Negli anni cruciali dello scontro fra la Rivoluzione Italiana e la Chiesa Cattolica, volontari venuti da ogni parte del mondo, di tutte le classi sociali, offrirono i loro servigi e la vita stessa per la difesa del Papa e della Chiesa. Prova inconfutabile che la Chiesa è madre di tutte le genti e che per la luce del bene vi sarà sempre chi è pronto a combattere e morire.
I risorgimentisti accusavano il Papa di reggersi sulle baionette straniere. La Civiltà Cattolica citando anche uno dei maggiori esponenti del pensiero controrivoluzionario italiano, il conte Clemente Solaro della Margarita, per anni ministro degli Esteri del Re Carlo Alberto, ebbe buon gioco nel ricordare che «Niun popolo e niun individuo è straniero al Pontefice (…) mentre voi l’accusate di appoggiarsi a baionette straniere, egli si appoggia veramente all’amor dei suoi figli».
La necessità di organizzare la difesa dello Stato Pontificio apparve evidente nel 1860: l’Impero d’Austria cattolico era stato sconfitto dai franco-piemontesi, Bologna e le Romagne erano state sottratte al governo Pontificio e l’Imperatore Napoleone III, che pure manteneva a Roma un corpo di truppe per non alienarsi del tutto l’appoggio dei cattolici francesi, aveva ventilato l’idea che il Papa rinunciasse al Potere Temporale facendosi garantire la sua indipendenza spirituale dalle Grandi Potenze.
Il conte di Chambord, pretendente legittimo al Trono di Francia, descrisse bene la doppiezza del Bonaparte in una lettera a mons. Dupanloup: «Di tanti nemici che cospirano contro di essa [la sovranità dei Papi] quelli da temere di più non sono coloro che (...) attaccano in pieno giorno e a volto scoperto; i più temibili sono coloro che si nascondono, che hanno due facce e due lingue; che, coprendosi con le apparenze del rispetto, agiscono nell’ombra, o che, potendo e dovendo impedire il male, lasciano che si faccia».
Il 20 aprile 1860 fu nominato Pro-Ministro delle Armi il belga mons. François-Xavier de Mérode, di nobile famiglia tra i cui antenati figurava la Regina santa Elisabetta d’Ungheria. In gioventù era stato un valente ufficiale, decorato della Legion d’Onore combattendo in Algeria nell’Esercito francese, e nel 1849 (a 29 anni) era stato ordinato sacerdote.
A capo dell’Esercito Pontificio fece chiamare un altro ex combattente delle guerre d’Algeria, il generale Louis de la Moricière, che il giorno della nomina lanciò un proclama nel quale affermava: «La rivoluzione, come un tempo l’islamismo, minaccia oggi l’Europa, ed oggi, come allora, la causa del Papa è quella della civiltà e della libertà nel mondo».
I volontari accorsero da tutto il mondo con spirito di crociati e tali furono considerati dal Papa, che elargì loro tutte le indulgenze che si erano elargite nel Medioevo ai liberatori della Terra Santa. Furono formati reparti omogenei con uomini della stessa nazionalità: tiratori franco-belgi, carabinieri tedeschi, bersaglieri austriaci, il battaglione di San Patrizio composto d’irlandesi (ne furono arruolati più di 1000, su 3000 accorsi da tutte le classi sociali).
Eroismo a Castelfidardo
Alla data del 1° agosto 1860 gli effettivi dell’Esercito Pontificio erano saliti da 15.000 a 20.000 uomini, che poco più di un mese dopo dovettero affrontare le soverchianti forze piemontesi che invasero le Marche e l’Umbria, senza dichiarazione di guerra e con il via libera dato da Napoleone III («fate, ma fate presto») e dal governo liberale della protestante Inghilterra.
A Castelfidardo i papalini furono sconfitti dopo eroica resistenza da forze più di tre volte superiori; il capo di S.M. dell’Esercito pontificio Generale de Pimodan, mortalmente ferito, continuò a incitare i suoi uomini al grido di “Viva Pio IX” e “Viva il Papa Re”, finché spirando disse a la Moricière: «Generale, combatterono da eroi, l’onore della Chiesa è salvo».
La Santa Sede fece coniare una medaglia in argento della campagna con una croce di San Pietro «rovesciata ma dritta come un gladio sfoderato per la giustizia» contornata dalle parole Pro Petri Sede.
Gli zuavi pontifici arrivano da tutto il mondo
Ridotto al solo Lazio, lo Stato Pontificio fu abbandonato dalle truppe francesi, a seguito della Convenzione del settembre 1864, con la quale il Regno d’Italia si impegnava a non attaccare Roma, e Pio IX dovette riorganizzare il proprio esercito affidandolo nell’ottobre 1865 al Generale Ermanno Kanzler, nativo del Baden, entrato al servizio del Papa nel 1844.
Un mese prima il Generale de la Moricière era stato trovato morto in ginocchio e col crocifisso in mano, mentre mons. de Mérode fu congedato per le pressioni di Napoleone III. Sarà consacrato arcivescovo e morirà nel 1874 tra le braccia del Papa, pochi mesi prima di essere nominato cardinale.
I volontari stranieri furono inquadrati nel reggimento degli zuavi, nel quale nell’intero decennio ’60 si avvicendarono oltre 10.000 uomini da venticinque diverse nazioni.
Nel 1868 il corpo comprendeva 4.592 uomini, di ogni provenienza sociale, studenti, artigiani, nobili, contadini, borghesi. Tra essi 1.301 francesi, 686 belgi, 1.910 olandesi, 157 sudditi pontifici, 12 modenesi, 14 napoletani, 6 toscani, 19 svizzeri, 7 austriaci, 87 prussiani, 22 tedeschi, 32 spagnoli, 6 portoghesi, 50 inglesi, 101 irlandesi, 10 scozzesi, 2 russi, 12 polacchi, 3 maltesi, 135 canadesi, 14 statunitensi, 1 dalle isole dei mari del sud, 1 indiano, 1 africano, 1 peruviano, 1 messicano, 1 circasso: l’universalità della Chiesa era ben rappresentata!
Per finanziare le spese della difesa si era iniziato nel 1860 in Gran Bretagna a raccogliere l’“obolo di San Pietro”.
La formula del loro giuramento recitava: «Giuro a Dio onnipotente d’essere ubbidiente e fedele al mio sovrano, il Pontefice romano, nostro Santo Padre il Papa Pio IX, e ai suoi legittimi successori. Giuro di servirlo con onore e fedeltà e di sacrificare la mia vita per la difesa della sua persona augusta e sacra, per il mantenimento della sua sovranità e per il mantenimento dei suoi diritti».
È storicamente assai significato e altamente simbolico che tra gli ufficiali vi fossero due discendenti di famosi capi vandeani, che si erano battuti “Per Dio e per il Re” contro la Repubblica Francese: il conte Henri de Cathelineau e il barone Athanase de Charette de la Contrie.
Zuavi e francesi vincono a Mentana
L’Esercito Pontificio, forte di 13.000 uomini, fu messo alla prova nell’autunno 1867, quando il governo italiano lasciò che Garibaldi invadesse da nord il Lazio alla testa di un corpo di volontari, mentre ulteriori colonne di suoi seguaci penetravano da altre direzioni.
Dopo settimane di scontri minori, il 3 novembre avvenne la battaglia principale a Mentana, dove sotto il comando di Kanzler quasi 3.000 pontifici e circa 2.000 francesi (precipitosamente sbarcati a Civitavecchia dopo aver constatato il mancato rispetto della Convenzione di settembre) sconfissero duramente circa 9.000 volontari comandati da Garibaldi.
Gli storici hanno ormai accertato che il merito della vittoria spettò soprattutto ai Pontifici, a differenza di quanto sostennero i risorgimentisti e i napoleonici. Pio IX accolse Kanzler vittorioso recitando i primi versi della Gerusalemme Liberata del Tasso: «Canto l’armi pietose e ‘l Capitano / che il gran sepolcro liberò di Cristo».
Una Roma in tripudio accolse i vincitori. Al cimitero del Verano fu eretto un monumento a ricordo dei caduti pontifici, raffigurante san Pietro nell’atto di consegnare la bandiera a un crociato.
L’ultimo sangue al servizio della Chiesa
L’atto finale si compì il XX settembre 1870. Le truppe italiane, ancora una volta senza dichiarazione di guerra, invasero lo Stato Pontificio, abbandonato dalle truppe francesi a causa della guerra con la Prussia. Inutilmente il governo italiano cercò di suscitare moti anti-papali che giustificassero l’intervento. Tutte le testimonianze, anche quelle insospettabili dei diplomatici della protestante Inghilterra, attestano l’attaccamento dei romani al loro governo e la loro devozione a Pio IX, vivamente acclamato a ogni sua pubblica apparizione nei giorni precedenti l’invasione.
Al Re Vittorio Emanuele II che gli aveva scritto giustificando con speciosi argomenti l’invasione, Pio IX rispose: «Io non entrerò nei particolari della lettera, per non rinnovellare il dolore che una prima scorsa mi ha cagionato. Io benedico Iddio, il quale ha sofferto che V.M. empia di amarezza l’ultimo periodo della mia vita. Quanto al resto, io non posso ammettere le domande espresse nella sua lettera, né aderire ai principii ch’essa contiene. Faccio di nuovo ricorso a Dio, e pongo nelle mani di Lui la mia causa, che è interamente la Sua. Lo prego a concedere abbondanti grazie a V.M. per liberarla da ogni pericolo, e renderla partecipe delle misericordie onde Ella ha bisogno».
Il Papa ordinò al suo esercito di resistere quel tanto che servisse a dimostrare l’aggressione, innalzando poi bandiera bianca. Agì quindi sempre in piena coerenza con la dottrina cattolica della “guerra giusta”, che legittima pienamente l’uso della forza militare contro un ingiusto aggressore e permette anche la guerra offensiva, alla quale uno Stato ricorre per essere reintegrato in un diritto ingiustamente violato. L’Esercito pontificio combatté con valore quando vi era speranza di vittoria, fece una resistenza simbolica quando mancò ogni speranza.
Diciannove furono i caduti papalini deceduti il 20 settembre 1870 e nei giorni successivi in seguito alle ferite; tra essi italiani, francesi, olandesi, svizzeri, belgi e bavaresi. Li ricordiamo con un verso della canzone preferita degli zuavi pontifici: «Gloire à vous tous, chevaliers de Saint Pierre».