I veri motivi della conquista degli stati preunitari (ed in particolare del Regno delle Due Sicilie), da parte del Regno di Sardegna, non sono stati di natura ideale, ma dovuti sia a smania espansionistica, che alla crisi finanziaria del regno sabaudo[68][69]; il quale, tra il 1848 e il 1859, accumulò un debito di circa 910 milioni di lire[118]. Già nel luglio 1850, infatti, lo stesso conte di Cavour così esprimeva in un intervento alla Camera le sue preoccupazioni riguardo lo stato delle finanze piemontesi:
« Io so quant’altri che, continuando nella via che abbiamo seguito da due anni, noi andremo difilati al fallimento, e che continuando ad aumentare le gravezze, dopo pochissimi anni saremo nell’impossibilità di contrarre nuovi prestiti e di soddisfare agli antichi. » | |
(Camillo Benso di Cavour[119]) |
Ad incidere sul passivo del bilancio dello stato furono anche le spese sostenute per le diverse guerre espansionistiche, e non, volute per inserirsi nel gioco diplomatico internazionale. In particolare, la guerra di Crimea, che Cavour considerava un buon trampolino di lancio per introdurre il Piemonte sullo scacchiere politico europeo, comportò a Torino, oltre che perdite pari ad un terzo del contingente inviato[120]; un importante sacrificio economico, che fu finanziato con la contrazione di un debito con la Gran Bretagna che verrà saldato solo nel 1902, andando a gravare per oltre quarant'anni sul bilancio dello stato unitario[121].
Diverse fonti confermano lo stato di forte crisi finanziaria del Regno di Sardegna, riportando, invece, una situazione opposta per il Regno delle Due Sicilie. Secondo tali fonti, infatti, il debito pubblico delle Due Sicilie era un terzo di quello piemontese (26 milioni di lire contro 64), ma all'unificazione tale passivo fu accollato anche ai territori degli altri stati preunitari. In particolare, in un suo studio del 1862, il barone Giacomo Savarese confrontò le rendite (cioè i titoli di Stato, indici dello stato di salute delle finanze pubbliche), di Piemonte e Due Sicilie. In particolare, evidenziò che il Piemonte aveva nel 1847 un debito pubblico limitato a 9.342.707,04 lire annue, il quale negli anni successivi lievitò a tal punto che nel solo 1860 furono emesse rendite per 67.974.177,10 lire[122]. Per contro, il totale delle emissioni di titoli del debito pubblico delle Due Sicilie, nel decennio 1848-1859, assommò a 5.210.731,00 lire[122]. Savarese, inoltre, mise a confronto, sempre nel decennio preso a periodo di riferimento, i bilanci e le leggi allegate delle Due Sicilie e del Piemonte deducendone che quest'ultimo aveva accumulato, un disavanzo maggiore del primo di 234.966.907,40 lire (369.308.006,59 lire del Piemonte contro 134.341.099,19 lire delle Due Sicilie – che, negli anni 1856 e 1859, avevano fatto registrare finanche un avanzo di bilancio)[123]. Sempre nello stesso periodo, il Piemonte aveva approvato 22 provvedimenti legislativi che introducevano nuove tasse o aggravavano quelle già esistenti (contro nessuna nuova tassa o aggravio nelle Due Sicilie), nonché altre disposizioni che decretarono l’alienazione di una serie di beni pubblici[124] per ridurre il disavanzo[125].
La solidità finanziaria delle Due Sicilie e la contemporanea situazione opposta a carico del Piemonte, è stata esemplificata in questo modo dall'economista Francesco Saverio Nitti:
« Ciò che è certo è che il Regno di Napoli era nel 1857 non solo il più reputato d’Italia per la sua solidità finanziaria – e ne fan prova i corsi della rendita – ma anche quello che, fra i maggiori Stati, si trovava in migliori condizioni. Scarso il debito, le imposte non gravose e bene ammortizzate, semplicità grande in tutti i servizi fiscali e della tesoreria dello Stato. Era proprio il contrario del Regno di Sardegna, ove le imposte avevano raggiunto limiti elevatissimi, dove il regime fiscale rappresentava una serie di sovrapposizioni continue fatte senza criterio; con un debito pubblico enorme, su cui pendeva lo spettro del fallimento. » | |
(Francesco Saverio Nitti[126]) |
La storica Angela Pellicciari conferma sostanzialmente quanto sopra, prendendo come esempio una citazione di Pier Carlo Boggio, deputato del Regno di Sardegna[127]. Quest'ultimo scrisse nella sua opera Fra un mese! (1859) che «la pace ora significherebbe per il Piemonte la riazione e la bancarotta»[128] affermando che i gravi problemi finanziari del Piemonte erano conseguenza delle ingenti spese derivanti dalla causa nazionale:
« Il Piemonte accrebbe di ben cinquecento milioni il suo debito pubblico: il Piemonte falsò le basi normali del suo bilancio passivo; il Piemonte spostò la propria azione dal suo centro primitivo; il Piemonte impresse a sé medesimo un impulso estraneo alla sua orbita naturale; il Piemonte arrischiò a più riprese le sue istituzioni; il Piemonte sacrificò le vite di numerosi suoi figli, sempre in vista della gloriosa meta che si è proposto: il Riscatto d'Italia. » | |
(Pier Carlo Boggio[128]) |
Tralasciando la retorica nauseabonda dell'ultima parte dell'articolo, la vera "questione" era quella Settentrionale!, e oggi riguarda tutta la Penisola, in certe zone di più(Regno delle Due Sicilie), in certe di meno(Nord-Centro).
Il Principe dei Reazionari.