sabato 6 giugno 2015
IL CAPITALE SCIENZA IL CAPITALE ISTITUZIONI (Estratto dall'opera di mons. Delassus "Il Problema dell'ora presente" Tomo II°)
La ricchezza, mero dono di natura, - principio sul quale i socialisti basano i loro ragionamenti - è
dunque un grossolano errore. Dio non ha fornito che gli elementi, ed ha ingiunto all'uomo di
lavorarli per farne uscire dapprima il suo nutrimento, in appresso tutte le ricchezze che le umane
generazioni hanno accumulate dalla creazione in poi.
Il capitale è dunque primieramente un prodotto, secondariamente un prodotto di risparmio, in terzo
luogo un prodotto di risparmio ed impiegato ad ottenere altri prodotti.
È un prodotto: il prodotto del lavoro. La stessa terra vegetale ha questa dignità d'essere uscita dalle
mani dell'uomo e d'essere stata fecondata dai sudori delle generazioni che l'hanno formata,
conservata, condensata ed estesa a poco a poco.
È un prodotto risparmiato: il selvaggio ammazza e divora la bestia che potrebbe addomesticare; e,
fra noi, colui che consuma subito in alcool, in tabacco od in altre cose inutili o nocive, il salario che
potrebbe essere il primo gradino d'una fortuna famigliare, ritorna alla miseria del selvaggio. L'uomo
non esce dall'indigenza che quando comincia a mettere un freno ai suoi appetiti ed a prevedere
l'avvenire per sé e per i suoi.(1)
Il prodotto risparmiato per meritare il nome di capitale, non deve punto restar ozioso, ma deve
venire adoperato per produrre nuovi frutti: dapprima gli attrezzi, poi - cogli attrezzi perfezionati di
giorno in giorno fino a divenire le meravigliose macchine d'oggi - lavori, opere, prodotti sempre più
numerosi, più svariati, più belli, i quali, essendo essi stessi un capitale aggiunto agli anteriori
capitali, ne moltiplicano la potenza per più grandi meraviglie.
La produzione del capitale è dunque dovuta al lavoro, il suo risparmio alla temperanza, il suo
impiego all'intelligenza ed alla perseveranza la quale fa che l'uomo s'arresti davanti al frutto del suo
lavoro, per non divorarlo immediatamente, come lo dimanda il suo istinto, ma per impiegarlo in una
nuova produzione di ricchezze.
Il lavoro e la temperanza necessaria alla creazione, alla conservazione ed allo sviluppo del capitale
si ottennero nel corso dei secoli e si ottengono pure attualmente con due mezzi assai differenti: La
violenza o la virtù.
Nell'antichità. il capitale fu accumulato quasi unicamente colla violenza che imponeva la schiavitù;
nei tempi moderni esso si forma specialmente mediante la virtù che il cristianesimo sa inspirare.
Per migliaia d'anni, vi furono uomini, moltitudini di uomini costretti ad un lavoro incessante e
faticoso, - poiché la natura era più aspra e gl'istrumenti meno perfezionati - ai quali per soprappiù,
costantemente si rapiva il frutto del loro lavoro. Era il regime della schiavitù. Lo schiavo era
aggiogato come il bue all'aratro, camminava sotto lo staffile e pel suo lavoro non riceveva che il
sufficiente nutrimento per conservar le forze necessarie alla continuazione del lavoro.
Si è parlato, con eloquenza e con lacrime, contro questo regime. Forse non si è abbastanza
considerato che esso è stato una necessità ed una necessità di primo ordine. L'antichità era nella sua
origine ed aveva bisogno di un enorme lavoro per produrre pochi frutti. Questa penuria lo metteva
nella impossibilità di permettere a tutti d'usar delle cose a loro piacimento e non avendo la dottrina
ed i sacramenti del cristianesimo per mettere nel cuor dell'uomo l'amore al lavoro e l'impero sulla
concupiscenza, era pur mestieri che qualche cosa vi supplisse. Questo qualche cosa non poteva
essere altro che la forza. Se essa per tanti secoli non fosse stata adoperata, noi non esisteremmo; o
se fossimo pure pervenuti all'esistenza, saremmo ancora senza capitale, cioè nello stato di barbarie.
Nell'asserir questo non intendiamo di giustificare nelle loro tirannie i padroni degli schiavi, ma
vogliamo dire che a cagion del peccato e delle sue conseguenze, la schiavitù fu una necessità.
È necessario ricordare quello che era la natura e quello ch'era l'uomo dopo il peccato: la terra arida,
e maledetta, ribelle, nella sua aridità e maledizione, al lavoro; e l'uomo degradato fuggente il lavoro
per orrore della fatica e gettantesi, con tutto l'ardore delle sue concupiscenze sregolate, su ogni
preda che gli capitasse fra le mani.
Vi ebbero degli uomini più forti degli altri i quali curvarono i loro fratelli alla terra, ve li tennero
attaccati, non dando loro che quella minima parte dei frutti che li impedisse di morire, affine di
risparmiare la parte maggiore.
Non è punto da applaudire la loro durezza, ma bisogna riconoscere che per tal mezzo si
emanciparono dalla barbarie e fecero produrre ed ammassarono il capitale necessario alla
formazione delle prime nazioni civili. Senza di essi, senza questa tirannide e senza la loro saggezza,
che fu senza dubbio più egoista che ispirata dal desiderio di procurare il bene sociale, la civiltà
assira. egiziana, greca, latina non sarebbero mai nate e per conseguenza noi non saremmo quello
che siamo.
Questo stato di cose durò fino al momento in cui il Vangelo penetrò tanto profondamente nelle
anime da farne scaturire questa doppia virtù: l'amore al lavoro e la mortificazione degli appetiti. Il
cristianesimo rimise nella coscienza lo scudiscio tolto dalle mani dell'herus. I barbari ascoltarono
questa voce interiore e divina che la legge di Cristo per mezzo degli Apostoli aveva fatto penetrare
nelle loro anime. E perciò si formò a poco a poco una società tutta nuova, tutta differente dalle
società antiche, che produceva senza che il lavoro fosse forzato e formava il capitale, senza che
l'uso venisse regolato.
Tale è la virtù del cristianesimo che seppe ottenere da uomini viventi ancora in seno alle foreste il
principio e l'abbozzo di questa meraviglia, la civiltà cristiana; che giunse a fare delle virtù che
ispirava il fondamento delle prime assise delle nostre società moderne, e più tardi tutti i
miglioramenti che noi ammiriamo e godiamo.
Furono i monaci, è bene ricordarlo, in quest'epoca in cui si aizzano contro di loro le più vili
passioni, furono i monaci che attuarono questo prodigio. Dal litorale del Mediterraneo fino alle rive
del Reno e del Danubio da principio, e dopo il nono secolo, fino al fondo della Scandinavia e del
Groënland, il dissodamento delle foreste si opera sotto l'ascia di questi intrepidi boscaiuoli. I
monaci risanano le paludi, incanalano i fiumi, prosciugano le praterie, lanciano ponti sui fiumi,
fondano villaggi. Il terzo del nostro territorio è messo a coltivazione dai monaci, e i tre ottavi delle
nostre città e dei nostri villaggi da essi devono la loro origine. Il monastero è un vasto laboratorio
dove i religiosi lavorano il ferro e il legno; tessono il canape e il lino; preparano il cuoio e la
pergamena; segano il marmo, lavorano il ferro, battono il rame e scolpiscono il marmo. Ad essi noi
siamo anzitutto debitori del grado di prosperità al quale siamo arrivati. Lo stato selvaggio produce
appena un uomo ogni lega quadrata. La schiavitù ne produsse fino a cinquecento nei grandi imperi.
Contate il numero di coloro che la virtù cristiana, inoculata nelle anime dagli esempi e dalle
esortazioni dei monaci, ha permesso di nutrire sullo stesso spazio. Quanto maggiore sarebbe ancora
se la Riforma, poi il Filosofismo, poi la Rivoluzione non avessero abbassata la virtù nelle anime,
paralizzando l'azione del clero!
A misura che il capitale aumenta, il lavoro materiale, grazie agli attrezzi che il capitale ha creato,
perde della sua asprezza. "Qual è, - domanda Bastiat, - la potenza che alleggerirà in qualche modo il
peso della fatica? che abbrevierà le ore di lavoro? che scioglierà i vincoli di questo giogo che curva
gli uomini verso la materia? È il capitale; il capitale che, sotto la forma di ruota, d'ingranaggio, di
rotaia, di caduta d'acqua, di peso, di vela, di remo, di aratro, s'incarica d'una gran parte dell'opera
primitivamente compiuta a spese dei nostri muscoli".
Perciò, a misura ch'esso aumenta, il capitale acquista una fecondità maggiore: la stessa quantità di
lavoro umano produce maggiore ricchezza. Guardiamo solo il lavoro delle nostre filature e
riportiamoci ai filatoi delle nostre avole. Le macchine da cucire, ultimo modello di cui la Francia ne
consuma circa 150.000 per anno, rappresentano ciascuna, per la cucitura di tela fina, il lavoro di 65
a 70 operaie. Nella berretteria a trapunto, l'operaia più abile faceva da 150 a 200 maglie per minuto;
il telaio "Self-facting" ne fa 500.000 per minuto ed eseguisce il lavoro di due a tre mila operaie; il
batti-frumento fisso con un cavallo e due uomini eseguisce l'opera di quaranta battitori a
correggiato. Così di tutto il resto.
Dal momento che l'uomo ricevette l'aiuto degli utensili perfezionati o della macchina, s'è a lui
presentato l'agio di poter sostituire in una misura sempre più grande il lavoro intellettuale al lavoro
fisico.
Il lavoro intellettuale dà origine ad un'altra specie di capitale, altrettanto prezioso quanto il capitale
utensile: il capitale scientifico. Grazie alle ricchezze accumulate dalle generazioni anteriori, la
società non ha più bisogno delle braccia di tutti per la vita fisica di ognuno, taluni de' suoi membri
possono darsi allo studio, all'acquisto della scienza. La scienza, man mano che si sviluppa, dà una
conoscenza più perfetta delle forze e delle leggi della natura. L'uomo si mette in possesso di queste
forze; le impiega come ha impiegato gli strumenti primitivi, con questa differenza che ne ritrova un
profitto infinitamente maggiore.
Conviene considerare che i popoli pagani non poterono giungere alla conoscenza della natura, al
possesso delle scienze naturali, e che i popoli cristiani non vi pervennero se non quando la loro virtù
ebbe accumulato un capitale capace di permetterne l'acquisto. E non è meno da ricordare che il
socialismo, se pervenisse a poter eseguire i suoi piani ed effettuare le sue utopie, costringerebbe
tutti i governi al lavoro di produzione in modo che non vi sarebbero più letterati, non più posto per
le loro ricerche, non più progresso nell'uso delle forze naturali.
La Rivoluzione, che fu un ritorno al paganesimo, ha inoltre mostrato, nella persona di Lavoisier, il
conto che teneva della scienza e degli scienziati. Il giorno in cui essa trionferà completamente, in
cui potrà porre in trono il collettivismo, la società retrocederà tosto fino alla schiavitù, per la
necessità medesima che diede origine alla sua istituzione.
Infine, al capitale-utensile ed al capitale scientifico fa di mestieri aggiungere il capitale-istituzioni
sociali, il quale ha preceduto il capitale scientifico perché è di un ordine più immediatamente
necessario.
Di già, presso i popoli dell'antichità, vediamo fondate e stabilite in modo durevole le grandi
istituzioni di ogni società incivilita: la sicurezza generale, la magistratura, l'istruzione pubblica, il
culto divino.
La società è dunque interamente costituita sul capitale, cioè sull'acquisto dell'umanità, ottenuto dal
lavoro, conservato dalla temperanza, fecondato dall'intelligenza.
Or, chi non comprende che affinché una società in cui gli uomini sono liberi di lavorare o farne di
meno, di consumare o di far produrre, conservi il suo capitale e lo accresca sempre più, fa bisogno
che il cristianesimo sia sempre vivo, vigilante, operoso, sempre e dappertutto presente per tener
desta la coscienza, per rianimare la fede per mezzo dei suoi predicatori, per alimentare la virtù co'
suoi sacramenti? Se l'amore al lavoro ed alla mortificazione sono, all'infuori della schiavitù, i soli
mezzi che abbiano i popoli per arricchirsi e sviluppare il loro incivilimento, come i proletari di uscir
dalla loro condizione, l'azione sacerdotale - non intendo punto con questa parola l'intervento del
prete nel conflitto degl'interessi fra operai e padroni, ma l'azione sacerdotale propriamente detta,
santamente esercitata, - è la prima condizione per arrivare alla soluzione della questione sociale. La
ragione infatti è questa che la virtù la quale consiste nel lavorar molto e goder poco, non può
nascere, sussistere e perseverare se non là dove havvi la sicurezza d'un compenso infinito al
sacrifizio immenso che esige. I beni del cielo sono dunque i veri agenti di produzione dei beni della
terra. Da ciò si giudichi l'acciecamento di coloro i quali dicono che non bisogna parlare agli uomini
della vita eterna se non dopo di averli saziati dei beni della terra.
Lo si provi! e ben tosto la virtù esulando, la necessità della schiavitù s'imporrà come nei secoli del
paganesimo, sotto pena di morte per la società e per gl'individui che la compongono.
Note:
(1) Anche ai dì nostri nei paesi in cui il cristianesimo non ha potuto far sentire né da vicino, né da
lontano la sua salutare influenza, regna sempre lo stesso orrore al lavoro ed alla previdenza. Il padre
Sajot scriveva il 10 maggio 1901 nelle Missioni cattoliche:
"Spesse volte avevo inteso parlare degli incendi di foreste presso i selvaggi. Nella terza notte del
nostro viaggio, ci fu dato di goder questo spettacolo. I Laotieni, pigri e spensierati hanno orrore per
la coltura, come del resto, per ogni sorta di lavoro. Per evitare di affaticarsi trovano più semplice
d'incendiare gli alberi e di piantare, dopo la pioggia, il riso nelle ceneri. Difatti, i primi raccolti sono
superbi. Sgraziatamente, al termine di qualche anno l'humus di questo suolo troppo superficiale,
troppo leggero è trascinato via dalle pioggie, e questo terreno così fecondo, diviene improduttivo.
Così ogni tre anni circa bisogna ricominciare, più da lontano, la stessa operazione. Essi chiamano
ciò fare il ray.
"Dunque la terza notte del nostro viaggio i selvaggi bruciarono una montagna a qualche chilometro
lungi da noi. Faceva dopo qualche settimana un tempo magnifico. Il vento di sud-ovest vero Simun
dell'estremo Oriente soffiava con violenza disseccando ogni cosa sul suo passaggio. Cosicché in un
istante la montagna non fu che un immenso braciere. Era bello e spaventoso nello stesso tempo il
vedere le fiamme trascorrere in vortici rossastri ovunque cercando alimenti da divorare. Per tutto il
tempo che durò l'incendio si udiva come una stridente fucileria accompagnata da hou! hou! del
vento attraverso le fiamme e dagli urli delle bestie selvaggie spaventate: erano i bambù che
crepitavano. Si avrebbe giurato che là vi fossero imboscati dietro la montagna 20.000 bersaglieri
che facessero fuoco a volontà.
Tuttavia, il cielo si era coperto di nubi. Verso la mezzanotte una pioggia abbondante venne ad
arrestare l'incendio Senza aver mai letto il Mathieu de la Dròme, i selvaggi aveano previsto la
pioggia. Raramente s'ingannano, sembra: ma quando questo non avviene, il fuoco guadagna di
foresta in foresta. passa per di sopra le montagne, e può, se non incontra qualche largo fiume che gli
sbarri la strada, rovinare immensi territorii, niente lasciando in piedi: foreste, risaie, villaggi, tutto
diviene preda delle fiamme. I Laotieni si consolano nel pensare che hanno così modo di fare del
ray".