martedì 15 novembre 2011
Lettera di protesta di Ferdinando IV° D'Asburgo-Lorena.
"Finchè, nel doloroso periodo scorso dal 27 aprile 1859 ad oggi, ci è stato permesso sperare che il vero amore della patria, che il sentimeto del giusto e dell'onesto, che il rispetto dei trattati, che la parola del sovrano riuscirebbe ad arrestare il corso dell' opera perturbatrice, che, sotto il pretesto della felicità d'Italia, è sul punto di comprometterla nel modo più grave, ci siamo con cur...a stenuti dall'intervenire in questa grave discussione, sicuri essendo che la prima parola che avremmo da dirigere al nostro popolo, sarebbe una parola d'oblio intiero del passato e di felicità reciproca per l' avvenire. Ma gli atti compiuti dall'abile cospirazione che, all'ombra del trono della Savoia, ha inviluppato nelle sue reti tutta l'Italia centrale, e sacrificato ad un'abizione dinastica tutto ciò che v'è di più sacro sulla terra, c'impongono il dovere di sollevare la nostra voce di sovrano italiano, e di fare appello alle potenze europee tanto nell'interesse dei nostri diritti violati quanto in quello dei nostri amatissimi Toscani e della nazione intera. Allorquando, nei primi mesi del 1859, i dissensi tra la Francia e la Sardegna, da un lato, e l'Austria, dall'altro, furono giunti al punto che si doveva considerar come probabile l'apertura delle ostilità, il governo granducale, fedele alla politica già seguita da lui in circostanze analoghe, propose ai gabinetti di Vienna, di Parigi e di Londra, la neutralità del suo paese, la quale, accettata dal primo, era in via di essere riconosciuta dagli altri, quando accaddero gli avvenimenti del 27 aprile. All'azione diplomatica venne a sostituirsi l'azione rivoluzionaria, come è provato dall'arrivo a Firenze, avvenuto la vigilia del 27 aprile nella sera e nella mattina di quel giorno, d'individui che, allora al servizio sardo, vennero a dirigere la rivoluzione ed a prendere il comando delle truppe del Granducato. Il nostro augusto padre, il Granduca Leopoldo II, si trovò così posto ad un tratto in faccia alle esigenze imperiose della rivoluzione. Egli intendeva che la sorte della guerra, già dichiarata, non dipenderebbe affatto dall'attitudine della Toscana, e che la neutralità reclamata avrebbe meglio garantito gli interesse dello stato, qualunque fosse l'esito di quella gran lotta. Nondimeno, nel desiderio di evitare le discoride intestine, chiamò a sè il Marchese di Laiatico che lavoce pubblica designava come l'uomo più accettevole per indurre una conciliazione, lo incaricò della formazione di un nuovo ministero, e gli confidò la condotta della politica interna ed esterna che gli sembrerebbe più più conveniente in si gravi congiunture. Il Marchese di Laiatico accetto questa missione, ed uscì dal Palazzo Pitti col mandato di adempierlo. Il luogo ed i consiglieri che andò a consultare per rispondere all'atto di fiducia del suo Sovrano, furono la legazione di Sardegna ed i capi dell'insurrezione che vi avevano stabilito il loro quartier generale.
"... Là deliberò la domanda di abdicazione di S.A.I e R. Leopldo II; ed il Marchese di Laiatico che, mandatario del principe, doveva difendere e mantenere la sua autorità, non credè mancare all'onore facendosi latore della nuova proposta. La domanda di abdicazione formulata nel momento stesso in cui il principe accedeva alle esigenze messe innanzi dai fautori della rivoluzione, lo mise in uno di quei casi supremi in cui non è più permesso che di prendere consiglio della propria dignità, la difesa della quale implica quella degli interessi reali della nazione. S.A.I e R. rifiutò di accettare questa ingiuriosa proposizione, e dopo aver protestato innanzi al corpo diplomatico contro la violenza che gli era fatta prese il solo partito possibile nella sua situazione, quello di ritirarsi da un paese, ove gli si impedival'esecizio della sua autorità sovrana e dove gli era interdetto di publicare i suoi decreti. Gli eventi della guerra riuscirono presto all'armistizio ed ai preliminari della pace di Villafranca, i quali espressamente consentiti da S.M il Re di Sardegna, recavano che i sovrani allontanati dalla rivoluzione rientrerebbero nei loro stati rispettivi, per far parte di una Confederazione italiana, che farebbe entrare la nazione nel diritto pubblico europeo. Allora, nel nobile desiderio di cancellare la traccia di antiche dissenzioni, e per togliere ogni pretesto agli atti di discordia, S.A.I e R. il Granduca Leopoldo II abdicò liberamente la corono il 25 luglio, e l'Europa quasi intiera ci riconobbe come sovrano legittimo della Toscana. Da quel giorno noi siamo investiti di un diritto sacro ed abbiamo dedicato la nostra esistenza intiera al nostro amatissimo popolo della Toscana, il cui avvenire era ormai garantito dalle savie misure di libertà interna e d'ordinamento federale contenute nel programma di S.M. l'Imperatore Napoleone. Il tratto di Zurigo, firmato da S.M. il Re di Sardegna, è venuto presto a raggiungere una consacrazione nuova ai diritti riconosciuti dalla Francia, ma tra i preliminari di Villafranca e le stipulazioni di Zurigo un fatto nuovo era accaduto. Le autorità rivoluzionarie della Toscana, docili schiave dell'ambizioso governo dal quale la loro origine illegale, avevano già proceduto alla convocazione di un'assemblea, destinata a votare arbitrariamente l'annessione della Toscana al Piemonte. Così, per un conculcamento di tutti i principi di diritto pubblico, un Governo che la parola e la sottoscrizione del suo Re obbligavano, se non a prestarci il suo appoggio, almeno a conservare verso noi una stretta neutralità, disconosceva i doveri sacri della sua posizione fino a suscitare contro il ristabilimento della nostra autorità legittima una manifestazione faziosa di cui doveva raccogliere i frutti; e, mentre l'Imperatore Napoleone, fedele alle sue promesse, dirigeva, innanzi al corpo legislativo ed innanzi all'Europa, consigli di moderazione e di prudenza al suo reale alleato, questi, approfittando della presenza dell'esercito francese, che ha fatto passare agli occhi del mondo per complice delle sue usurpazioni, proseguiva fino in fondo la sua politica invaditrice ed astuta, l'ultimo termine della quale doveva essere la sua annessione..."
"...In presenza a simili fatti, il silenzio non ci è più permesso. Noi dovevamo protestare e protestiamo con tutta la potenza delle nostre convinzioni, contro atti colpiti di nullità nel loro principio e nelle loro conseguenze. Protestiamo contro l'impiego di questi nuovi procedimenti di usurpazione territoriale per via di assemblee popolari che, se fossero ammessi nel giure delle nazioni, scuoterebbero subito tutte e fondamenta su cui si fondano l'indipendenza di ogni stato e l'equilibrio della società europea. Ci appelliamo a tutti i sovrani d'Europa personalmente interessanti nella nostra causa. Ci appelliamo alla rettitudine dell'Imperatore dei francesi che non ha potuto vedere, senza profondo dolore, la riuscita di queste intraprese colpevoli consumate all'ombra del suo nome e della sua spada. Ci appelliamo particolarmente a voi, nostri amatissimi toscani, che, durante più di un secolo, avete goduto sotto il governo della nostra famiglia di una prosperità di cui eravate orgogliosi a giusto titolo, perchè era opera vostra, essendo il risultato della vostra fedeltà e del vostro attaccamento alle vostre istituzioni. Se si è potuto, in questi ultimi tempi, traviare i vostri spiriti e sorprenedre la vostra buona fede, ciò è stato persuadendovi che l'annessione al regno di Sardegna vi renderebbe più forti e proteggerebbe più sicuramente la vostra indipendenza. Disingannatevi su questo punto. Per difenedere la sua indipendenza contro potenti vicini l'Italia non ha altra forza che l'azione moraledel diritto pubblico o l'accordo della nazione intera. Ma questo accordo per tanto tempo desiderato, voi stessi lo rendete impossibile, partecipando alla formazione di uno stato centrale che eccita già le giuste diffidenze di una parte d'Italia e prepara un antagonismo funesto. Voi separate la nazione in luogo di riunirla, ed il giorno in cui l'ambizione o la violenza vorranno tentare a mezzogiorno quello che è riuscito, nel centro, la guerra civile lacererà ancora una volta i nostri bei paesi e l'infelice Italia diverrà di nuovo la preda delle invasioni. Se la provvidenza sembrava aver riservato alla nostra nazione, fra tutte, la missione gloriosa di avvicinare tutte le membra della patria comune, di formare un solo fascio e di inaugurare finalmente la Confederazione Italiana, era a voi toscani, certamente, devoluto questo compito. Invece di questo, voi diventate con l'annessione le membra di uno stato nuovo lo spirito del quale, particolarmente amminitrativo e militare, nulla ha in comune colle grandezze delle vostre memorie a Firenze, la città delle arti la regina letteraria dell'Italia, non sarà più che il capoluogo di un dipartimento piemontese. Ma, grazie a Dio, la ragione del popolo non può restare lungo tempo pervertita a questp punto; questi cambiamenti repentini che l'orrore el'intrigo conducono nella vita delle nazioni non potrebbero avere conseguenze durevoli, e la vostra virtù ritemprata nei dolori che l'annessione vi prepara vi assicurerà più tardi migliori destini. Per me, cari ed amatissimi toscani, conservo nel mio tristo esilio il ricordo di tutti gli attestati di affezione e di rispetto che ho ricevuto fra voi; assisto da lontano e prendo parte alle vostre sofferenze, ringrazio dal fondo del cuore i numerosi amici che mi danno ogni giorno prova del loro attaccamento inalterabili ai miei interessi, e della loro confidenza nell'avvenire. Un giorno verrà in cui l'ingiustizia che mi ha colpito avrà termine, e questo giorno mi troverà pronto a consacravi tutte le forze della mia esistenza.
Dresda, 24 marzo 1860 FERDINANDO