mercoledì 21 novembre 2012

Mafia: è nata al sud?

Si parla di come i “fratelli d'Italia” hanno hanno creato le condizioni per lo sviluppo delle mafie nelle provincie meridionali, nessuno sa o per lo meno parla di come questi fenomeni siano stati importati al sud in seguito all'invasione delle camicie rosse. Da anni nelle province del nord esistevano associazioni di stampo mafioso e le gendarmerie non riuscivano a contenerle.
Di seguito tre brani tratti dal sito “supereva” riguardanti tre città del nord Italia: Cremona, Bologna e Cesena.


Cremona:
Da uno studio di Marco Adorni sulla criminalità nel parmense dai francesi al Regno d’Italia, sono emerse alcune risultanze che portano ad individuare alcuni criminali cremonesi che operavano a Cremona ed in altre città, Parma compresa. Si trattava di una banda capeggiata da Filippo Pasqualini, detto il “matto della Torricella”, perché nativo di Torricella nei pressi di Cremona, giustiziato nel 1807 perché ritenuto colpevole di un assalto a mano armata ad un commissario di guerra fra Parma e Piacenza. Di un’altra banda faceva parte Angelo Gazoli, ambulante domiciliato a Cremona che fu a lungo complice e collaboratore di ladri e svaliggiatori. Inoltre si raccontano i particolari di una banda cremonese-parmense costuita da “malandrini armati di schioppette, pistole e trombone, tutti contraffatti o tinti nel volto” (allorquando attuavano rapine e sequestri). Dopo una serie di eventi criminali sembra ad Adorni di poter dire che “la criminalità cremonese fosse più accorta tatticamente, più organizzata e rifornita in armi di quella parmense, tant’è che il Baiocchi, indubbiamente l’uomo di maggiore spicco della triade criminale Baiocchi-Menozzi-Zanluca, ha verso la prima entusiastiche ed ammirative parole”.
Bologna:
Nel diciannovesimo secolo a Bologna la vita grama di tanti uomini senza occupazione stabile, il ritmo della criminalità strettamente correlato al ritmo della fame, costituiscono l’humus da cui parte una criminalità feroce che invade le strade e le piazze e determina soprattutto furti e omicidi, compiuti in particolare da una temibile associazione a delinquere.
A metà del secolo si verificavano le imprese dell’Associazione dei Malfattori che imperversava sino a quando negli anni sessanta veniva definitivamente sgominata. Rapidamente riusciva a ramificarsi anche in territori limitrofi, come, ad esempio, nella zona di Parma.
L’Associazione dei Malfattori era una vera e propria organizzazione mafiosa, capace di intimidire testimoni e taglieggiati e d’infiltrarsi all’interno della macchina istituzionale, con una ferrea divisione del territorio, gestito in ogni zona, da un boss diverso.
I capi d’accusa contro i Malfattori andavano da un furto alla Zecca all’attentato contro il questore Pinna, da una rapina all’ufficio merci della stazione da dove, in più di dieci, travestiti da carabinieri, portavano via 85.000 lire all’omicidio di due funzionari di polizia, Grasselli e Fumagalli.
In quegli anni si viveva a Bologna una situazione molto precaria in relazione all’ordine pubblico, paragonabile, con le dovute proporzioni, a quella della fine del secondo millennio. Non casualmente i giornali bolognesi sostenevano che la polizia era carente dei mezzi necessari per far terminare “questa vergognosissima piaga che discredita orribilmente Bologna e potrebbe recarle immenso danno, perchè il forestiere non frequenta la città… E’ vergogna! Che in una delle principali città d’Italia, sotto un governo di libertà e progresso, il cittadino non possa passeggiare sicuro per le vie, nè ridursi tranquillo la sera al domestico tetto. E’ vergogna, che gli assassini con un ardire straordinario assaltino di giorno e di notte, spoglino, feriscano e uccidano e nelle case e nelle piazze e nei vicoli ed alla vicinanza degli stessi corpi di guardia.”
Cesena:
In relazione al 1875, nel territorio cesenate, tre sono i documenti rilevanti che concernono l’associazione dei malfattori. Il primo risale al 3 aprile, relativo all’assassinio di Antonio Lugaresi, avvenuto nel 1859. Risulta difficile scoprire gli assassini di Lugaresi, ritenuto colpevole d’aver consumato diversi reati ai danni di Domenico Brunelli, fra cui un cospicuo furto di galline. Il Brunelli commissiona la morte del Lugaresi a due sicari: “Gli assassini erano due, indicati di giusta statura e coperti in volto di una maschera, i quali commesso il crimine si allontanarono attraversando l’ortaglia coltivata dai coloni che erano intenti a lavorare e che da costoro furono visti”. Viene ipotizzata una certa reticenza, da parte dei contadini che han visto gli assassini, a fare i nomi alle competenti autorità. Il secondo documento risale al 10 aprile 1875 relativo all’assassinio di Pietro Nori, aderente all’associazione, che, ospitato da un socio, poi lo deruba di £ 75. Una volta scoperto viene condannato a morte dai suoi stessi compari, giacché tradendo l’ospitalità ha compiuto una intollerabile infamia. Il terzo ed ultimo documento è del 16 giugno 1875: “Relazione sul processo all’Associazione malfattori di Cesena”, dove viene opportunamente valorizzato l’operato dell’ispettore di polizia, avvocato Leurini, che aveva ottenuto eccellenti risultati nella repressione dell’associazione cesenate ed a cui viene attribuita, dal Ministro dell’Interno, una gratificazione di £ 400.
 
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