Prosegue con questo testo del noto tomista del XX secolo, la raccolta “tomistica” di Radio Spada a cura di A. Giacobazzi e P. Seveso. Grassettature e sottolineature nostre. [RS]
di Réginald Garrigou-Lagrange
III. — Obiezioni
Si opporrà senza dubbio che i principî della dottrina di San Tommaso sono troppo astratti e non appaiono assolutamente certi.
A ciò bisogna rispondere che questi principî, per essere assolutamente universali e applicabili a ogni essere, sia materiale che immateriale, devono far astrazione da ogni materia ed appartenere al terzo grado d’astrazione.
Il primo grado, quello della fisica, astrae soltanto dalla materia individuale: ad esempio, dall’acqua di questo fiume e dall’acqua di quel torrente per considerare la natura dell’acqua e le sue proprietà.
Il secondo grado di astrazione, quello delle matematiche, astrae da tutte le qualità sensibili per considerare la quantità, sia discreta (i numeri) sia continua (l’estensione, le sue figure e le sue dimensioni).
Il terzo grado d’astrazione, in metafisica, astrae da ogni materia ed è in tal modo che ci permette di conoscere le leggi più universali dell’essere e dell’agire, che si applicano a tutti gli esseri così materiali che immateriali.
Obbiettasi pure che non tutti i principî di San Tommaso appaiono sicuri. A questo i tomisti rispondono che tali principî richiedono uno studio approfondito per vedere il loro collegamento ai primissimi principî della ragione naturale e del reale; ai principî d’identità o di contraddizione, di ragion d’essere, di causalità efficiente, di finalità. Mostreremo in seguito che la distinzione di potenza ed atto si impone assolutamente per conciliare il principio d’identità o di contraddizione (prima legge del pensiero e del reale) affermato da Parmenide, col divenire e la molteplicità affermati da Eraclito, alle origini della storia della filosofia greca.
Lo sforzo metafisico necessario per apprezzare la necessità dei principî formulati da San Tommaso è così utilissimo per difendere le verità del senso comune. Di più: è necessario perché il senso comune non può filosoficamente difendersi da sè contro le false filosofie, non può difendere il valore reale delle nozioni prime confuse di cui si serve. Il lavoro filosofico che è passato a poco a poco dalle nozioni prime confuse alle nozioni prime distinte è indispensabile perché tale difesa acquisti un valore filosofico. È quello che non ha saputo comprendere Tommaso Reid coi suoi discepoli. E sarebbe cadere in uno strano inganno il confondere il suo punto di vista con quello di Tommaso d’Aquino. Vi ha fra questi due Tommasi una distanza smisurata.
Voler mantenere le affermazioni immutabili della dottrina cristiana sostenendo che le nozioni che le compongono sono continuamente mutevoli, significa non scorgere che sotto le nozioni distinte o filosofiche, per esempio di natura e di persona, vi sono le nozioni confuse ed immutabili della ragione naturale e del senso comune, senza le quali quelle affermazioni non avrebbero alcuna immutabilità. Ma queste nozioni confuse del senso comune bisogna difenderle filosoficamente. È ciò che facevano Aristotile e San Tommaso passando metodicamente dalle definizioni nominali alle definizioni reali, secondo un doppio processo ascendente e discendente come essi spiegano negli Analitici posteriori l. II. Lez. 6 ad 20.
Si obbietterà infine che l’obbedienza alla Santa Sede non potrebbe domandare l’adesione al tomismo senza diminuire la libertà dello spirito e della ricerca intellettuale.
Non si tratta di aderire al tomismo come alle verità di fede definite dalla Chiesa, ma di riconoscere il grande valore filosofico e teologico che i Pontefici gli hanno sempre riconosciuto, sino al punto di chiedere che la filosofia e la teologia siano insegnate «ad Angelici Doctoris rationem, doctrinam et principia, eaque sancte teneant» (can. 1366),
Lungi dal diminuire la vera libertà della ricerca intellettuale, la si aumenta, la si rende più perfetta, procurandole tanto maggiore slancio in quanto essa ha un più fermo punto d’appoggio, e liberandola dall’errore secondo la parola del Maestro: «Cognoscetis veritatem, et veritas liberabit vos» (Joan. VIII, 32), in luogo di abbandonarsi ad una fluttuazione perpetua.
Infine che cosa occorre per studiare con frutto il tomismo? qual metodo seguire?
1) Bisogna considerarlo nella sua totalità organica e non in modo frammentario. Non lo si comprende che alla luce dei suoi stessi principî che esigono di essere approfonditi. Altrimenti non lo si conosce che esteriormente, come si conoscerebbe una città per aver attraversato i suoi quartieri periferici, senza aver visitato la sua piazza centrale dalla quale irraggiano in ogni direzione tutte le sue vie.
2) Occorre uno schietto e profondo amore per la verità in se stessa, considerata oggettivamente, al disopra di ogni pragmatismo soggettivo anche religioso e al disopra di ogni moda intellettuale, passeggera come ogni moda. La verità non è ciò che noi vogliamo, o la conformità di certi giudizi coi nostri desideri più o meno retti. La verità non è neppure ciò che piace a questa o a quella generazione, e che verrà sdegnata dalla generazione successiva. Trenta o quarant’anni or sono bisognava essere bergsoniani per godere nel mondo intellettuale di qualche considerazione: oggi il bergsonismo è già passato di moda. La verità non è cio che piace, ma ciò che è, ed essa si trova anzitutto nelle leggi fondamentali del reale che sono altresì quelle del pensiero, dell’intelligenza naturale e di ogni pensiero degno di questo nome.
3) Per studiare il tomismo con frutto occorre una vera docilità verso San Tommaso: non stimarsi superiore a lui, così come fanno, in modo più o meno cosciente, certi storici della filosofia che considerano la sua dottrina come una delle tante e che lo giudicano dall’alto, senza mai rendersi conto che una delle più grandi grazie elargite da Dio alla sua Chiesa è stata quella di farle dono d’un S. Agostino e di un S. Tommaso. Storici per altro che non superano intellettualmente un certo relativismo nè mai raggiungono la fermezza dottrinale. Per esempio essi riconoscono nella dottrina di potenza e di atto soltanto una mirabile ipotesi o un postulato liberamente accettato dallo spirito, senza rendersi conto che le prove della esistenza di Dio, fondate su questa dottrina, perderebbero in tal modo ogni valere dimostrativo e non supererebbero il probabilismo speculativo.
Per conoscere anche più e meglio la dottrina di San Tommaso bisogna amarla: allora si scorge presto ciò che potrebbe diminuirla ed alterarla, così come, quando si ama il Vangelo e la Chiesa si intuisce subito ciò che ad essi si oppone. È colui che ama che possiede queste intuizioni, dicono i Santi.
4) Infine occorrono umiltà e preghiera nella ricerca della verità. La verità infatti è sotto diversi punti di vista una e molteplice, semplice e complessa, manifesta e misteriosa. Non si può raggiungerla nella sua profondità ed elevazione che seguendo i grandi genii che Dio ci ha dato come fari e come guide. Altrimenti noi rassomigliamo a colui che si propone l’ascensione di un’alta montagna senza guida esperta, esponendosi quindi al pericolo dì cadere in qualche precipizio. È ciò che avvenne più volte: in filosofia a Descartes, Malebranche, e più ancora a Spinoza, Hume, Kant, Fichte, Hegel e tanti altri, in teologia ai Pelagiani e in senso opposto a Lutero, Calvino e Giansenio.
Nella ricerca del vero è indispensabile unire l’umiltà alla preghiera. Allora lo studio del tomismo è fruttuoso e ci si rende conto sempre più della profondità ed altezza che ha il pensiero dì San Tommaso: lo si scopre sotto la sua semplicità, che fa pensare a quella di Dio.
Noi commentiamo la sua Somma Teologica articolo per articolo da circa quarantacinque anni, e abbiamo l’impressione di non conoscere bene la struttura interna di un grande trattato, come quello della SS. Trinità, che quando noi lo commentiamo per la terza o la quarta volta. La Somma Teologica di San Tommaso è come una grande foresta che non si giunge a conoscere se non dopo averla percorsa sovente in tutti i sensi e le direzioni, come una catena di montagne, la cui configurazione dipende da quella di qualche grande cima sovrastante dì cui bisogna aver fatto più volte l’ascensione. Chiedete ai geografi che conoscono bene le Alpi o i Pirenei come a questo sono pervenuti. Non è sufficiente aver studiato la Somma Teologica come può fare uno storico per conoscerla bene. Bisogna aver avanzato in tale studio molto più oltre, bisogna essersela assimilata; diciamo più esattamente: essa è un tale nutrimento superiore che non ci assimiliamo, ma dal quale noi siamo assimilati.
Per questo appunto lo studio dei migliori commentatori, come Cajetano e Giovanni di San Tommaso, riesce utile, come guide che si consultano per una ascensione difficile.
Così con la docilità e l’umiltà unite alla preghiera una buona intelligenza può arrivare ad una conoscenza molto fruttuosa di questa dottrina di cui scoprirà sempre meglio il valore.
Per mezzo di essa si giungerà a quella conoscenza saporosa e feconda di cui parla il Concilio Vaticano, quando dice (Denz. 1796): «Ratio fide illustrata, cum sedulo, pie et sobrie quaerit, aliquamDeo dante mysteriorum intelligentiam eamque fructuosissimam assequitur, tum ex eorum, quae naturaliter cognoscit, analogia, tum e mysteriorum ipsorum nexu inter se et cum fine hominis ultimo».
Questa intelligenza dei misteri — torniamo a ripeterlo — è data dalla conformità dell’intelletto con la stessa realtà divina e non solo con le esigenze soggettive dell’azione umana. In questa nuova dichiarazione della Chiesa è sempre sottintesa la definizione tradizionale della verità che è la conformità dell’intelletto con la realtà stessa extramentale. È ben questa la nozione della verità che il tomismo difende costantemente, come apparirà chiaro dalle sue principali tesi metafisiche che ora considereremo.
Come noi abbiamo mostrato altrove, il tomismo ha così una grande potenza d’assimilazione (non diciamo d’adattamento). Esso accetta tutto ciò che c’è di positivo e di dimostrato nelle altre concezioni, ma rigetta ciò che esse negano indebitamente. È così come una sintesi superiore al di sopra dei sistemi opposti fra loro: al di sopra dell’evoluzionismo di Eraclito e dell’immobilismo di Parmenide, con la sua dottrina dell’essere diviso in potenza ed atto. È anche al di sopra del meccanismo e del dinamismo con la sua dottrina della materia e della forma; al di sopra del materialismo o sensualismo e dell’idealismo platonico, con la sua dottrina dell’anima forma del corpo; al di sopra del determinismo psicologico e del libertismo poiché ammette che l’elezione libera è sì sempre diretta dall’ultimo giudizio pratico, ma essa stessa accettandolo fa che sia l’ultimo. Esso è anche al di sopra del panteismo che assorbe Dio nel mondo e di quello che assorbe il mondo in Dio; per la stessa ragione è, con la sua dottrina della mozione divina, al di sopra dell’occasionalismo che sopprime le cause seconde e del molinismo che sottrae la causa seconda alla premozione divina.
Anche dal punto di vista sociale, il tomismo si tiene al di sopra del Comunismo di stato, che assorbe l’individuo nello Stato, e dell’individualismo che misconosce le esigenze del bene comune, oggetto della giustizia sociale. Per S. Tommaso l’individuo (ut pars societatis) è subordinato alla specie e alla società, ma la società è subordinata alla persona che deve tendere verso Dio.
Il tomismo ammette così che c’è più nel reale che in tutti i sistemi. Perchè? Perché la realtà, soprattutto la realtà divina, è incomparabilmente più ricca di tutte le nostre concezioni filosofiche. «Ci sono più cose in cielo e sulla terra che in tutta la nostra filosofia» dice un personaggio di Shakespeare. Leibniz diceva: «I sistemi filosofici sono veri in ciò che essi affermano e falsi in ciò che essi negano». Ma Leibniz diceva così come eclettico. Il tomismo non è un eclettismo, giacché ha i suoi principî direttivi, necessari ed universali, soprattutto quello della divisione dell’essere in potenza e atto e del primato dell’atto; ciò che l’obbliga a risalire sempre all’Atto puro principio e fine di tutte le cose.
A ciò bisogna rispondere che questi principî, per essere assolutamente universali e applicabili a ogni essere, sia materiale che immateriale, devono far astrazione da ogni materia ed appartenere al terzo grado d’astrazione.
Il primo grado, quello della fisica, astrae soltanto dalla materia individuale: ad esempio, dall’acqua di questo fiume e dall’acqua di quel torrente per considerare la natura dell’acqua e le sue proprietà.
Il secondo grado di astrazione, quello delle matematiche, astrae da tutte le qualità sensibili per considerare la quantità, sia discreta (i numeri) sia continua (l’estensione, le sue figure e le sue dimensioni).
Il terzo grado d’astrazione, in metafisica, astrae da ogni materia ed è in tal modo che ci permette di conoscere le leggi più universali dell’essere e dell’agire, che si applicano a tutti gli esseri così materiali che immateriali.
Obbiettasi pure che non tutti i principî di San Tommaso appaiono sicuri. A questo i tomisti rispondono che tali principî richiedono uno studio approfondito per vedere il loro collegamento ai primissimi principî della ragione naturale e del reale; ai principî d’identità o di contraddizione, di ragion d’essere, di causalità efficiente, di finalità. Mostreremo in seguito che la distinzione di potenza ed atto si impone assolutamente per conciliare il principio d’identità o di contraddizione (prima legge del pensiero e del reale) affermato da Parmenide, col divenire e la molteplicità affermati da Eraclito, alle origini della storia della filosofia greca.
Lo sforzo metafisico necessario per apprezzare la necessità dei principî formulati da San Tommaso è così utilissimo per difendere le verità del senso comune. Di più: è necessario perché il senso comune non può filosoficamente difendersi da sè contro le false filosofie, non può difendere il valore reale delle nozioni prime confuse di cui si serve. Il lavoro filosofico che è passato a poco a poco dalle nozioni prime confuse alle nozioni prime distinte è indispensabile perché tale difesa acquisti un valore filosofico. È quello che non ha saputo comprendere Tommaso Reid coi suoi discepoli. E sarebbe cadere in uno strano inganno il confondere il suo punto di vista con quello di Tommaso d’Aquino. Vi ha fra questi due Tommasi una distanza smisurata.
Voler mantenere le affermazioni immutabili della dottrina cristiana sostenendo che le nozioni che le compongono sono continuamente mutevoli, significa non scorgere che sotto le nozioni distinte o filosofiche, per esempio di natura e di persona, vi sono le nozioni confuse ed immutabili della ragione naturale e del senso comune, senza le quali quelle affermazioni non avrebbero alcuna immutabilità. Ma queste nozioni confuse del senso comune bisogna difenderle filosoficamente. È ciò che facevano Aristotile e San Tommaso passando metodicamente dalle definizioni nominali alle definizioni reali, secondo un doppio processo ascendente e discendente come essi spiegano negli Analitici posteriori l. II. Lez. 6 ad 20.
Si obbietterà infine che l’obbedienza alla Santa Sede non potrebbe domandare l’adesione al tomismo senza diminuire la libertà dello spirito e della ricerca intellettuale.
Non si tratta di aderire al tomismo come alle verità di fede definite dalla Chiesa, ma di riconoscere il grande valore filosofico e teologico che i Pontefici gli hanno sempre riconosciuto, sino al punto di chiedere che la filosofia e la teologia siano insegnate «ad Angelici Doctoris rationem, doctrinam et principia, eaque sancte teneant» (can. 1366),
Lungi dal diminuire la vera libertà della ricerca intellettuale, la si aumenta, la si rende più perfetta, procurandole tanto maggiore slancio in quanto essa ha un più fermo punto d’appoggio, e liberandola dall’errore secondo la parola del Maestro: «Cognoscetis veritatem, et veritas liberabit vos» (Joan. VIII, 32), in luogo di abbandonarsi ad una fluttuazione perpetua.
Infine che cosa occorre per studiare con frutto il tomismo? qual metodo seguire?
1) Bisogna considerarlo nella sua totalità organica e non in modo frammentario. Non lo si comprende che alla luce dei suoi stessi principî che esigono di essere approfonditi. Altrimenti non lo si conosce che esteriormente, come si conoscerebbe una città per aver attraversato i suoi quartieri periferici, senza aver visitato la sua piazza centrale dalla quale irraggiano in ogni direzione tutte le sue vie.
2) Occorre uno schietto e profondo amore per la verità in se stessa, considerata oggettivamente, al disopra di ogni pragmatismo soggettivo anche religioso e al disopra di ogni moda intellettuale, passeggera come ogni moda. La verità non è ciò che noi vogliamo, o la conformità di certi giudizi coi nostri desideri più o meno retti. La verità non è neppure ciò che piace a questa o a quella generazione, e che verrà sdegnata dalla generazione successiva. Trenta o quarant’anni or sono bisognava essere bergsoniani per godere nel mondo intellettuale di qualche considerazione: oggi il bergsonismo è già passato di moda. La verità non è cio che piace, ma ciò che è, ed essa si trova anzitutto nelle leggi fondamentali del reale che sono altresì quelle del pensiero, dell’intelligenza naturale e di ogni pensiero degno di questo nome.
3) Per studiare il tomismo con frutto occorre una vera docilità verso San Tommaso: non stimarsi superiore a lui, così come fanno, in modo più o meno cosciente, certi storici della filosofia che considerano la sua dottrina come una delle tante e che lo giudicano dall’alto, senza mai rendersi conto che una delle più grandi grazie elargite da Dio alla sua Chiesa è stata quella di farle dono d’un S. Agostino e di un S. Tommaso. Storici per altro che non superano intellettualmente un certo relativismo nè mai raggiungono la fermezza dottrinale. Per esempio essi riconoscono nella dottrina di potenza e di atto soltanto una mirabile ipotesi o un postulato liberamente accettato dallo spirito, senza rendersi conto che le prove della esistenza di Dio, fondate su questa dottrina, perderebbero in tal modo ogni valere dimostrativo e non supererebbero il probabilismo speculativo.
Per conoscere anche più e meglio la dottrina di San Tommaso bisogna amarla: allora si scorge presto ciò che potrebbe diminuirla ed alterarla, così come, quando si ama il Vangelo e la Chiesa si intuisce subito ciò che ad essi si oppone. È colui che ama che possiede queste intuizioni, dicono i Santi.
4) Infine occorrono umiltà e preghiera nella ricerca della verità. La verità infatti è sotto diversi punti di vista una e molteplice, semplice e complessa, manifesta e misteriosa. Non si può raggiungerla nella sua profondità ed elevazione che seguendo i grandi genii che Dio ci ha dato come fari e come guide. Altrimenti noi rassomigliamo a colui che si propone l’ascensione di un’alta montagna senza guida esperta, esponendosi quindi al pericolo dì cadere in qualche precipizio. È ciò che avvenne più volte: in filosofia a Descartes, Malebranche, e più ancora a Spinoza, Hume, Kant, Fichte, Hegel e tanti altri, in teologia ai Pelagiani e in senso opposto a Lutero, Calvino e Giansenio.
Nella ricerca del vero è indispensabile unire l’umiltà alla preghiera. Allora lo studio del tomismo è fruttuoso e ci si rende conto sempre più della profondità ed altezza che ha il pensiero dì San Tommaso: lo si scopre sotto la sua semplicità, che fa pensare a quella di Dio.
Noi commentiamo la sua Somma Teologica articolo per articolo da circa quarantacinque anni, e abbiamo l’impressione di non conoscere bene la struttura interna di un grande trattato, come quello della SS. Trinità, che quando noi lo commentiamo per la terza o la quarta volta. La Somma Teologica di San Tommaso è come una grande foresta che non si giunge a conoscere se non dopo averla percorsa sovente in tutti i sensi e le direzioni, come una catena di montagne, la cui configurazione dipende da quella di qualche grande cima sovrastante dì cui bisogna aver fatto più volte l’ascensione. Chiedete ai geografi che conoscono bene le Alpi o i Pirenei come a questo sono pervenuti. Non è sufficiente aver studiato la Somma Teologica come può fare uno storico per conoscerla bene. Bisogna aver avanzato in tale studio molto più oltre, bisogna essersela assimilata; diciamo più esattamente: essa è un tale nutrimento superiore che non ci assimiliamo, ma dal quale noi siamo assimilati.
Per questo appunto lo studio dei migliori commentatori, come Cajetano e Giovanni di San Tommaso, riesce utile, come guide che si consultano per una ascensione difficile.
Così con la docilità e l’umiltà unite alla preghiera una buona intelligenza può arrivare ad una conoscenza molto fruttuosa di questa dottrina di cui scoprirà sempre meglio il valore.
Per mezzo di essa si giungerà a quella conoscenza saporosa e feconda di cui parla il Concilio Vaticano, quando dice (Denz. 1796): «Ratio fide illustrata, cum sedulo, pie et sobrie quaerit, aliquamDeo dante mysteriorum intelligentiam eamque fructuosissimam assequitur, tum ex eorum, quae naturaliter cognoscit, analogia, tum e mysteriorum ipsorum nexu inter se et cum fine hominis ultimo».
Questa intelligenza dei misteri — torniamo a ripeterlo — è data dalla conformità dell’intelletto con la stessa realtà divina e non solo con le esigenze soggettive dell’azione umana. In questa nuova dichiarazione della Chiesa è sempre sottintesa la definizione tradizionale della verità che è la conformità dell’intelletto con la realtà stessa extramentale. È ben questa la nozione della verità che il tomismo difende costantemente, come apparirà chiaro dalle sue principali tesi metafisiche che ora considereremo.
Come noi abbiamo mostrato altrove, il tomismo ha così una grande potenza d’assimilazione (non diciamo d’adattamento). Esso accetta tutto ciò che c’è di positivo e di dimostrato nelle altre concezioni, ma rigetta ciò che esse negano indebitamente. È così come una sintesi superiore al di sopra dei sistemi opposti fra loro: al di sopra dell’evoluzionismo di Eraclito e dell’immobilismo di Parmenide, con la sua dottrina dell’essere diviso in potenza ed atto. È anche al di sopra del meccanismo e del dinamismo con la sua dottrina della materia e della forma; al di sopra del materialismo o sensualismo e dell’idealismo platonico, con la sua dottrina dell’anima forma del corpo; al di sopra del determinismo psicologico e del libertismo poiché ammette che l’elezione libera è sì sempre diretta dall’ultimo giudizio pratico, ma essa stessa accettandolo fa che sia l’ultimo. Esso è anche al di sopra del panteismo che assorbe Dio nel mondo e di quello che assorbe il mondo in Dio; per la stessa ragione è, con la sua dottrina della mozione divina, al di sopra dell’occasionalismo che sopprime le cause seconde e del molinismo che sottrae la causa seconda alla premozione divina.
Anche dal punto di vista sociale, il tomismo si tiene al di sopra del Comunismo di stato, che assorbe l’individuo nello Stato, e dell’individualismo che misconosce le esigenze del bene comune, oggetto della giustizia sociale. Per S. Tommaso l’individuo (ut pars societatis) è subordinato alla specie e alla società, ma la società è subordinata alla persona che deve tendere verso Dio.
Il tomismo ammette così che c’è più nel reale che in tutti i sistemi. Perchè? Perché la realtà, soprattutto la realtà divina, è incomparabilmente più ricca di tutte le nostre concezioni filosofiche. «Ci sono più cose in cielo e sulla terra che in tutta la nostra filosofia» dice un personaggio di Shakespeare. Leibniz diceva: «I sistemi filosofici sono veri in ciò che essi affermano e falsi in ciò che essi negano». Ma Leibniz diceva così come eclettico. Il tomismo non è un eclettismo, giacché ha i suoi principî direttivi, necessari ed universali, soprattutto quello della divisione dell’essere in potenza e atto e del primato dell’atto; ciò che l’obbliga a risalire sempre all’Atto puro principio e fine di tutte le cose.
*Réginald Garrigou-Lagrange O.P., Professore di Dogmatica alla Facolta di Teologia dell’Angelico di Roma, Da: Essenza ed attualità del Tomismo, Roma 1946, pag. 13-39, Fonte: Progetto Barruel