domenica 8 giugno 2014

Card. Henry E. Manning: La lotta perpetua del Vicario di Gesù Cristo (I).

 

Monsignor Enrico Eduardo Manning

Protonotario apostolico e Proposto del Capitolo metropolitano di Westminster

Da: Il dominio temporale del Vicario di Gesù Cristo (versione dall'inglese[*]), Roma 1862 (coi tipi della S. Congreg. de Propaganda Fide) pag. 111-129.

LA LOTTA PERPETUA DEL VICARIO DI GESÙ CRISTO (I)

Discorso I

«Ne quis vos seducat ullo modo: quoniam nisi venerit discessio primum, et revelatus fuerit homo peccati, filius perditionis...» (II. Thess. II. 3.) [«Nissuno vi seduca in alcun modo: imperocchè (ciò non sarà) se prima non sia seguita la ribellione; e non sia manifestato l'uomo del peccato, il figliuolo di perdizione...» N.d.R.]

Le rivelate verità ed principî che ne rampollano per comun consentimento dei pubblicisti dalla politica sfera formalmente escludersi e ritenersi oggidì uom debole di mente chi gli avvenimenti del mondo voglia secondo quelli giudicare, ben io mel so. Vero è che in così pensare trovo io a sè coerenti coloro che la rivelazione non ammettono, come per converso non so capire in qual modo coloro che fan professione di credere nella rivelazione di un divino reggimento del mondo vadan poi seco medesimi d'accordo consentendone la eliminazione dagli avvenimenti della contemporanea istoria. Comunque ciò sia, questo è l'andazzo dei nostri tempi e io prudens et videns vo contro corrente ed espongomi forse a divenire oggetto di dispregio o di compassione per coloro che per la sola azione della umana volontà credono il mondo governarsi. Ben volentieri al mio destino io mi rassegno nè punto questo pensiero mi turba. Mio intendimento si è di esaminare la presente condizione de11a Chiesa rispetto ai civili governi giusta una profezia di cui fa menzione S. Paolo e di derivarne alcuni pratici principî per istruzione di coloro che la divina volontà non credono estranea agli odierni avvenimenti.
Non voglio io qui farmi ad interpretare verun passo dell'apocalisse, nè verun calcolo istituire intorno la fine del mondo. Lascio quest'impresa a coloro che credono di esservi chiamati. I punti che io assumo son pochi ed esclusivamente pratici: e il frutto che dall'opera mia desidero non è se non di raggiugnere un più chiaro discernimento dei cristiani e degli anticristiani principi, ed un più sicuro apprezzamento della natura degli avvenimenti onde la Chiesa e la S. Sede vengon oggi poste a cimento.
S. Paolo scrivendo a quei di Tessalonica dice: «Nessuno vi seduca in alcun modo: perocchè dovrà prima accadere la ribellione e rivelarsi l'uomo del peccato, il figlio della perdizione che si oppone e s'innalza su tutto quello che dicesi Dio o che si adora, per modo che spacciandosi per Dio sederà egli nel tempio di Dio. Non vi ricordate, come, quando io era tuttavia presso di voi, tali cose vi diceva? E ora voi sapete che sia quello che lo rattiene [= trattiene N.d.R.], affinchè sia manifestato a suo tempo. Chè già egli lavora il mistero dell'iniquità: solamente che chi lo rattiene rattengalo sino a che sia levato di mezzo, e allora sarà manifestato quell'iniquo cui il Signore Gesù ucciderà col fiato di sua bocca e annienterà collo splendore di sua venuta. E il suo arrivo, per operazione di Satana, sarà con tutta potenza, con segni e prodigî bugiardi e con ogni seduzione d'iniquità per coloro che si perdono per non avere abbracciato per loro bene l'amore della verità. Però Dio manderà loro l'operazione dell'errore sicchè credano alla menzogna e saranno così giudicati tutti coloro che non hanno creduto alla verità e nell'iniquità si sono compiaciuti.» [1]
Noi abbiam qui una profezia di quattro grandi avvenimenti. Primamente di una ribellione che precederà la seconda venuta del Figliuolo di Dio; secondamente della manifestazione di uno che vien chiamato «l'iniquo»: in terzo luogo di un impedimento che rattiene la sua manifestazione e da ultimo di un periodo di potenza e di persecuzione di cui sarà egli l'autore.
Nella trattazione di questo subbietto non avventurerò io peculiari mie conghietture [= congetture N.d.R.]: solamente dirò ciò che ho rinvenuto, vuoi nei padri della Chiesa, vuoi nei teologi dalla Chiesa riconosciuti, quali sono un Bellarmino, un Lessio, un Malvenda, un Viegas, un Suarez, un Ribera ed altri siffatti. E primamente che debbe egli intendersi per questa ribellione? Nell'originale viene essa detta ἀποστασία, un'apostasia; e nella volgata discessio, ossia una secessione. Ora una ribellione importa una sediziosa separazione da alcuna autorità e conseguentemente un'avversazione della medesima autorità. Se adunque noi troveremo qual sia l'autorità che si suppone, troveremo forse qual sia anche la rivolta della quale teniamo discorso. Ora due sole autorità hannovi da ultimo nel mondo: la civile e la spirituale autorità: questa ribellione però debbe essere o una sedizione o una scisma, e una sedizione o una scisma che abbiano grandi proporzioni rispondenti ai termini della predizione e agli avvenimenti in essa annunziati.
S. Girolamo, con alcuni altri, interpreta questa ribellione per la sollevazione delle nazioni o delle provincie contro il romano imperio: egli dice: «Nisi venerit discessio ... ut omnes gentes, quae Romano Imperio subiacent, recedant ab eis.» [2] Non è uopo che prendiamo a disamina questa interpretazione: gli avvenimenti della cristiana istoria bastano a confutarla. Le genti sonosi ribellate al Romano Imperio e niuna manifestazione è intervenuta.
A me sembra che di poche pruove faccia uopo a convincersi come questa ribellione o apostasia debba essere una separazione da autorità non di civile ma di spirituale ordine. I sagri scrittori parlano spesso di spiritual separazione ed in un passo di S. Paolo pare che espressamente dichiarisi il significato di questa parola. Predice egli a S. Timoteo che negli ultimi giorni «τινὲς ἀποστήσονται ἀπὸ τῆς πίστεως, partirannosi o apostateranno alcuni dalla fede.» Pare quindi evidente che debba per l'apostasia di che discorriamo questa medesima spirituale separazione intendersi.
L'autorità adunque contro la quale debbe [= deve N.d.R.] accadere la ribellione è l'autorità di quel regno che la profezia di Daniele ci descrive, di quel regno, cioè, che Dio avrebbe fondato sulla terra dopo la distruzione delle quattro monarchie della quale sarebbe stata cagione il sasso da niuna mano lanciato che avrebbe dovuto grandissima montagna addivenire e la terra tutta della sua grandezza adempire, o in altre parole, l'autorità di quella sola ed universal Chiesa che il nostro divino Signore fondò, che gli Apostoli pel mondo diffusero e che è il soprannatural regno nel quale unicamente conservasi il deposito del vero e puro teismo, ossia, della perfetta cognizione di Dio, della vera ed unica fede del Verbo incarnato, delle dottrine, delle leggi della grazia. Tale è l'autorità contro la quale debbe, qualunque ella siasi, accadere la ribellione. Tale adunque essendo questa autorità, non è difficile lo stabilire la natura della ribellione che debbe contro di essa accadere. Gl'ispirati scrittori ne descrivono chiaramente le note caratteristiche.
La prima nota si è la scisma, secondo che scrive S. Giovanni: «È l'ultima ora: chè come udiste che deve venir l'Anticristo, anche adesso molti sono divenuti anticristi: e quindi intendiamo che è l'ultima ora. Sono essi usciti di tra noi ma non erano dei nostri: perchè se fossero stati dei nostri si sarebbon certamente rimasi con noi.» [3].
La seconda nota è la negazione della virtù e delle operazioni dello Spirito Santo. S. Giuda dice:« Questi son coloro che fanno separazione, gente animalesca (cioè: ψυχικοί sensuali o meramente razionali uomini, uomini della natura) che non hanno lo spirito.»[4] Questa nota involve necessariamente il principio eretico dell'umana opinione in quanto alla divina fede si oppone, dello spirito privato in quanto si oppone all'infallibile voce dello Spirito Santo che parla per mezzo della Chiesa di Dio.
La terza nota è la negazione della Incarnazione. S. Giovanni scrive: «Qualunque spirito che confessi che Gesù Cristo è venuto nella carne, egli è da Dio: e qualunque spirito che divida Gesù, (col negare, cioè, il mistero dell'Incarnazione, sia la vera natura di Dio, sia la vera natura di uomo, vuoi l'unità, vuoi la divinità della persona dell'Incarnato Figliuolo) egli non è da Dio ed è un Anticristo del quale avete udito che viene, ed egli è già fin d'adesso nel mondo.»[5] E di nuovo egli dice: «Molti impostori sono usciti pel mondo i quali non confessano che Gesù Cristo sia venuto nella carne: questo tale è un impostore, è un Anticristo.» [6].
Queste sono adunque, le note per le quali, come la Chiesa per le sue, può la ribellione anticristiana o l'apostasia conoscersi. Noi vedremo ora se esse si avverino nella istoria della cristianità, o nelle presenti tribolazioni della Chiesa di Dio.
È primamente a notare che tanto S. Paolo, quanto S. Giovanni parlano amendue di questa ribellione anticristiana come già dai loro giorni cominciata.
S. Paolo dice: «Egli (l'iniquo) già lavora il mistero dell'iniquità: solamente che chi or lo rattiene, lo rattenga fino che sia levato di mezzo.» [7] E S. Giovanni chiaramente nelle citate parole: «È già l'ultima ora: chè come udiste che deve venir l'Anticristo, anche adesso molti sono divenuti anticristi e quindi intendiamo che è l'ultima ora.»[8] E di nuovo: «Questi è un Anticristo del quale avete udito che viene ed egli è già fin d'adesso nel mondo.» [9].
Gli esordî di questa ribellione debbonsi adunque porre dal tempo degli Apostoli. Lo spirito dell'Anticristo non appena si fu Cristo al mondo manifestato, cominciò ad adoperarsi nei suoi misteri. Questa ribellione è adunque in una parola la continua opera dello spirito di eresia che sin dal principio si è, col diffondersi della fede, infiltrato.
È evidente che S. Paolo e S. Giovanni applicavano questi termini ai Nicolaiti, agli Gnostici e ad altri siffatti. Le tre note dell'Anticristo, la scisma, l'eresia e la negazione della Incarnazione erano in loro manifeste. Possono esse applicarsi egualmente ai Sabelliani, agli Ariani, ai Semiariani, ai Monofisiti, ai Monoteliti, agli Eutichiani, ai Macedoniani. I principî sono i medesimi: vario ma solo accidentalmente n'è lo sviluppo. E così in tutto il corso dei 18 secoli dell'Era Cristiana ogni successiva eresia ha generato una scisma ed ogni scisma ha generato un'eresia e le scisme e l'eresie han tutte del pari negato la divina voce dello Spirito Santo che per mezzo della Chiesa continuamente parla: tutte sostituiscono del pari alla divina fede l'umana opinione, tutte incedono del pari con sicuro passo, sebbene altre più rapido, altre il muovan più lento, alla negazione della Incarnazione dell'eterno Figliuolo. Alcune da questa incominciano sin dal loro spuntare, altre per lunga e impreveduta trasmutazione, come è quella del protestantesimo nel razionalismo, in essa risolvonsi: son di tutte identici i principî, è dunque mestieri che sian di tutte identiche le conseguenze. Ogni età ha le sue eresie, come ogni articolo della fede ottiene, perchè negato, la sua definizione: e il corso di ogni eresia è misurato e periodico; materialmente vario, ma formalmente sempre il medesimo e nei principî e nelle sue operazioni: per modo che sin dalla prima altro non sono tutte le eresie che un continuo sviluppo, una continua espansione del «mistero d'iniquità» che di già lavoravasi.
Un altro fenomeno da osservarsi nell'istoria dell'eresia si è il potere ch'ella ha di organarsi e perpetuarsi, almeno sino a che in altra più sottile e ostil forma non si risolva. Così per esempio l'arianesimo rivaleggiò per estensione colla Cattolica Chiesa in Costantinopoli, in Lombardia, nella Spagna: il donatismo per numero eguagliò in Africa la Chiesa: superolla in Asia il nestorianismo: il maomettanismo, che punì ed assorbì la maggior parte delle sette che il precorsero, stabilì all'Oriente e al Mezzodì una militare anticristiana potenza, della quale non vide mai il mondo la più terribile, e il protestantesimo da ultimo si è organato in un vasto politico antagonismo contro la S. Sede non solo al Settentrione di Europa ma anche, per mezzo del suo governo e della sua diplomazia, nelle cattoliche contrade.
A questa sua potenza di espansione debbe aggiungersi la facoltà di una morbosa e nociva riproduzione. I fisiologi ci dicono esservi un ultimo anello che tutte le innumerevoli infermità, onde il corpo distruggesi, insieme collega. Sembra nondimeno che da ogni morbo per corrompimento e riproduzione una sua progenie rampolli. Così è appunto nell'istoria e nello svolgersi dell'eresia. Per non mentovarne altre lo gnosticismo, l'arianesimo e su tutte il protestantesimo hanno generato ciascuna una moltitudine di subordinate e affigliate eresie. Le tre note però che gl'ispirati scrittori ci assegnano, nel protestantesimo maggiormente campeggiano. Le altre eresie non hanno che una parte della cristiana fede, non hanno che un lato della Chiesa investito: il protestantesimo considerato nella sua istoria, (e noi riandando gli avvenimenti degli ultimi tre secoli possiam bene tal disamina istituire, prendendo a considerare la religione di Lutero, di Calvino e di Cranmer da un lato, il razionalismo e il panteismo d'Inghilterra e di Germania dall'altro) è l'eresia che su tutte più formalmente, più latamente, più adeguatamente il cristianesimo osteggia. Non dico io con ciò che il suo pieno sviluppo abbia esso raggiunto. Chè vedremo di poi avervi anzi ragioni per credere che d'un più sinistro avvenire sia esso fecondo; dico soltanto che da che «il mistero dell'iniquità lavorasi» niun altro nemico è andato tanto innanzi nello scalzare la fede del cristiano mondo.
Non pretendo io qui di scrivere un trattato intorno la facoltà riproduttiva del protestantesimo. Mi basta di stabilire alcuni fatti che sono da sè evidenti nella storia intellettuale dei tre ultimi secoli, che, cioè, il Socinianismo, il razionalismo e il panteismo sono legittimi rampolli dell'eresie di Lutero e di Calvino e che la protestante Inghilterra, il meno intellettuale, il meno logico fra i paesi protestanti presenta oggi aperto campo alla comunicazione ed alla riproduzione di siffatti errori.
Desidero solo che ben si rilevi come, per fare uso di moderna frase, il movimento dell'eresia sia sempre il medesimo fin dal suo principio: come gli gnostici fossero i protestanti del loro tempo e i protestanti siano gli gnostici del nostro, come siane identico il principio ma più esteso lo sviluppo, più dannoso il procedimento, come infine i trionfi del protestantesimo ogni dì più si accrescano rimanendo in esso sempre saldo, perchè in esso essenziale, l'odio della Cattolica Chiesa. Da codesto movimento due conseguenze ed operazioni derivansi cotanto strane e di tale importanza per quel che alla Chiesa si attiene che non posso in silenzio passarle.
La prima si è lo sviluppo e l'adorazione del principio di nazionalità, principio che trovasi sempre all'eresia congiunto. L'Incarnazione ogni distinzione di nazioni nella sfera della grazia abolì e la Chiesa tutte le assorbì nella soprannaturale sua unità. Una sola fonte di spiritual giurisdizione, una medesima divina voce strinse ed unì le volontà e le opere di una famiglia di nazioni. Più o meno tardi ogni eresia s'identifica per contrario nella nazione in cui sorge. L'eresia non può vivere che dalle civili autorità sostenuta e queste hanno innato il pretendere a nazionale indipendenza.
Questo movimento che è la chiave del così detto grande scisma di Occidente è pure il razionale principio della riforma: e gli ultimi tre secoli han dato uno sviluppo ed una intensità allo spirito di separato nazionalismo di cui altro non veggiamo per ora che i preludj. Non ho mestieri di far rilevare come questo nazionalismo sia per essenza scismatico, come è a vedersi non solo nella riforma anglicana, ma per non dir altro, nelle libertà gallicane eziandio e nelle contese del Portogallo in Europa e nell'India.
Questa conseguenza dell'eresia ho voluto io porre in rilievo solo perchè in essa una delle tre note che sopra ho accennato pienamente avverasi. Se l'eresia negl'individui dissolve l'unità dell'Incarnazione, dissolve nelle nazioni l'unità della Chiesa che sull'Incarnazione è fondata. Ed in ciò noi scorgiamo nelle parole di S. Girolamo un più vero, un più profondo senso di quello che egli stesso potesse prevedere. Non è la ribellione delle nazioni contro il romano impero, ma sì l'apostasia delle nazioni dal regno di Dio che fu sulle ruine di quello fondato. E questo processo di nazional defezione che cominciò primamente dalla riforma protestante segue il suo corso, come noi poscia vedremo, anche fra nazioni che serbano tuttora il nome di cattoliche: e la Chiesa va spogliandosi interamente del carattere ch'essa aveva nel medio evo, del carattere di madre delle nazioni e va tornando alla sua primitiva condizione di una società di membri sparsi fra i popoli e nelle città del mondo.
La seconda conseguenza che io accennai derivarsi dalle ultime opere dello spirito eretico è la deificazione dell'umanità. Questa conseguenza in due distinte forme ci si presenta nella filosofia panteistica e nella positiva, ossia nella religione del positivismo che è l'ultima aberrazione del Comte.
Sarebbe impossibil cosa dar qui un adeguato ragguaglio di questi due ultimi svolgimenti della incredulità: una tale esposizione importerebbe un trattato. Basterà di delineare alla meglio il contorno, per così dire, di queste due forme di anticristiana empietà.
Prenderò la descrizione del panteismo di Germania da due dei suoi moderni espositori nei quali può dirsi che abbia raggiunto il suo apice. Così adunque costoro ci dicono: «Prima del tempo in cui ebbe la creazione principio, possiamo immaginarci che una mente un'essenza o un pensiero infinito (chè queste tre cose in una risolvonsi) lo spazio universo riempisse. Questa essenza che è la sola che da sè esiste può dirsi la sola realtà assoluta: tutto il resto non può essere che uno sviluppo dell'Ente primo ed eterno... Questa primaria essenza non è... un'infinita sostanza avente le due proprietà dell'estensione e del pensiero ma sì è una mente infinita, che opera, che produce sè medesima dispiegando: è essa l'anima vivente del mondo.» ... «Se noi consideriamo le cose come uno sviluppo del primario ed assoluto principio di vita, di ragione, di essere, è evidente che noi possiamo e converso tracciare in ogni cosa che esiste le orme dell'assoluto e conseguentemente nelle operazioni della nostra mente ogni cosa figurarci come una peculiar fase della sua manifestazione.» ... «Nella pratica vita noi abbiamo tre diverse fasi: la prima si è quella in cui l'intelligenza attiva ci apparisce operante in uno stretto circuito, cioè in una singola mente. Questo è il principio d'individualità pel quale non deve mica intendersi che l'infinita intelligenza sia alcun che di diverso dalla finita o che abbiavi una infinita intelligenza dalla finita separata e distinta: l'individualità non è altro che l'assoluto in uno de' suoi particolari atti a quel modo che ogni singolo pensiero è un particolare atto di una singola mente. Ogni finita ragione non è adunque che un atto dell'infinita ed eterna.» L'essenza assoluta essendo così ogni cosa, vanisce [= svanisce N.d.R.] interamente ogni differenza fra l'universo e Dio e il panteismo è al suo apice. «Svolgendosi l'assoluto dall'infima alla più alta forma a seconda della necessaria legge ossia del ritmo del suo essere, il mondo universo materiale e mentale diviene una enorme catena di necessità cui niuna idea può annettersi di libera creazione [10].» E di nuovo. «La divinità è un procedimento di continue evoluzioni che mai non si compie: la divina coscienza e la progrediente coscienza dell'umanità sono assolutamente una medesima cosa. Vana è quindi la speranza dell'immortalità: chè la morte altro non è se non il ritorno dell'individuo nell'infinito e l'uomo vi si annichila benchè viva eternamente la divinità [11].» E finalmente: «La divinità è un eterno procedimento di manifestazioni nell'uomo avverantisi: la divina e l'umana coscienza essendo assolutamente la medesima cosa.» ... «La cognizione di Dio e delle sue manifestazioni forma il subbietto della teologia speculativa... Queste manifestazioni ci offrono tre grandi sfere di osservazioni, la natura, la mente, l'umanità. Nella natura noi veggiamo la divina idea nell'infima sua espressione, nella mente, colle sue potenze; colle sue facoltà, coi suoi sentimenti morali, colla sua libertà etc. noi la veggiamo in una forma più elevata e perfetta; nella umanità finalmente noi veggiamo Dio non solo come creatore e proteggitore, ma ancora come una guida ed un padre.» ... «L'anima è lo specchio perfetto dell'universo e a discoprire ogni vero di cui sia l'umanità capace, basta che in quello specchio si guardi: ciò che noi adunque di Dio conosciamo non altro può essere che quello che di lui alle nostre menti è stato originalmente rivelato [12].» Ho qui citato questi passi per dimostrare come il sistema subbiettivo del privato giudizio in un pretto razionalistico panteismo legittimamente risolvasi.
Terminerò con poche parole sul positivismo del Comte: e perchè non abbia a sembrare che io abbia o malamente interpretata o esageratamente colorita questa forma di aberrazione la descriverò colle parole del suo autore medesimo.
Descrive esso adunque da principio la filosofia positiva coi seguenti termini.
«Dall'esame dello sviluppo dell'umana intelligenza in tutte le sue forme, in tutti i tempi si scuopre facilmente una gran legge fondamentale alla quale è essa necessariamente soggetta e che ha solido fondamento di pruove sia nei fatti del nostro organismo, sia nella nostra istorica esperienza. Questa legge è, che ciascuna delle nostre principali concezioni, ciascun ramo del nostro sapere passa successivamente per tre diverse teoretiche condizioni: la teologica o fittizia, la metafisica o astratta, e la scientifica o positiva. In altri termini la mente umana è costretta per sua natura a seguire nei suoi progressi tre metodi di filosofare, il carattere dei quali è essenzialmente differente, ed anche radicalmente opposto, cioè il metodo teologico, il metafisico e il positivo. Nascono quindi tre sorta di filosofie o meglio tre generali sistemi di concezioni intorno la serie dei fenomeni, ciascuno dei quali è l'esclusione degli altri. Il primo è il punto necessario di partenza dell'umano intendimento, il terzo è lo stato ultimo, la finale stazione. Il secondo non è che un mero stato di transizione.
»Nello stato teologico la mente umana cercando la natura e l'essenza delle cose, le prime e finali cagioni (l'origine e lo scopo) di tutte le cose, cercando in somma l'assoluta cognizione, suppone che tutti i fenomeni vengan prodotti dall'immediata azione di enti soprannaturali.
»Nello stato metafisico, che non è se non una modificazione del primo, la mente invece di enti soprannaturali suppone forze astratte, vere entità (cioè astrazioni personificate) in tutte le cose inerenti e capaci di produrre tutti i fenomeni. Ciò che in questo periodo chiamasi spiegazione dei fenomeni non è se non un mero riportare ciascun fenomeno alla sua propria entità.
»Nello stato finale, nello stato positivo la mente abbandona le sue ricerche di assolute nozioni, dell'origine e della destinazione dell'universo, delle cagioni dei fenomeni e si applica allo studio delle loro leggi, cioè delle loro invariabili relazioni di successione e di simiglianza. Il raziocinio e l'osservazione bene insiem combinati sono i mezzi di siffatta cognizione. E ciò che ora intendesi per una spiegazione di fatti è semplicemente lo stabilire una connessione tra i singoli fenomeni ed alcuni fatti generali il numero dei quali continuamente diminuisce col progredire della scienza. [13]
Può scorgersi dal fin qui detto che la credenza in Dio è passata col primo e fittizio periodo dell'umana ragione. Nondimeno, dopo compiuta la sua filosofia, avvidesi il Comte della necessità di una religione. Quindi il catechismo della religione positiva che così comincia: «Nel nome del passato, e del futuro i servi della umanità, servi filosofi e pratici, si fanno innanzi a vendicare, come un loro diritto, la direzione generale del mondo. Loro scopo si è di stabilire finalmente una real providenza in tutti gli spartimenti del mondo, morale, intellettuale e materiale. Conseguentemente escludono essi una volta per sempre dalla politica supremazia tutti i varii servi di Dio, cattolici, protestanti o deisti, essendo tutti costoro al disotto dell'altezza del presente stato e però cagione di disturbo. [14]
Ma siccome non può esservi religione senza culto, nè culto senza Dio, e siccome nel positivismo non v'è Dio, così il Comte sentì il bisogno di trovare o di creare una divinità. Ora non essendovi nel positivismo un Dio, niun'essere può avervi per esso più dell'uomo elevato, nè veruno oggetto che sia più dell'umanità degno di culto: «Gli esseri immaginarî, che la religione provvisoriamente per ottenere i suoi varii fini produsse, ispiravano vivi affetti nell'uomo, affetti ch'eran poderosissimi anche nel meno elaborato di quei fittizî sistemi. L'immensa preparazione scientifica che dovette essere l'introduzione del positivismo sembrò per lungo tempo privarlo di siffatta pregevolissima attitudine. Quando questa filosofica iniziazione abbracciò il solo ordine del mondo materiale ed anche quando all'ordine degli esseri viventi si estese, potè sì rivelarci leggi pel nostro operare indispensabili, ma niuno oggetto potè offerirci cui potessero direttamente rivolgersi durevoli e costanti affezioni. Questo stato di cose si è però terminato dopo il compimento della nostra gradual preparazione che si è ottenuto colla introduzione dello studio speciale dell'ordine dell'esistenza dell'uomo, sia considerato nell'individuo, sia nella società. Questo è l'ultimo stadio nello sviluppo dell'umana intelligenza. Ora noi possiamo condensare tutto l'insieme delle nostre concezioni positive in una singola idea di un immenso ed eterno essere. Questo essere è l'umanità, destinata da sociologiche leggi ad un costante sviluppo sotto la preponderante influenza di biologiche e cosmologiche necessità.
«Questo è veramente il grande Ente da cui l'uomo sia come individuo, sia come società dipende come dal primo motore della sua esistenza: questo diviene il centro delle nostre affezioni, le quali in esso riposano con impulso spontaneo, come i nostri pensieri, come le nostre azioni. Questo essere, suggerisce ad un tratto, alla sua sola idea, la sagra formola del positivismo; — Amore come nostro principio, ordine come nostra base, progresso come nostro fine. La sua piena esistenza si rinviene sempre nella libera concorrenza delle indipendenti volontà. Ogni discordia tende a dissolvere questa esistenza, la quale giusta la sua medesima nozione, sancisce il predominio del cuore sull'intelletto come la sola base della nostra vera unità. L'intero ordine di tutte le cose trova quindi la sua espressione nell'essere che studia sè medesimo e che tende sempre alla sua maggior perfezione. La lotta dell'umanità contro le unite influenze delle varie necessità cui è costretta di obbedire, nel crescere ch'ella fa in energia e in trionfi, offre al cuore non meno che all'intelletto un oggetto di contemplazione che è ben superiore alla capricciosa onnipotenza del suo teologico precursore, capriccioso per la forza medesima della parola onnipotenza. Questo supremo essere risponde assai meglio ai nostri sentimenti e alle nostre idee perocchè è per natura identico coi suoi servi al tempo medesimo che è loro superiore.
«Si può definire l'umanità, l'aggregato degli umani esseri passati, presenti e futuri. La parola aggregato indica chiaramente che non debba esso desumersi da tutti gli uomini ma da quelli solamente che sono veramente capaci di assimilazione in virtù di una real loro cooperazione nel procacciare il comun bene. Tutti sono necessariamente nati figli dell'Umanità, ma non tutti ne divengon servi. Molti rimangono in uno stato parassito, scusabile durante la loro educazione, ma al terminarsi di questa biasimevole. I tempi di anarchia producono in copia tali creature e le rendono ancora capaci di sviluppo, albenchè esse non siano, amara verità, se non un peso del vero grande essere [15]
Può osservarsi che tanto il panteismo quanto il positivismo si risolvono del pari nella deificazione dell'uomo: essi sono un infinito egoismo ed un'apoteosi dell'umano orgoglio.
Non mi trattengo più a lungo su questo punto; ne fo solamente menzione perchè dovrò poi farvi alcune allusioni.
Compendierò ora brevemente quanto ho sin qui detto.
Noi abbiam visto che prima della manifestazione dell'ultimo grande antagonista di Dio e del suo incarnato Figliuolo deve accadere una ribellione e una scisma, abbiam visto che l'autorità contro la quale deve accadere questa ribellione è manifestamente l'autorità della Chiesa di Dio e che questa ribellione deve avere le tre note di scisma, di eresia e di negazione del mistero della Incarnazione: abbiam visto eziandio che questo movimento anticristiano iniziavasi già dal tempo degli Apostoli: che sin da quell'epoca in più forme e in più tempi e con i più diversi e anche contradittorî svolgimenti si è sviluppato conservandosi però sempre il medesimo, sempre identico in principio, sempre eguale nell'antagonismo contro la Chiesa e contro l'Incarnazione. Questo movimento ha evidentemente accumulato tutti i risultamenti che ha di età in età ottenuto ed è oggi assai più maturo, più elevata altezza ha raggiunto, maggior potere acquistato e tal formale antagonismo contro la Chiesa e la fede spiegato quale non si è mai visto per lo innanzi. Esso si è accattivato l'orgoglio dei governi col nazionalismo, degl'individui col filosofismo, e sotto le forme di protestantesimo, d'incivilimento, di secolarismo ha organato un vasto potere anticattolico nell'Oriente, nel Settentrione e nell'Occidente di Europa. Per quel che in fatto ci si addimostra, i cattolici e gli anticattolici, mi spaventa anzi il dovere aggiugnere, i cristiani e gl'anticristiani formano le due schiere nemiche. E questo si è uno degl'intendimenti che io ho di mira nel trattare di questo subbietto: chè io son convinto che le moltitudini vengon sospinte, non conoscendo ove vanno, da un movimento che per essenza alle migliori e più profonde loro convinzioni si oppone, e se ne lascian sospingere perchè non son capaci di discernerne l'ultimo carattere.
L'istinto anticristiano può ben ravvisarsi nel presente impeto della popolare opinione di Europa contro la S. Sede e contro il Vicario di Gesù Cristo. Le rivoluzioni italiane spalleggiate dallo spirito anticattolico del continente e dalla politica d'Inghilterra vanno dando adempimento alle profezie e la nostra fede confermano. Spero di dimostrare in breve con maggiore sviluppo questa mia asserzione. Pare inevitabile che l'ostilità di tutte le nazioni separatesi dalla cattolica unità e penetrate dallo spirito della riforma, dallo spirito cioè del privato giudizio che alla divina voce della Chiesa vivente si oppone o dalla incredulità che ha bandito l'eucaristica presenza del Verbo Incarnato, debba tutta concentrarsi contro la persona che è il Vicario e il rappresentante di Gesù, contro il Corpo che solo confessa la divina Incarnazione e tutti i suoi misteri di verità o di grazia. Questo Corpo è la sola Santa Cattolica e Romana Chiesa, questa persona è il Supremo Pontefice, è il suo visibile capo. Tali sono, giusta le parole della S. Scrittura i due misteri della santità e dell'iniquità. Tutto concorre oggi a mettere in maggior luce la natura dei due ultimi poteri che si dividono i destini degli uomini. La lotta non è che un antagonismo fra Cristo e Anticristo, e le due schiere si avanzano in ordine e gli uomini vanno scegliendo i loro principî o meglio gli avvenimenti scelgon per loro, ed essi senza saperlo vengon trascinati in mezzo a correnti di cui nemmeno han sospetto. La teoria che la politica e la Religione hanno due sfere distinte è un'illusione, un agguato. Chè l'istoria non può veramente studiarsi che alla luce della fede e il presente non può interpretarsi che colla luce della rivelazione. Perocchè sopra le umane volontà che sono oggi in lotta vi è una volontà sovrana e divina che tutte le cose conduce all'adempimento del suo perfettissimo fine.
[CONTINUA]
 

Card. E. Manning: LA LOTTA PERPETUA DEL VICARIO DI GESÙ CRISTO

DISCORSO I
DISCORSO II
DISCORSO III
DISCORSO IV

NOTE:

[*] Cfr. Henry Edward Manning, The temporal power of the Vicar of Jesus Christ (second Edition, with a Preface), London 1862 pag. 79-173.
[1] II Thess. II. 3. e segg.
[2] S. Hier. Ep. ad Algasiam.
[3] I. loan. II. 18. 19.
[4] Iudae 19.
[5] I. Ioan. IV. 2. 3.
[6] I. loan. II. 17.
[7] II. Thess. II. 7.
[8] I. loan. II. 18.
[9] I. Ioan. IV. 3.
[10] Vedi il ragguaglio della scuola Germanica, Schelling, Hegel e Hillebrand nella istoria della filosofia moderna di Morell. vol. II, pp. 126-147.
[11] Ragguaglio della scuola Germanica ecc. p. 196.
[12] Ivi p. 225.
[13] Filosofia positiva. Vol. I. c. 1.
[14] Catechismo della Religione positiva. - Prefazione.
[15] Catechismo della Religione positiva pp. 63, 74.