martedì 14 giugno 2016

SERBI IDDIO L’AUSTRIACO REGNO!

 
La notizia arriva a Vienna nel pomeriggio, con un’edizione straordinaria del Tagblatt.
L’Arciduca Ferdinando ucciso con la moglie a Sarajevo.

La voce corre rapida, in breve tutta la città sa della sciagura. Ammutolita dall’orrore, si paralizza. Nei caffè la gente si alza dai tavolini e si incammina verso casa, a testa bassa, i negozi abbassano le saracinesche, e tutti sottovoce ripetono la stessa domanda.

L’Arciduca Ferdinando? Perché?

Francesco Ferdinando era la speranza di tutti coloro che ancora credevano che si potesse opporre al grande caos un’ordinata vita civile. (Karl Kraus)

Erede della corona imperiale, aveva un grande progetto politico. Un progetto che probabilmente avrebbe salvato l’Austria e aperto una via di rinnovamento per l’Europa. In quegli anni, però, Austria ed Europa avevano molti nemici, e Francesco Ferdinando venne ucciso. Prima di poter attuare il suo progetto e in tempo utile ad accendere quel fuoco di guerra che avrebbe annientato l’Austria e indebolito irrimediabilmente tutta l’Europa.
Ciò che l’erede al trono –un poco impaziente – attendeva di poter realizzare era l’autonomia dei vari gruppi etnici presenti nel territorio imperiale. Il suo progetto era lungimirante: equiparazione delle nazionalità, trasformazione dell’Austria-Ungheria in una sorta di confederazione che appagasse tutte le spinte autonomiste. Per Ferdinando era questa l’unica garanzia di una pace duratura. Intorno a lui, al Belvedere, si riunirono grandi personalità dell’Impero in una sorta di governo parallelo, nel quale tutte le etnie erano rappresentate.
Aurel Popovici, che tra i tanti consiglieri era forse quello che esercita sull’Arciduca maggiore influenza, aveva elaborato un dettagliato progetto di riforma federale dell’Impero e scritto un’opera che avrebbe fatto scalpore, Gli Stati Uniti della Grande Austria.
Centralismo e nazionalismo erano in quegli anni gli argomenti prediletti della propaganda liberale. Invece Ferdinando era convinto che centralismo e nazionalismo soffocasser i popoli. L’Impero è pluralità, periferia, vivacità e rispetto delle tradizioni. Il centralismo e il nazionalismo al contrario portano all’omologazione. Il futuro è il federalismo, l’autonomia dei popoli sotto la grande ala dell’aquila imperiale. Che li tiene uniti, li protegge, ma li lascia liberi di esprimersi nelle loro peculiarità.
L’impero, oggi giudicato come superato, inutile relitto della storia, a ben guardare altro non è che l’Europa come oggi la vorremmo.
La società tollerante e rispettosa del diverso che viene oggi invocata, esisteva. Era l’Europa dei popoli, forte, ricca di cultura e tradizioni. Rispettosa delle autonomie, senza confini imposti. Esisteva, e la si è voluta cancellare. Distruggendo l’impero si è distrutta la possibilità di un’Europa multiculturale eppure autenticamente europea, multietnica eppure armonica. Si è persa l’idea di una comune appartenenza. E senza una comune appartenenza, la diversità sfocia inevitabilmente nel conflitto. L’Impero era tollerante e sovranazionale. Finito quello, è finita l’Europa. Al posto di una spontanea e vivace multiculturalità, si è creato un surrogato artificioso fatto di diversità imposte, di tradizioni e culture cancellate o ostentate, di convivenze infelici. Dove non può esserci ordine perché non c’è più senso di appartenenza. Morto l’universalismo imperiale che per secoli ha fatto grande l’Europa, è morta anche l’Europa. Ora c’è il suo fantasma. L’Europa finta delle nazioni, delle identità perdute e dei popoli omologati.
Francesco Ferdinando, colui che solo poteva rinvigorire l’Impero e l’Europa col suo modernissimo progetto federale, viene ucciso il 28 giugno 1914.
L’assassino fu lo studente serbo Gavrilo Princip, figlio diciannovenne di un postino. I suoi complici erano tutti giovani. Giovani e sprovveduti come lui. Un manipolo di incompetenti guidato da menti perverse. La morte dell’Arciduca sarà il pretesto per lo scoppio della Grande Guerra. E il trattato di Versailles che cancellerà l’Impero sarà secondo François Fejtö «l’errore più grande della storia europea».

Elena Bianchi Braglia