due regni.
Il ritorno apparente ad un regno di Sicilia di tipo normanno o federiciano è pura nostalgia. Ormai esistono due regni di Sicilia, entrambi strenui difensori della loro autonomia e sempre l’un contro l’altro armati fino all’autodistruzione!
Fara Misuraca
Alfonso Grasso
settembre 2006