In questo quarto ed ultimo capitolo della serie di articoli intitolati "quello strano 1859", si vedranno nel dettaglio le vicende che seguirono l'abbandono degli Stati Sardi da parte delle truppe Austriache , l'invasione del Regno Lombardo-Veneto da parte delle truppe Alleate , e la reazione popolare agli eventi, fino all'armistizio di Villafranca dell'11-12 Luglio 1859, e le sue conseguenze.
Truppe Francesi del IV° Corpo d'armata.
La 2ª divisione del generale Joseph Vinoy, appartenente al IV Corpo dell'armata francese, raggiunse il Piemonte attraverso il valico del Moncenisio, il 5 maggio 1859, mentre il 14 maggio 1859 Napoleone III, partito il 10 maggio da Parigi e sbarcato il 12 a Genova, raggiunse il campo Sardo-Piemontese di Alessandria per assumere il comando dell'esercito alleato(Franco-Piemontese).
Intanto già a partire dal 10 Maggio Gyulai invertì ordine di marcia e si ritirò oltre il Sesia e poi verso la Lombardia: un ordine espresso da Vienna, infatti, gli aveva suggerito che "il miglior teatro di operazioni è il Mincio", lì dove gli Austriaci avevano, appena 11 anni prima, domato l'avanzata piemontese e salvato il popolo Lombardo-Veneto. Così facendo, tuttavia, gli austriaci rinunciavano a battere separatamente piemontesi e francesi, e consentivano il ricongiungimento dei due eserciti. Il comando austriaco, inoltre, operava una totale inversione strategica, che difficilmente può essere spiegata senza ipotizzare un complotto direttamente orchestrato dai circoli rivoluzionari liberali di Vienna che fin dal 1848 operavano all'interno del governo: infatti , anche il Conte Teodoro Bayard De Volo , ministro di Francesco V D'Asburgo-Este residente a Vienna, riportò come il partito rivoluzionario Viennese si imbaldanziva nel constatare lo svolgersi del conflitto. Certamente non ne fu responsabile Gyulai, al quale, semmai, può essere rimproverata una certa debolezza nell'azione, e un estrema serietà nello svolgere la sua funzione.
Ferencz József Gyulai von Maros-Nemeth und Nadaska
Mentre l'esercito Imperial-Regio riceveva ordine di ripiegare oltre il Ticino, i Francesi congiunti all'esercito Sardo-Piemontese avanzavano nella stessa direzione. La battaglia di Montebello e la battaglia(scaramuccia) di Palestro, furono eventi bellici pressochè senza esito decisivo, e il 2 Giugno 1859 i Francesi varcarono il Ticino , essi assicurarono il passaggio battendo la retroguardia Austriaca nella battaglia di Turbigo. Gyulai aveva concentrato le proprie forze nei pressi della cittadina di Magenta in attesa del nemico che incalzava le sue truppe alle spalle.
L'Imperial Regio Esercito nel 1859
A questo punto mi vorrei soffermare sull'esercito Imperial Regio: nel 1859 l'esercito Imperiale-Regio era composto da 62 Reggimenti di Fanteria, di cui 10 composti interamente da Lombardo-Veneti; 25 Battaglioni di Kaiserjäger di cui 5 composti interamente da Lombardo-Veneti; 8 Reggimenti di Cavalleria di cui 1 composto interamente da Lombardo-Veneti.
La precisazione sulla reale composizione dell'esercito Imperial Regio è essenziali per capire chi erano veramente quei valorosi soldati e soprattutto da dove venivano. Infatti ,si è potuto constatare che molti Reggimenti erano composti interamente da soldati "Italiani" , e non solo dai Croati che la leggenda Risorgimentale ci ha fatto credere per un secolo e mezzo, e che ancora oggi cerca di indottrinarci con simili menzogne. E' stato scritto dai soliti scrittori apologetici convinti, a torto, della bontà del processo risorgimentale, che gli "Italiani" che hanno combattuto nell'esercito austriaco furono obbligati con la forza, addirittura alcuni hanno avuto il coraggio di affermare che durante le battaglie questi Reggimenti venissero minacciati col fucile alle spalle per combattere! Tutto ciò è falsissimo, e ce ne dà un assaggio il comportamento tenuto dalla popolazione Lombardo-Veneta al momento dell'entrata in guerra ed ancora di più dopo l'invasione dell'esercito così detto "liberatore".
Truppe dell'Esercito Imperial-Regio escono da Porta Venezia, a Milano, fra due ali di popolo tripudiante, per andare a combattere i franco-piemontesi. Illustrirte Zeitung, 21 maggio 1859.
Si è sempre, e fin troppo, parlato della fantomatica affluenza di volontari che volevano combattere sotto la bandiera tricolore. Sapendo dalla terza parte che tipo di volontari fossero, lasciatemi precisare che furono una sparuta quantità, mentre migliaia di Lombardi, Veneti, Friulani, Triestini, Trentini, ecc..., corsero ad arruolarsi volontari sotto le bandiere Asburgiche! Si ricordino ad esempio il 45° Reggimento Arciduca Sigismondo reclutato a Verona che combatté con onore e fedeltà a Palestro e Magenta, guadagnando 31 medaglie al valore; oppure il 16° Reggimento composto da reclute di Treviso e Vicenza, che si guadagnò nelle battaglie di Solferino e San Martino ben 27 medaglie al valore meritando anche una menzione onorifica sul bollettino di guerra; o ancora il 22° Reggimento reclutato a Trieste che si comportò meglio di tutti combattendo per tutta la campagna. Si ricordano inoltre il 44° Reggimento Arciduca Albero reclutato a Milano; Reggimento n. 13 Wimpfen, con distretto d’arruolamento Padova e Venezia; Regg.to n. 16 Conte Zannini, Vicenza e Treviso; Regg.to n. 26 Ferdinando d’Este, Udine; Regg.to n. 38 Haugwitz, misto di bresciani, mantovani e veronesi; Regg.to n. 23 Ceccopieri; Regg.to n. 43 Geppert, Como; e i volontari che componevano il Battaglione dei Cacciatori della Carnia e del Litorale(dal Polesine all'Istria), e una compagnia di fucilieri che veniva dalla città di Fiume. Nessun soldato disertò da parte Austriaca nella campagna del 1859.
Kaiserjäger
Le Battaglie cruciali del Conflitto
La mattina del 4 Giugno 1859 il generale Mac Mahon divise le sue truppe in due colonne dirigendo la Seconda Divisione guidata dal generale Espinasse verso Marcallo con Casone e la Prima Divisione di De La Moutterouge verso Boffalora sopra Ticino. Intanto le truppe austriache tardavano ad arrivare ed il generale austriaco Clam-Gallas dispose le sue forze a triangolo con i vertici a Magenta, Marcallo e Boffalora.
Patrice de Mac-Mahon
Non appena Napoleone III sentì tuonare il cannone, dal suo osservatorio nella torre di San Martino di Trecate, convinto che l'attacco di Mac Mahon fosse in atto, ordinò alle truppe in attesa presso il Ticino di muoversi verso i ponti del Naviglio di Boffalora, Ponte Vecchio e Ponte Nuovo. Gli austriaci fecero saltare i primi due; il ponte della dogana con quello della ferrovia, poco più a valle, rimasero così l'unico passaggio per raggiungere la sponda sinistra del canale. Ma Mac Mahon era fermo in attesa di coordinare i movimenti delle sue colonne e il III° Corpo d'Armata francese tardava a giungere da Novara sul campo di battaglia, perché troppo preso a saccheggiare e requisire e continuamente sabotato dalla popolazione locale.
Cominciava, intanto, ad arrivare da Abbiategrasso il grosso delle truppe austriache il cui ingresso in linea rense la situazione critica per i francesi a tal punto che a Vienna venne inviato un telegramma che annunciava una schiacciante vittoria. Dopo accaniti combattimenti dall'esito incerto i francesi riescono a passare sul Ponte Nuovo solo quando gli austriaci, minacciati sul fianco destro da Mac Mahon, che ha risposto all'attacco a Boffalora, si ritirano attestandosi a Magenta. Nei combattimenti cade il generale francese Cler.
La battaglia in una mappa militare del 1859
La voglia di protagonismo dei comandanti austriaci giocò un ruolo importantissimo per l'esito della battagli, essi infatti volevano emergere singolarmente tanto da dimenticarsi che in battaglia, e sopratutto in una battaglia contro un esercito come quello Francese, la collaborazione è vitale. La battaglia divampò anche attorno alla stazione ferroviaria di Magenta; gli austriaci si ritirano nelle abitazioni civili offerte dagli stessi cittadini cercando di difendere il territorio metro a metro. Il generale Espinasse venne colpito nei pressi di Casa Giacobbe, ma la sua colonna e quella di Mac Mahon, con una manovra "a tenaglia", attaccarono il nemico trincerato nella cittadina. Verso sera i bersaglieri della Divisione del generale Fanti giunsero praticamente a battaglia finita per coprire il lato sinistro degli alleati. Gyulaj decise di proseguire con l'ordine di ritirata meditando su un contrattacco che non avverrà. Alla sera del 4 giugno, dopo la battaglia, l'imperatore Napoleone III nominò Mac Mahon Maresciallo di Francia e , senza alcun diritto, Duca di Magenta. L'8 giugno gli alleati con Vittorio Emanuele II e l'imperatore francese entrano vincitori in Milano, sfilando sotto l'Arco della Pace in corso Sempione con il popolo milanese demoralizzato e chiuso in casa.
Episodio della battaglia di Magenta.
Le truppe Alleate entrano in Milano (7-8 Giugno 1859).
L'Esercito Alleato
L'esercito Alleato era composto da 120.000 Francesi e 60.000 Sardo-Piemontesi: bisogna notare che su 120.000 Francesi solo una piccola parte era davvero Francese; infatti la maggior parte dei soldati di Napoleone III° erano Algerini e Tunisini, erano soldati appartenenti per lo più ai Reggimenti Zuavi, mancavano nettamente di disciplina e si davano al saccheggio più sfrenato sulle case dei civili che incontravano . Essi parlavano molto poco Francese e molto spesso Arabo. Il popolo Lombardo si vide invaso da un orda di sciacalli vestiti in modo stravagante e che parlava una lingua a dir poco particolare: molti erano gli omicidi perpetrati per le requisizioni forzate da questi soldati di ventura e molte furono anche le violenze su donne e bambini . Questi soldati , se così si possono definire , entravano impunemente nelle case e rubavano qualsiasi oggetto di valore. Molte Chiese furono violate , saccheggiate e date alle fiamme, e ne Mac Mahon ne tanto meno Napoleone III° fecero molto per trattenere l'indisciplinata truppa.
L'esercito Alleato fu già in territorio Piemontese oggetto di sabotaggi da parte della popolazione: vennero allagate più volte le risaie per rallentarne l'avanzata , si manifestò vivacemente il malcontento verso la truppa Alleata in vari paesi , sia in Piemonte, e in misura maggiore in Lombardia. La gente si chiudeva dentro casa gettando addirittura la mobilia dalle finestre sui soldati Franco-Piemontesi che spesso e volentieri rispondevano a suon di fucilate. Nella Milano invasa dagli alleati l'accoglienza fu fredda , molti erano quelli fuggiti dalla città, molti altri quelli barricati in casa, e pochissimi quelli che accoglievano festosamente gli invasori. Nelle prime province Lombarde occupate dagli Alleati si cominciò a tassare il popolo con dazi esorbitanti: con il governo Asburgico il popolo Lombardo pagava 11 Lire di tasse, con quello Sabaudo arrivarono a 33 Lire! Il mal contento dilagava ovunque nelle zone occupate e le sommosse non si fecero attendere , anche se esse furono letteralmente soffocate sul nascere con fucilazioni . Molti contadini fuggirono dalle zone occupate verso l'esercito austriaco per arruolarsi e combattere l'orda nemica.
L'esercito Alleato fu già in territorio Piemontese oggetto di sabotaggi da parte della popolazione: vennero allagate più volte le risaie per rallentarne l'avanzata , si manifestò vivacemente il malcontento verso la truppa Alleata in vari paesi , sia in Piemonte, e in misura maggiore in Lombardia. La gente si chiudeva dentro casa gettando addirittura la mobilia dalle finestre sui soldati Franco-Piemontesi che spesso e volentieri rispondevano a suon di fucilate. Nella Milano invasa dagli alleati l'accoglienza fu fredda , molti erano quelli fuggiti dalla città, molti altri quelli barricati in casa, e pochissimi quelli che accoglievano festosamente gli invasori. Nelle prime province Lombarde occupate dagli Alleati si cominciò a tassare il popolo con dazi esorbitanti: con il governo Asburgico il popolo Lombardo pagava 11 Lire di tasse, con quello Sabaudo arrivarono a 33 Lire! Il mal contento dilagava ovunque nelle zone occupate e le sommosse non si fecero attendere , anche se esse furono letteralmente soffocate sul nascere con fucilazioni . Molti contadini fuggirono dalle zone occupate verso l'esercito austriaco per arruolarsi e combattere l'orda nemica.
Le Battaglie di "sfondo"
Mentre Napoleone III° e Vittorio Emanuele II° entravano in Milano accolti da un silenzio surreale spezzato solamente dalle acclamazioni di collaborazionisti e pochi illusi, con due scontri organizzati a Melegnano, il Bonaparte si proponeva in primo luogo di impedire alle truppe imperiali di conservare una delle principali piazzeforti militari nelle vicinanze di Milano, oltre che di indurre gli austriaci a ritenere che i franco-piemontesi avessero intenzione di portarsi a nord della Lombardia, chiudendo i fronti di Como e Lecco (mentre Napoleone III si dirigerà direttamente su Brescia occupandola).
Episodio della Battaglia di Melegnano
I delicati preparativi che erano stati svolti , vennero però in gran parte disattesi da ambo le parti a causa dei molti eventi che mutarono il corso della vicenda bellica, a partire dalla quasi estraneità del generale Mac Mahon che era rimasto bloccato dal terreno fangoso e dalle risaie allagate di proposito dai contadini che avevano rallentato la marcia delle sue colonne; il protagonista della battaglia risultò quindi il Generale francese Baraguey d’Hilliers che si preoccupò di condurre personalmente le operazioni di occupazione del borgo. Nel tentativo di resistere ad un attacco francese che si proponeva ad ogni modo di notevoli dimensioni, il Feldmaresciallo von Berger, comandante in campo delle armate austriache nel corso delle operazioni, aveva predisposto la fortificazione di luoghi strategici come il cimitero di Melegnano, la cui strada venne serrata con un lungo fossato scavato dagli austriaci (e dagli abitanti che li aiutarono volontariamente), i quali presero posizione nelle abitazioni circostanti offerte spontaneamente dalla popolazione , in cui ricavarono numerose feritoie; opera di rilievo fu sicuramente la costruzione di un ampio spiazzo per accogliere i pesanti cannoni in dotazione all'armata imperiale.
Le truppe della brigata austriaca "Roden" erano state posizionate all’interno della cittadella e attorno alle 17.00 le vedette della cavalleria austriaca, spintesi sino a Zivido, segnalarono la presenza delle truppe francesi presso la vicina cittadina di San Giuliano Milanese.
I francesi, sconfitte le prime piccole resistenze austriache, al comando del Generale Achille Bazaine, procedettero sulla strada per Milano sino alle 18.00 quando giunsero a circa 1 km dalla città di Melegnano. L'aiuto non venne fornito dal Mac Mahon (che proveniva dagli scontri di Magenta, quindi dall'area Ovest della Lombardia ), perché come si è detto era rimasto impantanato nel fango delle campagne dovuto all'operato dei contadini che avevano allagato campi e risaie nei giorni precedenti, il quale comunque tentò ogni mossa possibile per tentare perlomeno di arrecare man forte ai francesi a Melegnano in forma di alcuni pezzi di artiglieria estratti a fatica dai campi allagati e infangati attraverso l'uso di buoi e cavalli, ma senza successo. Contemporaneamente sul fronte opposto, il Generale Neil attendeva da Mac Mahon il segnale d'inizio dell'attacco, che però non poté essere mai dato.
Alle 18.00 iniziò ufficialmente l'attacco della fanteria dal momento che il Generale Baraguey d’Hilliers aveva ritenuto inutile bombardare a cannonate la città nella speranza che il nemico si arrendesse, concentrato essenzialmente sulle piazzeforti dell'artiglieria sulla strada conducente a Milano. Dopo mezz’ora circa di attacco a fucili, la divisione Bazaine iniziò l'assalto alla baionetta nel tentativo di espugnare il borgo.
Le truppe austriache erano a questo punto della battaglia concentrate essenzialmente sulla riva destra del fiume Lambro, mentre l’avanguardia francese procedeva faticosamente verso il borgo di Melegnano. Il cimitero di Melegnano (che un tempo sorgeva nel luogo oggi occupato dall'Ossario eretto a ricordo della battaglia del 1859) era ubicato fuori dalle mura cittadine e si presentava come un grande quadrilatero recintato da un alto muro di mattoni coperto all'esterno, lungo la strada principale, da lapidi di colore nero. Vistisi in difficoltà, gli austriaci (come del resto era accaduto per Magenta) si erano barricati entro le mura del camposanto con l'11º Reggimento "Principe di Sassonia" e con una compagnia di Cacciatori dell'Imperatore che puntavano i loro fucili all'esterno, contro gli zuavi del 33º reggimento fanteria di linea(i soliti Algerini e Tunisini), comandati dal colonnello Borda. L'attacco francese, fece fallire per puro caso ben due volte i tentativi di sortita degli austriaci, che dovettero ritirarsi dopo solo mezz'ora di combattimenti a causa della loro esigua consistenza , e delle troppe perdite . Anche le perdite francesi furono pesantissime sia tra la truppa che tra gli ufficiali. Al termine di questi scontri, gli austriaci vennero ripiegarono verso Lodi ove accentrare le difese. L'esito infruttuoso della battaglia per l'esercito austriaco è dovuto per lo più ,e come si e visto già per gli scontri precedenti, dalla scarsa capacita collaborativa dei comandanti Imperiali, e nella fattispecie nel caso di Melegnano delle incertezze tattiche del comandante von Berger, e dagli ordini confusi che egli ricevette dal Quartier Generale.
Dopo gli scontri di Magenta e Melegnano le truppe alleate presero possesso di ogni comune e centro abitato che incontravano, appoggiati dai pochi collaborazionisti istauravano governi provvisori liberali , tassando la popolazione residente. Si obbligarono gli uomini dai 18 ai 40 anni a prestare servizio militare , anche ai molti che lo avevano già fatto sotto il governo Imperiale. Le uniche opposizioni che essi trovarono furono date dallo stesso popolo e dalla poca gendarmeria locale rimasta, ma essi poterono poco contro un esercito regolare tra i più potenti d'Europa (esercito Francese). Dal 9 al 24 Giugno 1859 l'esercitò alleato passo il tempo quasi esclusivamente a saccheggiare e requisire , mentre l'esercito Imperial-Regio avanzava verso la zona del Mincio.
Le fasi finali del conflitto
Il 16 Giugno 1859 Francesco Giuseppe I D'Asburgo-Lorena ordinò al Gyulai di dimettersi prendendo personalmente il comando delle operazioni militari, anche se la scelta dell'Imperatore fu senza dubbio avventata, egli era si esperto militare , ma non abbastanza per prendere in mano una situazione tanto delicata.
Francesco Giuseppe I D'Asburgo-Lorena
Alle ore 3.00 del 24 giugno il IV Corpo d'armata francese si mise in marcia dall'accampamento di Carpenedolo per occupare, secondo gli ordini ricevuti, il villaggio di Guidizzolo, transitando per l'abitato di Medole.
Dopo aver fatto battere la Diana alle 2.30, il comandante Niel dispose che venisse distribuito solamente del caffè alla truppa, rimandando il rancio al raggiungimento degli obiettivi assegnati, in modo da poterlo consumare con maggiore comodità e tranquillità.
Nelle aspettative dello stato maggiore franco-sardo, doveva trattarsi di una tranquilla tappa di avvicinamento alle rive del Mincio, ove era prevista la battaglia decisiva il 29 o il 30 giugno.
Giunto a circa 2 km da Medole, in località Rassica, uno squadrone francese dell'11º reggimento dei Cacciatori a cavallo, in avanguardia, venne intercettato da uno squadrone austriaco del 12º reggimento Ulani "Francesco II - Re delle due Sicilie", in ricognizione. Ne seguì un tafferuglio all'arma bianca (dove ebbero la peggio i comandanti dei due drappelli) che terminò ben presto, al sopraggiungere della fanteria francese, con la ritirata strategica degli Ulani .
Grande era stata la sorpresa, per entrambe le formazioni di cavalleggeri, nell'incontrare il nemico così lontano dalle posizioni ove si presumeva fosse accampato, ma ancor maggiore fu lo stupore dei francesi che, inseguendo gli Ulani, furono costretti ad una rapida ritirata, trovandosi improvvisamente esposti al fuoco della fucileria e dell'artiglieria del 52º reggimento di linea "Arciduca Francesco Carlo", principalmente composto da milizie Lombardo-Venete, destate dal baccano e fortemente attestate nell'abitato di Medole.
Seguendo le previsioni di entrambi gli stati maggiori avversari, questo fatto d'armi doveva essere considerato un irrilevante scontro di avanguardie in ricognizione, stimando il grosso degli eserciti nemici ancora ben lontani dal contatto.
Tale fu la valutazione del generale Blumencron che, avvertito dello scontro nella sua dimora di Guidizzolo, neppure si prese la briga di svegliare il comandante della divisione, generale Crenneville, limitandosi ad organizzare una ricognizione a cavallo, per rendersi conto di persona della situazione, solamente dopo aver ricevuto un secondo messaggio dal maggiore Urs, comandante la piazzaforte di Medole.
Il generale Niel, invece, pur non immaginando che il proprio ordine avrebbe segnato l'inizio di una delle più grandi e sanguinose battaglie della storia, capì subito l'importanza strategica dell'abitato di Medole e decise di conquistarlo senza indugi. La strana presenza di un intero reggimento austriaco, supportato da reparti di cavalleria e pezzi d'artiglieria, aveva fortemente allarmato l'esperto militare francese che, senza chiedere né attendere ordini superiori, comandò un immediato attacco in forze, lanciando un'intera divisione.
Erano le ore 4 del 24 giugno 1859 e la "battaglia di Solferino e San Martino" aveva inizio, nella totale inconsapevolezza di Napoleone III, Vittorio Emanuele II, Francesco Giuseppe e dei loro stati maggiori che, nei rispettivi palazzi di Montichiari, Lonato e Volta Mantovana, ancora dormivano sonni tranquilli.
Il rullo dei tamburi seguì immediatamente l'ordine di Niel e un reparto della 1ª divisione di fanteria, del generale De Luzy, si dispose su due colonne attaccando il villaggio da nord e da ovest, preceduto da un nutrito fuoco di copertura dell'artiglieria.
Ben presto la prima linea di difesa, ancora disorganizzata per poter reggere un simile impatto, venne travolta, ma gli austriaci ripiegarono ordinatamente verso le case di Medole che offrivano un riparo più sicuro, così arrestando l'avanzata dei fanti francesi.
L'8º reggimento di fanteria, guidato del tenente colonnello Ernest De Neuchèze, si lanciò all'assalto dell'abitato. I combattimenti proseguirono casa per casa e gli austriaci resistettero tenacemente alla pressione francese, fino a quando il generale Blumencron, tradivamente giunto in ricognizione , ordinò al maggiore Urs di ripiegare con il 52º reggimento , pensando di poter riprendere Medole con l'azione di imponenti forze che già erano in marcia da Guidizzolo, richiamate dai colpi di cannone.
Alle 6 del mattino, dopo aver spento a cannonate l'ultimo focolaio di resistenza dei cecchini, posti sulla chiesa e sul campanile di San Rocco a proteggere la ritirata del 52º reggimento, Medole, con rammarico della popolazione ancora presente, era sotto il totale controllo del IV Corpo d'armata francese.
Mentre i muli e i carri di servizio raccoglievano le centinaia di feriti ed accatastavano il centinaio di cadaveri austriaci e gli altrettanti francesi nella piazza principale, uno dei palazzi nobiliari veniva requisito e messo a disposizione per insediare la prima delle innumerevoli ambulanze improvvisate della battaglia di Solferino e San Martino che avrebbero ispirato l'idea della Croce Rossa a Henri Dunant, giunto nella zona in quella giornata.
Nel frattempo, senza attardarsi in festeggiamenti o bilanci, il generale Niel si era precipitato al limitare sud-est dell'abitato per febbrilmente mettere in batteria una decina di cannoni, rivolti sulla strada proveniente da Guidizzolo. La prima colonna austriaca apparve dopo pochi minuti e venne accolta con un furibondo fuoco d'artiglieria che, senza essere stato preventivamente regolato da tiri di aggiustamento, risultò scarsamente efficace, ma impressionò egualmente i comandanti austriaci per intensità e gittata, convincendoli ad attendere i rinforzi, prima di portare l'attacco. Era esattamente ciò che Niel sperava: avere mezz'ora di tregua per realizzare gli apprestamenti ed organizzare la tattica difensiva.
Perduta quell'iniziale occasione di contrattacco, gli austriaci tentarono di riprendere il centro strategico di Medole con numerosi assalti, impegnando il III, il IX e l'XI corpi d'armata, forti di circa 50.000 uomini, 2.000 cavalli e 170 cannoni, concentrati nell'abitato di Guidizzolo e nelle sue vicinanze.
Il IV Corpo d'armata francese, con circa 25.000 uomini, 1.000 cavalli e 60 cannoni resse l'impatto all'limite, subendo severe perdite ma riuscendo, con una serie di azioni combinate di artiglieria, fanteria e cavalleria a mantenere il nemico sulle proprie posizioni.
Verso le 16, dopo aver ricevuto protezione sulla propria ala destra, per il sopraggiungere della divisione del generale Bourbaki, gli attacchi di Niel poterono essere portati con maggiore profondità e, occuparono Guidizzolo poco prima delle 19, in seguito all'ordine di ritirata inviato dall'imperatore austriaco.
Alla termine dei combattimenti, il IV Corpo d'armata di Niel dovette registrare il triste primato della maggior percentuale di perdite, rispetto a tutti i corpi d'armata francesi, sardi e austriaci che avevano partecipato alla battaglia di Solferino e San Martino, con circa 5.000 uomini fuori combattimento. È da aggiungere, però, che aveva causato il doppio di perdite nelle file dei tre corpi d'armata austriaci contro i quali si era battuto.
Intorno alle 4,30 del mattino le avanguardie del I Corpo d'Armata francese, comandato dal maresciallo Baraguey d'Hilliers, presero contatto con le truppe austriache del V Corpo d'Armata, guidato dal feldmaresciallo Stadion, nei pressi di Grole in territorio di Castiglione delle Stiviere.
Contemporaneamente il II Corpo d'Armata francese, comandato dal maresciallo Patrice de Mac-Mahon incontrava reparti austroungarici, posti a difesa del borgo di Ca' Morino, nel territorio di Medole.
Strappata Solferino al V Corpo d'Armata di Stadion nel primo pomeriggio, lo schieramento francese proseguì per conquistare Cavriana, dove incontrò una resistenza altrettanto tenace, operata dal I Corpo d'Armata austriaco del feldmaresciallo Clam-Gallas. L'entrata in combattimento di forze fresche, verso le ore 15, costituite dal III Corpo d'Armata francese del generale Canrobert, consentì di occupare Cavriana poco prima delle 18.
Il primo reparto sardo a prendere contatto con gli austriaci fu la 29ª Compagnia Bersaglieri, guidata dal giovane tenente colonnello Raffaele Cadorna, che precedeva l'avanguardia della 5ª Divisione "Cucchiari", diretta a Pozzolengo. Si trattò della scintilla che diede inizio, alle 7 del mattino, ad un lungo e sanguinoso scontro per il controllo di Pozzolengo, combattuto principalmente nelle località di San Martino e Madonna della Scoperta.
La formazione austriaca, in netta inferiorità numerica ma superiore in tenacia e ardore, era bene schierata su posizioni dominanti e allertata dal rombo delle artiglierie che da oltre due ore duellavano a Solferino. Il feldmaresciallo Benedek guidò i suoi uomini con grande abilità, riuscendo a mantenere saldamente le posizioni massacrando letteralmente i Sardo-Piemontesi fino a tarda sera, quando le armate austriache non richiesero il suo intervento da Solferino,per poi ripiegare oltre Mincio.
Purtroppo l'esito di quello scontro epico nel quale trovarono la morte più di 20.000 soldati Imperial-Regi, mossi da amor di patria , finì con una ritirata all'interno del Quadrilatero in attesa dello scorrere degli eventi.
Voglio ricordare che durante la Battaglia di Solferino e San Martino erano presenti all'interno dell'armata Imperiale soldati della Brigata Estense comandata da Francesco V° D'Asburgo-Este , anche se il loro ruolo fu marginale essi si dimostrarono pronti a combattere con fermezza e onore al fianco dei loro alleati.
La Brigata Estense alla Battaglia di Solferino
Ubicazione geografica delle fortezze formanti il Quadrilatero.
La fine della guerra , l'Armistizio di Villafranca e il Trattato di Zurigo
A questo punto Napoleone III° si trovò in una situazione a dir poco ricca di indecisioni e dubbi, nei libri di storia classici vengono riportate le motivazioni per cui la Francia abbandono il conflitto restringendo le conseguenze al solo voler evitare una presunta reazione della Prussia e della Russia, ma in realtà uno dei motivi fu la reazione popolare, lo stesso Napoleone III° si accorse palesemente dell'ostilità del popolo Lombardo-Veneto , e in specie l'astio delle popolazioni della valle del Mincio verso i suoi soldati e quelli Sardo-Piemontesi.
Partita al tramonto del 6 luglio 1859, da Valeggio, la carrozza con bandiera parlamentare del primo scudiero di Napoleone III, Fleury, incontrò gli avamposti nemici a due miglia da Verona. In questa città la carrozza francese giunse al Quartier generale austriaco, scortata da un drappello di cavalleria asburgica, a notte fatta.
Napoleone III domandava una tregua, la qual cosa meravigliò non poco il giovane monarca austriaco che, pur compiacendosene, chiese tempo per la risposta sino al giorno seguente.[8]
La mattina di quello stesso 6 luglio, intanto, Napoleone III e il Principe Napoleone avevano avuto un incontro con l’alleato Vittorio Emanuele II. Costui, informato della situazione , si adirò della proposta di tregua francese; precisando però che se l’armistizio avesse anticipato la pace, questa doveva essere conforme agli impegni reciproci, e cioè al trattato di alleanza sardo-francese. Tale trattato prevedeva, se l’esito della guerra lo avesse permesso, l’impegno a costringere l’Austria a cedere tutto il Lombardo Veneto al Piemonte.[9]
Il 7, Francesco Giuseppe concesse la tregua d’armi e la mattina dell’8 luglio 1859 i commissari incaricati del cessate il fuoco si riunirono a Villafranca, a metà strada fra il quartier generale alleato (Valeggio) e quello austriaco (Verona). Furono incaricati: per la Francia il generale Jean Baptiste Philibert Vaillant, per il Piemonte il generale Enrico Morozzo Della Rocca e per l’Austria il generale Heinrich von Hess. Il convegno durò tre ore, durante le quali si ragionò anche sulla carneficina della battaglia di Solferino. Al termine, si decise che la tregua d’armi sarebbe durata fino al 16 agosto.
In quello stesso 8 luglio 1859, Vittorio Emanuele II, temendo iniziative della Francia ai danni del Regno di Sardegna, si recò da Napoleone III affinché rivelasse le proposte che aveva in mente di avanzare all’Austria. L’imperatore francese rispose che aveva intenzione di riportare al più presto la pace in Europa ma anche che le condizioni di resa per l’Austria sarebbero state dure. Se Vienna non avesse accettato tali condizioni la guerra sarebbe ripresa. Nel frattempo, dichiarò di poter approntare 200.000 uomini per la riapertura delle ostilità. Vittorio Emanuele, pur non troppo contento per quella tregua, parve tranquillizzarsi.[11]
Nel tardo pomeriggio dell’8 luglio ci fu un ulteriore colloquio fra Napoleone III e Vittorio Emanuele. L’imperatore francese prospettò al Re di Sardegna l’avvio delle trattative per la pace avanzando la possibilità di chiedere all’Austria la sola Lombardia. Vittorio Emanuele acconsentì(erano sempre territori in più dove usurpare richezze e richiedere tasse), allontanandosi decisamente dalle aspettative del suo Presidente del Consiglio Cavour[12] il quale, ricevuto un telegramma piuttosto tranquillizzante del re, forse per vederci chiaro, partì per il teatro delle operazioni arrivando a Desenzano la mattina del 10 luglio.[13] Quello stesso giorno Cavour incontrò sia il Principe Napoleone che Napoleone III alle cui spiegazioni sulle condizioni d’armistizio, protestò istericamente,[14] ma con Vittorio Emanuele il colloquio non fu peggiore.[15]
L'imperatore francese era però deciso a trattare la pace e, poiché Francesco Giuseppe non avrebbe mai accettato di negoziare direttamente con il Re di Sardegna, lo stesso 10 luglio, espresse il desiderio di trattare personalmente e da solo con Francesco Giuseppe. In conformità di questo desiderio, nella notte si presero gli accordi necessari che determinarono, quali luogo e ora dell’incontro, Villafranca e le 9 di mattina dell’11 luglio.
La mattina dell’11 luglio 1859, Napoleone III fu molto ossequioso nei confronti di Francesco Giuseppe che daltra parte conosceva anche la falsita dell'improvvisato Imperatore. Giunto per primo all’appuntamento, si mosse per andare incontro all’imperatore austriaco che fu raggiunto lungo il cammino. Entrambi a cavallo, percorsero la strada che rimaneva per raggiungere Villafranca.[16]
L’incontro avvenne a Palazzo Gandini Morelli Bugna, oggi Bottagisio[17] dove Napoleone III sorprese Francesco Giuseppe presentandogli come britanniche delle condizioni che in realtà aveva egli stesso suggerito agli inglesi, dando perfino l’impressione che anche la Prussia fosse d’accordo. Tali proposte erano: il Veneto sarebbe rimasto all’Austria, che avrebbe ceduto la Lombardia conservando però le fortezze di Peschiera e Mantova.
Francesco Giuseppe, di fronte a questa iniziativa, per nulla sorpreso per il mancato appoggio iniziale di Londra ma non di Berlino durante la guerra, credette a Napoleone III e si dimostrò favorevole.[18]
L’imperatore d’Austria acconsentì inoltre, come monarca del Veneto, a far parte della confederazione italiana proposta da Napoleone III, ma rifiutò ogni ulteriore concessione. Secondo i diari del Principe d’Assia, i due sovrani stabilirono anche che Cavour avrebbe dovuto essere allontanato dal governo piemontese, ritenendolo giustamente entrambi avversario della pace che si stava per concludere.[19]
Il colloquio durò un’ora. Infine, i due imperatori uscirono all’aperto e passarono in rassegna la cavalleria francese e austriaca convenuta. Ricambiando la cortesia dell’arrivo, Francesco Giuseppe accompagnò Napoleone III per un tratto sulla strada di Valeggio. Quindi, in chiaro e visibile segno di pace, i due sovrani si strinsero la mano.
Di fronte alle due opzioni di guadagnare la Lombardia (benché senza piazzeforti) oppure continuare la guerra da solo(un suicidio), Vittorio Emanuele II scelse ovviamente la prima. La mattina del 12 luglio anch’egli quindi pose la firma in calce all’armistizio che, a questo punto, divenne valido per la totalità delle forze in campo. Il re di Sardegna firmò tuttavia con la clausola, probabilmente suggeritagli da Napoleone III, “per tutto ciò che mi concerne”.
Le condizioni finali dell’armistizio furono le seguenti:
- I due sovrani (Napoleone III e Francesco Giuseppe) avrebbero favorito la creazione di una Confederazione italiana presieduta dal Papa.
- L’Austria cedeva alla Francia la Lombardia con eccezione delle fortezze di Mantova e Peschiera. La Francia avrebbe trasferito la Lombardia al Regno di Sardegna.
- Il Veneto avrebbe fatto parte della costituenda Confederazione italiana rimanendo possedimento della Corona Asburgica.
- Il Granduca di Toscana , il Duca di Modena e la Duchessa Reggente di Parma sarebbero rientrati nei loro Stati, concedendo un’amnistia generale.
- Napoleone III e Francesco Giuseppe avrebbero chiesto al Papa di introdurre nello Stato Pontificio riforme sociali e politiche.
Armistizio di Villafranca.
Nei Ducati di Parma , Modena, nel Granducato di Toscana e nelle Legazioni Pontificie delle Romagne come si è visto nel secondo capitolo, erano stati sovvertiti all'inizio del conflitto ad opera di agenti Piemontesi i governi legittimi , successivamente furono istaurati governi provvisori filo-Piemontesi che dipendevano a tutti gli effetti già dal Regno di Sardegna senza essere ancora stati ufficialmente annessi ad esso, in quegli Stati erano già presenti milizie Sardo-Piemontesi (affiancate anche da quella piccola parte di esercito Granducale Toscano che corrotto passo alla rivoluzione mantenendo le divise Granducali formando un Reggimento chiamato "Granatieri di Toscana" esistente ancora oggi con il nome di "Lupi di Toscana), che anche dopo la firma di questo trattato internazionale rimasero come esercito di occupazione spegnendo ogni rivolta popolare volta alla legittima restaurazione dei legittimi governi. Nel mese di Marzo del 1860, e precisamente tra l'11 e il 12 Marzo, vennero indetti i Plebisciti per l'annessione di questi territori al Regno di Sardegna, I Plebisciti si svolsero nella piena illegalità, una percentuale irrisoria di persone aventi diritto al voto si presento alle urne venendo minacciata se il voto che davano era il no, in più soldati Sardo-Piemontesi e collaborazionisti inserirono schede apocrife a favore del piemonte all'interno delle urne in gran quantità, rendendo l'esito del voto tristemente noto a tutti.
I Granatieri di Toscana.
Nelle due cartine Geo-Politiche della Penisola Italiana si può notare l'enorme sconvolgimento creato dopo la guerra del 1859. A sinistra si può notare la cartina della Penisola con i sette stati legittimi esistenti da Secoli, fatta eccezione per il Regno Lombardo-Veneto che era stato ufficialmente costituito nel 1815, e a destra la cartina dopo otto mesi. Si può notare benissimo che in pochissimi mesi la cartina è stata privata di tre stati plurisecolari(senza contare le Romagne) contro ogni diritto politico e civile.
Conclusioni:
La campagna militare dell'Aprile-Luglio 1859 fu caratterizzata, come del resto tutto il risorgimento, da corruzioni , farse , e crimini verso popoli e Stati legittimi! Questo è un dato di fatto, testimoniato dalle centinaia di documenti dell'epoca che io ed altri abbiamo visionato e trascritto. La storia che mi sono prestato a raccontarvi per ciò che realmente fu , deve essere trattata come l'ennesima presa visione di un processo innaturale e forzato (l'unità D'Italia) che ha portato solo svantaggi a tutti gli Stati e ai Popoli della Penisola, nessuno escluso , nemmeno il Piemonte, perché coloro che vi hanno guadagnato sono l'1% dell'intera popolazione! Che questa storia sia piaciuta o meno , e se essa abbia turbato coloro i quali si sentono patrioti di una fantomatica Nazione chiamata Italia, dico soltanto che , chi non cambia mai idea , o e il più grande dei saggi, o e il più sciocco fra gli stolti.
(Fine 4° ed ultima parte).
Fonti:
Archivio di Stato di Milano.
Archivio di Stato di Verona.
Carteggio di Napoleone III°.
Resoconti della campagna militare Austriaca del 1859(carteggio originale, presso Vienna).
La vera storia d'Italia ( Gilberto Oneto )
Scritto da:
Il Principe dei Reazionari.