Il 7 gennaio 2011, il Presidente della Repubblica ha dato inizio da Reggio Emilia alle solenni celebrazioni del 150° dell’Unità. E lo ha fatto rievocando come la memoria nazionale annovera fra i suoi cardini proprio la nascita dell’attuale bandiera italiana dai tre colori, bianco, rosso e verde, adottata per la prima volta a Reggio, nel gennaio del 1797, dalla neonata Repubblica Cispadana.
E quel vessillo fu innalzato ancora prima dalle forze armate della «repubblica sorella». Infatti, il Congresso costitutivo, tenutosi nell’ottobre dell’anno precedente, aveva deliberato anche la creazione di una Legione, che fiancheggiasse i francesi nella guerra contro l’Austria al tempo della Prima Coalizione. E che «[…] la […] Legione Italiana [dovesse] avere come bandiera il vessillo bianco, rosso e verde adorno degli emblemi della libertà».
La Legione Cispadana, composta da sette coorti di sette centurie di militi ferraresi, bolognesi, modenesi e reggiane, non è infatti un fulgido esempio d’italianità, nonostante abbia marciato per prima sotto il tricolore.Nei suoi pochi mesi di vita — confluirà nel giugno del 1797 nella Legione Cisalpina — la legione venne impiegata soprattutto contro gl’insorgenti — ovvero contro altri italiani, che combattevano in difesa della propria libertà, e per l’onore del loro duca e del Papa-re — e in non poche operazioni si segnalò per abusi e violenze, che ricordano tutt’altra e più recente stagione.E quel vessillo fu innalzato ancora prima dalle forze armate della «repubblica sorella». Infatti, il Congresso costitutivo, tenutosi nell’ottobre dell’anno precedente, aveva deliberato anche la creazione di una Legione, che fiancheggiasse i francesi nella guerra contro l’Austria al tempo della Prima Coalizione. E che «[…] la […] Legione Italiana [dovesse] avere come bandiera il vessillo bianco, rosso e verde adorno degli emblemi della libertà».
Trascrivo qualche passo dall’accurata Storia militare dell’Italia giacobina. Dall’armistizio di Cherasco alla pace di Amiens. 1796-1802 (Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito, Roma 2001, vol. I, pp. 425-429) di Virgilio Ilàri, Piero Crociani e Ciro Paoletti.
«La coorte ferrarese rimase di guarnigione a Milano fino al gennaio 1797, trasferendosi poi a Lecco e ai primi di febbraio a Bergamo, ancora soggetta al governo veneziano. Il suo primo servizio fu trasportare a braccia i cannoni sulle colline circostanti. […] Finalmente […] Rusca [il generale francese che comandava la legione] potè marciare in Garfagnana, seguendo però la strada di Lucca e Gallicano, essendo le altre interrotte dagli insorgenti. I modenesi rimasero di presidio a Livorno, Castelnuovo e Monte Alfonso, mentre il 6 gennaio 1797, compiuta la “pacificazione”, i reggiani tornarono a Modena con Rusca. Scendendo verso Bologna [lungo la vecchia strada della Futa], nel tratto tra Barberino e Loiano, un centinaio di questi facinorosi si dette al saccheggio, con particolare ferocia a Santa Maria dei Boschi [frazione di Monghidoro, dove esiste un antico santuario]. Il generale Berruyer, subentrato a Rusca, li fece processare dall’uditore Finucci.
Il 26 il promotore venne fucilato a Bologna in piazza Mercato e una ventina di correi condannati a pena detentiva assistettero all’esecuzione incatenati, insieme con l’intera coorte reggiana schierata sui lati della piazza. […] Tre ufficiali di quella modenese, due dei quali francesi, fecero parte del consiglio di guerra che emise 14 condanne a morte (9 in contumacia) di insorgenti garfagnini. […] Non è chiaro quale parte abbiano avuto i cispadani al forzamento del Senio [il fiume romagnolo, dove avvenne il primo scontro tra francesi e pontifici che difendevano i confini dello Stato del Papa Pio VI], il 2 febbraio 1797. […] Dopo la battaglia, lombardi e cispadani rimasero alcuni giorni di presidio in Romagna, commettendo furti di bestiame e rapine contro la popolazione locale e suscitando perciò, il 7 febbraio, un duro richiamo di Bonaparte con minaccia di severe punizioni. […] Il 16 la legione proseguì per Ancona […]. Aggregata alla colonna mobile di Rusca, il 21 la legione raggiunse Macerata e il 23 prese parte al massacro di S. Elpidio (136 vittime, senza contare le successive fucilazioni). Furono i 3 pezzi di Astolfoni a salvare la colonna, che si era lasciata imbottigliare dagli insorti in una strada angusta e infossata alle porte del paese. La legione ebbe 10 morti e 12 feriti, soprattutto fra gli artiglieri […].
Una lettera indirizzata l’11 luglio dall’ispettore Cicognara al comitato centrale cispadano illumina le ragioni del risentimento accumulato dai legionari durante le campagne della Garfagnana e delle Marche. Secondo Cicognara i francesi li avevano usati come manovalanza o carne da cannone contro gli insorgenti, arrivando a cose fatte e riservando solo a sé stessi il diritto di saccheggiare, mentre Rusca e Victor “intascavano e rubavano” i tributi di guerra destinati alle coorti cispadane di guarnigione ad Ancona. […] Il 1° aprile, proprio mentre a Ferrara Rangone vergava questa lettera avvocatesca e servile, il distaccamento di granatieri ferraresi del tenente Vincenzo Rota, aggregato alla colonna Cavalier, partecipava alla strage di Cennati in Val Sabbia [Brescia] (“dove non ne lasciarono vivo nemmeno uno per gridare San Marco!”, si compiacque poi di rapportare Guidetti). Il 2 toccò a Trescore, dove, uccisi tutti i maschi, il villaggio fu dato alle fiamme. Il 3, espugnato l’epicentro di Nembro, quel filosofo di Andreuil offerse il perdono a quelle “bestie”, convinto, secondo Guidetti, che il terrorismo funzionasse soltanto con gli esseri umani (“dilucidare il loro accecamento con un migliaio di morti”). In queste operazioni i ferraresi ebbero 2 morti e 6 feriti, inclusi Rota e il valoroso caporale quindicenne Carlo Traversi».Oscar Sanguinett
Fonte: http://venetostoria.com/