mercoledì 18 giugno 2014

La tentazione egualitaria

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di Martino Mora - http://radiospada.org 
“Le epoche dove il primato è del denaro, sono anche quelle nella quali imperversa la peggiore febbre egualitarista”.
Questa frase di Marcel De Corte è la migliore spiegazione del dominio ideologico dell’egualitarismo astratto che oggi impregna l’ideologia dominante politically correct. Oggi che il denaro e la merce regnano sovrane, l’eguaglianza astratta tra gli uomini viene continuamente affermata (cosmopolitismo, moltiplicazione senza fine di diritti per tutti, immigrazionismo, femminismo, omosessualismo, teorie del gender). Come ha scritto Chantal Del Sol, “I tre fattori dell’uguaglianza, del materialismo e dell’individualismo formano un insieme coerente, dove ciascun fattore viene dall’altro ed anche lo rafforza”,
La religione cristiana fu la prima ad affermare che tutti gli uomini sono uguali, perché figli di Dio. Il giudeo e il greco, l’uomo e la donna, lo schiavo ed il libero, nella predicazione di San Paolo possiedono tutti un’anima immortale, e tutti sono riconosciuti da Dio in quanto persone. L’uguaglianza spirituale degli uomini, la loro uguale dignità davanti a Dio, non significano però l’annullamento della comunità gerarchica nella quale si trovano. Il cristianesimo rappresenta una straordinaria rivoluzione dello spirito, ma non mise in discussione le strutture sociali del tempo. Il fine divenne la salvezza eterna dell’anima. La schiavitù primaria quella dal peccato. Certo, alla lunga il riconoscimento dell’uguale dignità degli uomini quali figli di Dio ha portato, nel mondo europeo, all’ abolizione graduale della schiavitù, sostituita anche per ragioni economiche dalla servitù della gleba. L’esistenza di un’anima immortale comune a tutti gli uomini significava pietà e considerazione per gli umili, i poveri e gli ammalati (di cui si faceva carico direttamente la Chiesa), ma questo non metteva in discussione la differenziazione sociale che caratterizzava la società medioevale, tripartita nel ceto sacerdotale, in quello nobiliare e in quello del lavoro.
L’esplosione della passione egualitaria riguarda compiutamente l’età moderna. Fu conseguente all’emergere della classe borghese e del pensiero economicista, che essa ha convogliato storicamente. E fu anche conseguente all’affermazione dei grandi Regni moderni, burocratici e centralizzati, cioè degli Stati moderni, che operarono attivamente per corrodere tutte le comunità locali e i corpi intermedi che separavano il suddito dal potere statuale. Il potere dei sovrani e della burocrazia statale minarono volontariamente i pluralismi territoriali e sociali all’interno dei Regni. Le differenze vennero prima livellate e poi distrutte. Anche la Rivoluzione francese sotto questo punto di vista fu in continuità, con il suo culto dello Stato e del potere accentrato, con l’Antico regime, come sottolineò genialmente Alexis de Tocqueville. Le due grandi forze che corrosero il legame sociale nell’età moderna, il mercato e lo Stato, generarono l’individuo, cioè quel tipo di uomo isolato, atomizzato, che tende a concepire le proprie appartenenze e la propria comunità come secondarie rispetto alla libertà dell’io. Ha scritto Gilles Lipovetsky : “E’ l’azione congiunta dello Stato moderno e del mercato che ha permeato la grande frattura che ormai ci separa dalle società tradizionali, l’apparizione di un tipo di società dentro la quale l’uomo individuale si prende per fine ultimo e non esiste che per sé medesimo”. La nazione è la società degli individui isolati.
In questo tipo di società, questi uomini atomi, questi individui, si considerano primi, si identificano come l’origine, si distaccano dal sacro e dall’autorità ecclesiastica, e si concepiscono anche su un piano di uguaglianza con gli altri uomini. Siamo alla nascita delle teorie politiche contrattualiste, alla formazione di un nuovo razionalismo politico, nel quale il diritto naturale si trasforma mettendo al centro la dottrina individualista dei diritti dell’uomo. Dottrina che concepisce l’uomo come atomo (individualismo), su un piano di uguaglianza qualitativa nei confronti di tutti gli altri (egualitarismo), e che infine interpreta se stessa come universale (universalismo). Naturalmente si tratta di una dottrina che pretende di essere universale senza esserlo, per il semplice motivo che dà dell’uomo un’idea completamente sbagliata, quella di un essere desocializzato e destoricizzato, la cui natura sociale e politica non è affatto costitutiva della sua umanità ( cosa che avrebbe fatto gridare d’orrore Platone ed Aristotele, per non parlare dei Padri della Chiesa).
L’individualismo esplode già nell’epoca dell’umanesimo e del Rinascimento italiano (XIV-XVI) secolo, come sottolineato dal grande storico Jacob Burckhardt. E’ il prodotto dell’esplosione del capitalismo finanziario, cioè dell’attività dei grandi mercanti fiorentini e genovesi, e di una riabilitazione della sensualità e dell’immanenza, le cui conseguenze sono la nascita di una civiltà raffinatissima, che inizia però a secolarizzarsi. L’uomo diventa primo protagonista, dal teocentrismo medioevale si scivola verso un nuovo antropocentrismo. Questa centralità dell’uomo è, nella pratica, la centralità dell’individuo. D’ora in poi quando la modernità dice “uomo” intende “individuo”. L’individuo però non è l’uomo inteso nella sua accezione classica e medioevale, ma un essere separato, resecato dalla comunità alla quale appartiene, e che si sente svincolato dall’auctoritas e dalla tradizione che lo precedono.
L’individualismo trova già la sua forma compiuta nella Riforma protestante. Nel programma di Lutero individualismo ed egualitarismo, al momento limitati alla dimensione religiosa, vanno di pari passo. Il principio del “libero esame” è infatti individualistico, perché presuppone che ogni cristiano possa leggere ed interpretare liberamente ed autonomamente la Sacra Scrittura. Il principio del “sacerdozio universale” è invece egualitario, perché rifiuta il sacerdozio particolare del clero. Nessuno è più “sacerdote” di un altro. Se il “libero esame” colpisce al cuore l’auctoritas spirituale della Chiesa, il “sacerdozio universale” nega la differenza gerarchica tra fedele e sacerdote. Il fedele è sacerdote di se stesso. Se la Chiesa luterana però, in maniera prudente, conserva un certo ruolo alla gerarchia (ripristinando i vescovi), Calvino porta alle estreme conseguenze il principio del sacerdozio universale, eliminando l’episcopato e introducendo il modello del Concistoro, più egualitario. Con gli anabattisti, infine, il principio egualitario esce dalla dimensione ecclesiastica per acquisire implicazioni sociali e politiche. Gli anabattisti infatti non si limitano al rifiuto dei vescovi e del sacerdozio particolare, ma pretendono per primi di imporre la comunanza dei beni e la comunanza delle donne. L’egualitarismo esce dall’ambito del sacro e diventa regola del profano. Nonostante il folle tentativo anabattista di Giovanni da Leyda di imporre a Munster il modello della “Gerusalemme celeste”, comunista e poligamica, sia durato meno di un anno (1534-1535) i tempi sono maturi per il passaggio dell’individualismo egualitario dal campo religioso al campo della politica. Anche la personalità di Thomas Munzer e la rivolta dei contadini tedeschi (1524-1526) rappresentano lo sconfinamento della Riforma sul terreno sociale, nonostante la pronta condanna di Lutero. Thomas Muntzer teorizza la ribellione dei contadini sfruttati contro i signori in nome dell’uguaglianza, proponendo l’abolizione della proprietà privata della terra.
Se da una parte il cammino del protestantesimo continua a lungo ad intersecarsi con la politica (guerre di religione, puritanesimo, prima Rivoluzione inglese), è il pensiero “laico” a dare voce ad una visione del mondo ispirata dall’individualismo egualitario. Da Hobbes a Locke, da Rousseau a Kant, tutti i pensatori del giusnaturalismo moderno e del contrattualismo partono dal presupposto di uno stato di natura in cui gli individui atomi, non legati tra loro da nulla, vivono un’esistenza desocializzata dove le relazioni costitutive tra gli uomini non esistono. Si tratta di una condizione originaria e naturale. Nulla precede l’individuo, nulla lo lega e lo determina, in questo stato di libertà assoluta e naturale. Non esistono radici, vincoli, legami, identità collettive. E nessuna propensione naturale alla socievolezza e alla politica. La società e la politica, infatti, in questo schema teorico, subentrano soltanto in un secondo tempo, quando si rivelano necessarie per motivi puramente utilitaristici. Corrispondono all’artificio, ad un artificio necessario, non alla dimensione naturale dell’uomo. Ovviamente questo artificio è una mera costruzione umana, del quale l’uomo moderno (cioè l’individuo) è l’assoluto artefice. La società e la politica non corrispondono così a nulla di naturale, sono fuori dalla dimensione originaria alla quale l’uomo deve adeguarsi pur scoprendone le leggi e la razionalità intrinseca (come pensavano i classici e i medioevali), ma diventano una mera costruzione artificiale, perlopiù edificata attraverso un contratto tra individui (non più tra corpi sociali e comunità, come ancora in Altusio), esattamente come avviene nelle transazioni commerciali. Naturalmente il primo dei “diritti” che questi atomi liberi e uguali si riconoscono è il diritto di proprietà, inteso come il diritto primario, oltre alla vita e alla libertà, che il borghese si riconosce.
E’ questo infatti il segreto che sta dietro a questa teologia politica rovesciata, dove tutto viene dell’individuo invece che da Dio o dalla natura: l’individuo libero ed uguale non è altro che il borghese. Dietro alla sua decantata universalità c’è la particolarità del ceto borghese, del ceto degli affari e dell’economia, di cui i teorici del contratto (con la parziale eccezione, forse, di Rousseau) sono gli esponenti intellettuali. Non c’è bisogno infatti di scomodare la critica ai diritti umani del giovane Marx ( i diritti dell’uomo come diritti dell’egoismo borghese) per comprendere il sostrato economicista ed individualista di questo pensiero. Il sostrato economicista ed individualista che autori come Louis Dumont hanno identificato come il fondamento della modernità.
Come Georg Simmel in “Filosofia del denaro” (1901) , che afferma essere l’economia monetaria la vera artefice dell’individualismo moderno, anche Dumont vede nel primato delle dimensione economica il passaggio definitivo dall’ “uomo gerarchico” all’”uomo uguale”. In effetti davanti al denaro siamo tutti uguali. Non esistono più gerarchie di nascita , di sangue o gerarchie spirituali L’unica gerarchia riconosciuta è tra chi lo possiede, il denaro, e chi non lo possiede, o ne possiede di meno. E questa l’unica diseguaglianza ammessa, anzi lecita, l’unica riconosciuta (e spietata) in un mondo dove tutti o quasi si concepiscono e riconoscono su un piano di parità rispetto a tutti gli altri. Il denaro non fa differenze tra gli uomini. Ma ne istituisce la più feroce, tra chi ne possiede tanto e chi ne possiede poco. Ed oggi, nel XXI secolo, siamo ancora a questo punto. All’orgoglio di credersi tutti uguali si affianca la spersonalizzazione dei rapporti sociali, tra uomini intercambiabili che si relazionano per fini utilitaristici.
L’egualitarismo equivale ad un’idea normativa per il presente e per il futuro. Intende mutare il mondo. Parte dalla giusta concezione di una pari dignità di partenza tra le persone, ma poi ne trae la conseguenza che a questa uguaglianza di fondo non corrispondano anche delle profonde differenze tra gli uomini. E laddove esse invece emergono, allora vengono considerate pericolose, da negare o da cancellare. Naturalmente l’uguaglianza è anche un fatto sociale, e l’atomizzazione della società rende questo fatto sociale sempre più evidente, celando ed erodendo al contempo le differenze naturali e gerarchiche. Così l’uguaglianza come fatto si sovrappone all’uguaglianza come credenza. L’uguaglianza come credenza, pur sottolineando la pari dignità degli uomini, può rimanere nei limiti dell’affermazione di principio, rispettosa delle differenze naturali, oppure può valicarle, trasformandosi in egualitarismo. Premesso che non è sempre facile comprendere quando il limite viene realmente superato, e cioè quando l’uguaglianza diventa egualitarismo, si può riconoscere nella spinta individualista, antigerarchica e anticomunitaria la premessa necessaria per il passaggio dall’uguaglianza all’egualitarismo. Si mette così in moto un meccanismo infernale che non si ferma e non si sazia mai definivamente: “L’egualitarismo assoluto è il senso, la molla e il fine stesso del processo rivoluzionario sovversivo che da secoli sta trasformando la società cristiana”, ha scritto Massimo Viglione.
Se le due rivoluzioni inglesi e la Rivoluzione americana affermano la dimensione individualistico-egualitaria (gli uomini sono stati creati liberi e uguali, è il postulato jeffersoniano della Dichiarazione d’indipendenza del 1776), la svolta decisiva è la Rivoluzione francese, a partire dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” (1789), che è la prima di una serie di dichiarazioni affini, e che impronterà successivamente lo spirito di numerosissime Costituzioni. Con la Rivoluzione francese tutti divengono cittadini, vengono abolite le differenze di nascita, proclamata l’uguaglianza di fronte alla legge, persino abolita la schiavitù nelle colonie durante il periodo giacobino. Privilegi e differenze vengono concepite come inaccettabili. Tutti i componenti del genere umano vengono dichiarati degni di rispetto, tranne coloro che si contrappomgono alla Rivoluzione (i “nemici dell’umanità” non meritano, ovviamente, alcun pietà, come pensava del resto lo stesso Voltaire). In questa società di uguali, però, non c’è più posto per il sacro, la trascendenza e la gerarchia spirituale, ed in onore alle idee illuministe la Chiesa subisce la prima terribile persecuzione dell’era contemporanea. Laddove l’uguaglianza si afferma per via rivoluzionaria, infatti, il sacro viene considerato il nemico per eccellenza. Così avverrà anche in Russia nel 1917 o in Spagna nel 1936. L’egualitarismo è un antropocentrismo esigente. Se l’uomo è il nuovo Dio, non c’è spazio per la dimensione trascendente. Tutto ciò che la ricorda va prima ridimensionato, poi cancellato.
L’affermazione dell’uguaglianza civile e politica degli uomini, affermata da molti illuministi e dalla Rivoluzione francese, non nega la differenza delle ricchezze, che con l’eliminazione dei privilegi aristocratici e di ciò che resta della società feudale si è ulteriormente accentuata. La nascente società industriale sta inoltre creando il vero e proprio inferno della proletarizzazione e dello sfruttamento generalizzato. Masse di uomini e donne si trasferiscono nella città per lavorare nelle fabbriche, dove vige lo sfruttamento del lavoro, anche infantile. Le città diventavano quindi il luogo dello sfruttamento, dello sradicamento dalla terra, e per usare un termine hegelo- maxiano, dell’”alienazione”. Da qui la nascita del socialismo, che afferma essere insufficiente l’uguaglianza formale del mondo borghese, perché mantiene la più spietata delle gerarchie, quella del denaro, permettendo lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Il socialismo e il comunismo si presentano così come una tappa radicale della mentalità egualitaria, anche se probabilmente nessun socialista e comunista, nemmeno Marx ed Engels concepirono mai l’idea di un livellamento tanto perfetto come quella che troviamo espressa nell’opera dell’anarchico Michail Bakunin. E’ infatti solo l’anarchico russo a non accontentarsi dell’abolizione dello Stato e della proprietà privata, ma a spingersi a prefigurare la stessa distinzione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale. Tutti debbono svolgere sia il lavoro manuale che quello intellettuale, perché nessuno possa essere meno uguale di un altro: “non vi saranno più operai, né scienziati, ma solo uomini”. L’idea dell’uniformità generalizzata e assoluta è quindi il parto, nella sua versione più radicale, del socialismo anarchico di Bakunin, ancora più che del comunismo di Marx ed Engels, che se non altro lascia sussistere la differenza tra lavoro manuale e lavoro intellettuale. Se il pensiero anarchico di Max Stirner porta alle estreme conseguenze l’individualismo liberale, quello di Bakunin fa lo stesso con l’egualitarismo socialista, portandolo alla conseguenza più radicale: l’abolizione della distinzione tra lavoratori manuali e lavoratori intellettuali.
Se il livellamento di Bakunin è la più spinta estremizzazione dell’egualitarismo, per la quale le differenze degli uomini sono assolutamente secondarie (nonostante l’anarchico russo faccia eccezione per pochissime menti eccezionali), per il marxista Lev Trockij, protagonista delle Rivoluzione d’ottobre (1917), il comunismo può realizzare l’uguaglianza verso l’alto, il superomismo egualitario. Così infatti scrive nel 1924, mentre è impegnato nella lotta con Stalin, poi perduta, per la guida dell’Unione sovietica: “L’uomo diventerà infinitamente più forte, più intelligente, più raffinato; il suo corpo più armonioso, i suoi movimenti più ritmici, la sua voce più musicale. Le forme della vita quotidiana acquisteranno una teatralità dinamica. Il tipo umano medio si eleverà al livello di Aristotele, di Goethe, di Marx. Su questo crinale si eleveranno nuove cime.” (Letteratura e Rivoluzione, 1924). Così il comunismo avrebbe realizzato, paradossalmente, il superomismo di Friedrich Nietzsche, il baffuto filosofo tedesco nemico di ogni uguaglianza, che gli stessi comunisti considerarono, fino alla tarda riscoperta degli anni Settanta del XX secolo, come un avversario detestabile e “reazionario”. Un secolo prima, un socialista come Charles Fourier si era “limitato” a predirre una società socialista che avrebbe visto fiorire al suo interno alcune decine di migliaia di Omero.
Oggi, nell’anno del Signore 2014, possiamo asserire con certezza che la fine del “secolo breve” (1914-1991), il tracollo comunismo storico novecentesco, e l’esaurimento della spinta della socialdemocrazia, non hanno significato affatto la fine della passione egualitaria. Accantonando l’idea dell’abolizione della proprietà privata, il progressismo internazionale, di marca socialista come di marca liberale, ha da diversi anni messo al centro della sua azione altre tematiche, come l’antirazzismo, il femminismo e l’omosessualismo.
“Le tendenze egualitarie – ha scritto Massimo Viglione - sono andate ben oltre l’economicismo marxista, portando avanti la distruzione di ogni pur lieve forma di differenziazione in ogni ambito dell’uomo e dell’universo. Niente più Stati e patrie (la Repubblica universale, mito fondante della massoneria illuminista), niente più differenze di razze (il famoso “melting pot”: il termine stesso “razza” suona ormai in maniera negativa, come se le razze non fossero, come qualsiasi altra diversità, create da Dio). Niente più distinzione culturale, niente più distinzione persino ontologica (l’animalismo introdotto in Spagna da Zapatero). Per Viglione, “dai diritti dell’uomo si è passati a quelli della donna; dai diritti della donna a quelli dell’omosessuale; dai diritti dell’omosessuale a quelli del gender (ogni deviazione o disfunzione sessuale hai i suoi diritti). La stessa parola ‘normalità’viene considerata esclusivista e razzista”.
Questo processo ha avuto un potentissima accelerazione già dagli anni Sessanta del XX secolo, quando la società dei consumi non solo ha cominciato a produrre in serie oggetti tutti nuovi e uguali per uomini uguali perchè massificati (cioè omologati alle mode, al vestiario, alla musica di provenienza anglosassone), ma ha contribuito alla diffusione di quel materialismo e di quell’edonismo di massa (quasi sempre legati a quelle stesse mode) che hanno rafforzato ed esasperato l’individualismo (l’altra faccia della massificazione) e scristianizzato le masse ben più a fondo di quanto contemporaneamente non riuscisse a fare il comunismo sovietico, apertamente ostile alla religione. Le giovani generazioni occidentali degli anni Sessanta e Settanta, cresciute col nuovo benessere e nel suo culto, hanno quindi sposato quel Sessantotto-pensiero che è stata la principale causa culturale della crisi che stiamo vivendo (la causa materiale, occorre ribadirlo, è l’onnipresenza e l’onnipotenza della merce e del denaro). I sessantottini hanno lavorato in perfetta “falsa coscienza” per il capitale globale, che a parole dicevano di combattere. Dicevano infatti di voler abbattere il capitale, ma naturalmente non ci sono riusciti. In compenso le loro idee hanno conquistato quelle stesse èlite ultracapitaliste, quindi materialiste integrali, che erano per natura predisposte ad abbracciare l’ideologia egualitaria, laddove essa non mirasse più all’abolizione della proprietà privata. Tanto più laddove essa rivendicasse,come nel caso del femminismo e dell’immigrazionismo, dei “diritti” che permettono di calmierare stipendi e salari mantenendo invariato il flusso delle merci e dei consumi. Come il lavoro femminile generalizzato indebolisce famiglia e natalità, ma contribuisce alla crescita economica (due stipendi più bassi al posto di uno più alto, a capacità di consumo invariato o superiore), che è il primo comandamento del monoteismo del mercato; così il numero sempre maggiore di immigrati non sindacalizzati, presenti sul suolo europeo. disposti a lavorare per salari bassi, consente di mantenere sotto controllo il costo del lavoro.
Non ci sono però soltanto evidenti interessi economici dietro al trionfo del nuovo individualismo egualitario. Figlie del sostrato materialista della società dei consumi, le nuove rivendicazioni individualiste, cosmopolite ed egualitarie, laiciste, anti-identitarie ed anticristiane, si concentrano intorno alla demonizzazione del passato europeo (vecchia eredità illuminista), all’esaltazione dei diritti umani, alla mentalità cosmopolita o mondialista, alla retorica delle vittimizzazione selettiva delle minoranze (il ”politically correct”, oscena creazione delle università e del circo mediatico degli Stati Uniti d’America), e naturalmente all’imposizione terroristica dell’omofilia obbligatoria e della società “meticcia” o “multiculturale”. E così le grandi organizzazioni internazionali come l’ONU , contraddistinte da una visione liberal da salotti newyorkesi, combattono la sovrappopolazione con l’aborto, diffondono le teorie omosessualiste e del gender (secondo le quali non esistono per natura il sesso maschile e il sesso femminile) e naturalmente tendono a favorire, in nome della retorica dei “diritti umani” l’immigrazione di massa verso i paesi sviluppati, teorizzando società “multiculturali” o “meticciati di civiltà”, magari col benestare di uomini di quella Chiesa cattolica per altri versi apertamente avversata,
Viviamo nell’epoca della globalizzazione tecnico-economica che è senz’altro un fatto, ma un fatto molto pericoloso. Per riprendere una famosa immagine di Carl Schmitt, la globalizzazione rende il mondo un immenso mare, un’immensa superficie liscia ed omogenea, sempre uguale a se stessa, dove l’omologazione dell’umanità corrisponde a un grande mercato composto d a consumatori integrali, cioè da uomini tutti uguali, individui massificati all’american way of life, vestiti tutti allo stesso modo, con gli stessi desideri, con le stesse convinzioni, con la stessa lingua neo-imperiale, l’inglese, frequentatori del centro commerciale, incollati alla tv o ad uno schermo del computer, dimentichi della trascendenza religiosa, che conducono una vita sessuale libera da ogni condizionamento (“l’imposizione del coito” di cui parlava Costanzo Preve), che si divertono tutti allo stesso modo (discoteche, concerti rock e pop, karaoke, ecc.). E’ questa la “civilizzazione universale”, o globale, tanto temuta da Heidegger. Che si compirebbe definitivamente qualora si realizzasse il grande progetto dello “Stato mondiale omogeneo” del quale parlava con diffidenza Leo Strauss. sognato dai marxisti come dai massoni, dai socialdemocratici come da molti liberali, e in passato da giuristi e filosofi come Hans Kelsen e Jacques Maritain, da scienziati come Julian Huxley, da scrittori come Herbert G. Wells. Già Kant aveva ipotizzato un’unica autorità mondiale nel suo scritto “Per la pace perpetua” (1795), già i mazziniani e i massoni parlarono a lungo di una “repubblica universale”da realizzare in un futuro da destinarsi, già la Società delle nazioni - voluta fortissimamente dal presidente americano Thomas Woodrow Wilson alla fine delle Prima guerra mondiale – doveva prefigurarsi come l’anticipo della superiore autorità mondiale che in futuro avrebbe costretto l’umanità alla pace. Oggi non solo i funzionari dell’ONU, ma anche quelli dell’Unione Europea si prefiggono di dare vita a quel Nuovo Ordine Mondiale, sognato da Clinton e Bush, che darebbe sostanza politica alla globalizzazione. E’ un’ideologia, quella del mondialismo, che in quanto cosmopolitismo ha uno stretto legale con l’individualismo e l’egualitarismo, che ne sono le logiche premesse. Solo se gli uomini sono atomi tra loro interscambiabili, come nella stessa teoria dei diritti umani, si può pensare a quella cosmopolis egualitaria, che è il sogno congiunto della destra del denaro (finanzieri, banchieri, multinazionali) e della sinistra politica, anche quella che si definisce “no-global”(ma che in realtà è global e mondialista, prefiggendosi di regolamentare la globalizzazione tramite lo Stato mondiale omogeneo). Anche il Nuovo Ordine Mondiale di cui oggi si parla è il frutto della tentazione egualitaria, di quella passione per l’uniformità e per l’identico tipica del pensiero economico. Non a caso è proprio la banconota del dollaro a portare iscritto il motto paramassonico “Novus ordo seclorum”, cioè Nuovo Ordine Mondiale.
Plinio Correa de Oliveira aveva previsto che saremmo arrivati a questo punto: “La Rivoluzione, fondamentalmente egualitaria, sogna di fondere tutte le razze, tutti i popoli e tutti gli Stati in una sola razza, un solo popolo, un solo Stato”. Questo è il motivo per il quale tutti i movimenti identitari e cosiddetti “populisti”, che intendono combattere l’immigrazione di massa e difendere le particolarità storiche dei loro popoli, vengono demonizzati dal circo mediatico e dalla classe politica “progressista”, di destra e di sinistra. Dovremmo quindi batterci perché non si realizzi, attraverso la politica di Washington, della NATO, dell’ONU, della UE e del grande capitale finanziario e delle multinazionali, un nuovo “nomos della terra” unipolare sotto guida statunitense, preludio di uno Stato mondiale futuro, ma bensì un mondo multipolare, dove la stessa Europa, rispettosa dell’autonomia di Stati nazionali al loro interno federati o confederati - e quindi rispettosi delle identità diverse che li compongono, delle patrie carnali e naturali che non si possono ridurre all’astrazione della nazione - venga a costituire un polo autonomo di civiltà al fianco degli altri, distanziandosi dalla politica atlantista e appoggiando la Russia nel suo tentativo di costituire un “pluriverso”, un nuovo nomos della terra che, come auspicava Schmitt, permetta a grandi spazi continentali di gestire e controllare le potenze della tecnica e dell’economia. Perché l’uomo, come sostiene anche Ernst Nolte, non è un essere universale, ma un essere particolare, radicato in una terra e in una cultura, anche se capace di aprirsi e tendere all’universalità. La sua apertura all’universalità lo rende unico tra tutte le creature, ma questa apertura (che per il cristiano corrisponde alla possibilità di conversione alla Verità del Cristo) non sacrifica mai del tutto la sua particolarità. Se la negazione dell’apertura all’universale è a volte divenuta “disumana”, la negazione della particolarità è apertamente “antiumana”.