domenica 16 ottobre 2011
Monarchia tradizionale parte 3: Una tradizione viva: la Navarra.
Una tradizione salvata dal naufragio europeizzante
Il naufragio della Spagna tradizionale ed antieuropea non fu, senza dubbio, totale dappertutto. A Menéndez y Pelayo, ossessionato dalla rivendicazione del patrimonio culturale ispanico, per un istante poté sembrare rabbuiato l'orizzonte, nonostante la linea dell'abate Miguel Antonio de la Gàndara o del mio conterraneo Juan Pablo Forner. Sembrò così anche a molti dei suoi contemporanei, che non compresero la qualità spagnola, ebbri di europeizzazione krausista o persi nel bosco di felci malaticce della Spagna del 1876.
Ma, nonostante tutto, rimaneva uno spiraglio nel tessuto delle nostre istituzioni, in cui si era salvato fino quasi ai nostri giorni, anche se scolorita e consumata, la tematica stessa delle Spagne tradizionali. Come un rigagnolo nascosto nelle asperità della sterpaglia, lo spirito del passato - in altri territori finito - scorreva ancora per le valli delle montagne pirenaiche, imbarcato nelle anime di alcune persone le quali non avevano sofferto le martellate rivoluzionarie che avevano troncato la nostra storia collettiva.
L'errore di don Marcelino - e di quanti prima o dopo attraversano i secoli mescolando inquietudini e scrutando soluzioni per i popoli spagnoli -, é di avere posto e risolto i suoi problemi partendo dal dato inconcusso della necessità di ricostruire l'intera nostra tradizione dissotterrandola dagli archivi, quasi come chi opera il miracolo di dare vita a un cadavere.
Ma lo "alzati e cammina" degli occasionali salvatori era chiaramente falso. Esisteva un popolo la cui eredità non era stata intaccata dalla fiamma devastatrice, la cui mentalità non era stata dissodata dalle zappe straniere. Mentre il resto della Spagna si europeizzava, dapprima nell'assolutismo alla Luigi XIV e poi nel liberalismo alla '89, il regno di Navarra continuava impavido l'evoluzione naturale del suo sistema politico tradizionale e tipico. Ivi proseguiva latente la nostra tradizione politica nel modo peculiare del regno di Irùn, e da quanto avvenne in Navarra si può dedurre quel che sarebbe avvenuto al resto dei popoli spagnoli se sfortunatamente non fosse stato rotto il filo delle tradizioni politiche locali, con re e popoli irretiti nelle maglie illusorie dell'esterofilia.
Quel che successe in Navarra, sarebbe certamente potuto avvenire in altri luoghi, e sarebbe persino dovuto succedere se gli altri settori della monarchia federativa e missionaria avessero conservato il proprio respiro puro nello stesso modo in cui lo conservò la Navarra.
Per chi crede nella Provvidenza, contemplando nei fatti il dito di Dio, la continuità della tradizione in Navarra ha molto del miracolo storico; sembra che Dio abbia voluto darci una lezione calda e vicina di quel che le Spagne sarebbero state se, al doppiare del 1700, non avessero cessato di essere. Tutto quel che si può scrivere sulla nostra tradizione politica non supererà il genere della letteratura - più o meno geniale, più o meno economica - che appare sempre assieme alle circostanze, di un valore troppo inferiore a questo fatto ciclopicamente istituzionale che é l'esempio di una tradizione non infranta: il regno di Navarra. Il primo passo per comprendere quel che le Spagne dovrebbero essere consisterà, pertanto, nell'avvicinarsi alla Navarra per ricavarvi la lezione di cui le Spagne abbisognano. Perché, al di là delle teorie successive, che hanno culla e sepolcro in Europa e solo clamore scimmiesco da noi, la Navarra ci da la lezione superna della realtà.
Non c'è il minimo dubbio che tale osservazione fosse facile; non é verità meno certa che gli uomini del XIX secolo, incapaci di valorizzare un così grande tesoro, non la compresero. Il pensiero politico del secolo scorso conosce tre interpretazioni della Navarra, ma nessuna cala nella realtà, nonostante l'evidenza di questa.
La prima interpretazione: Zuaznavar, l'erudito.
Il più antico interprete é José Marìa Zuaznavar y Francia, prototipo del giurista alla "Ancièn Regime". Dalle sue Memorias (1) si inferisce la sua vita sino ai settant'anni e, quel che é più notevole, il suo carattere. Da quanto dice e dai dati raccolti nelle segreterie delle Accademie di Madrid, sappiamo che nacque il 17 dicembre 1764 o, con la minuziosissima puntualità che tanto gli sarebbe piaciuta, alle due del mattino del giorno 18; che studiò a Oñate, componendo - ancor prima di diplomarsi baccelliere - un estratto in latino del Derecho natural di Helneccio e una Historia rerum gestarum populi Romani cum ipsius historia juris per chronotasim breviter conjuncta; che nel 1784 passo agli Studi di San Isidro, di Madrid; che nel 1785 prese la strada di Segovia per visitare suo fratello Paolo, cadetto d'artiglieria; che nel dicembre dello stesso anno fu nominato sostituto della cattedra di Diritto Naturale e delle Genti di San Isidro; che nel marzo del 1786 divenne letterato del Consiglio di Castiglia, da cui nel 1791 salì ad occuparsi della Procura del Re nel Tribunale delle Canarie, incarico dal quale fu giubilato senza processo nel 1803, a motivo di aver fatto causa a don Pablo Catalàn - cognato di Godoy, marchese di Branciforte e nonno materno di Pepita Tudó - per frode verso Finanza Reale; che, ritiratosi nel suo paese natale, Ferdinando VII lo tolse da lì per nominarlo uditore del Consiglio di Navarra, per tornare infine a rinchiudersi ancora a Hernani nel 1824; che raggiunse il posto di accademico corrispondente della Accademia della Storia il 13 febbraio 1807 e di soprannumerario l'11 novembre del 1831, così come fu creato membro onorario di quella Spagnola il 24 maggio del 1821, assistendo a molte sedute e divenendo soprannumerario il 24 maggio del 1831, ragione per cui non figura nell'elenco dei membri accademici; che nel 1829 fu beneficiato con uno dei Municipi di Casa e Corte, e nel 1831 con un posto nel Consiglio degli Ordini Militari, ecc.
Ho ripetuto di proposito in modo seccante i dettagli della sua biografia, perché leggendoli in questo modo ci si potrà fare un'idea del personaggio e si capiranno gli errori della sua analisi delle istituzioni politiche di Navarra. Zuaznavar fu uomo integro, di quelli che antepongono la dignità alla durezza della perdita del lavoro; ma fu anche una mentalità chiusa al cambiamento - amante del dispotismo illuminato e della monarchia assoluta -, che, a mala pena e in forza di quella sua integrità senza transazioni, piega la volontà a riconoscere nei cambiamenti rivoluzionari i figli legittimi dei principi esposti da Beccaria o da Rousseau, che tanto lo avevano sedotto al leggerli. Il contrasto, quasi contradditorio, che c'è in Zuaznavar tra l'amore all'età aurea di Carlos III e quanto riconosce nei testi antichi, é quasi un paradigma del momento; simbolo, in fondo, di un assolutista che trova, in determinati testi delle leggi patrie medievali, delle coincidenze con la Costituzione del 1812 e coi postulati rousseauviani.
Come gli altri suoi scritti, il suo Ensayo histórico-crìtico sobre la legislación de Navarra rivela l'uomo modello di una meticolosità nauseante, l'austero funzionario lettore di Rousseau, estimatore di Bentham ed anche conoscitore di Karl Ludwig von Haller (2), il tipo degno di presiedere una Società Economica di Amici del Paese o di pregare prima di bere la cioccolata vespertina senza disdegnare di snocciolare alcune facezie di impronta enciclopedista.
Scrive della Navarra come scrisse delle Canarie (3) e avrebbe scritto sulla Galizia o sulla Catalogna se fosse stato destinato alla Galizia o alla Catalogna. Perciò, quando un simile uomo si avvicinerà al sistema politico della Navarra, lo farà opportunisticamente, con un opportunismo confinante con l'insincerità. Verrà per vedere fino a che punto la situazione legale di quel passato remoto sia in relazione con una delle forze che allora, all'alba del romanticismo, lottano per mettersi al timone degli affari politici. Oscillante fra esse, dovendo scegliere tra assolutismo e liberalismo, quel che non gli entrerà mai nella testa sarà che la struttura della società della Navarra godeva di un proprio stile, quello tradizionale, che non coincideva con quello di nessuno dei contendenti, né liberali né di Ferdinando. Egli inaugura così la lunghissima linea di incomprensioni di cui la Navarra sta divenendo vittima.
Ignorante dell'incomparabile merito della vicina Navarra, il suo procedimento scientifico - che già preludeva quello dei ciechi interpreti successivi -, é il seguente: piena accettazione dell'orbe delle idee enciclopedico - rivoluzionarie iscritte nella Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e della natura contrattuale delle comunità umane; confronto di questo orbe di idee, elevato a termine di paragone dei valori storici, col contesto legislativo della Navarra; conclusione secondo cui, sebbene non esattamente, esiste una certa analogia fra numerosi dei precetti difesi dalla corrente rivoluzionaria e le leggi vigenti nell'antica Navarra. E tutto ciò, per maggiore confusione, senza disdegnare di avvicinarsi al padrone assolutista come fosse il miglior sistema di governo della Spagna (4).
Da qui il suo modo tipico di mettere a fuoco il problema, ridotto a verificare se in Navarra vi fu o no una "Costituzione scritta", ossia un documento costituzionale comparabile a quello del 1812, per cadere quindi nell'inganno (5), insuperbendosi poi sulle ali di un'interpretazione tanto personale quanto falsa del Fuero del Reino. "Come vedremo in un'altra parte di quest'opera - scriverà - quel che oggi conosciamo col titolo di Fueros del Reyno de Navarra non é il contratto sociale formato dai navarresi al tempo dell'invasione degli arabi in Spagna, e se vi fu un tale contratto o "pacta conventa", si é perso o rimase desueto e dimenticato a causa delle continue guerre che per più di tre secoli dovettero sostenere, sia interne che esterne, contro i mori e contro i francesi, contro gli aragonesi e contro i castigliani. Come ciascuno può ben capire, senza territorio fisso e in una continua lotta per riconquistare il perduto a seguito dell'irruzione di eventi tanto rapidi e grandi, non si poteva formare una vera Costituzione, né avere un diritto scritto".
E' la storia del letto di Procuste, applicata ora alla tradizione politica di Navarra. Zuaznavar, con un semplicismo che confina nell'ingenuità, adatta la Navarra alla tematica costituzionalista. C'è documento, ci sarà la Costituzione; non c'è documento, non ci sarà un sistema legale accettabile, la realtà mostri quel che mostra, e dica quel che direbbe lo stessissimo Aristotele.
Con tali premesse la conseguenza é scontata: Zuaznavar non capirà il valore rappresentativo dei Fueros di Navarra come nostra unica tradizione politica ininterrotta e vivente nel pieno vigore. Le passerà accanto, troppo cieco per apprezzarla, ossessionato dalla preoccupazione di non darle maggiore importanza di quella che deriva dal vedere in quel sistema, così meravigliosamente perfetto, null'altro che povere anticipazioni del povero esotismo del documento costituzionale di Cadice.
Il suo totale affanno viene soddisfatto quando incontra il Fuero che Sancho el Mayor concesse a Nàjera prima della "Pepa" (6) infrancesizzata: l'articolo 4 che garantisce la proprietà (7), oppure il 295, che esime dalla prigione chi dispone di garanti (8).
Il resto non conta. Uomo del settecento, manca della percezione della superiorità della libertà concreta della tradizione sulla libertà astratta dell'Enciclopedia. Uomo pignolo, basta il dettaglio del documento per nascondergli la grandezza unica di quel popolo non macchiato da esotismi. Reso straniero dalla sua cultura, non sa contemplare il fenomeno quasi miracoloso per cui la Navarra continua ad essere spagnola, tradizionalmente spagnola, dal punto vista politico.
La sbandata del 1823 lo porterà all'assolutismo e ad intonare canti al legittimismo, ma senza giungere mai al punto ispanico da cui contemplare la Navarra come era. Nella Representación che eleva a Ferdinando VII da Hernani, il 9 aprile 1823 c'è un voltafaccia (9), ma non una congiunzione con la realtà; da ciò che il suo nome sia stato così poco praticato sia nel terreno della politica spagnola che, in ambito dottrinale, della sua interpretazione delle istituzioni. José Marìa Zuaznavar é il primo che percorre la Navarra senza capirla.
L'interpretazione sentimentale: Olave.
Serafìn de Olave, figlio di un sottotenente di Mina, che portò le spalline da colonnello durante la Prima Repubblica, soldato in lontani paesi asiatici e filippini, vincitore della insurrezione delle Antille e nascostamente devoto di Pi y Margall, é il militare che si mette a fare il rigeneratore politico, come Zuaznavar era il funzionario con vanità di scrittore.
L'intenzione che porta nella penna é politica; non concepisce come i liberali possano attaccare i Fueros e questi trovino il loro bastione nel carlismo. Preso dall'errore di credere che il liberalismo é libertà ed il carlismo assolutismo puro, invece di verificare se questo pregiudizio coincidesse o meno con la realtà delle cose, pretende di cambiare questa per assoggettarla alle sue premesse; invece di indagare se la difesa che il carlismo faceva dei Fueros, così come l'inimicizia che contro essi provavano i liberali, comportasse per i primi l'essere amici della libertà e per i secondi la negazione di essa, dà per assodato che vi sia errore nella posizione; invece di rispettare la vigenza di istituzioni tradizionali della Navarra, quale continuità ininterrotta del nostro vecchio ordine tradizionale, aspira ad interpretarla in modo che risulti come appena precedente la rivoluzione europea. Fra rivoluzione e tradizione, trovandosi iscritto nel campo rivoluzionario, volle nientemeno che rendere rivoluzionaria anche la Tradizione della Navarra, cancellandone senz'altro lo stile annesso che era il suo midollo.
Da qui l'impeto verso un'anomalia, da egli rilevata nella realtà, che esisteva solo nella sua testa. "In questa terra di anomalie - scrive -, ci mancherebbe che mentre alcuni carlisti ingannati gridano Pace e Fueros!, noi liberali, soprattutto quelli di Navarra, li contestassimo, restando indifferenti verso la causa forale, che é la causa sacra della libertà" (10).
E' il peccato d'orgoglio, e l'orgoglio acceca. Olave non cederà: piuttosto di riconoscere come il carlismo fosse la causa della libertà, altererà la visione delle istituzioni di Navarra. Partendo da premesse diverse da quelle di Zuaznavar giunge a identiche conclusioni, perché, in fondo, entrambi partecipano dello stesso spirito europeo, enciclopedista e rivoluzionario. Dirà di aver capito i Fueros e crederà anche che siano la libertà; ma così come comincia ignorando che i Fueros incarnano la libertà concreta, legato alla sua meschina e falsa libertà astratta e rivoluzionaria, concluderà applicando alla Tradizione di Navarra gli stessi criteri che saranno applicati da Zuaznavar che vede nei Fueros delle semplici anticipazioni delle creazioni rivoluzionarie.
L'obiettivo di Olave é applicare alla Navarra, o per meglio dire trovare nella storia "costituzionale" della Navarra, i patti politici tipici dell'ideologia della rivoluzione. "Esiste un antico Stato, parte integrante della nostra cara nazionalità spagnola, quello di Navarra, che ha vissuto, vive e vivrà la vita dei patti", scrive in un'opera il cui titolo già dice tutto: Il patto politico come fondamento storico generale della nazionalità spagnola e specialmente come manifestazione legale della sovranità indipendente della Navarra in alcune ed in altre epoche della sua autonomia senza pregiudizio dell'unità nazionale (11).
Inizia la dimostrazione andando alle origini della storia di Navarra. A cominciare dal patto di Sobrarbe (12), secondo lui di indubbia autenticità, va alla ricerca degli accordi coi quali plasmare il carattere elettivo della monarchia: nel fatto che dopo l'assassinio di Sancho V di Peñalén da parte dei suoi fratelli Ramón e Ermesinda, i navarresi eleggano liberamente a re Sancho Ramirez d'Aragona; nel "patto di resistenza" del 1328, firmato a Puente de Reina per fronteggiare gli avvenimenti inerenti la successione di Carlo I; nelle capitolazioni di Pamplona e Tudela innanzi al Duca d'Alba, durante le giornate dell'annessione; e nella stessa legge del 6 agosto 1841, anche se in definitiva era il dettato imposto dal vincitore Espartero. Insomma, cerca l'idea del patto negli avvenimenti della successione del regno, trovandola soprattutto nella persistenza della necessità di riconoscimento o elezione del monarca da parte del popolo.
Col che, anche se siamo apparentemente di fronte all'idea contrattualistica alla Rousseau propugnata dall'incoerente Zuaznavar, i fondamenti sono diversi. Zuaznavar parlava di un "pactum constitutivum" del regno; Olave, di un "pactum nominativum" del sovrano. Zuaznavar cerca di trovare nel patto la spiegazione dell'esistenza della comunità politica basca, mentre Olave si ferma nel vedervi un contratto per la designazione del re. Negli scritti di Olave il "patto" assume il significato secondo cui, in passato, il popolo della Navarra aveva frenato la volontà dei suoi prìncipi contrattando con essi un sistema di governo pieno di garanzie giuridiche di libertà, non già che le comunità sorgessero a causa di un "chimerico" patto costitutivo del vivere assieme.
Olave, per aver subito quelle posizioni intellettuali, adotta dei punti di vista che, nonostante i suoi desideri, si scontrano col suo energico liberalismo. Il fatto è che la federazione storica non ha nulla in comune con il federalismo pimargalliano da lui professato. Lo vediamo, così, censurare l'invio di "deputati della Navarra alle Cortes di Cadice nel 1810, (il regno) rinunciando temporaneamente alla propria autonomia parlamentare" (13), sebbene confessi che per tale affermazione "è più che probabile che anche i liberali della Navarra restino disgustati" (14); lo si vede lottare contro la "confusione di idee" che continua a contrapporre la tradizione al progresso (15), unite invece dal federalismo (16); lo guardiamo propugnare l'integrità del sistema istituzionale della Navarra, ancorché opposto al liberalismo dominante, esaltando "le Costituzioni più liberali e democratiche del mondo, la cui radice scritta, per quanto concerne principalmente Navarra e Aragona, si trova nel Fuero di Sobrarbe" (17), quel Fuero di Sobrarbe la cui esistenza aveva difeso contro lo stesso Castelar (18); assistiamo allo spettacolo di vederlo lottare a oltranza nell'ansia di salvare il federalismo pimargalliano dalle sue fondamenta francesi, facendogli scudo con i Fueros e contrapponendovi una malta di federalismo mescolato a fuerismo in opposizione "alle idee straniere" che "copiando Costituzioni straniere ha contaminato la rivoluzione ufficiale spagnola, adottando massime, formule e procedimenti contrari allo spirito degli spagnoli e rendendo i propri governi nemici dei Fueros" (19), perché "per quanto amareggi i liberali, esiste - confessa - una triste verità: la rivoluzione ufficiale è stata in questo mille volte più criminale dell'assolutismo" (20).
Ma tali e tante congetture si riducono in polvere per quel suo affanno a disconoscere la realtà speciale del tradizionalismo politico della Navarra come unica tradizione politica viva e ininterrotta. E, soprattutto, quella tradizione non dovrà superare il federalismo del programma del suo riverito maestro: quel che la Navarra insegna è quanto era già riportato nelle lezioni de Las nacionalidades, libro che pone davanti a tutti per essere del migliore spagnolo del XIX secolo, "onore della Spagna" (21) e non meno che "sublime" (22).
Quando Olave fa riferimento all'accordo di domenica 13 marzo 1328 a Puente de la Reina dagli Stati del regno, stipulato in vista della successione al trono, Olave sostiene che "quei valorosi e attenti navarresi seguirono esattamente la condotta consigliata dal nostro caro e rispettato amico don Francisco Pi y Margall ne Las nacionalidades anche nelle questioni di metodo" (23).
Così ricade dove era caduto Zuaznavar, perché tra il federalismo astratto di Pi y Margall e l'azione di quanti si riunirono a Puente la Reina non c'è abisso minore di quello esistente tra il contratto sociale rousseauviano e la legislazione di Sancho el Mayor.
Le libertà giurate nel 1328, così come il sistema politico della Navarra, consistevano in libertà concrete, specifiche, garanzie della posizione che ogni firmatario occupa in una situazione sociale nitidamente disegnata: nulla a che vedere con la libertà rivoluzionaria, efficace fucina di uguaglianza per nobili e plebei, franchi e villani, chierici e secolari, stallieri e signorotti di campagna.
Il fatto è che Olave si avvicina alla Navarra col cuore, e col cuore anela alla perennità di quella tradizione politica conservatasi gloriosamente attraverso le smanie dell'assolutismo e gli eccessi del liberalismo democratico. Ma le interpretazioni di un popolo non si fanno solo coi battiti del cuore, essendo sempre e anteriormente conseguenza di determinati principi filosofici - dai quali quelli di Serafìn Olave erano lontani, molto lontani -, del sistema politico o degli schemi metafisici degli uomini della Navarra tradizionale, che essendo tradizionale era contemporaneamente antica e nuova. Anche egli passò per le vie del suo popolo - gironzolando attorno ai crocevia e desiderando indovinare una verità il cui godimento gli fu sempre nascosto dalla spessa nebbia dei suoi fervori progressisti alla Proudhon di Pi y Margall -, tanto forestiero quanto gli esotismi che si vantava di combattere.
Marichalar o l'interpretazione tecnica.
Neppure la visione tecnica del legalismo canovista è più felice, sebbene il suo teorico avesse abbondanti motivi per non sbagliare così maldestramente come i suoi due predecessori.
Benché fosse nato nel 1811 in Alcalà de Henares, Amalio Marichalar y San Clemente - il grande storico del diritto spagnolo per la parte forale della voluminosa opera che, assieme a Cayetano Manrique, fu pubblicata col titolo di Historia de la legislaciòn y recitaciones del derecho de España - fu marchese di Montesa, uno degli otto grandi casati tudelani con diritto di voto alle Cortes, come pure capo di quello di Marichalar, situato in Peralta, e oriundo di Lesaca. Ciò sembra suggerire che le pagine consacrate alla Navarra siano paragrafi vivi, appassionati, incandescenti, apologetici, fibre di una grande passione. E, ciò nonostante, si riducono ad un arsenale di notizie ordinate, un magazzino di date, un insieme di notizie ben sistemate.
In quattro parti, suddivise in diciannove capitoli, è condensato quanto si poteva sapere in quegli anni isabellini sull'attività legislativa dei re di Navarra, dei Fueros generali, della stato della società e del contesto delle Cortes. Certo, molte delle sue notizie sono discutibili, come la sua accettazione del leggendario Fuero di Sobrarbe; oppure incomplete, si ricordi la dimenticanza dei Fueros particolari, successivamente studiati con tanta maestria da José Maria Lacarra nell'Anuario de Historia del derecho español (24). Ma a tutto supplisce la sua prodigiosa capacità di ordinatore, il suo profondo sapere e la tecnica espositiva.
Tecnica. Da lì non esce. Ancora oggi l'elaborazione del marchese di Montesa risulta particolarmente utile, e ad essa attinse lo stesso Olave per bere le informazioni sulle vecchie cose di Navarra. Ma una tecnica che lotta per essere spassionata, rinunciando ad ogni avventura interpretativa per timore dell'interpretazione, perché nessuno spezzi l'oggettività di quanto viene esposto. Marichalar è uno storico, non un commentatore. Ordina fatti, non estrae conseguenze. Annota dati in un sistema che, a forza della ottenuta oggettività, non permette di vedere i caratteri della mano ordinatrice.
Perciò in Marichalar l'idea del patto prende una forma sicura, quella di patto governativo del re con i sudditi (25), ma senza che da un simile ed opportuno apprezzamento del patto, simboleggiata dai giuramenti dei Fueros da parte del monarca e dall'obbedienza da parte del regno, estragga il midollo della tradizione di Navarra: l'idea secondo cui l'ordinamento gerarchico del corpo politico rispecchiava una mentalità di vita, una scia di libertà concrete servite da parte di un potere regale limitato.
Nonostante tutto, l'imparzialità dello storico deve riconoscere i fatti così come si svolsero, benché non sappia o non voglia affondare nelle cause degli accadimenti. Ma, grazie all'incorruttibile sincerità della sua coscienza di storico, il contrasto tra la tradizione di Navarra e la rivoluzione circostante, tra l'autentica libertà dei Fueros e la farsa demoliberale, tra le libertà concrete e la libertà astratta, assume nel suo scrivere le tinte di una drammaticità tragica.
Si ricordi la sua meraviglia dinanzi all'incorrutibilità dei deputati di Navarra, che risalta così aspramente a confronto con la venalità dei contemporanei. "Come mai - si chiede - l'insieme dei deputati che si eleggeva ad ogni legislatura generalmente resisteva alle blandizie e progetti del governo? Come mai ai nostri giorni le Cortes sono sempre dello stessa opinione dei governi, e che tutti, anche se sono cattivi, incontrano il sostegno di quelli che si dicono rappresentanti della classe popolare? Come accade che il corpo elettorale sia sempre così docile alle lusinghe dei governi, anche se gli elettori sono individualmente persuasi che la loro amministrazione è pregiudizievole per il paese? (...) Oggi fra di noi siamo lontani dal proclamare un'idea feconda, lontana la nazione dall'avere interesse a difendere o a sostenere questa o quella frazione politica quando essa viene messa in discussione con mediocre abilità - dato che in definitiva si tratta degli interessi solo di alcune persone, di assai pochi uomini -, al punto che tutti i governi influenzano la rappresentanza nazionale e ci si meraviglia per la resistenza ai benefici o alle minacce. Il governo di Castiglia non riuscì mai a intimidire e corrompere il corpo elettorale della Navarra, sebbene lo avesse tentato svariate volte, e sempre per cose in cui aveva scarso interesse. Dov'è il segreto di un risultato tanto benefico per il sistema parlamentare?" (26).
Fondamento sicuro, da storico coscienzioso per il quale i propri pruriti non faranno mai degradare l'esposizione. Orbene, Marichalar vede la chiave di quella magnifica vita di effettive libertà semplicemente nel procedimento elettorale - secondo il quale l'elezione dei rappresentanti popolari aveva luogo per i primi venti iscritti nei collegi elettorali di ogni città o villaggio aventi diritto al voto nelle Cortes -, il che evitava ogni possibile coercizione verso coloro che sino all'ultimo momento erano degli sconosciuti. Per il marchese di Montesa "non c'è altra ragione a cui possa attribuirsi l'indipendenza e la libertà che ha sempre regnato nelle elezioni della Navarra" (27).
Ma la meschinità della spiegazione non ha una consonanza degna della grandezza del fatto storico, secondo cui la Navarra è l'unico tra i nostri popoli in cui, sino ad oggi, si è conservato il senso liberissimo della nostra tradizione politica. Quando Marichalar riduce tutto a un piatto meccanismo elettorale, ignora che quella meccanica non vale nulla se non serve da canale a uno spirito libero e intrepido. La sobrecarta (28), la promulgaciòn, le conquiste del 1561 ed i tentativi del 1624 si svolgono in circostanze identiche a quelle in cui il resto della penisola cede terreno all'avanzata dell'assolutismo. Perché l'assolutismo non ha trionfato in Navarra, come è invece accaduto nella maggioranza dei restanti popoli spagnoli?.
Marichalar risponde col suo meccanicismo elettoralistico, espressione arcaica del meccanicismo con cui i liberali, seguendo le orme di Montesquieu, credono di proteggere e instaurare la libertà. Ma c'è qualcosa oltre il ghirigoro elettoralistico, essendo questo troppo piccolo per spiegare un fatto tanto grande ed unico. Marichalar non lo comprese a causa del suo meschino metodo tecnico, per la ridotta angolazione della sua visione meccanicistica, per la vana pertinacia di fare del positivismo attaccandosi al fatto.
In Navarra c'era di più. C'era lo spirito indomabile delle genti del regno, le loro radici religiose, il loro eroismo silenzioso e senza deliqui. Gli astuti maneggi elettorali, più o meno riusciti, a nulla sarebbero valsi se non fosse esistita l'aria liberissima che rese possibile la continuità della Tradizione di Navarra. Le istituzioni sono conseguenza, non mai causa, della libertà.
Quando un giorno del luglio 1512 il Duca d'Alba piantò il suo campo nell'odierno passeggio della Taconera, ad Irùn, gli abitanti di Pamplona consentirono a diventare sudditi del re di Castiglia avvertendo però che avrebbero preferito morire prima di essere ridotti allo stato di vassalli; e siccome alla mentalità del Duca d'Alba, uomo della terra castigliana in cui non esisteva altro oltre che l'infinitamente grande del re e l'infinitamente piccolo del vassallo, sfuggiva la distinzione tra le due parole, "per vassallo - risposero, o meglio, spiegarono i pamplonesi - intendiamo colui il quale il signore può trattare bene o male, a piacimento; invece il suddito deve trattarlo sempre bene".
Amalio Marichalar misconobbe un simile spirito e ciò che era in cima alla signoria nel regno di Navarra. La tecnica affogò i suoi sforzi nella minutaggine del dettaglio secondario e, studiando la sua gente, non percepì sotto ai dati di erudizione la suprema verità della Navarra: che si trattava dell'unico popolo che non aveva dilapidato il tesoro, vero tesoro di Aitor (29), della sua libertà politica.
Le osservazioni di Cànovas del castillo.
Quando cominciavo ad occuparmi di studi relativi alla Navarra fui profondamente impressionato da quell'osservazione, formulata nientemeno che da Cànovas del Castillo, secondo cui il fervore provato dalle classi illuminate del paese basco verso le idee dell'Enciclopedia e della Rivoluzione, si dissolse come il sale nell'acqua quando le videro messe in pratica nel 1820 (30). Oggi sono riuscito a spiegarmelo. Le genti eùskere (31) videro nel liberalismo un alleato nella loro difesa delle patrie libertà contro l'assolutismo del secolo XVIII; ma non appena subirono la pratica delle nuove dottrine compresero che erano tanto lontani da esse quanto dall'assolutismo stesso. Nel corso del XIX secolo, che per la verità va dal 1833 al 1936, sepolto il fantasma assolutista, si ingaggia la lotta tra i difensori delle libertà tradizionali e i difensori della libertà liberale e straniera: tale è la guerra inestinguibile tra carlisti e liberali ed il motivo del continuo persistere nelle rispettive posizioni. Quel che accadde fu che, essendo i liberali padroni dei denari della propaganda, fecero prevalere la loro la loro posizione - secondo cui le libertà liberali erano essenziali e l'assolutismo inesorabilmente finito -, con un tale risultato propagandistico che costrinsero il carlismo nella stretta trincea del suo impegno indomabile e seminarono tanta confusione che caddero nella rete dell'inganno persino cuori tanto onorati come Serafìn Olave e maestri tanto perspicaci come Menéndez y Pelayo.
E' giunta l'ora di chiarire quell'imbroglio di una propaganda mendace e interessata.
I tre ricercatori della tradizione politica della Navarra prima considerati non schivarono lo scoglio: con gli occhi bendati dalla fantasmagoria artificiale degli schiamazzi rivoluzionari o dai luoghi comuni di una cultura non interessata alle proprie radici, non riuscirono a capire il segreto portentoso di quel popolo, vero eletto nei piani politici di Dio.
La lezione politica della Navarra.
La Navarra fu, nel corso del medioevo, uno dei regni spagnoli e l'unica parte del territorio basco che mantenne la propria bandiera indipendente, per quanto fosse schiacciata dai suoi colossali vicini di Aragona, Francia e Castiglia.
La storia ci presenta i navarresi orgogliosi della propria indomita indipendenza, difesa contro i mori e i francesi sin dallo stesso periodo in cui si inizia a parlare di loro. Nel 778 li guida contro i franchi un certo Sihiminum o Jimeno, e sembra che sia da lui che dipana l'organizzazione di un gruppo di baschi nei quali si deve vedere la successiva origine della Navarra. Sancho el Mayor (999-1035) cerca di fare del suo regno l'asse della riconquista contro l'invasore arabo, ma alla sua morte i suoi domini vengono divisi tra i suoi figli e - con la chiusura della frontiera meridionale di Castiglia, alleata con Aragona - rimane presto interrotta la strada per continuare la riconquista. All'inizio del secolo XIII, Sancho el de las Cadenas aspira a forzare la cerchia storica e politica della monarchia di Navarra, forse con l'ambizione di raggruppare sotto il suo scettro le altri sei tribù eredi del patriarca Aitor; ma la stoltezza politica di Giacomo I di Aragona, a cui spetta la successione, precipita il paese nelle mani di re dal tratto e cultura francesi. Un solo secolo dopo rinasce l'orientamento peninsulare che, dopo diverse lotte intestine, finisce con l'incorporare il regno alla corona di Castiglia.
Durante tutte queste vicissitudini, la Navarra conosce un sistema di libertà politiche concrete, conformemente alle consuetudini di quei secoli. In alcuni momenti il regno appare come un blocco chiuso, pronto a tagliare gli abusi regali. Il fatto che per molti anni i re di Navarra risiedessero fuori dal paese, lo spirito altero del nativo eùskero, la filosofia cristiana dell'uomo concreto, l'evoluzione verso forme monarchiche estamentali (32), che si estende a tutta l'Europa provenendo proprio dalla vicina Aragona, tali cause, oltre ad altre minori, contribuiscono a dare alla struttura politica di Navarra del basso Medio Evo un sigillo di indubitabile eccellenza nelle libertà politiche. Fu un sistema preparato a misura di libertà concrete, familiari, estamentali, sociali e cittadine, le uniche conosciute in quei tempi. Ma così efficace, così vivo e così consistente, che del suo ricordo restano memorie patenti nella robustezza di alcune istituzioni, ferite ma non abbattute dalle burrasche della rivoluzione e dell'assolutismo.
Mostrerò alcuni tratti significativi.
Quando nel 1328 Carlos I morì senza lasciare figli maschi, sul trono francese - al quale quello di Navarra era unito -, gli succedette suo fratello il conte di Valois, Felipe, in ossequio ai precetti della legge Salica che in Francia impediva l'accesso al trono delle femmine. Ma siccome tale legge non la era nel regno di Navarra e Felipe pretendeva di essere riconosciuto monarca del regno pirenaico, il 13 marzo 1328 i rappresentanti dei brazos si riunirono a Puente de la Reina e si accordarono per difendere i diritti della principessa Juana, figlia del re defunto, fronteggiando le richieste del nuovo re francese. E' da notare il vigore della concezione politica che risplende negli accordi di Puente de la Reina. "In primo luogo - dicono e giurano i presenti - giuriamo sulla Croce o sui Santi Vangeli, sotto pena di tradimento, di vegliare su detto regno di Navarra... Ancora giuriamo, sotto la pena citata, che nessuno darà separatamente risposta sulla sovranità di detto regno, ma solo tutti assieme concordemente, con la maggiore e più sana parte di uomini dabbene, di cavalieri, di idalghi e di buone città. E giuriamo inoltre, sotto la pena citata, che ci aiuteremo tutti acciocché chi ambisce a regnare sul citato regno ci renda giuramento secondo il fuero, l'uso e la consuetudine del regno di Navarra. E giuriamo anche di aiutarci a mantenere fueros, usi, costumi, privilegi e franchigie, come ciascuno li abbiamo".
Le vicende di Carlos II, detto el Malo (1349-1388), e le sue esorbitanti spese durante la partecipazione alle lotte intestine francesi, portarono quasi in rovina il patrimonio regale; per questo motivo le Cortes acquisirono il patrimonio del Re, facendosi carico del patrimonio integro del monarca e acquisendo così il diritto alla completa fiscalizzazione della spesa pubblica. Motivo per il quale il sistema parlamentare acquistò un vigore inusitato e davvero straordinario per quei giorni.
Le sommosse pubbliche - nonostante l'intervento in esse dell'astuto Juan II di Aragona, vero modello di principe machiavellico -, non poterono far deviare il senso di libertà consustanziale al regno pirenaico, salvato dal tempestoso mare delle burrasche assolutistiche, né smantellare i nostri sistemi politici autentici nei primi secoli dell'Evo moderno. Nel regno non vi fu un Juan II intento a schiacciare le Cortes di Evora, nè un Felipe II che aboliva i Fueros. Al contrario, le Cortes continuarono ad aumentare anche nella rappresentanza popolare, passando da 27 a 38 città, fenomeno certamente rarissimo nei secoli dal XVI al XVIII. Quando il viceré le convocava, chiedeva ai popoli, ai signori o agli ecclesiastici a cui spettava partecipare, che convenissero "per singolare grazia".
Le istruzione dettate il 5 ottobre del 1552, da Carlo V di Navarra e I di Castiglia, nonché V imperatore con questo nome, al viceré il duca di Alburquerque, sono un modello di rispetto verso i reclami del popolo. Il regolamento interno delle riunioni rimane di esclusiva competenza dei brazos, senza che mai il rappresentante reale si immischiasse in tale aspetto. Il primo problema da affrontare fu sempre la riparazione dei torti commessi durante la precedente legislatura, diritto ricordato a Filippo II dai deputati del 1558 nei seguenti termini, che qualunque governante odierno considererebbe insolenti, ma che trovarono benevola accoglienza in quel monarca tanto vituperato: "che il servizio - dicevano - con cui contribuiamo, soleva essere ed é volontario, e l'obbligo che V. M. ha di sgravarcene, in quanto re e signore naturale, é necessario, e se a ciò non si ponesse ancora rimedio, da qui in avanti si potrebbe pretendere lo stesso da V. M. se si presentasse un caso simile". Esistette un sindaco speciale per attendere alle rimostranze popolari a partire dal 1603, ossia nell'ora stessa in cui i re inglesi iniziavano la loro offensiva antiparlamentare in nome del diritto divino e carismatico a comandare. Nel 1556 le Cortes si rifiutarono di riconoscere la validità dell'abnegazione dell'imperatore a favore di Filippo II sinché non fosse arrivata una copia autentica e manoscritta dal suo stesso pugno. Durante i periodi di vuoto parlamentare, una deputazione permanente vegliava per l'osservanza dei fueros e delle libertà, avendo un potere così alto che le istruzioni addizionali alle Cortes del 1796 non hanno riscontro con alcun documento europeo contemporaneo. Il procedimento elettorale di estrazione dal sacco per eleggere i deputati, se non garantiva la rappresentanza dei più competenti, perlomeno riduceva al minimo il rischio di brogli elettorali.
Tutte queste caratteristiche, insolite in un'età di universale assolutismo, culminano in alcuni diritti che riesce difficile credere che li fossero, come veramente lo furono, in considerazione del temperamento dei monarchi che li concessero. Ne segnalerò alcune.
Per evitare che i sovrani dettassero leggi in contrasto con i Fueros di Navarra, le Cortes riunite in Pamplona nel 1514 sollecitano Ferdinando il Cattolico a rispettare i decreti reali, dettati in tale contesto ma non rispettati; il re risponde affermativamente nel seguente tenore: "Per quanto, a causa dell'insistenza di alcuni, molte volte comandiamo di dare a questo regno numerosi decreti e nostre disposizioni reali - così come li danno i nostri viceré in nostro nome - con grande appesantimento delle leggi di detto regno e quindi della sua libertà, contro di ciò prima d'oggi si é provveduto e abbiamo giurato. Pertanto, con la presente ordiniamo e comandiamo che tali provvedimenti o decreti da Noi emanati, ancorché vengano rispettati non siano messi in atto, finché non vengano discussi con Noi". Ed era Ferdinando il Cattolico.
Le Cortes di Sangüesa del 1561 ottengono da Filippo II ancora di più: che nel reame non si dia corso agli ordini reali senza previa approvazione del Consiglio di Navarra, approvazione che sarà chiamata "sobrecarta", ed era Filippo II.
Nelle stesse Cortes di Sangüesa del 1561 si stabilisce che l'emanazione di leggi é facoltà congiunta delle Cortes e del re. L'ottava petizione di quelle di Pamplona del 1624 assicura ai tre Stati del regno l'iniziativa legislativa a carattere esclusivo. E regnava Filippo IV.
La decima legge delle Cortes del 1817-1818 dichiara contrario ai Fueros l'annullamento della "sobrecarta". Regnava Ferdinando VII.
Il fatto é che in Navarra lo stile medievale della libertà politica é durato sin quasi ai nostri giorni. Ivi la regalità non é mai stata un albero senza fronde, né i sovrani si sono addentrati nel fitto bosco delle libertà concrete medievali col furore di un boscaiolo ansioso. Se risaliamo dal diritto pubblico alla filosofia politica, potremmo dire che ivi persiste la nozione dell'uomo concreto come base della struttura sociale e governativa.
E' una condizione speciale che spiega l'acuta osservazione di Cànovas del Castillo, relativa al disinganno degli abitanti di Navarra nel vedere diventare legge la libertà del 1789. Il fatto é che mentre le idee di libertà astratta - valide per tutti gli uomini di qualunque epoca e qualsiasi nazione, cementate nell'astrazionismo dello "homo oeconomicus", realizzate nella formula meccanicistica di "un uomo, un voto", senza tenere conto delle qualità particolari del votante -, apparivano agli occhi dei figli di dieci generazioni di sudditi del potere assoluto dei principi come la salvezza dell'ordine sociale, le stesse idee risultavano prive di senso per i popoli che non avevano perso il gustoso sapore delle libertà medievali. In qualcun altro dei popoli spagnoli, come nel resto d'Europa, eccettuata l'Inghilterra, la lotta politica si svolgeva solo tra l'assolutismo della sovranità regale e l'assolutismo della sovranità popolare; e, assolutismo per assolutismo, si ritenne più accettabile quest'ultimo. In Navarra, al contrario, la lotta politica si concentrava non già tra l'assolutismo e la libertà astratta rivoluzionaria, bensì tra due specie di libertà: quella sradicatrice dell'Ottantanove e il sistema tradizionale di libertà medievali e cristiane, concrete e varie, che ivi resisteva alle trasformazioni di tre secoli di assolutismo principesco.
Per questo la scelta fu diversa: per la diversità di radicamento. Coloro che conoscevano solo la libertà astratta e livellatrice si diedero ad essa con passione. Quanti conoscevano il sistema di libertà concrete tipiche, optarono per queste ultime disprezzando ardentemente gli slogan rivoluzionari.
La Rivoluzione francese fu resa possibile dal precedente assolutismo regale. La Navarra, che mai conobbe tale assolutismo, non volle saperne nulla neppure dell'ideologia della Rivoluzione francese, ed ancora oggi, a metà del secolo XX, chiede con orgoglio il suo stile di libertà totale risalente al Medio Evo, che non ebbe altre interruzioni o eccezioni che quelle tracciate dalle spade dei generali liberali che avevano trionfato contro di essa.
Questa é pure la ragion d'essere del carlismo di Navarra. Siccome il carlismo offriva tali libertà e significava l'autentica libertà della tradizione contro le presunte libertà della rivoluzione liberale, la Navarra fu carlista e lottò per i sacri imperativi di Dio, Patria, Fueros e Re. Il carlismo offrì alla Navarra quel che il liberalismo non poteva darle: la libertà. Il liberalismo pretese di fare quel che l'assolutismo non aveva neppure tentato: rompere il filo della tradizione di Navarra in campo politico, sostituendo coi suoi falsi clamori la robusta libertà tradizionale. Da ciò l'adesione unanime, cieca e fervorosa dei suoi abitanti alla causa carlista; il fatto é che Navarra difendeva col carlismo molto di più che una determinata bandiera dinastica: difendeva il diritto di continuare ad essere se stessa senza intromissioni straniere, il poter continuare ad essere spagnola e non europea, la libertà di cristiana invece della libertà rivoluzionaria, il permanere della prodezza quasi miracolosa di mostrarci col suo esempio quel che sarebbe stato degli altri popoli spagnoli senza le successive europeizzazioni assolutista e liberale (33).
La lezione della Navarra, di come essa sia tradizione viva, non cade nel semenzaio di dottrine più o meno aeree, ma si eleva a fecondo crogiolo di realtà. In Navarra dobbiamo apprendere quanto solo essa può insegnarci: l'evoluzione naturale delle tradizioni politiche spagnole e le possibilità della libertà politica cristiana.
Per capirlo sembra necessario definire cosa sia la tradizione e le basi filosofiche delle libertà concrete e cristiane. Cosa a cui vengono dedicati i due seguenti capitoli.
NOTA
1) Ignacio Ramón Baroja, San Sebastiàn 1834.
2) La teoria della "adesione" dei sudditi al re, esposta nel suo Compendio de la primera parte del discurso sobre el estado natural y civil del hombre, para el uso de la juventud en las Universidades. Madrid, M. de Burgos, 1833, pp. 120-132, ricorda le tesi della Restauration der Staatswissenshaften.
3) Sulle Canarie scrisse non meno di cinque libri, stampati tra il 1803 3 il 1820.
4) Contraddizioni che talvolta promanano dal suo desiderio di ballare al suono della morchia poltica trionfante in quel momento. Per una critica di Zuaznavar da questo punto di vista, si vedano le diciassette contraddizioni messe in risalto da José de Yanguas y Miranda, dette "ostie o bugie" nel I capitolo dell'opera che, sotto lo pseudonimo di Apoderado del Alma del Licenziado Elizondo [Impossessato dell'anima del Dottor Elizondo, N.d.T.], pubblicò intitolandola La contrajerigonza o refutación jocoseria del "Ensayo histórico-critico sobre la legislación de Navarra", compuesta por D. José Maria Zuaznavar, Francia, Cavero, Mùgica y Mauln, del Consejo de S. M. ... En Panzacola, agosto 1833, pp. 1-19 [La controtergiversa, ossia confutazione semiseria..., N.d.T.].
5) Ensayo histórico-critico sobre la legislación de Navarra, Pamplona, Viuda de Rada, II, 1821, 15.
6) L'espressione, se di origine colombiana, potrebbe essere tradotta con "fregatura" o "bufala". Pequeño Larousse Ilustrado, Librairie Larousse, Buenos Aires 1966. (N.d.T.).
7) Ensayo, II, 142.
8) Ensayo, II, 125.
9) Foglio sciolto, conservato nel tomo 6-8-3-2500 della Real Academia de la Historia, col numero 9 di quelli collezionati per volontà di Zuaznavar.
10) Serafìn Olave y Dìez: Reseña histórica y anàlisis comparativo de las constìtuciones forales de Navarra, Aragón, Cataluña y Valencia, Madrid, Aribàu y C.a, 1875.
11) El pacto polìtico como fundamento histórico general de la nacionalidad española y especialmente como manifestación legal de la soberanìa independiente de Navarra en unas épocas y en otras de su autonomìa sin perjuicio de la unidad nacional, Madrid, imprenta de la Nueva Prensa, 1878, p. 5.
12) Contrada spagnola (Huesca) che fu il nucleo dell'antico regno di Aragona. Pequeño Larousse Ilustrado, op. cit..
13) El pacto, op. cit., p. 159.
14) El pacto, op. cit., p. 158.
15) Tradición y progreso, Barcellona, Olivares, 1877, pp. 1-2.
16) Tradición y progreso, op. cit., p. 72.
17) Tradición y progreso, op. cit., p. 27.
18) La unión aragonesa y el pacto de Sobrarbe, vindicados contra los desafueros históricos de don Emilio Castelar, Pamplona, Joaquìn Lorda, 1877.
19) El pa.