venerdì 11 novembre 2011

Le verità sulle vicende "Risorgimentali" nel Regno delle Due Sicilie(1860-1861):La trappola Costituzionale, l'inizio della salita al potere della camorra, e l'inizio del degrado di Napoli:Parte12.

Voglio ricordare che tale documento e stato scritto da un testimone dei fatti,quindi data la preziosa importanza del testo ne consiglio un attenta lettura.




La mattina del 26 Luglio, fatto oramai giorno, entrammo per le bocche di Capri nel golfo di Napoli. Qual sublime spettacolo della natura e dell'arte! Quel golfo è una delle migliori vedute del mondo: sembra creato per dare la grande idea del suo Creatore. Ivi è riunito quanto è di bello, di grande, e di stupor degno in tutto l'universo: altro non mancherebbe che la veduta di un maestoso fiume; eppure, il Canale di Procida te ne dà un'idea simile all'Amazzone, all'Eufrate, al Nilo, al Po. A sinistra, tu vedi un mare ceruleo e trasparente, seminato d'incantevoli isole ed isolette, un tempo dolci e quiete agli antichi Romani dopo le lotte del Foro. Il capo Miseno, ove fu sepolto Miseno, il diletto compagno di Enea - Monte sub aërio, qui nunc Misenus ab illo - dicitur -
Quel Capo si tende maestoso nel mare con quelle rocce fantastiche, e forma quella deliziosa Baia sormontata da belle pianure e variate colline; sulle quali ad ogni piè sospinto vedi un'antichità romana, un luogo descritto da Orazio o da Virgilio: vedi il lago Lucrino, quello di Averno, le ruine di Cuma, la grotta della Sibilla, -...horrendaeque procul secreta Sybillae - antrum immane...
Vedi lo Stige degli antichi, creduto uno delle porte del Tartaro. Vedi i Campi Elisi, i templi di Febo, di Diana, di Venere, di Mercurio; vedi i bagni di Nerone, il Palazzo di Giulio Cesare; vedi tanti altri luoghi celebri, visitati e carissimi a' due preclari padri della Chiesa, S. Girolamo e S. Agostino. Sopra quelle ruine, o guardandole anche da lontano, si affollano alla tua mente grandi e dolci memorie, e ti corrono spontanei sulle labbra i versi di quegli immortali poeti, Orazio e Virgilio.
A destra vedi Sorrento, patria dell'infelice Torquato Tasso, la quale sembra quasi uscire da un mazzolino di fiori orlato de' sempre verdi aranceti. Più in là giace Castellammare, l'antica Stabia, sopra la quale si ammirano quegli ameni colli lussureggianti di verdura, ov'è il Borgo di Quisisana: luoghi tutti deliziosi, pregni d'aria purissima e salutifera, imbalsamata dagli odorosi profumi di que' boschetti ed aranceti. Più in là vedi Pompei ed Ercolano: il mondo non ha spettacolo che a questo si uguagli.
Ivi più facilmente che in altra parte si sente il tedio o l'indifferenza per le umane grandezze, quando si pensa che un solo momento distrusse sì nobili e superbe città, e tolse a tanta gente la luce del giorno e la vita. All'aspetto di quella vasta tomba ove tante umane creature furono sepolte vive, non può l'uomo inorgoglire di quel pugno di polvere ond'è formato, e sente la potenza di un Essere onnipossente. Quelle Città si mostrano quasi quali l'aveano lasciate i suoi abitatori dopo diciotto secoli: le vie diritte, selciate di lastre di lava, le case di un sol piano, il vasto Teatro, le Terme, e i templi, ti trasportano il pensiero ad evocare gli antichi abitatori: e per le vie, su' vestiboli, nelle piazze sembra che dovessero comparire da un momento all'altro, e ripopolare le deserte città. Pompei ed Ercolano dissotterrate dalla mugnificenza di Carlo III di Borbone, sono un monumento unico nel mondo; e il viaggiatore che per osservarle si muove dell'estreme parti del mondo, conoscerà di non aver gettato il tempo e le fatiche. Più in là vedi Torre Annunziata, Torre del Greco e Portici che han sofferte tante sciagure a causa del Vesuvio.
In fondo del golfo sorge Napoli: questa magica reina del Mediterraneo sembra una Nereide emergente dalle onde. Che singolare panorama! Questa città guardata dal golfo sembra estendersi da capo Posilipo a Castellammare, i paesi intermedii paiono riunirsi e comporre più di diciotto miglia di superbi palazzi succedentesi difilatamente. La posizione di Napoli è tanto incantevole e poetica, che non ha eguale in Europa; la sola Costantinopoli può starle a fronte. È sormentata dagli ameni colli di Posilipo, di Mergellina, dell'Arenella, del Vomero, dell'Infrascata, di Capodimonte; e sopra questi torreggia il monte de' Amaldoli. Alla sinistra di Napoli si vedono estese e feraci pianure, ed in questa direzione, lontano lontano, si levano i maestosi monti degli Appennini, spesso carichi di neve.
La natura, per compiere questo maraviglioso quadro, volle aggiungere il non comune spettacolo di un monte di forma fantastica che erutta spesso fuoco o fumo, il Vesuvio! Napoli è il centro di tutte queste sorprendenti maraviglie: posta tra tante stupende delizie; tra il fremito dell'onde e l'ignivomo Vulcano; tra le amene ville ed i rumorosi passeggi; tra i ruderi di tanti monumenti e distrutte Città, ha d'intorno la distruzione e la vita!
A quella vista da me sempre ammirata, e sempre nuova, salve, esclamai eccelsa regina del Mediterraneo, salve diletta ed indivisibile sorella della mia cara Sicilia: tu sei ricca, tu sei bella, e questi doni che la natura e gli uomini ti largirono sono stati e saranno sempre la tua rovina: oh qual sorte ti attende fra non guari! Tu forse cadrai dalla tua invidiata grandezza, e la tua splendida corona regale sarà gittata e strascinata nel fango, infranta e dispersa! Tu diverrai donna di provincia disprezzata e derisa!
Un grido fragoroso udissi sopra le tre fregate alla vista di Napoli: erano i soldati che salutavano questa Città tanto cara agli abitanti del continente napoletano, ove dimorava il loro amato Sovrano. E que' prodi, dopo di avere intonato a coro: A te consacro Patria diletta - questo mio brando, questo mio cor,
giurarono ahi nobile e vano giuramento! difendere la grande Metropoli e il suo Re, sino a versare l'ultima goccia del proprio sangue.
Le fregate in luogo di dirigere la prora verso Napoli, la voltarono a destra dalla parte di Castellammare, ove sbarcammo; e dopo più di due ore, si partì in ferrovia per Caserta. Si giunse la sera stessa, e la brigata Bosco alloggiò al magnifico quartiere militare di Altifredo. Quella brigata rimase in Caserta sino al 13 agosto. In tutto quel tempo io dimorai quasi sempre in Napoli, ov'ebbi tutto l'agio di vedere ed osservare le fasi della rivoluzione, la quale di giorno in giorno ingigantiva in un modo spaventevole. Io non conoscea più Napoli; questa Città tanto tranquilla, allegra, ma di una allegrezza senza disordini o provocazioni; quella Napoli tanto rispettosa a' funzionarii, tanto ossequente alle leggi non era più riconoscibile; ed io potea dire di Napoli quel che disse Enea di Ettore: Hei mihi, qualis erat! quantum mutatus ab illo.
In Napoli è la setta così chiamata de' Camorristi;
e per quelli che non la conoscono è necessario che ne abbiate un'idea, imperocchè di questa setta se ne servirono i liberali per far popolo, rumore, dimostrazioni, e detronizzare il Re Francesco II.
La setta de' Camorristi
è antica in Napoli; alcuni sostengono che sia comparsa con la dominazione spagnuola. Difatti l'origine del nome Camorrista
è di Camorra,
in ispagnuolo vuol dire querela.
Altri poi dicono che Camorrista
viene da Morra
ch'è un giuoco ove si commettono suprusi e giunterie. Ed invero, i Camorristi
traggono de' guadagni sopra i giuochi leciti ed illeciti. Camorrista,
in Napoli suona ladro, giuntatore, galeotto, accoltellatore, usuraio, guappo
o sia spacconaccio.
I Camorristi
generalmente vestono giacca di velluto, calzoni stretti a' ginocchi, larghi sul piede. Per cravatta usano un fazzoletto a diversi colori annodato al collo molto largo, con lunghe punte; gilè aperto, berretto o cappello pendente sempre da un lato della testa, capelli lisci, canna d'India in mano e ben lunga, e sigaro in bocca, che chiamano siquario.
Quando parlano e si vogliono atteggiare a guappi,
o appoggiano un fianco sopra la canna d'India, o aprono e chiudono le gambe abbassando il corpo.
Per essere ammesso tra' Camorristi,
è necessario, come essi dicono, essere onorato.
Prima fanno il noviziato, ed imparano a maneggiare bene il bastone ed il coltello, ed usare bene il linguaggio furbesco. Quando sono giudicati idonei dal Caposquadra,
passano al grado di Sgarra,
indi a quello di Contaruolo,
ch'è una specie di contabile e di cassiere. Per essere Caposquadra
un Contaruolo
dovrà battersi col coltello con dieci persone separatamente, ferirne almeno tre, e non aver mai rifiutata alcuna sfida.
Quando rubano si dividono il bottino secondo i gradi che occupano. Vi sono quelli destinati a fabbricare chiavi false, quelli a fare i borsaiuoli, i rapinatori, i manutengoli, e gli accoltellatori. Vi sono poi quelli destinati a fare il palo,
cioè la spia per avvertire i ladri nell'atto che rubano, se mai occorresse pericolo di essere veduti o arrestati. Vi sono i pedinatori,
i quali sieguono colui che esce di casa o del proprio negozio che dovranno essere rubati: il pedinatore
se vede colui che dovrà essere rubato dirigersi verso la casa o il negozio innanzi che il furto si compia, allora corre avanti ed avvisa i colleghi che rubano, e li fa scappar via con quello che ha potuto aggraffare.
I Camorristi
puniscono la insubordinazione sfregiando col rasoio l'insubordinato. Chiamano infame chi fa testimonianza contro qualunque ladro o assassino. Del resto tra di loro si proteggono a maraviglia: soccorrono con particolarità i loro compagni carcerati, e pagano l'avvocato per difenderli. Qualche volta i Camorristi
difendono i deboli contro i forti, e fanno da pacieri in qualche diverbio o rissa tra persone a loro non appartenenti.
La gente onesta e pacifica teme i camorristi,
non li accusa alle autorità, e per lo più si sottomette alle loro giunterie per non essere accoltellata da quelli che restano in libertà.
Vi sono pure in Napoli e dapertutto de' Camorristi in frak
e guanti gialli, spesso si appiccano qualche qualità, e sono questi i più pericolosi, specialmente per la borsa; perché fanno debiti per non pagarli mai; vivono facendo lusso, e facendo i cavalieri d'industria. Guai se loro domandate il vostro credito, vi dicono male parole, e vi minacciano. I liberali si servirono di questi Camorristi aristocratici
per creare la classe pensante, come essi dicono.
Questa esiziale piaga del camorrismo
è stata e sarà sempre il terrore della Città di Napoli. Tutte le dominazioni che si sono succedute hanno accusate le precedenti perché non hanno distrutta la setta dei Camorristi,
e poi esse medesime han finito di tollerarla, e qualche volta se l'ha fatta alleata.
Proclamata la Costituzione, il Ministero liberale fece Prefetto di Polizia D. Liborio Romano, nativo delle Puglie. Era costui un avvocatuccio infelice, o come suol dirsi, avvocato storcileggi:
fu carbonaro, massone, mazziniano, e nel 1850 fu messo in carcere, ed in ultimo esiliato. Il 22 aprile del 1854 D. Liborio mandò da Parigi ove si trovava allora, un'umile supplica al Re Ferdinando II, nella quale protestava: «Devozione e attaccamento alla sacra persona del Re: e se mai l'avesse offesa inconsapevolmente,
promettea in avvenire una condotta irreprensibile,»
Re Ferdinando lo fece ritornare nel Regno.
D. Liborio Romano Prefetto di polizia liberale, si circondò di tutta la Camorra
napoletana, ed altra ne fece venire poi dal Regno, e dal resto dell'Italia. Di alcuni di quei Camorristi non so che novelli poliziotti abbia fatto; ad altri diede l'onorevole mandato di far la spia alla gente onesta designata sotto il nome di borbonici; altri infine, ed erano i più facinorosi, destinò a soffiare nel fuoco della rivoluzione, in mezzo al popolaccio napoletano. Le prime prodezze dei Camorristi sempre diretti da D. Liborio prefetto di polizia furono gli assalti dati agli ufficii della vecchia polizia, essendo stata questa troppo curiosa di conoscere i fatti della gente poco onesta, e come intorbidatrice della pace de' Camorristi e de' settarii.
Il 27 e 28 Giugno, dopo due in tre giorni che si era proclamata la Costituzione, vi furono due assembramenti di Camorristi, di lenoni, di monelli e di cattive donne, tra le altre la de Crescenzo, e la celebre ostessa detta la Sangiovannara:
tutti pieni di fasce e nastri tricolori, con pistole e coltelli, gridavano libertà ed indipendenza, e a chi non gridasse in quel modo, parolacce e busse.
Il 27 assalirono i due commissariati di polizia, quello dell'Avvocata, e l'altro di Montecalvario. Un certo Mele, capo di quelle masnade, che giravano in armi in cerca della vecchia polizia, ferì a Toledo l'Ispettore Perrelli: costui fu messo in una carrozzella per essere condotto all'ospedale: potea vivere, ma il Mele lo finì nella stessa carrozzella a colpi di pugnale. In compenso di quella prodezza, il Mele fu Ispettore di Polizia sotto la Dittatura di Garibaldi. Giustizia di Dio..! l'anno appresso il Mele fu accoltellato da un certo Reale, altrimenti bello guaglione,
e fu messo in carrozzella, ma prima di giungere all'Ospedale, esalò l'anima in mezzo la via.
Il Prefetto D. Liborio vedendo che tutto potea osare impunemente per lui e pe' suoi Camorristi, il 28 riunì un più grande assembramento di que' suoi accoliti; e loro impose di assaltare gli altri commissariati della vecchia polizia.
Le scene ributtanti, e i baccanali di questa seconda giornata oltrepassarono di gran lunga quelli operati nella precedente. Quella accozzaglia assalì i commissariati al grida di muora la polizia; viva Carlibardi -
così alteravasene il nome dalla plebaglia . La truppa che tutto vedea e sentiva, fremea di rabbia, ed era obbligata da' duci a starsene spettatrice indifferente.
Gli assalitori de' Commissariati gettarono da' balconi tutte le carte, il mobilio, le porte interne, e ne fecero un falò in mezzo alla strada. Un povero poliziotto del Commissariato di S. Lorenzo, si era occultato in un credenzone, e così com'era fu gittato da un balcone in mezzo la strada. Intorno a quel falò si ballava, si bestemmiava, si cantavano le canzone le più oscene.
Il solo Commissariato della Stella non fu invaso e distrutto per quella giornata, perché i vecchi poliziotti di guardia si atteggiarono a risoluta difesa e tennero lontani i camorristi e compagnia bella. Ma que' difensori del Commissariato vedendo che il Governo volea la loro distruzione, la sera abbandonarono il posto, e quindi quello fu l'ultimo ad essere distrutto.
Dopo che i camorristi fecero quelle prodezze, andavano attorno con piatti nella mani a domandare mercede per la buona opera che aveano fatta. E il liberali trovarono giustissimo quanto aveano operato i camorristi, poichè secondo la loro logica, la Costituzione proclamata importava uccidere i cittadini, i quali aveano servito l'ordine pubblico ed il Re.
Sarebbero state sufficienti queste prime scene inqualificabili, perpetrate da' Camorristi capitanati da D. Liborio, Prefetto di Polizia liberale, per far conoscere anche agli sciocchi, e principalmente a chi potea e dovea salvare la Dinastia e il Regno, che la proclamata Costituzione serviva come mezzo sicurissimo per abbattere Re e trono. Ma si proseguì sulla medesima via de' cominciati disordini, i quali si accrescevano giorno per giorno, ora per ora con selvaggia energia, ed a nulla si dava riparo.
Ciò dimostra la tristizia e l'infamia degli uomini che allora aveano afferrato il potere e la dabbenaggine di colore che si dicevano, ed erano realmente tutti pel Re e per l'autonomia del Regno.
Se mi si dicesse che nulla potea farsi, perché operando in contrario alla proclamata costituzione sarebbe stato lo stesso di compromette il Re in faccia all'Europa, la quale non avrebbe ritenuto come un atto sincero del Sovrano le date franchigie costituzionali; risponderei in primo, che reprimere i disordini interni di uno Stato è dovere d'ogni Sovrano, sia assoluto o costituzionale, maggiormente quando i ministri sono fedifraghi: in secondo che i Sovrani d'Europa guatavano biechi il nuovo ordine di cose proclamato a Napoli, e que' baccanali giudicavano forieri di disordine europeo. Ad eccezione di qualche parvenu,
tutti avrebbero approvato e fatto plauso ad una pronta ed energica repressione di que' disordini, ad un solenne colpo di Stato: e lo stesso Napoleone III, il quale avea furbescamente consigliato a Francesco II quella fatale ed inopportuna costituzione, almeno in apparenza, si sarebbe mostrato contento al pari degli altri Sovrani. Del resto, è un assioma, che di due mali si debba sempre evitare il maggiore: or proseguendo i disordini e le fellonie cagionate dalla costituzione, la caduta della Monarchia era inevitabile; al contrario il colpo di stato l'avrebbe assodata; solamente avrebbe fatto braitare un poco i settarii, ma si sarebbe salvato Re, Regno e benessere de' Popoli; risparmiando in prosieguo tante lagrime e tanto sangue che si è versato: a tempo opportuno, Re Francesco avrebbe potuto rimettere la costituzione, se l'avesse giudicata buona pe' suoi popoli.
Mi si potrebbe anche dire: che dopo i fatti compiuti è facile schiccherar sentenze a proposito ed a sproposito; ed io rispondo, ma quando i fatti e le condizioni interne ed esterne del reame di Napoli fossero - ed erano tali - quali io le ho raccontate fin qui, il voler persistere in alcune idee senza base né di logica, né di storia, non sarebbe il solito ripiego de' peccatori ostinati?
Brenier, ministro di Francia presso la Corte di Napoli, era stato il fabbro principale della proclamata Costituzione, della quale ebbe tuttavia un saggio niente piacevole. Egli usciva in carrozza dal Palazzo del Nunzio Apostolico; il cocchiere sferzava i cavalli per farli andare di trotto; il popolo già sovrano se ne risentì e bastonò il cocchiere. Il Brenier levandosi in piedi, disse al popolo il suo nome e la sua carica, si aspettava scuse e plausi, in cambio si ebbe due mazzate sull'onorevole capo, e così malconcio e pieno di sangue ebbe a gran fortuna di potersene andar vivo a casa sua, ove fu poi visitato da due aiutanti di campo del Re e di S. A. il Conte d'Aquila.
L'aggressione di Brenier non credete che fosse un puro accidente, ma essa fu bene una premeditazione de' rivoluzionarii per fare impedimento e dispetto al Re. In effetti si spacciò come notizia certa di essere un borbonico colui che diede le due busse al ministro di Francia, ma si finì di metterlo in libertà sotto il governo che successe a quello di Francesco II.
Si fece al Brenier un indirizzo a nome del popolo, firmato da tre anziani,
in cui si deplorava l'insulto ed il male che gli aveano recato, gettando la colpa sopra i borbonici fedeli al Re. Don Liborio, da uomo politico, facea stampare quell'indirizzo nel giornale uffiziale.
Il Brenier rispose all'indirizzo il 4 Luglio, e dicea: «Essere convinto del rispetto dei Napoletani al rappresentante di un Sovrano che avea compiuto fatti mirabili pel bene dell'Italia. »
Brenier avea provato pure gli effetti di quei mirabili fatti compiuti dal suo padrone in Italia. La sua testa rotta dalle mazzate popolari, ne era una mirabile prova, mai vista o intesta in que' tempi quando ancora non si erano compiuti i mirabili fatti napoleonici in Italia.
Il Ministro della guerra, Leopoldo del Re, devoto e fedele al Sovrano, in vista dell'anarchia sempre crescente a causa de' camorristi diretti e sostenuti da D. Liborio Prefetto di polizia liberale, tolse dal comando della Piazza il generale Polizzi, il quale non avea fatto impedire da' soldati que' baccanali; e quegli eccessi perpetrati da' camorristi, e dal resto della bruzzaglia napoletana. In cambio nominò il Duca S.111
Vito, e costui proclamò lo stato di assedio. Si proibì ogni assembramento maggiore di dieci persone, e l'esportazione d'armi e di grossi bastoni. S. Vito uomo risoluto e secondo l'ordinanze di Piazza, volea procedere al disarmo. D. Liborio però si oppose energicamente, conciosiachè disarmando i camorristi, egli Prefetto di polizia liberale rimaneva senza armata e senza prestigio: e sostenuto come era dalla setta e da' traditori che circondavano il Re, la vinse; ed i camorristi rimasero padroni di Napoli, cioè erano costoro la sola autorità dominante.
D. Liborio non contento ancora di avere a sè i camorristi, volle pure che costoro fossero riconosciuti e pagati dal Governo; di fatti ottenne un decreto in data del 7 luglio col quale si aboliva l'antica polizia, e se ne creava una nuova di camorristi, con nuovo uniforme, e nuovi principii, già s'intende.
Fu uno spettacolo buffonesco quando si videro in Napoli i camorristi dalla giaccia di velluto, vestiti da birri, o sia da guardie di pubblica sicurezza, e i loro caporioni vestiti da Ispettori. Que' custodi dell'ordine pubblico faceano paura agli stessi liberali, e molti di questi si dolsero con D. Liborio, il quale rispose di aver fatto benissimo, dappoichè i camorristi doveano essere compensati e protetti a preferenza, per la grande ragione de' servizii che aveano resi, e di quelli che doveano rendere ancora: diversamente, si sarebbero buttati co' reazionarii.
E disse, ch'egli si augurava di fare tanti onesti impiegati governativi di que' camorristi sino allora (che peccato!) negletti e perseguitati; ed essere suo divisamento cavare l'ordine dal disordine. Queste massime antipolitiche ed antisociali, specialmente pel modo come l'applicava D. Liborio, erano imitate dallo stesso Ministero negli altri rami amministrativi, cacciando via gli impiegati antichi ed onesti, surrogandoli con gente o ignorante, o dubbia o disonesta.
Il ministro liberale per effettuire i suoi piani di sovversione, che tendeano sempre ad abbattere la dinastia ed il Regno, indusse il Re a destituire tutti quelli impiegati e funzionarii che gli erano devoti e fedeli: ed in cambio furono innalzati uomini ignoti a tutti, solo conosciuti dalla setta. Si videro pubblici funzionarii con missioni delicatissime, giovani imberbi, e giovani che mai aveano visitato le Università, ma invece aveano bazzicato tra bische e luoghi di corruzione; si videro innalzati a pubblici funzionari degli Speziali, de' Parrucchieri, de' tavernai e simile genìa, e tutti con la missione di congiurare contro il Re e contro l'autonomia del Regno. Il ministero liberale con la firma del Re, scrollò tutto l'antico edifizio, e ne ricostituì un altro con elementi anarchici tendenti ad abbattere l'augusto Trono e la dinastia.
Non dee far maraviglia dunque se in poco tempo tutto andò a rotoli, anzi dee far maraviglia che la durò per altri sette in otto mesi. E si può francamente asserire che l'antico governo resse dal 25 giugno 1860, giorno della proclamata Costituzione, al 13 febbraio giorno della Capitolazione di Gaeta, perché i soldati figli del vero popolo, e la gran maggioranza degli uffiziali, erano veramente devoti al Re, ed amavano l'autonomia del Regno. E l'esercito napoletano avrebbe salvato trono e dinastia, anche dopo che il Re abbandonò Napoli se i traditori non gli avessero legate le mani.
I soldati di guarnigione in Napoli fremevano contro la rivoluzione, ma ubbidiva no. È vero che i camorristi vedendo un buon numero di soldati, gridavano: viva la truppa,
ma non gridavano: viva il Re,
e per questo i soldati s'indegnavano, e facea no progetti poco rassicuranti per la rivoluzione. I liberali poi aveano l'impudenza di esaltare e mettere in cielo Garibaldi sotto i baffi de' soldati, i quali odiavano costui a morte; quindi nascea quell'antagonismo foriero di baruffe e disastri.
II15 luglio, sorta a caso una rissa lungo la strada del Carmine, tra soldati e camorristi, quelli gridarono viva il re,
questi viva Garibaldi. I soldati dopo di aver dato a camorristi una lezione alla soldatesca, corsero per la via della marina e pe' bassi quartieri sino a Toledo, ove ruppero alcune vetrine di magazzini, e sfogarono l'ira contro i ritratti di Garibaldi, e di altri personaggi amici di costui. Questo fatto spaventò i rivoluzionari, i quali dimostrarono un sacro orrore alla profanazione perpetrata da' soldati, e pieni di santa indignazione, dissero: - ma sotto voce - i soldati sono reazionarii!....
Veramente ell'era una peregrina scoperta che aveano fatta!
In Napoli era allora lecita qualunque sfrenatezza liberale, si potea dir male di tutto e di tutti, ma non era libero alcuno dir male di Garibaldi, sarebbe stato accusato come reazionario. Si potea gridare viva Garibaldi
con tutte le altre appendici, ma guai a chi avesse gridato, viva Francesco II! D. Liborio l'avrebbe imprigionato qual reazionario, qual sanfedista, qual brigante.
La stampa liberale, sorta in quel tempo infamava tutte le oneste riputazioni: nulla vi era di sacro: tanto che un uomo politico inglese dicea: «Se in Inghilterra vi fosse la libertà di stampa simile a quella di Napoli, la Regina Vittoria sarebbe stata detronizzata in poco tempo,» Quella stampa liberale, oltre di essere un continuato libello famoso contro tutto quello che avea di bello e di buono Napoli ed il regno, esaltando sempre le cose del Piemonte, oltre d'infamare il Re, e far splendere le nefandezze de' tristi, mentiva spudoratamente sù di tutto.
Io, quando giunsi a Napoli, immediatamente dopo i fatti di Milazzo, non volea credere agli occhi miei leggendo i giornali di quei tempi, specialmente il Lampo
e il Tuono,
i quali altro non istampavano che sfacciate ed insussistenti menzogne circa i fatti guerreschi di Sicilia; e sarebbe bastato un poco di buon senso per riconoscere false tutte quelle notizie insulse ed inverosimili che spacciavano.
I Napoletani erano allora quali esaltati, quali preoccupati del rapido svolgersi degli avvenimenti, perché vedeano realizzate cose impossibili, i tristi perché aveano ottenuti trionfi non isperati. Quindi si credeva a tutto quello che raccontavasi di più strano.
Tante persone buone e cattive mi raccontavano con grande sicumera un mondo di sciocchezze successe a Milazzo, e voleano che io le credessi come un quinto evangelo, ignorando di che parte io venissi.
Quando poi lo seppero, alcuni mi guardavano con occhi stupidi, altri biechi, e quasi tutti mi diedero del bugiardo e del reazionario; avvertendomi i buoni che mi astenessi di raccontare i fatti di Sicilia quali io l'avea veduti.
Napoli era divenuto un pandemonio: in quei giorni non si ragionava più, e chi avesse un poco ragionato avrebbe corso pericolo di vita.

(Estratto dal libro di Giuseppe Buttà, Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta).