sabato 2 maggio 2015

LA DEMOCRAZIA CRISTIANA E GLI ALTRI FALSI DOGMI. (Estratto dall'opera di mons. Delassus "Il Problema dell'ora presente" Tomo II°)




Pericolosa per i suoi partigiani, come l'ha fatto loro capire precedentemente Leone XIII, incapace di
soddisfare alle cupidigie che risveglia, la democrazia cristiana-scuola, del pari che la democrazia
sociale, vede rizzarsi dinanzi a sé il dogma della degenerazione.
Per effetto della prima colpa, la società umana, abbiam detto, non può sussistere se non per mezzo
dell'autorità che reprime il male ed educa la gioventù, e cogli incoraggiamenti e colla consacrazione
che la proprietà e la gerarchia dànno al merito.
La democrazia socialista ripudia l'autorità, rovescia la gerarchia e distrugge la proprietà. Essa
pretende che l'uomo, naturalmente buono, non abbia bisogno della tutela dell'autorità, e che
l'eguaglianza nei diritti e nei godimenti per tutti gli uomini s'imponga, poiché tutti sono egualmente
buoni, egualmente degni di merito.
Dire che la democrazia cristiana non ammette in noi tutti le conseguenze della colpa di Adamo,
sarebbe sicuramente dir troppo. Tuttavia, uno de' suoi principali iniziatori è giunto a tanto. Il P.
Hecker, nel suo libro: Aspirations de la Nature, pubblicato nel 1857, cioè sette anni dopo la sua
conversione al cattolicismo, scrisse: "L'uomo è e non può non essere buono, dotato com'è della
ragione che tende al vero e della libertà che tende al bene; se la ragione abbraccia il falso, è sotto
l'apparenza del bene. La caduta originale non lasciò nell'uomo alcuna qualità malvagia".(1)

Lo storico del P. Hecker, il P. Elliot, ha detto pure nella biografia del suo eroe: "La natura umana è
buona, e tutti gli uomini sono fratelli; tale era, secondo il dottor Brownson, la tesi di Cristo. La tesi
di Cristo è un po' differente. Senza dubbio, tutti gli uomini sono fratelli in Adamo. Tutti i cristiani
sono fratelli in Cristo. Ma ciò che prova come il divin Salvatore non teneva per buona la natura
umana nel suo stato attuale, si è che egli venne a rigenerarla col suo sangue. Egli compì quest'atto
d'infinita misericordia; ma quello che bisogna osservare, e che i democratici cristiani sembrano aver
perduto di mira, si è che Gesù Cristo ha compiuto questa redenzione in modo che, se l'espiazione
del Calvario contiene meriti sufficienti e soprabbondanti per rialzare tutto, il genere umano, tuttavia
ha lasciato gli uomini sotto la legge del peccato, e ciascun di noi sulla via del male. Spetta a noi di
sottrarvisi coll'aiuto della grazia redentrice.
I nostri democratici cristiani non affermano, come il P. Hecker ed il dottor Brownson, la bontà
nativa dell'uomo. Interrogati, riconoscerebbero che tutti siamo decaduti in Adamo. Ma le loro tesi
democratiche circa la libertà, l'ineguaglianza, la sovranità che si attribuiscono al popolo, non si
possono sostenere che su questa ipotesi: che tutti gli uomini sono uniformemente redenti, che tutti
sono allo stesso livello morale e devono essere trattati nella stessa maniera; il che è contrario alla
dottrina, alla storia ed alla possibilità di ogni governo, sì quello della famiglia come quello dello
Stato.
Viene, o può venire loro in mente questa verità, che la Chiesa e tutta la storia dell'umanità insegnino
di comune accordo, che Adamo, col suo peccato, ha guastato tutta la sua discendenza, quando
dicono di voler lavorare al compimento di uno stato sociale che sarebbe fondato sulla libertà,
sull'eguaglianza e sulla sovranità popolare messa in pratica?
Quando esaltano la libertà, essi chiudono gli occhi sulla doppia soggezione a cui la caduta ha
sottoposto ogni uomo che viene in questo mondo: quella della fame e quella delle passioni.
La fame da saziare ogni giorno non lascia libero l'uomo. Essa lo pone, fino dal principio della sua
vita, e lo sforza a restare, per tutto il corso della sua esistenza, in un organismo sociale ordinato in
guisa da procacciare, per quanto è possibile, a tutti il pane quotidiano. Che questo organismo non
sia perfetto, che possa migliorarsi, non v'ha alcun dubbio; difatti, esso si migliora mercé
l'espansione ed il progresso delle virtù cristiane. Ma qui non si tratta di questo. L'uomo, non può
uscire da questo organismo, difettoso o no, senza condannarsi alla morte; dunque non è libero.
Le passioni obbligano la società a tener legati tutti gli uomini in altri organismi, saliti in alto: l'uno,
per mantenere nell'ordine la moltitudine ch'esse (passioni) non cessano di spingere a tutti i
disordini; l'altro, per dare l'educazione a questi medesimi uomini, cioè per aiutarli ad uscire a poco a
poco dal loro stato di decadenza; educazione che il padre incomincia ed il prete continua per tutta la
vita. Da questo lato ancora, l'uomo non è né può essere libero. Egli è fin dalla sua nascita impegnato
nella famiglia, nello Stato, nella Chiesa; deve sottomettersi alle loro leggi, se vuol essere protetto,
poter vivere e vedere svilupparsi tutte le sue facoltà.
Parlar dunque di libertà e di indipendenza, reclamare uno stato sociale basato su questa libertà, è un
mettersi fuori dei fatti e del dogma, è trasportarsi dall'ordine umano attuale nell'ordine primiero, in
quello precedente alla caduta. Se quest'ordine si fosse conservato, se Adamo non avesse peccato, se
l'uomo si trovasse nel paradiso terrestre, sicuramente, non vi sarebbe un ordine economico che
mette gli uomini alla dipendenza di altri uomini per poter avere il cibo, non vi sarebbe alcun potere
coercitivo, né codici, né tribunali, né penalità; non vi sarebbe bisogno di maestri per istruire e
moralizzare; l'indipendenza dell'uomo rispetto all'uomo sarebbe stata intera. Nell'ordine divenuto
necessario per la caduta, essa (libertà) non esiste più e non può più esistere.

Lo stesso dicasi dell'eguaglianza. I democratici cristiani riconoscono le ineguaglianze fisiche,
intellettuali e morali che distinguono gli uomini fra di loro: ma li vogliono socialmente eguali; cioè
non vogliono tener conto dei meriti degli antenati, della posizione acquistata ai figli mercé questi
meriti. Anche qui mettono in oblio la caduta e le sue conseguenze. All'indomani della colpa
originale, le ineguaglianze sociali hanno dovuto prodursi, e si sono prodotte senza che mai il genere
umano potesse ritornare all'eguaglianza. Vi erano fin d'allora, vi sono adesso, vi saranno sempre
nella natura umana, ineguaglianze di razza; in una stessa razza, l'ineguaglianza dei popoli; in un
medesimo popolo, l'ineguaglianza delle famiglie-stipiti; in una medesima famiglia, l'ineguaglianza
dei rami; in uno stesso ramo, l'ineguaglianza degl'individui.
Come ciò avviene, e come è inevitabile?
Cominciando dal male che si annida in seno di ognuno, il buono od il cattivo uso del libero arbitrio
eleva gli uni e finisce d'abbassare gli altri; - razze, nazioni, famiglie, secondo l'energia più o meno
grande e più o meno continua che ognuno adopera a combattere le sue passioni ed a dedicarsi al
bene. Vi sono delle razze degradate, selvaggie e barbare, e delle razze incivilite. In seno di queste
ultime, i popoli sono elevati a differenti gradi d'incivilimento. Parimenti, in seno ad un medesimo
popolo, le famiglie si trovano a differenti gradi di ricchezza e di considerazione, secondo i meriti o i
demeriti acquistati da ciascuna di esse nel corso delle successive generazioni.
La democrazia, pure cristiana, non può soffrire la gerarchia sociale. Essa vuole bensì che
gl'individui possano emergere pei loro meriti individuali, ma non vuole che essi possano ereditare la
posizione acquistata dai meriti dei loro antenati. Anche in ciò, essa disconosce la prima verità
relativa all'umana natura. La solidarietà umana, fondata sulla natura stessa dell'uomo - che è affatto
diversa dalla natura angelica - fa che noi siamo disgraziatamente eredi della decadenza del nostro
primo padre; ma, per converso, esige che ci manteniamo nel grado di risorgimento in cui ci
sublimarono le virtù dei nostri genitori e dei nostri antenati, non solo quanto alla nobiltà del sangue,
ma eziandio quanto alla dignità che procurano i beni acquisiti ed i servizi prestati. La democrazia
vuole che tutti godano della stessa considerazione e dei medesimi diritti; essa oppone la tesi dei
diritti dell'uomo, diritti inerenti alla natura umana, alle tesi dei diritti acquistati da ciascuno; quest'è
ridurre la società a vivere giorno per giorno, è toglierle la sua continuità; è distruggerla. I diritti
acquistati sono diritti reali, i diritti degli uomini, i diritti della civiltà; i pretesi diritti innati sono i
diritti dell'uomo, i diritti che reclama l'orgoglio, unito alla gelosia che eccita la vista dei vantaggi
che godono le famiglie in cui i meriti si sono accumulati.
Il democratico, che vorrà prendere la parola "libertà" nel pieno suo senso e non nel senso derivato di
"indipendenza" vedrà facilmente che, reclamare, com'egli fa, il regno dell'eguaglianza nella libertà,
è, volere una cosa tanto contradittoria, quanto impossibile. Poiché, dove esiste la libertà,
l'eguaglianza non tarda a sparire; e dove regna l'eguaglianza, la libertà è assente. Essa regna fra le
bestie, perché Dio non le ha dotate della nobile prerogativa del libero arbitrio. Ma non regnerà mai,
né può regnare fra noi: sempre la libertà farà saltare il livello che abbrutisce, sotto il quale la
democrazia vorrebbe curvar le teste.
E se l'ineguaglianza sociale proviene - salvo qualche caso - dal buono o cattivo uso della libertà, che
solleva gli uni ed abbassa gli altri, collocare la sovranità nel popolo, è porla nel male; è affidarla a
coloro che sono rimasti in basso, o che vi sono ricaduti perché non hanno saputo vincere se stessi
per trionfare. Sarebbe quindi un metterla nell'impotenza. Le persone del popolo, le famiglie plebee
sono quelle che non hanno ancora acquistato o che hanno perduto la prima delle virtù sociali, la
moderazione dei desiderii in primo grado, in quello che è necessario per costituire il risparmio,
quando l'interesse personale persuade questa moderazione. Come potrebbero esse amministrare i
beni della nazione, il capitale accumulato da secoli, esse che non hanno saputo costituire o non
hanno saputo conservare i proprii beni? Dove prenderanno le attitudini e le virtù necessarie per
rialzare la società, farla progredire, o semplicemente conservarla nel suo stato, esse che non hanno
saputo uscire dal loro avvilimento o che vi sono precipitate di nuovo?
Il governo o l'esercizio della sovranità, è necessario per prestar una mano soccorritrice alle buone
volontà nella loro ascensione.
Ora, la democrazia va a chiedere l'energia sociale a coloro che si sono rovinati da se stessi! Quindi,
l'eguaglianza ch'essa procura, - e noi lo vediamo pur troppo, - non è l'eguaglianza in alto, ma
l'eguaglianza in basso, è la civiltà che va in sfacelo, è la società che si dissolve e ben presto non sarà
più.
La tesi democratica cozza dunque con un fatto antico quanto il mondo, esteso quanto l'umanità e
visibile come il sole: il male, cioè l'ignoranza e la concupiscenza, il peccato ed il vizio e le loro
conseguenze; la miseria e la morte. Da Dio e dal triplice governo ch'egli ha istituito, nella sua
Chiesa, nella società civile e nella famiglia proviene il bene che combatte il male e ne restringe i
confini.
Liberi ed abbandonati a se stessi, gli uomini decadono di giorno in giorno; avviene il contrario,
quando accettano il soccorso dell'autorità: autorità paterna, autorità sociale, autorità religiosa; essi
superano il male, che in loro si trova, vantaggiandosi nell'intelligenza, nella moralità e nel
benessere. La famiglia e l'autorità raccolgono fin dalla nascita l'uomo decaduto; la famiglia e la
Chiesa si travagliano di concerto a redimerlo; l'autorità civile fa regnar l'ordine e la pace; e, in
questa pace, il padre ed il sacerdote s'impadroniscono delle anime, mostrano loro il bene, lo fanno
amare e praticare, e per tal modo le liberano dal male.
L'uomo che si sottomette alla triplice autorità, che si lascia governare da queste tre figlie del cielo,
si sublima a poco a poco sopra coloro che restano sordi ai loro richiami.
La loro ragione d'essere è di aiutare le classi inferiori a salire nelle classi superiori ed aiutarle ad
entrarvi mediante lo sforzo ed il merito. Questo appello non può farsi, questo aiuto non può
concedersi se non da coloro che ne sono investiti dall'alto. Il signor Taine ha riconosciuto questa
verità in una lettera a F. Guizot: "La storia dimostra che gli Stati, i Governi, le religioni, le Chiese,
tutte le grandi istituzioni, sono i soli mezzi mercé dei quali l'uomo animale e selvaggio acquista la
sua piccola parte di ragione e di giustizia".
L'autorità non può derivare dal basso; essa viene dal Cielo, la dona Iddio. Ed egli fa questo dono
alla società perché vi è una moltitudine, un popolo, cioè un complesso di uomini presso i quali
bisogna ad ogni istante supplire alla ragione ed alla volontà, in parte perdute in causa della colpa e
delle passioni. È ciò che fa l'autorità: essa sostituisce la legge alla ragione impotente, e la forza alla
volontà traviata. Ed è perciò che essa non può essere collocata che nelle classi superiori, in cui il
lavoro di molte generazioni ha purificata la ragione e fortificata la volontà. La caduta della sovranità
nelle classi inferiori fa sparire l'autorità e la sparizione dell'autorità espone le popolazioni al male
senza difesa.
Sicuramente, tutti gli sforzi della società devono tendere a condurre l'eguaglianza fra i suoi membri,
ma l'eguaglianza nel bene, l'eguaglianza nella virtù, l'eguaglianza nel merito; in una parola, fare che
i più malvagi diventino pari ai migliori, agli aristocratici. Sarà la democrazia, il governo del popolo
che potrà procurare questa universale ascensione?

Nella società, quale il buon senso l'ha concepita, quale il lavoro dei secoli e sopratutto la virtù del
cristianesimo l'han fatta nelle sue grandi linee, l'autorità risiede in alto, e di là attira ed aiuta a salire
i gradini della scala sociale chiunque vuol sottomettersi alla sua disciplina. La borghesia aspira alla
nobiltà, e si sforza di ottenerla per mezzo della generosità; la parte migliore del popolo, vietandosi il
lusso onde acquistare la proprietà, si fa strada per arrivare al posto della borghesia; e negli strati
infimi si impara che solamente il lavoro, l'economia, l'ordine, possono vincere la miseria.
La salvezza della società richiede dunque che l'idea dell'autorità sia ristabilita nelle anime, e che le
idee democratiche di libertà, di diritti dell'uomo, di sovranità del popolo sieno combattute.
Fa d'uopo in primo luogo restaurare l'idea di Dio autore e sovrano di tutte le cose. In quante anime,
anche in quelle che si tengono per cristiane, l'orgoglio democratico è penetrato per indebolirvi il
sentimento dell'autorità di Dio! Quanti vi sono che sieno compresi nel fondo del loro essere di
questa verità: Io sono di Dio? Vi ha un Essere necessario, eterno, che mi trasse dal nulla e mi
conserva; e questa conservazione è in ogni secondo minuto della mia vita il dono senza cessa
continuato dell'esistenza, del pensiero, della volontà, dell'amore, di tutto ciò che sono, e di ciò che
opero. Egli non è solamente vicino a me, ma è in me, in tutto il mio essere, in ciascuna delle mie
potenze e delle mie facoltà, le quali, senza di lui, non potrebbero operare; in ciascuna delle mie
opere, le quali senza di lui, non potrebbero nemmeno aver principio.
Io devo dunque incessantemente tenermi unito a lui; e colla conformità de' miei pensieri ai pensieri
suoi, della mia volontà alla volontà sua, offerire incessantemente me stesso a lui mercé il dono della
mia riconoscenza e del mio amore.
Queste cose non le ispira l'orgoglio. Esso c'impedisce di riconoscere il nostro nulla, ci nasconde il
Creatore, affinché potessimo sottrarci alla sua autorità, affine di renderci indipendenti dai suoi
voleri, liberi, sovrani.
E questo è il primo effetto dello spirito democratico.
Scartata dal nostro spirito l'idea del nostro nulla, l'orgoglio può ancor meno lasciarvi il pensiero che
siamo decaduti, e, che sprofondati nel male, noi dipendiamo da Dio non solo mercé la creazione e
conservazione, ma eziandio per la riparazione del nostro essere. Questo non è punto sfuggito a
Montalembert. Nella lettera ch'egli scriveva a Cochin, dopo di aver letto le opere di Le Play, egli
riconosceva con l'autore che "la dottrina della caduta originale ripugna profondamente all'orgoglio
servile dei nostri contemporanei".
Di qui la sorda opposizione che si manifesta in tanti cuori contro tutto il sistema sociale - autorità
civile, autorità religiosa - stabilita dalla divina bontà per renderci quello che il male ci ha tolto.
La democrazia sociale reclama contro di esso delle libertà. Quali libertà? La libertà di coscienza e
dei culti: è l'orgoglio nelle anime e nello Stato, che rigettano il ministero della Chiesa istituita da
Dio per operare la nostra ristaurazione. La libertà del pensiero e della stampa: è l'orgoglio dello
spirito che pretende di bastare a se stesso, che respinge i lumi divini come inutili per condurre i
popoli alla felicità. La sovranità del popolo: è l'orgoglio innestato nelle moltitudini che pretendono
di non aver bisogno né di autorità ecclesiastica, né di autorità civile per governarsi. In una parola,
mercé le libertà democratiche, l'orgoglio vuole signoreggiare il mondo per condurlo alla sua
perdizione col disprezzo e del Redentore e del Creatore e di tutto ciò ch'Essi fecero per noi.
La democrazia cristiana ha pure sulle labbra sempre la parola libertà. Certamente, essa non la vuole
così assoluta come la democrazia sociale; ma facendo risuonare questa parola in mezzo alle turbe,
snerva dapprima l'autorità, l'autorità divina come l'autorità umana. Poi, volendo, in nome della
libertà, che la verità e l'errore, il bene ed il male, combattano ad armi eguali, essa disconosce in noi
la potenza del vizio originale, s'appoggia, voglio credere inconsciamente, sul falso principio
teologico e filosofico, che è l'origine di tutti i nostri errori e la causa di tutti i nostri mali.
Perciò, non si potrebbe troppo raccomandare al circoli di studi sociali, che ora si stabiliscono
dappertutto, di aver sempre dinanzi agli occhi, in tutte le loro discussioni, la caduta originale.
È quello che fece un giorno il cardinal Sarto, oggi nostro Santo Padre Papa Pio X.
Nel 1896 gli si propose la presidenza d'onore del Congresso che tenne in Padova l'Unione cattolica
per gli studi sociali.
Il discorso d'inaugurazione ch'egli pronunciò comincia con queste parole: Lodato sia Gesù Cristo!
ed il Cardinale diede per ragione di questo esordio, che gli associati devono compendiare in questo
saluto i soggetti da trattare nei loro congressi, negli studi da fare nelle loro riunioni. Poi indicò loro
quali conseguenze pratiche se ne dovessero trarre. "Questo saluto - egli aggiunse - allontana dal
nostro spirito ogni preoccupazione e timore per le nostre discussioni, perché con un tal fondamento,
noi siamo sicuri dell'ortodossia delle dottrine che verranno qui sviluppate".
Quali preoccupazioni aveano potuto far nascere nello spirito del loro Presidente onorario queste
assise della democrazia cristiana in Italia, quali timori avea egli potuto avere?
Egli lo fa conoscere chiaramente: "Ammettere Gesù Cristo dice egli - è affermare la caduta
originale. E difatti Gesù Cristo è venuto in questo mondo per ripararla.
"Ora - dimanda il cardinal Sarto - d'onde vengono tutti gli errori chiamati socialismo, comunismo,
tutte queste utopie dell'emancipazione della carne, della riabilitazione della natura, dell'eguaglianza
delle condizioni, della partizione dei beni, della sovranità della ragione?
"Tutte queste mostruosità non ammettono la caduta dell'uomo e la sua degradazione originale.
"Sì, il peccato originale colle sue terribili conseguenze - la corruzione della sorgente ed il fatale
avvelenamento dei ruscelli; l'esistenza del male e la necessità del rimedio, - tutti questi punti della
credenza cattolica sono respinti dai moderni educatori, ed è da questa negazione che derivano tutte
le applicazioni antisociali tentate sotto i nostri occhi".
Ecco ciò che il futuro Papa ha voluto far intendere al congresso dei democratici cristiani d'Italia al
principio dei loro lavori. Egli volle che essi tenessero fissi gli occhi sulla caduta dell'uomo e sulle
sue conseguenze, ed ha richiamato la loro attenzione al fatto storico primordiale come il mezzo
necessario per non scivolare dall'azione popolare cristiana, tanto incoraggiata da Leone XIII, nella
democrazia che è il confluente di tutti gli errori dei secolo.

Note:

(1) Citato da Bargy, La Religion dans la Société aux États-Unis, p. 177.