domenica 28 giugno 2015

I soldati Austro-Ungarici dell'Asinara.


Nella foto, la chiesetta degli Austro-Ungarici, dell'Asinara, e le teche ai lati dell'altare,che contengono le ossa e i teschi dei soldati imperiali che furono fatti soffrire, e poi molti lasciati morire in modo disumano!! L’armata austro-ungarica entra in guerra con la Serbia, patria dell’attentatore di Sarajevo, e dopo tre campagne durate circa un anno, riesce a mettere in fuga i serbi che, però, trascinano con loro prigionieri austro-ungarici, in quantità stimabile sulle 40mila unità, tra i quali certamente anche i cittadini del litorale, friulani, triestini, sloveni. Le loro tracce, per la maggior parte, spariscono nel nulla,e nella morte atroce ed anonima che li attende.Fra i pochi censiti,di questi prigionieri,citiamo il gefreiter (caporale) Giuseppe Del Monaco,classe 1898,cordaiuolo di Visco,uno dei pochi sopravissuti ad una ecatombe di dimensioni bibliche. Fra ottobre e dicembre 1915 i prigionieri percorrono 700 chilometri a piedi, dalla Serbia a Valona in Albania, su percorsi montani e privi di strade.
Malvestiti e peggio nutriti, sotto i rigori della neve e del ghiaccio. Una marcia della morte che lascia per strada migliaia e migliaia di cadaveri. Nel porto di Valona, i serbi consegnano i superstiti 24.000 prigionieri agli alleati militari italiani, che li trasportano, via mare, nell’isola dell’Asinara (Sardegna). E il dramma si fa ancora più cupo. Lungo le traversate, intercorse da dicembre 1915 a gennaio 1916 muoiono altri 2mila prigionieri, gettati in mare senza tanti complimenti o censimenti. Ma l’acme dell’aberrazione umana, è raggiunto dagli alti comandi militari italiani, che considerano i disgraziati come semplice merce di scambio per belligeranti. Nell’Isola, attrezzata per ricevere 120 persone, vengono scaricati 22mila disperati, per i quali si improvvisano ricoveri di fortuna. Ma nessuno pensa come curare, ripulire, rivestire e, soprattutto, come sfamare quelle persone. Uomini, non numeri. E nemmeno animali. Nell’Isola ne muoiono altri 5mila in sei mesi, in un orrore senza fine e senza storia. Si muore di colera, di tifo e di stenti.
La fame è tale da sfociare nel cannibalismo. Queste larve umane non si tolgono mai le divise di dosso, divenute stracci penzolanti, per nascondere e custodire gelosamente carogne di animali raccolti o catturati da mangiare, compresi i topi. “Se questo è un uomo”, avrebbe anticipato Primo Levi, come scrisse il sopravissuto dei lager nazisti, per l’orrore in edizione 1945. Con una differenza. L’olocausto dell’Asinara è stato frettolosamente occultato. Una vergogna da dimenticare. E non solo. La documentazione dettagliata dei fatti e dei misfatti accaduti sull’Isola, registrata dal generale Giuseppe Carmine Ferrari, all’epoca comandante del Presidio, è misteriosamente sparita dall’archivio dell’Esercito di Roma. Ci sono le cartelle di protocollo, ma sono vuote, come afferma il ricercatore cagliaritano Alberto Monteverde. Per inciso: all’Asinara c’era anche un forno crematorio, sia pure previsto per i morti da malattie infettive.



Fonte: Vota Franz Josef