Fonte: http://www.radiospada.org/
Ci felicitiamo di riportare questo dottissimo articolo ad opera del Superiore dell’Istituto Mater Boni Consilii Don Francesco Ricossa. L’articolo apparve tra le pagine della rivista Sodalitium n°60, organo ufficiale del Centro Librario Sodalitium. [RS]
-don Francesco Ricossa-
[fonte: Sodalitium n°60, pp. 5-37]
[fonte: Sodalitium n°60, pp. 5-37]
Indice:
-Infiltrazioni massoniche nella Chiesa
-Quando una presunta affiliazione massonica è invece una calunniosa leggenda
-Primo argomento: il veto di esclusiva dell’Imperatore durante il Conclave del 1903 contro il Cardinal Rampolla
-Secondo e terzo argomento: le testimonianze di un prete e di un Vescovo francesi, raccolte da Félix Lacointa
-Quarto argomento: la rivista The Equinox dimostrerebbe come Rampolla facesse parte dell’Ordo Templi Orientis (O.T.O.) del mago Aleister Crowley (la “Gran Bestia 666”)
-Quinto argomento: il dossier di Mons. Jouin citato dal Marchese della Franquerie
-Sesto e ultimo argomento: la politica del cardinal Rampolla del Tindaro, e della sua “scuola”
-Il vero torto della “scuola del card. Rampolla”
-Note
Mariano Rampolla del Tindaro (18431913) era nunzio pontificio in Spagna quando Leone XIII lo creò cardinale e lo nominò suo Segretario di Stato (1887); il cardinal Rampolla svolse questo delicato incarico fino alla morte di Leone XIII, avvenuta nel 1903. Nel conclave apertosi con la morte del Pontefice, l’Imperatore d’Austria Francesco Giuseppe pose il suo veto, tramite il cardinale arcivescovo di Cracovia, Puzyna, all’elezione del Cardinal Rampolla al Soglio pontificio. Sotto il pontificato di San Pio X, non più segretario di Stato (lo sostituì il cardinale Merry del Val), Rampolla continuò ad esercitare le sue funzioni nelle varie congregazioni romane delle quali faceva parte (tra l’altro come segretario della congregazione del Sant’Uffizio). Era considerato un possibile successore di San Pio X, ma morì, meno di un anno prima del Santo Pontefice. Fu eletto invece, col nome di Benedetto XV, Mons. Della Chiesa, che del cardinal Rampolla era stato allievo e collaboratore prediletto (1). Negli ambienti detti “tradizionalisti” (2) è opinione comune, considerata quasi certezza storica indubitabile, che il cardinal Rampolla fosse, in realtà, affiliato alla massoneria. In questo articolo mi chiedo se questa opinione è fondata, e su quali argomenti e documenti si possa eventualmente appoggiare, per poi mostrare quale fu, a mio parere, il vero torto della “scuola” del cardinal Rampolla, soprattutto durante e dopo il pontificato di San Pio X. Quest’articolo è in perfetta continuità con quanto Sodalitium già scrisse in altre occasioni (es. n. 19/1989 ed. francese, pp. 30-44; n. 49/1999, editoriale), a riprova che la nostra rivista segue con coerenza e serietà una linea d’equilibrio in una materia tanto importante quanto delicata come quella delle infiltrazioni massoniche nella Chiesa.
Infiltrazioni massoniche nella Chiesa
Non è certo irriverente porsi una simile domanda a proposito di un Principe della Chiesa, quale fu, senza dubbio, il cardinal Rampolla. In un numero passato di Sodalitium ho già avuto modo di rievocare gli avvenimenti che giunsero a influire su svariati conclavi del XVI secolo, quando l’eresia valdesiana influenzò più o meno numerosi cardinali (tra i più noti, il cardinale Pole ed il cardinale Morone) che per pochi voti non vennero eletti al papato. Fu proprio in questa circostanza che Papa Paolo IV (che aveva incarcerato il cardinal Morone per eresia e che prevedeva un possibile suo proscioglimento sotto un pontificato successivo, come, in effetti, accadde) promulgò nel 1559 la famosa Bolla Cum ex apostolatus (cf Sodalitium, n. 14) con l’intento di sbarrare la strada in un futuro conclave al cardinale Morone o ad altri sospetti di eresia. La caratteristica interessante dell’eresia di Juan Valdès, marrano spagnolo, è che essa postulava la necessità del “nicomedismo”, di restare cioè all’interno della Chiesa nascondendo il più possibile le proprie posizioni, e dall’interno operarne la riforma. Il modernismo, quattro secoli dopo, adotterà lo stesso modus operandi. Dopo la fondazione della massoneria moderna (Londra, 1717), non mancarono i prelati, e anche gli alti prelati, che si affiliarono alla sètta, malgrado la condanna e la scomunica fulminata dai Sommi Pontefici Clemente XII (lett. ap. In eminenti, 1738) e Benedetto XIV (cost. Providas, 1751). In seguito, la stampa cattolica non ha mai mancato di denunciare ciò che il sacerdote Emmanuel Barbier chiamerà, col titolo fortunato di un suo libro lodato dall’episcopato cattolico, le “infiltrazioni massoniche nella Chiesa”. Mi limito a rammentare alcuni scritti e fatti documentati, tra i più noti. Nel 1859, Jacques Cretinau-Joly (18031875) diede alle stampe, con un Breve di felicitazione di Pio IX, la sua opera L’Eglise Romaine en face de la Révolution. Il libro è il frutto di numerose ricerche archivistiche sollecitate all’autore dagli stessi Sommi Pontefici Gregorio XVI e Pio IX. In esso vengono tra l’altro pubblicati dei documenti dell’Alta Vendita nei quali era esposto un progetto di infiltrazione del clero cattolico da parte della massoneria, per giungere a guadagnare alla propria causa persino la Sede di Pietro: “Noi dobbiamo giungere (…) al trionfo dell’idea rivoluzionaria per mezzo di un Papa”. “Quello che noi dobbiamo domandare, quello che dobbiamo cercare ed aspettare, come gli Ebrei aspettano il Messia, è un Papa secondo i nostri bisogni”. Per predicare una “rivoluzione in tiara e cappa” bisogna gettare le “reti nel fondo delle sacrestie, dei seminari e dei conventi”. Nel 1904, Mons. Enrico Delassus (18361921) pubblicò il volume Le problème de l’heure présente, col plauso di molti Vescovi e dello stesso cardinale segretario di Stato di Papa Pio X, Merry del Val. In questo libro, l’Autore riprendeva il tema del Cretinau-Joly (tomo I, capitoli XXII-XXIV) definendo questo tentativo d’infiltrazione persino sulla Sede di Pietro “il supremo attentato” alla Chiesa. Nel 1910, il sacerdote Emmanuel Barbier (1851-1925) pubblicava, con l’incoraggiamento di sei tra arcivescovi e vescovi francesi il suo “Infiltrations maçonniques dans l’Eglise”. Sono gli anni dell’eresia modernista condannata da San Pio X, ed il Barbier riporta tra l’altro dei passaggi inquietanti del libro, messo all’indice nel 1906, di Antonio Fogazzaro, Il Santo. Questo Santo dei modernisti, che prende il nome di Benedetto, si propone una rivoluzione generale della Chiesa dal suo interno. “Ecco – così parla Giovanni Selva, un personaggio del romanzo – siamo un certo numero di cattolici, in Italia e fuori, ecclesiastici e laici, che desideriamo una riforma della Chiesa. La desideriamo senza ribellione, operata dall’autorità legittima. Desideriamo riforme nell’insegnamento religioso, riforme nel culto, riforme nella disciplina del clero, riforme anche nel supremo governo della Chiesa. A questo fine, abbiamo bisogno di creare un’opinione che conduca l’autorità legittima ad agire secondo il nostro punto di vista, fosse anche solo tra venti, trenta o cinquant’anni” (ce ne misero 60…). Questa conventicola, per Fogazzaro, doveva essere segreta, “una massoneria cattolica” (3). A chi temeva che il Papa avrebbe pescato quei pesci nascosti per metterli in padella, era risposto che quando la pesca avrebbe fatto risalire alla superficie “laici importanti, sacerdoti, monaci, vescovi, forse cardinali”, il pescatore, spaventato, avrebbe lasciato ricadere in mare l’amo e le sue prede. La situazione era particolarmente delicata in Francia, dove nel 1905 il governo della Terza Repubblica, strettamente controllato dalla Massoneria, aveva dichiarato la separazione tra lo stato e la Chiesa e la denuncia unilaterale del concordato del 1801. Pochi sanno che il pretesto e l’occasione di tale misura fu dato dalla destituzione (1904) dalla sua sede episcopale di Digione di Mons. Albert Léon Marie Le Nordez (1844-1922), in quanto sospettato di essere affiliato alla massoneria, al punto che i suoi seminaristi si rifiutavano di ricevere dalle sue mani gli Ordini Sacri. La morte di San Pio X (1914) e la guerra mondiale operarono un profondo mutamento delle cose, non solo nella società temporale, ma anche nella Chiesa. Al declino dei cattolici integrali, che tenevano alta la bandiera della lotta al modernismo e alla massoneria, fece da contr’altare la rinascita di un neo-modernismo, subdolo per definizione, nel campo biblico, ecumenico, liturgico e sociale, a partire dagli anni ’20. Anche nei confronti della massoneria, iniziò un lento ma costante progresso d’infiltrazione settaria, tramite le discussioni e gli incontri tra esponenti del clero (soprattutto gesuiti) e delle Logge; il dialogo porterà, il 25 gennaio 1983, data della ‘promulgazione’ del nuovo codice di diritto canonico da parte di Giovanni Paolo II, alla cancellazione della scomunica ai massoni prevista dal canone 2335 del vecchio codice. I saggi consacrati al “dialogo” con la massoneria sono numerosi, sia da parte ‘cattolica’ che da parte massonica; basti qui citare i notissimi Le grandi concordanze tra Chiesa e Massoneria (Nardini, 1987) e Chiesa e Massoneria. Un DNA comune (Nardini, 1999) del sacerdote paolino Rosario Esposito, ove si troverà materia abbondante e ricca bibliografia al proposito; non mancarono anche delle messe in guardia, fin dai tempi del Concilio, ad esempio negli scritti di Pierre Virion e Léon de Poncins (4). Mi limito, in questa sede, a riassumere cose ben note. Il dialogo tra alcuni membri del clero cattolico e dignitari della setta massonica iniziò già prima del Concilio Vaticano II. Ricordiamo soltanto i casi più noti e importanti: nel 1928 il gesuita padre Gruber aprì il dialogo con il dignitario massonico Ossian Lang; negli anni ’30 il gesuita francese Berteloot con la Gran Loggia di Francia (A. Lantoine); Padre Berteloot mise in contatto il Nunzio Angelo Giuseppe Roncalli col barone Yves Marsaudon al quale Mons. Roncalli disse di restare in massoneria; nel 1952, il cardinale Innitzer, arcivescovo di Vienna, ricevette Bernard Scheichelbauer, Gran maestro della Gran Loggia di Vienna. Il Concilio Vaticano II operò, anche in questo campo, una svolta decisa rispetto al passato. Vale la pena di ricordare, innanzi tutto, i rapporti intercorsi tra la Loggia ebraica del B’nai B’rith e Giovanni XXIII. Jules Marx Isaac, membro del B’nai B’rith, ottenne da Giovanni XXIII un impegno a rivedere la posizione cattolica sui rapporti col giudaismo (cf Sodalitium, nn. 40 e 41). Giovanni XXIII affidò al cardinal Bea, messo a capo del segretariato per l’unione dei cristiani (cf Sodalitium, n. 38) le relazioni con la potente massoneria ebraica; la dichiarazione conciliare Nostra Aetate (28 ottobre 1965) sarà il frutto (iniziale) di questa collaborazione. Da allora il B’nai B’rith è regolarmente ricevuto in Vaticano (anche da Benedetto XVI Ratzinger). Nei suoi colloqui col nunzio Roncalli, il “fratello” Marsaudon aveva chiesto l’abolizione della disciplina ecclesiastica contro la cremazione: la domanda fu immediatamente esaudita da Paolo VI nel 1963. Durante l’assise conciliare il vescovo di Cuernavaca, in Messico, Sergio Mendez Arceo, chiese la modifica della disciplina ecclesiastica sulla massoneria. “…Le dichiarazioni Dignitatis humanae e Nostra Aetate, approvate dal Concilio ecumenico Vaticano secondo – scrive Roberto Fabiani, anche lui massone – erano state elaborate da prelati che avevano frequentazioni di logge massoniche. Sì, perché il fatto che nei templi della libera muratoria sedessero dignitari della chiesa cattolica non era affatto leggenda né materia per libellisti come molti credevano o speravano, ma rispondeva a pura verità. E di questi prelatimassoni il più autorevole aveva la statura, la dimensione culturale e l’apertura mentale del cardinale Franziskus König, arcivescovo di Vienna” (5) e figura di primo piano del Concilio stesso. Gli anni ‘60 e ‘70 videro svilupparsi, nel clima post-conciliare, numerosissimi incontri tra ecclesiastici e dignitari massonici. Padre Esposito ricorda il caso di ben undici cardinali: Cushing, Cooke, Cody, König (del quale si parla di iniziazione massonica nella Loggia Giustizia e Libertà dell’Oriente di Roma, nell’obbedienza di Piazza del Gesù) (6), Etchegaray, Alfrink, Feltin, Marty, Krol, Brandâo Videla e Lorscheider; molto più numerosi i Vescovi, alcuni dei quali (ad es. Pézéril, Joyce, Pursley) parlarono in Loggia, mentre Brandâo Videla addirittura in Loggia celebrò la “Messa” e dalla Loggia fu insignito (come pure il card. Arns) di un’alta onorificenza! Nel dialogo con la Massoneria si distinsero alcuni sacerdoti che, secondo Esposito, avevano facile accesso a Paolo VI, come il gesuita padre Riquet, ed il salesiano don Miano, del Segretariato per i non credenti, Segretariato diretto appunto dal card. König. Il dialogo sfociò anche in alcune decisioni ufficiali che autorizzavano la doppia appartenenza, alla Chiesa Cattolica, cioè, e alla Massoneria, seppur solo in alcuni casi particolari. Il primo documento al proposito è la decisione della Conferenza episcopale scandinavo-baltica dell’ottobre 1966. Nel febbraio 1968 è la stessa congregazione per la dottrina della fede, con a capo il card. Seper, ad effettuare un’inchiesta presso l’episcopato cattolico in vista di una revisione della disciplina sulla massoneria. Rispondono 13 conferenze episcopali, tutte sostanzialmente favorevoli a questa revisione; le prescrizioni del codice di diritto canonico sono già d’altronde totalmente disattese, risponde al card. Seper lo stesso card. König, che prepara la sua risposta collaborando con l’alto dirigente della massoneria austriaca Kurt Baresch (testi e storia in Esposito, Chiesa e massoneria. Un DNA comune, pp. 204-218). Il segretariato per i non credenti, diretto dal cardinal König, intraprese allora un dialogo ufficiale affidato al segretario, il salesiano don Vincenzo Miano, e a due esperti come Padre Caprile SJ e Padre Esposito SSP: le “Conversazioni Cattolicomassoniche di Roma e Ariccia”, tenute coi massoni Gamberini, Ascarelli e Comba, durarono dal 1969 al 1977. Nel frattempo, la lettera del cardinale Seper, della Congregazione per la dottrina della fede al cardinal Krol, presidente della Conferenza episcopale nordamericana, del 19 luglio 1974, sanciva l’apertura ed il cambiamento, di fatto, della legge della Chiesa, ammettendo la doppia appartenenza alla Chiesa e alla Massoneria, anche se solo in determinate circostanze. La lettera liberalizzatrice del cardinal Seper ebbe ripercussioni in varie Conferenze episcopali che l’applicarono ai loro rispettivi paesi: da quella dell’Inghilterra e del Galles (1974), a quella del Brasile (1975) e di Santo Domingo (1976). L’approdo di questo dialogo fu il nuovo Codice di diritto canonico (25 gennaio 1983), che “abroga” la scomunica dei massoni comminata da Clemente XII nel 1738 e rinnovata, fino ad allora, da tutti i suoi successori. Lo scandalo provocato dalla soppressione della scomunica, e dagli incontri che abbiamo descritto precedentemente, provocò però una parziale reazione già a partire dal 1980 (dichiarazione della conferenza episcopale tedesca contro la doppia appartenenza) che sfociò nell’intervento della congregazione per la dottrina della fede (card. Ratzinger) del 26 novembre 1983 nella quale si afferma che, pur essendo cessata la scomunica, vige ancora il divieto dell’affiliazione alla massoneria, e che i massoni non possono pertanto accostarsi alla santa comunione. Nel frattempo cosa era successo? Non è da escludersi che abbia influito sul parziale ripensamento della congregazione per la dottrina della fede lo scandalo causato dalle denuncie di numerosi giornali (quale il quindicinale antimodernista Si si no no, diretto da don Francesco Putti, e poi la famosa lista Pecorelli, pubblicata dallo stesso giornalista massone, poi assassinato, sul numero del 12 settembre 1978 della sua rivista Osservatore Politico) di affiliazione alla massoneria di molti e noti ecclesiastici, come i cardinali Baggio, Pellegrino, Marchisano, Poletti e Villot (questi ultimi due smentirono), nonché di mons. Bugnini, autore principale della riforma liturgica, allontanato in seguito a ciò dalla Curia romana e mandato in “esilio” nella nunziatura in Iran (7). Ancora di più dovette influire lo scandalo della Loggia massonica P2 di Licio Gelli. Alla Loggia P2 appartenevano, infatti, importanti esponenti della finanza “cattolica”, quali i banchieri Calvi e Sindona (entrambi inquisiti dalla giustizia e morti tragicamente e misteriosamente), nonché l’intimo amico e collaboratore del cardinal Lercaro, Umberto Ortolani; il tutto aveva coinvolto nelle indagini dei giudici italiani lo stesso Istituto per le opere di religione (IOR) vaticano, e il suo presidente, il vescovo Mons. Marcinkus (8). Le vicende della Loggia P2 fecero tornare d’attualità le questioni legate all’affiliazione di prelati cattolici alla massoneria: un “problema spinoso”, per usare le parole di padre Esposito nel cap. X (Il clero massone) della sua opera, già segnalata, Le grandi concordanze tra Chiesa e Massoneria. Secondo l’Esposito, che cita un’ampia bibliografia, sarebbero documentate le affiliazioni di alcuni cardinali (De Bernis, Delci (9), de Rohan, von Trautmansdorf-Vysberg e Brancaforte, tutti del XVIII secolo) e di una cinquantina tra Vescovi e arcivescovi, quasi tutti risalenti a tempi ormai lontani… il che non esclude appartenenze più vicine a noi, ma che il massonologo e massonofilo padre Esposito preferisce non rivelare. Alla morte di Paolo VI, tuttavia, la situazione era tale che il gran maestro del Grand’Oriente d’Italia, Giordano Gamberini (occasionalmente anche valdese e “vescovo” gnostico) scrisse di Paolo VI sulla Rivista Massonica (luglio 1978): “Per noi è la morte di Chi ha fatto cadere la condanna di Clemente XII e dei suoi successori. Ossia è la prima volta – nella storia della Massoneria moderna – che muore il capo della più grande religione occidentale non in istato di ostilità coi Massoni. E per la prima volta nella storia i Massoni possono rendere omaggio al tumulo di un Papa, senza ambiguità né contraddizione”. Per Padre Esposito, che rispose a Gamberini sulla Rivista massonica nel numero di agosto, “Egli” (Paolo VI) “avrebbe gradito” l’omaggio del Gran Maestro. “Nessun gesto esigeva maggior coraggio – scrive ancora il sacerdote paolino – di quello che doveva stare alla base della riforma – del ribaltamento – dei rapporti fra Chiesa cattolica e Massoneria”. Ribaltamento previsto, pare, da lunga data: “Il domenicano P. Felix A. Morlion, molto noto come fondatore dell’Università internazionale ‘Pro Deo’ [attuale LUISS, n.d.a.] e delle attività collaterali, (…) mi confidava un giorno di aver parlato con l’allora Mons. G.B. Montini dei rapporti disastrosi esistenti fra la Chiesa e la Massoneria. Il Montini gli disse: ‘Non passerà una generazione, e tra le due società la pace sarà fatta’. L’episodio è stato già da me accennato, senza fare il nome del Pontefice, in un articolo pubblicato su Vita Pastorale nel mese di dicembre 1974. Ora che il Pontefice è deceduto, non ci sono motivi per continuare a mantenere il segreto. E la previsione – starei per dire: la decisione – s’è verificata pienamente; l’incontro col Morlion non dovette aver luogo prima del 1948-1950; la lettera del S. Uffizio al cardinal Krol porta la data del 19 luglio 1974, perciò i termini di una generazione sono pienamente rispettati”. Quanto detto fin qui ha lo scopo di dimostrare come, malgrado i circa 3.500 documenti pontifici di condanna della Massoneria (tanti ne conta Padre Esposito), non mancarono mai, e non mancano neppur oggi, gli sventurati ecclesiastici che, come Giuda, tradiscono Cristo e la Chiesa affiliandosi alla massoneria o comunque favorendo le sue mire. Di più: dopo il Vaticano II si può arrivare al punto di poter parlare di una concordanza tra Massoneria e Chiesa cattolica, o meglio: tra la Massoneria ed i modernisti infiltrati nella Chiesa cattolica. Padre Ferrer Benimeli, ad esempio, citando la condanna della Massoneria voluta da Leone XIII, in quanto essa “lavora tenacemente per annullare nella società ogni ingerenza del magistero e dell’autorità della Chiesa e a questo scopo diffonde e pretende la separazione tra Stato e Chiesa” commenta: “oggi è il Vaticano che propugna quella stessa separazione tra Stato e Chiesa…” (cit. da Esposito, Chiesa e massoneria…, p. 170). E lo stesso Padre Esposito conclude, per così dire, scrivendo: “Il 27 ottobre 1986 Giovanni Paolo II invita ad Assisi i capi supremi di molte religioni. Tutti pregano per la pace, ognuno resta nella propria religione e prega con le proprie formule. Lo spirito di Assisi, che già si era espresso infinite volte, anche se in termini meno solenni e pubblici, ha poi compiuto molti altri passi. La Massoneria è stata istituita esattamente per impostare questo spirito e lo ha codificato fin dal primo giorno della sua esistenza. Fin da allora in loggia si radunano uomini di tutte le religioni, i quali proibiscono a se stessi di parlare di questo argomento. Ad Assisi i gerarchi di tutte le religioni pregavano e parlavano non di religione, un tema che li avrebbe divisi e contrapposti, ma di pace; in loggia i fratelli parlano e pregano per la stessa cosa, o per il perfezionamento dell’uomo, per lo sviluppo globale, per la beneficenza, la filantropia. È tolleranza, non è indifferentismo religioso, né sincretismo religioso. Ci saranno dei malpensanti o degli scandalizzati, ma almeno si rendano conto di stare dalla parte di Monsignor Lefèbvre e non del Concilio o di Papa Wojtyla” (ibidem, pp. 12-13). Se così è, non c’è neppur bisogno di affiliarsi alla Massoneria, giacché il seguire il neo-modernismo trasforma un battezzato in un fratello “tre puntini”. Non si è certo giunti in un attimo a trasformare (in maniera più o meno inavvertita) la quasi totalità del clero e del laicato cattolico in una grande loggia massonica. Si può quindi lecitamente supporre che numerose siano state le infiltrazioni della setta massonica tra le fila del clero cattolico; ma questa supposizione è ancora lungi dall’essere una dimostrazione dell’affiliazione alla setta del cardinal Rampolla, o di qualunque altro ecclesiastico…
Quando una presunta affiliazione massonica è invece una calunniosa leggenda
Non basta, infatti, una voce, uno scritto, un’affermazione, sull’affiliazione massonica di un prelato, sacerdote, vescovo, Papa, perché questa voce possa dirsi certa, o anche solo probabile e non infondata. La storia ci offre numerosi esempi di calunniose leggende contro dei campioni della causa cattolica, falsamente accusati di appartenere alla massoneria. Uno dei casi più famosi è certamente quello di Papa Benedetto XIV (Prospero Lambertini), il quale rinnovò la scomunica di Clemente XII contro la massoneria e intervenne presso il Re di Napoli, Carlo III, affinché vietasse ed estirpasse la setta dal suo Regno. Eppure, gli ipocriti omaggi di Voltaire, Swedenborg e Walpole al Pontefice, e le voci sulla Loggia Romana raccolte dal teologo protestante e massone Münster, valsero al Papa l’umiliazione di essere sospettato di essere lui stesso un massone, il che lo spinse, tra l’altro, a rinnovare la scomunica contro i suoi calunniatori. Ma a nulla valse il suo zelo antimassonico contro il pregiudizio, se ancora nel 1911 – come scrive Francovich – P. Duchaine avallava la falsa notizia dell’iniziazione del Lambertini (10), e nel 1961 il fr. Lesaint la diffondeva – come riferisce Coston – sulla rivista Pax (11). Dura a morire è anche la leggenda riguardante Pio IX. Il grande e santo Pontefice, che condannò la massoneria in almeno 28 importanti documenti, è stato accusato di essere lui stesso massone, e la calunnia dura ancor oggi, poiché il Dictionnaire des Francs-Maçons européens, pubblicato nel 2005, lo annovera tra i “fratelli” della Loggia Eterna Catena dell’Oriente di Palermo fin dal 1839, e trova una conferma di ciò nel fatto che “la sua appartenenza alla massoneria fu rivelata alla tribuna dell’assemblea nazionale, a Parigi, dal fr. Charles Floquet” (12). La fonte non citata del dizionario è un articolo di un certo Caubet, pubblicato nel dicembre 1865 sulla rivista Le Monde maçonnique. Lo stesso Monde maçonnique afferma, nel 1868, che Pio IX era stato iniziato a Filadelfia, negli Stati Uniti, nel 1823. Peccato che Mons. Mastai Ferretti non avesse mai visitato quel paese… Nel 1878 un’altra rivista massonica, La Chaîne d’union, presenta addirittura la testimonianza di un ‘teste oculare’, il padrino stesso dell’iniziazione di Mastai, che, questa volta, si sarebbe svolta nel 1811, a Thionville! Nel 1924, una rivista massonica francese e un libro stampato a Roma riprendono la calunnia. Yves Chiron, in uno studio dedicato alla questione (13), scrive che “oggi nessun massone sostiene più questa tesi” ed allega in testimonianza una lettera del bibliotecario del Grand’Oriente di Francia del 30 maggio 1995: dieci anni più tardi il Dizionario della Gran Loggia risusciterà, invece, la diceria. Diceria che, ricordo en passant, colpisce anche, non so se con più fondamento, il segretario di Stato di Pio IX, il cardinal Antonelli (1806-1876), che pur fu “amico devotissimo di san Giovanni Bosco” e, naturalmente, “intimo” di Pio IX, di cui fu fedele servitore per tutto il pontificato, fino alla morte (così l’Enciclopedia Cattolica) (14). Neppure la gloriosa figura del Cardinal Ottaviani è stata risparmiata. L’ultimo segretario del Sant’Uffizio, colui che si oppose in Concilio alle novità moderniste, colui che sottoscrisse il Breve Esame Critico del Novus Ordo Missae, sarebbe stato massone, almeno secondo le insinuazioni, ben poco credibili, del venerabile della famosa Loggia P2 del Grand’Oriente d’Italia, Licio Gelli (15). I fatti documentati (e Gelli lo ammette) mostrano piuttosto l’intima amicizia tra il cardinal Lercaro, esponente di punta del progressismo conciliare ed artefice della riforma liturgica, col braccio destro di Gelli, Umberto Ortolani, ed invece ecco che neppure il nome di Ottaviani è risparmiato! Bisogna dar credito alle insinuazioni di un massone, giacché il demonio è il padre della menzogna? In questo Gelli (ancora vivente) è degno erede della Rivista della Massoneria italiana, la quale pubblicò, in due puntate, il 1 agosto 1892 e nel giugno-luglio 1895 degli elenchi di ecclesiastici massoni. “I due elenchi non hanno i carismi della severità”, scrive Padre Esposito. “Il torto della rivista – continua – (…) è anche quello di non controllare fino al raggiungimento della certezza, talune affermazioni che o appaiono manifestamente infondate, o non sono sufficientemente illustrate; in questo senso ricorderemo le insostenibili affermazioni di questo periodico (1895, 146) a proposito di Clemente XIV, di S. Antonio Maria Claret o del Nocedal” (16). Il grande esperto di massoneria (e nemico della setta) Henri Coston, scrisse dunque, nel 1964, parlando del caso Rampolla, dopo aver esposto i casi simili di Benedetto XIV e Pio IX (“L’accusa portata da degli antimassoni contro Mons. Rampolla assomiglia a quella portata dai massoni contro Pio IX” p. 172): “conto tenuto di quello che abbiamo detto e salvo eccezioni che ignoriamo – non possiamo naturalmente prendere per oro colato le affermazioni dell’autore de ‘Les Fils de la Lumière’ (Roger Peyrefitte) – sembra molto improbabile che dei sacerdoti della Chiesa cattolica romana siano massoni” (17). Nel 1992 Coston è più severo (nel frattempo c’è stato il Concilio): dopo aver ricordato il caso Rampolla e il caso Le Nordez, conclude: “se abbiamo parlato a lungo dei casi Rampolla e Le Nordez è per mostrare fino a che punto è difficile dimostrare l’appartenenza massonica di personaggi altolocati. (…) Ciononostante, non c’è fumo senza fuoco, secondo il noto proverbio, per cui, se è difficile dimostrare l’affiliazione di alti prelati a delle società segrete, in mancanza di documenti autentici, si può a giusto titolo considerarli per lo meno come alleati oggettivi della Massoneria, nella misura in cui il loro comportamento o la loro politica sono conformi alle intenzioni, agli scopi, al piano delle retrologge, che sono invece ben note” (18). Anticipando la mia conclusione, è difficile andar oltre il giudizio di Henri Coston, e di proclamare certo e dimostrato ciò che lui stesso ammise essere ancora, allo stato dei fatti, non dimostrato (19).
L’iniziazione massonica del Cardinal Rampolla: stato attuale di questa tesi.
Le prime notizie su di un’eventuale iniziazione massonica del cardinale segretario di Stato di Leone XIII risalgono – come vedremo meglio – al 1929, ovvero 15 anni dopo la morte del prelato, e ben 26 anni dopo il famoso conclave durante il quale il cardinal Puzyna pose il suo veto all’elezione del
cardinale Rampolla. Da allora, dal 1929, la versione “Rampolla-massone”, che deve la sua capillare diffusione ai numerosi scritti e conferenze del Marchese della Franquerie negli anni ’70, si è arricchita di nuovi elementi. La presento così com’è esposta nel libro L’Eglise eclipsée? (Delacroix, 1997, seconda edizione), opera collettiva de Les amis du Christ-Roi. “Alla morte di Leone XIII – si legge ne L’Eglise eclipsée alle pagine 72-73 della seconda edizione – la Massoneria pensò che era venuto il momento di installare uno dei suoi sul trono di S. Pietro. Il suo ‘uomo’ era il cardinale Rampolla del Tindaro! Segretario di Stato di Leone XIII, il cardinal Rampolla era un alto iniziato che riceveva, nelle Logge che frequentava, le istruzioni luciferine per applicarle nel governo della Chiesa. Fondò in Vaticano una retrologgia che doveva reclutare i più alti dignitari della Santa Sede. Durante le sue vacanze in Svizzera, il cardinal Rampolla si recava ogni sabato in una retro-loggia presso l’abbazia di Einsiedlen e ogni quindici giorni nella Loggia di Zurigo, per ricevervi le istruzioni del Potere Occulto: disarmare i cattolici di Francia mediante il loro ‘ralliement’ alla repubblica massonica; e fondare una retro-loggia all’interno della Chiesa, capace di fornire gli alti dignitari della Santa Sede, come i cardinali Ferrata, Gasparri, Ceretti, Bea ecc. Questa Loggia di Zurigo faceva parte dell’O.T.O., l’Ordo templi orientis di cui, in effetti, Rampolla era membro. Era arrivato ai più alti gradi dei culti luciferini, poiché apparteneva all’Ottavo e Nono grado dell’O.T.O., gli unici gradi che autorizzavano ad avvicinarsi al gran maestro generale nazionale e al capo supremo dell’Ordine, chiamato ‘brother superior’ (fratello superiore) o O.H.O. (Outer head of the Order). Non è senza interesse sapere che l’Ordo templi orientis fu fondato da Aleister Crowley, considerato il più grande satanista dei tempi moderni. (…) Monsignor Jouin, fondatore e direttore della Revue Internationale des Societés Secretès (R.I.S.S.), avendo le prove dell’affiliazione del cardinal Rampolla, incaricò il suo capo redattore, il marchese della Franquerie, di mostrarle ai cardinali ed ai vescovi di Francia. Félix Lacointa, direttore del giornale ‘Le bloc anti-révolutionnaire’ (ex-Le Bloc catholique) testimoniò, da parte sua nel 1929: ‘Nel corso del nostro ultimo incontro (con Mons. Marty, vescovo di Montauban), poiché lo tenevo al corrente delle scoperte fatte recentemente e poiché il discorso cadde sul cardinal Rampolla del Tindaro, mi disse che, nel corso della visita ad limina che fece a Roma, qualche tempo dopo la morte dell’ex- segretario di Stato di Leone XIII, fu chiamato da un cardinale (Merry del Val, segretario di Stato di san Pio X)… che gli raccontò con numerosi dettagli che alla morte del cardinal Rampolla furono scoperte tra le sue carte le prove formali del suo tradimento. Questi documenti furono portati a Pio X. Il santo Pontefice ne fu sconvolto, ma volendo preservare dal disonore la memoria del prelato fellone e con lo scopo di evitare uno scandalo, disse molto scosso: ‘Disgraziato! Bruciate! E le carte furono gettate alle fiamme in sua presenza’ (Virebeau: Prélats et franc-maçons, Paris 1978, p. 28). Al Conclave, il cardinal Rampolla concentrò su di lui la maggioranza dei voti, ma il cardinale dell’Impero austro-ungarico, Pusyna (sic), intervenne, e dichiarò che il suo governo si opponeva all’elezione di Rampolla. Il Sacro Collegio elesse così al suo posto il cardinale Giuseppe Sarto, che prese il nome di Pio X (nota: le rivelazioni relative all’episodio del cardinal Rampolla sono tratte dal documento: ‘Le Bloc Anti-révolutionnaire’, n. giugno-luglio 1929: ‘Le frère Rampolla’). I massoni erano quindi quasi riusciti, all’inizio del XX secolo, ad avere il ‘loro papa’ a capo della Chiesa nella persona del cardinal Rampolla del Tindaro. Una volta eletto, San Pio X, per avversare l’infiltrazione nemica nel clero, richiese a ogni sacerdote il giuramento anti-modernista al momento della sua ordinazione”. Fin qui la citazione de L’Eglise eclipsée. Un anonimo ha aggiunto le seguenti informazioni in un articolo consacrato a Mariano Rampolla del Tindaro nella “libera enciclopedia” virtuale, Wikipédia: “Dopo la sua morte [di Rampolla] un prelato francese, Mons. Jouin, fondatore della Revue internationale des sociétés secrétes, rese pubbliche delle carte che provavano, secondo lui, l’appartenenza del defunto Rampolla alla massoneria. Anzi, il prelato sarebbe stato gran maestro dell’Ordo Templi Orientalis (sic) (OTO), una loggia esoterica. Mons. Jouin dichiarò pure che era stato lui stesso a supplicare l’Austria di far uso del suo diritto di esclusiva per sbarrare la strada al trono di Pietro a un massone”. L’anonimo “internauta” si è probabilmente ispirato al recente libro di Craig Heimbichner, Blood on the altar. The Secret History of the World’s Most Dangerous Secret Society, (Emissary Publications, 2005). Di questo libro, (che non ho letto), sono state pubblicate delle recensioni assolutamente favorevoli nella stampa “tradizionalista”; ad esempio sulla rivista teologica dei domenicani di Avrillé, Le Sel de la terre (n. 56, primavera 2006, pp. 190-196), ed sul bollettino Sous la bannière (n. 126, agosto 2006, pp. 4-11) in un articolo firmato Félix Causas ed intitolato Le F.˙. Rampolla del Tindaro. Un cardinal affilié à la Contre-Eglise luciférienne. Entrambe le riviste sono dichiaratamente “lefebvriane”, ma il bollettino informatico Virgo Maria, pubblicato dall’abbé Marchiset, di tendenza sedevacantista-lefebvriana, ha interamente ripreso ed approvato l’articolo di Causas (Virgo Maria, 9 ottobre 2006, www.virgo-maria.org). Sulla scia di Heimbichner, Causas giunge ad affermare che tutti i Segretari di Stato, da Pio IX ad oggi, sono stati nominati dalla massoneria, e a criticare, tra gli altri, gli stessi Pontefici San Pio X, Benedetto XV e Pio XII. Sono state queste affermazioni, gravemente calunniose verso la Chiesa e dei legittimi pontefici, che mi hanno spinto a scrivere questo articolo: una cosa è mettere in dubbio la fedeltà di un alto prelato, fosse anche un cardinale; altra cosa accusare la Chiesa stessa, come di fatto, oltrepassando ogni limite della decenza, fa l’articolo di Sous la Bannière. Vedremo quindi assieme, cari lettori, quali sono gli argomenti a favore della tesi che sostiene che il Cardinale fu affiliato alla massoneria, e quali gli argomenti in contrario, per concludere poi con una severa condanna di un certo spirito di diffamazione e denigrazione della Chiesa tutta che serpeggia, purtroppo, tra alcuni “tradizionalisti”, macchiando così il buon nome dei veri difensori della fede cattolica integrale contro gli errori del modernismo. Iniziamo così il nostro “processo”, ricordando di già come, in vita, il cardinal Rampolla non fu mai giudicato dai tribunali della Chiesa (gli unici competenti, d’altronde, nei suoi confronti) per questa sua presunta affiliazione massonica; eppure sarebbe stato un dovere di chi avesse avuto dei sospetti al proposito il denunciarlo all’autorità ecclesiastica (can. 2336§2) per violazione del can. 2335, che vieta sotto pena di scomunica l’iscrizione alla massoneria, e per i chierici, aggiunge la pena della sospensione e della privazione di ogni beneficio, ufficio, dignità e pensione ecclesiastica (can. 2336§1). In assenza di un giudizio ecclesiastico, e del tutto all’oscuro del giudizio divino, cercheremo con gli argomenti dello storico, che sono sempre e solo i documenti, di avvicinarci alla verità.
Non basta, infatti, una voce, uno scritto, un’affermazione, sull’affiliazione massonica di un prelato, sacerdote, vescovo, Papa, perché questa voce possa dirsi certa, o anche solo probabile e non infondata. La storia ci offre numerosi esempi di calunniose leggende contro dei campioni della causa cattolica, falsamente accusati di appartenere alla massoneria. Uno dei casi più famosi è certamente quello di Papa Benedetto XIV (Prospero Lambertini), il quale rinnovò la scomunica di Clemente XII contro la massoneria e intervenne presso il Re di Napoli, Carlo III, affinché vietasse ed estirpasse la setta dal suo Regno. Eppure, gli ipocriti omaggi di Voltaire, Swedenborg e Walpole al Pontefice, e le voci sulla Loggia Romana raccolte dal teologo protestante e massone Münster, valsero al Papa l’umiliazione di essere sospettato di essere lui stesso un massone, il che lo spinse, tra l’altro, a rinnovare la scomunica contro i suoi calunniatori. Ma a nulla valse il suo zelo antimassonico contro il pregiudizio, se ancora nel 1911 – come scrive Francovich – P. Duchaine avallava la falsa notizia dell’iniziazione del Lambertini (10), e nel 1961 il fr. Lesaint la diffondeva – come riferisce Coston – sulla rivista Pax (11). Dura a morire è anche la leggenda riguardante Pio IX. Il grande e santo Pontefice, che condannò la massoneria in almeno 28 importanti documenti, è stato accusato di essere lui stesso massone, e la calunnia dura ancor oggi, poiché il Dictionnaire des Francs-Maçons européens, pubblicato nel 2005, lo annovera tra i “fratelli” della Loggia Eterna Catena dell’Oriente di Palermo fin dal 1839, e trova una conferma di ciò nel fatto che “la sua appartenenza alla massoneria fu rivelata alla tribuna dell’assemblea nazionale, a Parigi, dal fr. Charles Floquet” (12). La fonte non citata del dizionario è un articolo di un certo Caubet, pubblicato nel dicembre 1865 sulla rivista Le Monde maçonnique. Lo stesso Monde maçonnique afferma, nel 1868, che Pio IX era stato iniziato a Filadelfia, negli Stati Uniti, nel 1823. Peccato che Mons. Mastai Ferretti non avesse mai visitato quel paese… Nel 1878 un’altra rivista massonica, La Chaîne d’union, presenta addirittura la testimonianza di un ‘teste oculare’, il padrino stesso dell’iniziazione di Mastai, che, questa volta, si sarebbe svolta nel 1811, a Thionville! Nel 1924, una rivista massonica francese e un libro stampato a Roma riprendono la calunnia. Yves Chiron, in uno studio dedicato alla questione (13), scrive che “oggi nessun massone sostiene più questa tesi” ed allega in testimonianza una lettera del bibliotecario del Grand’Oriente di Francia del 30 maggio 1995: dieci anni più tardi il Dizionario della Gran Loggia risusciterà, invece, la diceria. Diceria che, ricordo en passant, colpisce anche, non so se con più fondamento, il segretario di Stato di Pio IX, il cardinal Antonelli (1806-1876), che pur fu “amico devotissimo di san Giovanni Bosco” e, naturalmente, “intimo” di Pio IX, di cui fu fedele servitore per tutto il pontificato, fino alla morte (così l’Enciclopedia Cattolica) (14). Neppure la gloriosa figura del Cardinal Ottaviani è stata risparmiata. L’ultimo segretario del Sant’Uffizio, colui che si oppose in Concilio alle novità moderniste, colui che sottoscrisse il Breve Esame Critico del Novus Ordo Missae, sarebbe stato massone, almeno secondo le insinuazioni, ben poco credibili, del venerabile della famosa Loggia P2 del Grand’Oriente d’Italia, Licio Gelli (15). I fatti documentati (e Gelli lo ammette) mostrano piuttosto l’intima amicizia tra il cardinal Lercaro, esponente di punta del progressismo conciliare ed artefice della riforma liturgica, col braccio destro di Gelli, Umberto Ortolani, ed invece ecco che neppure il nome di Ottaviani è risparmiato! Bisogna dar credito alle insinuazioni di un massone, giacché il demonio è il padre della menzogna? In questo Gelli (ancora vivente) è degno erede della Rivista della Massoneria italiana, la quale pubblicò, in due puntate, il 1 agosto 1892 e nel giugno-luglio 1895 degli elenchi di ecclesiastici massoni. “I due elenchi non hanno i carismi della severità”, scrive Padre Esposito. “Il torto della rivista – continua – (…) è anche quello di non controllare fino al raggiungimento della certezza, talune affermazioni che o appaiono manifestamente infondate, o non sono sufficientemente illustrate; in questo senso ricorderemo le insostenibili affermazioni di questo periodico (1895, 146) a proposito di Clemente XIV, di S. Antonio Maria Claret o del Nocedal” (16). Il grande esperto di massoneria (e nemico della setta) Henri Coston, scrisse dunque, nel 1964, parlando del caso Rampolla, dopo aver esposto i casi simili di Benedetto XIV e Pio IX (“L’accusa portata da degli antimassoni contro Mons. Rampolla assomiglia a quella portata dai massoni contro Pio IX” p. 172): “conto tenuto di quello che abbiamo detto e salvo eccezioni che ignoriamo – non possiamo naturalmente prendere per oro colato le affermazioni dell’autore de ‘Les Fils de la Lumière’ (Roger Peyrefitte) – sembra molto improbabile che dei sacerdoti della Chiesa cattolica romana siano massoni” (17). Nel 1992 Coston è più severo (nel frattempo c’è stato il Concilio): dopo aver ricordato il caso Rampolla e il caso Le Nordez, conclude: “se abbiamo parlato a lungo dei casi Rampolla e Le Nordez è per mostrare fino a che punto è difficile dimostrare l’appartenenza massonica di personaggi altolocati. (…) Ciononostante, non c’è fumo senza fuoco, secondo il noto proverbio, per cui, se è difficile dimostrare l’affiliazione di alti prelati a delle società segrete, in mancanza di documenti autentici, si può a giusto titolo considerarli per lo meno come alleati oggettivi della Massoneria, nella misura in cui il loro comportamento o la loro politica sono conformi alle intenzioni, agli scopi, al piano delle retrologge, che sono invece ben note” (18). Anticipando la mia conclusione, è difficile andar oltre il giudizio di Henri Coston, e di proclamare certo e dimostrato ciò che lui stesso ammise essere ancora, allo stato dei fatti, non dimostrato (19).
L’iniziazione massonica del Cardinal Rampolla: stato attuale di questa tesi.
Le prime notizie su di un’eventuale iniziazione massonica del cardinale segretario di Stato di Leone XIII risalgono – come vedremo meglio – al 1929, ovvero 15 anni dopo la morte del prelato, e ben 26 anni dopo il famoso conclave durante il quale il cardinal Puzyna pose il suo veto all’elezione del
cardinale Rampolla. Da allora, dal 1929, la versione “Rampolla-massone”, che deve la sua capillare diffusione ai numerosi scritti e conferenze del Marchese della Franquerie negli anni ’70, si è arricchita di nuovi elementi. La presento così com’è esposta nel libro L’Eglise eclipsée? (Delacroix, 1997, seconda edizione), opera collettiva de Les amis du Christ-Roi. “Alla morte di Leone XIII – si legge ne L’Eglise eclipsée alle pagine 72-73 della seconda edizione – la Massoneria pensò che era venuto il momento di installare uno dei suoi sul trono di S. Pietro. Il suo ‘uomo’ era il cardinale Rampolla del Tindaro! Segretario di Stato di Leone XIII, il cardinal Rampolla era un alto iniziato che riceveva, nelle Logge che frequentava, le istruzioni luciferine per applicarle nel governo della Chiesa. Fondò in Vaticano una retrologgia che doveva reclutare i più alti dignitari della Santa Sede. Durante le sue vacanze in Svizzera, il cardinal Rampolla si recava ogni sabato in una retro-loggia presso l’abbazia di Einsiedlen e ogni quindici giorni nella Loggia di Zurigo, per ricevervi le istruzioni del Potere Occulto: disarmare i cattolici di Francia mediante il loro ‘ralliement’ alla repubblica massonica; e fondare una retro-loggia all’interno della Chiesa, capace di fornire gli alti dignitari della Santa Sede, come i cardinali Ferrata, Gasparri, Ceretti, Bea ecc. Questa Loggia di Zurigo faceva parte dell’O.T.O., l’Ordo templi orientis di cui, in effetti, Rampolla era membro. Era arrivato ai più alti gradi dei culti luciferini, poiché apparteneva all’Ottavo e Nono grado dell’O.T.O., gli unici gradi che autorizzavano ad avvicinarsi al gran maestro generale nazionale e al capo supremo dell’Ordine, chiamato ‘brother superior’ (fratello superiore) o O.H.O. (Outer head of the Order). Non è senza interesse sapere che l’Ordo templi orientis fu fondato da Aleister Crowley, considerato il più grande satanista dei tempi moderni. (…) Monsignor Jouin, fondatore e direttore della Revue Internationale des Societés Secretès (R.I.S.S.), avendo le prove dell’affiliazione del cardinal Rampolla, incaricò il suo capo redattore, il marchese della Franquerie, di mostrarle ai cardinali ed ai vescovi di Francia. Félix Lacointa, direttore del giornale ‘Le bloc anti-révolutionnaire’ (ex-Le Bloc catholique) testimoniò, da parte sua nel 1929: ‘Nel corso del nostro ultimo incontro (con Mons. Marty, vescovo di Montauban), poiché lo tenevo al corrente delle scoperte fatte recentemente e poiché il discorso cadde sul cardinal Rampolla del Tindaro, mi disse che, nel corso della visita ad limina che fece a Roma, qualche tempo dopo la morte dell’ex- segretario di Stato di Leone XIII, fu chiamato da un cardinale (Merry del Val, segretario di Stato di san Pio X)… che gli raccontò con numerosi dettagli che alla morte del cardinal Rampolla furono scoperte tra le sue carte le prove formali del suo tradimento. Questi documenti furono portati a Pio X. Il santo Pontefice ne fu sconvolto, ma volendo preservare dal disonore la memoria del prelato fellone e con lo scopo di evitare uno scandalo, disse molto scosso: ‘Disgraziato! Bruciate! E le carte furono gettate alle fiamme in sua presenza’ (Virebeau: Prélats et franc-maçons, Paris 1978, p. 28). Al Conclave, il cardinal Rampolla concentrò su di lui la maggioranza dei voti, ma il cardinale dell’Impero austro-ungarico, Pusyna (sic), intervenne, e dichiarò che il suo governo si opponeva all’elezione di Rampolla. Il Sacro Collegio elesse così al suo posto il cardinale Giuseppe Sarto, che prese il nome di Pio X (nota: le rivelazioni relative all’episodio del cardinal Rampolla sono tratte dal documento: ‘Le Bloc Anti-révolutionnaire’, n. giugno-luglio 1929: ‘Le frère Rampolla’). I massoni erano quindi quasi riusciti, all’inizio del XX secolo, ad avere il ‘loro papa’ a capo della Chiesa nella persona del cardinal Rampolla del Tindaro. Una volta eletto, San Pio X, per avversare l’infiltrazione nemica nel clero, richiese a ogni sacerdote il giuramento anti-modernista al momento della sua ordinazione”. Fin qui la citazione de L’Eglise eclipsée. Un anonimo ha aggiunto le seguenti informazioni in un articolo consacrato a Mariano Rampolla del Tindaro nella “libera enciclopedia” virtuale, Wikipédia: “Dopo la sua morte [di Rampolla] un prelato francese, Mons. Jouin, fondatore della Revue internationale des sociétés secrétes, rese pubbliche delle carte che provavano, secondo lui, l’appartenenza del defunto Rampolla alla massoneria. Anzi, il prelato sarebbe stato gran maestro dell’Ordo Templi Orientalis (sic) (OTO), una loggia esoterica. Mons. Jouin dichiarò pure che era stato lui stesso a supplicare l’Austria di far uso del suo diritto di esclusiva per sbarrare la strada al trono di Pietro a un massone”. L’anonimo “internauta” si è probabilmente ispirato al recente libro di Craig Heimbichner, Blood on the altar. The Secret History of the World’s Most Dangerous Secret Society, (Emissary Publications, 2005). Di questo libro, (che non ho letto), sono state pubblicate delle recensioni assolutamente favorevoli nella stampa “tradizionalista”; ad esempio sulla rivista teologica dei domenicani di Avrillé, Le Sel de la terre (n. 56, primavera 2006, pp. 190-196), ed sul bollettino Sous la bannière (n. 126, agosto 2006, pp. 4-11) in un articolo firmato Félix Causas ed intitolato Le F.˙. Rampolla del Tindaro. Un cardinal affilié à la Contre-Eglise luciférienne. Entrambe le riviste sono dichiaratamente “lefebvriane”, ma il bollettino informatico Virgo Maria, pubblicato dall’abbé Marchiset, di tendenza sedevacantista-lefebvriana, ha interamente ripreso ed approvato l’articolo di Causas (Virgo Maria, 9 ottobre 2006, www.virgo-maria.org). Sulla scia di Heimbichner, Causas giunge ad affermare che tutti i Segretari di Stato, da Pio IX ad oggi, sono stati nominati dalla massoneria, e a criticare, tra gli altri, gli stessi Pontefici San Pio X, Benedetto XV e Pio XII. Sono state queste affermazioni, gravemente calunniose verso la Chiesa e dei legittimi pontefici, che mi hanno spinto a scrivere questo articolo: una cosa è mettere in dubbio la fedeltà di un alto prelato, fosse anche un cardinale; altra cosa accusare la Chiesa stessa, come di fatto, oltrepassando ogni limite della decenza, fa l’articolo di Sous la Bannière. Vedremo quindi assieme, cari lettori, quali sono gli argomenti a favore della tesi che sostiene che il Cardinale fu affiliato alla massoneria, e quali gli argomenti in contrario, per concludere poi con una severa condanna di un certo spirito di diffamazione e denigrazione della Chiesa tutta che serpeggia, purtroppo, tra alcuni “tradizionalisti”, macchiando così il buon nome dei veri difensori della fede cattolica integrale contro gli errori del modernismo. Iniziamo così il nostro “processo”, ricordando di già come, in vita, il cardinal Rampolla non fu mai giudicato dai tribunali della Chiesa (gli unici competenti, d’altronde, nei suoi confronti) per questa sua presunta affiliazione massonica; eppure sarebbe stato un dovere di chi avesse avuto dei sospetti al proposito il denunciarlo all’autorità ecclesiastica (can. 2336§2) per violazione del can. 2335, che vieta sotto pena di scomunica l’iscrizione alla massoneria, e per i chierici, aggiunge la pena della sospensione e della privazione di ogni beneficio, ufficio, dignità e pensione ecclesiastica (can. 2336§1). In assenza di un giudizio ecclesiastico, e del tutto all’oscuro del giudizio divino, cercheremo con gli argomenti dello storico, che sono sempre e solo i documenti, di avvicinarci alla verità.
Primo argomento: il veto di esclusiva dell’Imperatore durante il Conclave del 1903 contro il Cardinal Rampolla
La parola all’accusa. “È opportuno ricordare che il Cardinal Rampolla era praticamente eletto, ma che l’Imperatore d’Austria, conoscendo senza dubbio l’appartenenza del Segretario di Stato di Leone XIII alle retro-logge, mise il suo veto. Questo veto assolutamente provvidenziale impedì a un supposito di Lucifero di salire sul Trono Pontificio ed ebbe per benefico risultato di farvi salire un Santo” (Marchese de la Franquerie, Saint Pie X, sauveur de l’Eglise et de la France, ed. Résiac, 1976, p. 3). “C. Heimbichner ci precisa che fu Monsignor Jouin che fece decidere l’Imperatore d’Austria ad usare del suo diritto di veto per neutralizzare Rampolla, quando fu quasi certo che questo massone e satanista dell’O.T.O. stava per essere eletto papa. Monsignor Jouin, che aveva previsto la piega che avrebbe preso il conclave, persuase allora l’Imperatore Francesco Giuseppe d’Austria-Ungheria a invocare il ‘diritto di esclusiva’, che risaliva al XVII secolo, clausola da tempo dimenticata di un trattato tra Vienna e il Vaticano. Trattato che dava a Francesco Giuseppe il potere di veto sull’elezione di un papa. Fu così grazie a Monsignor Jouin, il venerato prelato ben al corrente delle manovre delle società segrete – che Rampolla fu messo da parte!” (Felix Causas, in Sous la Bannière, cit., pp. 8-9). “I massoni quindi, all’inizio del XX secolo, erano quasi riusciti ad avere ‘il loro papa’ a capo della Chiesa nella persona del cardinal Rampolla del Tindaro” (Les Amis du Christ-Roi, L’Eglise eclipsée, Delacroix, 1997, p. 73). La parola alla difesa. È questo l’argomento più noto al pubblico in favore dell’affiliazione massonica di Rampolla, ma non è né il più antico (Felix Lacointa, mi sembra, non ne fa cenno) né il più fondato. Anzi, è l’unico che si può dimostrare assolutamente falso. Incominciamo col far giustizia di alcuni particolari, assolutamente erronei, di questa tesi. Dopo la morte di Leone XIII, avvenuta il 20 luglio 1903, i 62 cardinali presenti a Roma si riunirono in conclave il 31 luglio seguente per eleggere il suo successore. Dopo sei scrutini, il 4 agosto fu eletto il cardinale Giuseppe Sarto, Patriarca di Venezia, che divenne così il grande San Pio X. Al primo scrutinio (1 agosto), si delinearono immediatamente le differenti tendenze del Sacro Collegio. Il Cardinal Rampolla, sostenuto dal voto unanime dei cardinali francesi e spagnoli (in sintonia, anche con gli auspici dei rispettivi governi) ottenne 24 suffragi; il Cardinal Gotti, gradito piuttosto ai governi degli Imperi centrali (Austria e Germania), ne ottenne 17; i voti dispersi tra altri candidati risultarono 21, dei quali 5 per il cardinal Sarto che poi sarà eletto; il quorum dei due terzi dei voti era fissato a 42 voti. Quando, il mattino del 2 agosto 1903, all’inizio del terzo scrutinio, il cardinale Puzyna de Kolzielsko, principe vescovo di Cracovia, dichiarò in nome di “Sua Maestà Apostolica l’Imperatore, Re d’Ungheria” l’esclusiva contro il cardinal Rampolla, quest’ultimo aveva ottenuto al secondo scrutinio solo 29 voti, e si fermò a 30 (senza più andar oltre) dopo l’intervento del porporato polacco: ben lontano, quindi, dai 42 voti necessari per l’elezione. È quindi storicamente infondata la tesi secondo la quale fu il veto dell’Austria ad impedire l’elezione di Rampolla: essa non fu resa impossibile dal veto (i cardinali protestarono, anche ufficialmente (20) contro l’inammissibile interferenza di un potere secolare sul conclave), ma dal fatto che Rampolla, semplicemente, non aveva, fin dall’inizio, i voti necessari per l’elezione. Il Veto imperiale, semmai, aveva rischiato paradossalmente di ottenere l’effetto contrario! (21). In secondo luogo, è impossibile che Mons. Jouin abbia deciso l’Imperatore a far uso (o meglio, abuso) del suo “diritto” di veto contro il Cardinal Rampolla, secondo la versione di Wikipedia e di Causas, al seguito di Heimbichner. Non solo, infatti, è inverosimile che l’Imperatore Francesco Giuseppe si sia fatto convincere ad un passo così grave da un semplice parroco, per giunta di una nazione straniera, qual’era Mons. Jouin, ma, soprattutto, perché nel 1903, quando si svolsero i fatti, Mons. Jouin non si occupava assolutamente di questioni massoniche. Sono proprio le Edizioni Saint-Rémy, vicinissime alle associazioni CSI (Catholici semper idem) e Amici di Cristo Re che hanno avuto il merito di ripubblicare la vita di Monsignor Jouin (1844-1932) scritta dal canonico Sauvêtre. Fu solo all’età di 65 anni che colui che fondò e diresse fino alla morte la R.I.S.S. (Revue internationale des Sociétés Secrètes) iniziò a interessarsi al complotto massonico, in seguito ad un incontro con l’ex segretario del Grand’Oriente di rue Cadet, Jean-Baptiste Bidagain (1870-1926) (22), colui che – nel contesto dell’affaire des fiches – fu all’origine della caduta del ministero Combes. L’incontro con Bidagain avvenne nel 1909 (23); la R.I.S.S. fu fondata nel 1912… troppo tardi per interferire nel Conclave del 1903! Quasi altrettanto inverosimile appare, agli occhi dello storico, lo zelo cattolico e antimassonico attribuito all’Imperatore Francesco Giuseppe. Questo non solo perché degli illustri suoi predecessori svolsero un ruolo importante nella massoneria (pensiamo a Francesco duca di Lorena e marito dell’Imperatrice Maria Teresa) o in suo favore (Giuseppe II e Leopoldo II, forse massone), ma in quanto lo stesso Francesco Giuseppe era ben lungi, purtroppo, dall’incarnare l’ideale del principe cristiano (le speranze dei cattolici integrali andavano piuttosto al suo erede, l’arciduca Francesco Ferdinando, che non per niente fu assassinato a Sarajevo dalla setta, e che intratteneva con l’Imperatore pessimi rapporti) (24). La politica ecclesiastica di Francesco Giuseppe, infatti, fu positiva tra il 1850 e il 1855 (data del concordato stretto con la Santa Sede), quando eliminò la legislazione giuseppinista dell’Austria; ma, soprattutto dopo la sconfitta del 1866, sotto il governo del protestante Beust, l’Austria promulgò tutta una serie di leggi anticattoliche che sfociarono nella denuncia unilaterale del concordato, il 30 luglio 1870, in avversione alla proclamazione del dogma dell’infallibilità pontificia. Fu così che mentre dal mondo intero dei volontari accorrevano per la difesa di Roma e del Papa, il governo austriaco non mosse un dito in difesa di Pio IX, e minacciò addirittura uno scisma. Con la “Triplice Alleanza”, l’Austria-Ungheria si legava in una alleanza militare con la Germania e l’Italia, due potenze che proprio in quegli anni si opponevano vivacemente al Papato, isolando così diplomaticamente la Santa Sede. A proposito della “giudeo-massoneria” (per utilizzare l’espressione cara a Mons. Jouin), Francesco Giuseppe avversò strenuamente la politica antigiudaica del borgomastro di Vienna, il cristiano-sociale Karl Lueger, e il governo austriaco non diede alcun particolare appoggio al Congresso antimassonico del 1896, che tuttavia si svolgeva in terra allora imperiale, a Trento (25). Al contrario, nel breve periodo di tempo che va dal 1896 al 1898, la Segreteria di Stato (quindi Rampolla) emetteva ben 41 documenti contro la “sètta nefasta” della massoneria! (26). Mons. Jouin non poté quindi parlare a Francesco Giuseppe del massonismo di Rampolla, né Francesco Giuseppe aveva motivo di ostacolare Rampolla per questo motivo… Ma gli argomenti contro la versione dell’accusa sono ancora più solidi. Se il cardinal Puzyna avesse fatto il pur minimo cenno, a tutto il Sacro Collegio o anche solo a qualche Cardinale, del fatto che Rampolla fosse stato massone, come spiegarsi l’indignazione di tutti i cardinali per l’intervento austriaco, visto come un grave attentato alla libertà della Chiesa? Come spiegare il fatto che egli ottenne ancora numerosi voti fino all’ultimo scrutinio? Come spiegare il fatto che tra gli elettori più convinti di Rampolla ci sia stato un cardinale che sarà, sotto il pontificato di San Pio X uno dei più acerrimi sostenitori della politica antimodernista del Papa, il Cardinale Vives y Tuto (27)? Come spiegare che il cardinal Sarto stesso abbia verosimilmente sempre votato, a tutti gli scrutini, per il cardinal Rampolla (28)? Di più: come spiegarsi la reazione dello stesso cardinal Sarto, divenuto San Pio X, il quale, tra i primi atti dopo l’elezione, non impose il giuramento antimodernista (come scrive Causas), che data dal 1910 e nulla ha a che vedere col caso-Rampolla, ma condannò invece solennemente il Veto di esclusiva? Sì, perché pochi mesi dopo il conclave, il 20 gennaio 1904, San Pio X promulgò la costituzione apostolica Commissum nobis che trascrivo integralmente: “Il compito di governare tutta la Chiesa, così come è stato disposto da Dio, Ci ammonisce severamente ad adoperarCi con tutte le forze affinché, a seguito di un potere estraneo, non venga pregiudicata in qualche modo quella libertà che Cristo le concesse quale patrimonio comune, e che tanti araldi del Vangelo, tanti santissimi sacerdoti, tanti illustri Nostri Predecessori difesero con la parola, con gli scritti, ed anche con spargimento di sangue. Sollecitati dal loro esempio e dalla loro autorità, non appena salimmo, ancorché inadeguati, a questa Cattedra di Pietro, ritenemmo fosse primario scopo del Nostro ufficio Apostolico far sì che la vita della Chiesa potesse esprimersi in modo completamente libero, rimossa qualsiasi interferenza esterna, così come la volle il divino Fondatore e lo richiede assolutamente la sua suprema missione. Ora, se nella vita della Chiesa qualche situazione esige al massimo grado la libertà, senza dubbio deve essere considerata quella che si riferisce all’elezione del Romano Pontefice, in quanto, ‘allorché si decide del Capo, non si tratta di una sola parte, ma di tutto il corpo’ (Gregorio XV, Aeterni Patris). A questa piena libertà nell’elezione del Supremo Pastore si oppone specialmente quel Veto politico, manifestato non una sola volta dai supremi reggitori di diverse nazioni, con il quale si tenta di precludere a qualcuno l’accesso al Supremo Pontificato. Se ciò qualche volta è accaduto, tuttavia alla Sede Apostolica non è mai risultato gradito. Ché anzi i Romani Pontefici, a ciò che stabilirono a proposito dei futuri Conclavi, si sforzarono con una convinzione ed un impegno fuori dal comune per respingere l’intervento di qualsiasi potere esterno alla sacra Assemblea dei Cardinali convocata per eleggere il Pontefice. Questo attestano le Costituzioni ‘In eligendis’ di Pio IV; ‘Aeterni Patris’ di Gregorio XV; ‘Apostolatus officium’ di Clemente XII, e particolarmente ‘In hac sublimi’, ‘Licet per Apostolicas’ e ‘Consultari’ di Pio IX. In verità, come poi l’esperienza avrebbe insegnato, le disposizioni fino allora stabilite per impedire il politico Veto o l’Esclusiva non corrisposero alle speranze e, per le mutate circostanze dei tempi, questa intromissione è apparsa nella nostra epoca ancor più destituita di qualsiasi fondamento di ragione e di equità. Pertanto, Noi, secondo l’ufficio Apostolico affidatoCi, seguendo le orme dei Nostri Predecessori, dopo matura riflessione, con certa scienza e con propria decisione condanniamo radicalmente il politico Veto ossia l’Esclusiva (come lo chiamano), anche sotto forma di semplice desiderio, e parimenti tutti gli interventi e qualsiasi mediazione, e stabiliamo che non sia lecito a nessuno, neppure ai supremi reggitori degli Stati, frapporsi o intromettersi con qualsiasi pretesto nella solenne operazione della elezione del Romano Pontefice. Pertanto, in nome della santa obbedienza, sotto la minaccia del giudizio divino e della pena della scomunica latae sententiae riservata speciali modo al futuro Pontefice, proibiamo a tutti e singoli Cardinali di Santa Romana Chiesa e a tutti gli altri che partecipano al Conclave, di ricevere l’incarico, sotto qualsiasi pretesto, da parte di qualsiasi potere politico, di far conoscere il Veto ossia l’Esclusiva, anche sotto forma di semplice desiderio, e di rivelare lo stesso Veto, di cui sia venuto a conoscenza per qualsiasi ragione, sia a tutto il Collegio dei Cardinali riunito, sia ai singoli Padri porporati; sia per iscritto sia a voce, sia direttamente e da vicino, sia indirettamente e tramite altri. Vogliamo che questo divieto sia esteso a tutte le citate mediazioni, intercessioni e a tutte le altre modalità attraverso le quali i poteri laici di qualsiasi grado ed ordine avranno voluto immischiarsi nell’elezione del Pontefice. Infine esortiamo caldamente i Cardinali di santa Romana Chiesa con le stesse parole dei Nostri Predecessori: in sede di elezione del Pontefice, ‘assolutamente incuranti delle intercessioni e delle altre considerazioni dei Principi laici (Pio IV, In eligendis; Clemente XII, Apostolatus officium) tenendo unicamente presente la gloria di Dio ed il bene della Chiesa, esprimano i propri voti a favore di colui che più degli altri hanno ritenuto, nel Signore, idoneo a governare fruttuosamente e vantaggiosamente la Chiesa universale. Vogliamo inoltre che questa Nostra Lettera, unitamente ad altre Costituzioni dello stesso argomento, sia letta alla presenza di tutti nella prima abituale Congregazione che si tiene dopo la morte del Pontefice; di nuovo dopo l’ingresso in Conclave e parimenti, se qualcuno sarà eletto all’onore della porpora, dopo il giuramento di custodire scrupolosamente le norme che sono decretate nella presente Costituzione. Ciò, nonostante possa essere contrario chicchessia, ancorché investito di speciale o specialissima dignità. A nessuno, dunque, sia lecito violare o con temerario ardimento contraddire questa pagina del Nostro divieto, ordine, dichiarazione, vincolo, volontà, ammonizione, esortazione, comando. Se poi qualcuno volesse contrastare ciò, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio Onnipotente e dei suoi Santi Apostoli Pietro e Paolo. Dato a Roma, presso san Pietro, il 20 gennaio dell’anno dell’Incarnazione del Signore 1904, anno primo del Nostro Pontificato” (29). Dopo aver letto un simile documento, come si può anche solo lontanamente ipotizzare che Francesco Giuseppe ed il cardinal Puzyna abbiano agito nell’interesse della Chiesa? E come si può offendere Mons. Jouin, al punto di attribuirgli una complicità con un’aperta violazione dei diritti e della libertà della Chiesa? Obiezione dell’accusa. Come spiegare allora l’intervento del cardinal Puzyna, ed il Veto d’Esclusiva dell’Austria contro il Cardinal Rampolla? Un simile grave intervento non si giustifica forse solamente nel caso di una rivelazione così importante come quella dell’affiliazione del Rampolla alla massoneria? Risposta della difesa. Abbiamo già visto – citando le parole di San Pio X – come il Veto d’esclusiva fosse un abuso, e non il frutto di un trattato (mai esistito) tra la Santa Sede e l’Austria. Un abuso corrente, però, e tutt’altro che eccezionale, dovuto sempre a motivi politici. Vediamo alcuni esempi nella storia (30). Il Cardinale Gianpietro Carafa ricevette ben tre volte l’esclusiva da Carlo V, imperatore, ma alla terza non se ne tenne conto e fu eletto col nome di Paolo IV (1555). Il cardinale Aldobrandini per tre volte ricevette l’esclusiva dalla Spagna, e al quarto conclave divenne Papa Clemente VIII (1592). Il Cardinale Pamphili ebbe l’esclusiva dal Re di Francia Luigi XIV, e tuttavia divenne Papa Innocenzo X (1644). Il Cardinal Chigi aveva avuto l’esclusiva dalla Francia nel conclave del 1665 (altri due cardinali in quel conclave furono esclusi, uno dalla Spagna e uno dalla Francia), e fu eletto come Papa Alessandro VII. In altri casi l’esclusiva impedì effettivamente l’elezione di un cardinale: il cardinal Paolucci fu escluso dalla Francia, e venne eletto Innocenzo XIII; il Cardinal Cavalchini fu escluso dalla Francia, e venne eletto Clemente XIII; il Cardinal Bellisomi fu escluso dall’Austria, fu eletto Pio VII; il Cardinal Severoli fu escluso dall’Austria, e fu eletto Leone XII; il Cardinal Giustiniani fu escluso dalla Spagna, e fu eletto Gregorio XVI; il cardinal Gaysruck non fece a tempo a giungere in conclave per portare il veto dell’Austria al cardinal Mastai, che sarà Pio IX… Come si vede il veto d’esclusiva era sì un abuso, ma purtroppo ricorrente quasi in ogni conclave, e non certo perché l’escluso fosse in odore di massoneria: il caso del cardinal Rampolla non sembra essere diverso da quello di tanti altri illustri esclusi prima di lui per motivi prettamente politici. Il motivo dell’esclusione del Rampolla, infatti, è chiaramente da ricercarsi nell’indirizzo politico che egli, in quanto Segretario di Stato di Leone XIII, diede alla diplomazia vaticana. L’attitudine intransigente di Leone XIII e del card. Rampolla sulla questione romana (intransigenza aumentata proprio con l’avvento di Rampolla alla Segreteria di Stato nel 1887 e il suo dissidio con lo statista – massone – Crispi) opponeva la Santa Sede al governo italiano, che aveva usurpato Roma e lo Stato della Chiesa. La Triplice Alleanza stretta nel 1882 tra Germania, Italia e Austria-Ungheria, isolava pertanto il Vaticano, che necessariamente tendeva ad appoggiare la duplice alleanza tra Francia e Russia. Da qui, tra l’altro, il tentativo (fallito) di un accomodamento col governo francese (il famoso Ralliement alla Repubblica del 1890) e i rapporti difficili con l’Austria nelle zone d’influenza russa come la Polonia (a quei tempi spartita tra Russia, Austria e Germania) e i Balcani (31). Emile Poulat vede la causa del Veto nelle complesse questioni polacche (e polacco era, difatti, il card. Puzyna): “è oggi ammesso che, durante il conclave in cui fu eletto Pio X, il veto apposto a Rampolla dall’imperatore d’Austria veniva dai vescovi polacchi (cf Mons. Walerian Meysztowicz, che gliene fa attestato d’onore, La Pologne dans la chrétienté, Paris, Nouvelles Editions Latines, 1966, pp. 136-139)…”; il nazionalismo misticheggiante dei polacchi non sopportava la politica della Santa Sede verso la Russia e si appoggiava, contro l’Impero zarista, sull’Austria (32). Da alcuni fu affermato che in realtà, con il Veto, l’Austria intendeva rendere un servizio alla Germania (così pensava il card. Mathieu) o piuttosto all’Italia, che temeva la politica intransigente del vecchio Segretario di Stato (33); ma Benedetto XV, che di Rampolla era come un figlio spirituale, ebbe a dire a Filippo Crispolti che il veto era invece “tutta farina austriaca”: “esplicitamente mi disse [l’Austria] aver fatto colpa al cardinale [Rampolla] d’aver eccitato troppo lo spirito slavo (…). Altra colpa gli fece di non aver richiamato subito il nunzio Agliardi dopo parole che questi avrebbe detto a Budapest (…). Ma fin da quando l’ambasciatore Revertera presso la Santa Sede, per riavvicinare la società nera [papalina] e la bianca [filo-italiana] fece trovare di sorpresa, a pranzo, colla mancanza di tatto in lui proverbiale, il Cardinal Rampolla e l’ambasciatore inglese presso il Quirinale (34), del che il Cardinale giustamente si dolse, il Revertera alimentò in Austria uno spirito di ripicca contro di lui…” (35). I documenti diplomatici francesi confermano le parole di Benedetto XV a Crispolti, a proposito dell’appoggio dato dal Cardinal Rampolla alle aspirazioni indipendentiste degli slavi cattolici (36), croati e sloveni. Anche per Adrien Loubier (Bonnet de Viller), che pure crede fermamente al massonismo di Rampolla (p. 93), la questione slava è la vera causa del veto austriaco contro di lui (37). Insomma, se i motivi del Veto contro Rampolla possono essere stati diversi (e convergenti), essi sembrano tutti d’ordine politico; una presunta affiliazione massonica del Cardinale come motivo del Veto è invece da escludere, dato quanto scritto precedentemente. Ulteriore argomento della difesa. Un ultimo argomento a conferma: San Pio X lasciò al cardinal Rampolla la presidenza della Pontificia Commissione Biblica (il cardinale si dimise dall’incarico nel 1908) dopo di che, nel 1908 appunto, fu nominato Segretario del Sant’Uffizio, segretario della S.C. per i Vescovi, nonché ad altri incarichi di Curia (nel 1910); è impossibile pensare che San Pio X abbia potuto nominare a tali uffici della Curia romana un prelato conosciuto come massone.
Secondo e terzo argomento: le testimonianze di un prete e di un Vescovo francesi, raccolte da Félix Lacointa
L’accusa. Presentiamo innanzi tutto il teste d’accusa. Si tratta di Felix Lacointa. Nato a Tolosa nel 1870, Lacointa è stato un valoroso giornalista cattolico integrale (38), amico di quel sacerdote Emmanuel Barbier, direttore de La critique du Libéralisme, il quale ricevette da San Pio X encomi ed incoraggiamenti ben meritati. Dal 1902 al 1927, Lacointa diresse Le bloc catholique,
che nel 1927 prese (dovette prendere, vedremo perché) il nome di Le bloc antirévolutionnaire. È proprio questo periodico che, nel 1929, pubblicò le notizie che costituiscono il secondo e terzo argomento d’accusa contro il cardinal Rampolla. Nel numero di febbraio Lacointa riferisce di un incontro che ebbe col Vescovo di Montauban, Mons. Marty. In quest’occasione, il prelato francese gli disse: “in occasione della visita ad limina che fece a Roma, qualche tempo dopo la morte del’ex Segretario di Stato di Leone XIII, fu chiamato da un cardinale – poiché è ancora vivo non ne faremo il nome per evitargli delle noie – che gli raccontò con numerosi dettagli che alla morte del cardinal Rampolla si scoprì tra le sue carte la prova formale del suo tradimento. Questi documenti schiaccianti furono portati a Pio X: il santo Pontefice ne fu terrorizzato ma, per preservare dal disonore la memoria del cardinale fellone e per evitare uno scandalo, disse, profondamente turbato: ‘Disgraziato! Bruciate!…’ E le carte furono gettate al fuoco in sua presenza” (39). Nel numero di giugno-luglio della stessa rivista, Lacointa pubblica una nuova testimonianza, questa volta di un sacerdote francese del quale non venne pubblicato il nome. Detto sacerdote scrisse a Lacointa per raccontare di una visita che egli fece nel 1907 all’abbazia di Einsiedeln, assieme ad altri 30 sacerdoti francesi. Da due mesi il cardinale villeggiava a Einsiedeln, ed i sacerdoti chiesero di essere ricevuti. “Ci parlò dell’eroismo sublime dei sacerdoti francesi vittime della Separazione [tra Stato e Chiesa] sembrando dirci che se non fosse stato allontanato dalla Cattedra di Pietro non saremmo caduti in questa terribile situazione dovuta a Pio X. Colpito dalla sua aria da gran signore volli scrivere un libretto che raccontasse tutti i dettagli di questa visita. Chiesi ad un libraio cattolico se avessi potuto ottenere una breve prefazione dall’Eminentissimo per il mio opuscolo. Quale non fu il mio stupore nel sentirmi rispondere a bruciapelo: ‘Inutile! Non ne vale la pena: ogni quindici giorni va alla loggia di Zurigo!’ Considerai la battuta come un atto di rancore del libraio e abbandonai il mio progetto di un opuscolo. Questa parola m’è tornata in mente dopo le voci che corrono su vari organi di stampa a proposito del cardinale, e ve la riferisco per quel che vale. F.A., sacerdote” (40). La difesa. Le due testimonianze sono, a prima vista, impressionanti. Sono anche decisive? Vedremo in seguito cosa pensare dell’autorità in materia di Felix Lacointa, che, in fondo, è la sola fonte diretta di questi due racconti (non sappiamo se, ad esempio, Mons. Marty abbia mai pubblicamente confermato quanto Lacointa gli attribuisce). Si tratta però, appunto, non di testimonianze dirette, ma de relato: vengono riferite cose dette da altri, e questo molti anni dopo i fatti (gli articoli sono del 1929, i fatti risalirebbero al 1907 e a dopo il 1913, data della morte di Rampolla). La testimonianza del sacerdote anonimo non ha certo gran valore, giacché non sappiamo nulla sul misterioso libraio in questione. Più serio il racconto “vaticano” che risalirebbe ad un cardinale [anonimo per Lacointa, Merry del Val per Franquerie, il quale Merry del Val fu consacrato vescovo proprio da Rampolla] tramite la testimonianza di un Vescovo. Vediamo però, dalle parole stesse di un Papa, come possano facilmente essere deformate delle confidenze fatte in tutti gli ambienti, non esclusi quelli vaticani. Durante la prima guerra mondiale, Benedetto XV accettò di farsi intervistare da un giornalista francese, tal Latapie, del quotidiano La Liberté. Dall’intervista (che pur era stata effettivamente concessa) risultavano delle dichiarazioni del Papa che, specie in un clima di guerra, parvero gravissime, in quanto favorevoli alle potenze degli Imperi centrali (Austria e Germania). Lo scandalo in Francia e altrove fu enorme. Benedetto XV scrisse allora, l’11 luglio 1915, al card. Amette, arcivescovo di Parigi (che il 25 giugno aveva riferito al Sommo Pontefice della “dolorosa emozione” causata in Francia dall’intervista a La Liberté): “Voi sapete che rifiutiamo ogni autorità al signor Latapie il quale non ha riprodotto, nel suo articolo, né il Nostro pensiero né la Nostra parola, e che ha voluto pubblicarlo senza alcuna revisione o autorizzazione da Nostra parte, malgrado la promessa fattane. Del resto, non ha potuto sfuggire alla vostra perspicacia che il Nostro autentico pensiero deve essere cercato negli atti pubblici e ufficiali della Sede apostolica, e non da racconti o rapporti privati di incontri avuti con Noi; la passione politica o i pregiudizi individuali fanno spesso interpretare le parole ascoltate che, in seguito, passando di bocca in bocca, prendono proporzioni fantastiche” (41). Il Marchese Crispolti, intimo amico di Benedetto XV e che fu ricevuto in udienza subito dopo il giornalista Latapie, narra come le parole del Papa poterono, anche in buona fede, essere deformate, sottolineando alcune confidenze fattegli, ed omettendo delle precisazioni che cambiavano il senso di quanto detto (42). Le confidenze che dal Vaticano raggiunsero il giornalista Lacointa non direttamente ma indirettamente, non possono essere state deformate come lo furono le parole che Benedetto XV riferì direttamente al giornalista Latapie? Una conferma di quanto detto viene dal documento riservato scritto da Mons. Umberto Benigni, fondatore del Sodalitium Pianum, l’associazione anti-modernista tante volte benedetta da San Pio X, all’approssimarsi del Conclave dal quale, nel 1914, uscirà eletto proprio Benedetto XV. Mons. Benigni stese la lista di tutti i cardinali che avrebbero potuto prendere parte al conclave (la salute di San Pio X declinava quando la lista fu redatta il 27 agosto 1913) e per ciascuno diede un giudizio senza peli sulla lingua, in perfetto stile Benigni. Giunto al cardinal Rampolla, che evidentemente non godeva della simpatia del nostro Monsignore, scrisse: “uomo superiore, spirito pieno di illusioni, sognatore, il Jules Verne della politica ecclesiastica, il Crispi del governo papale, megalomane” (43). Non si tratta certo di complimenti! Eppure Mons. Benigni considerava probabile l’elezione di Rampolla, il quale invece morì nel dicembre seguente, prima di San Pio X. Non una parola, però, di un’affiliazione massonica del cardinale… Eppure Mons. Benigni, esperto nemico della massoneria, aveva lavorato a lungo in Segreteria di Stato, conosceva i segreti della Curia, aveva a sua disposizione, come si sa, una struttura di… “spionaggio” dei nemici interni (modernisti, democristiani) ed esterni (giudei, massoni, comunisti) della Chiesa. Se veramente ci fossero stati non dico certezze ma anche solo voci di un tradimento, non ne sarebbe stato forse al corrente? Tanto più che, nella medesima lista, non teme di porre al fianco del nome del Cardinal Agliardi i fatidici “tre puntini” seguiti da un punto interrogativo, indice di un sospetto di affiliazione massonica per quel cardinale che effettivamente fu un importante e autorevole protettore dei modernisti (44). Mons. Benigni sospettò di Agliardi, dunque, non di Rampolla; né, dopo la morte di Rampolla, fece mai cenno all’episodio raccontato dal Lacointa o a fatti simili… E certamente Mons. Benigni non era tipo da nascondere o bruciare documenti che avrebbero dimostrato l’affiliazione massonica di un prelato o anche di un cardinale (tanto più se il cardinale in questione era venerato come un maestro da coloro che decretarono la fine del suo Sodalitium pianum, ovvero Benedetto XV e il cardinal Gasparri)!
che nel 1927 prese (dovette prendere, vedremo perché) il nome di Le bloc antirévolutionnaire. È proprio questo periodico che, nel 1929, pubblicò le notizie che costituiscono il secondo e terzo argomento d’accusa contro il cardinal Rampolla. Nel numero di febbraio Lacointa riferisce di un incontro che ebbe col Vescovo di Montauban, Mons. Marty. In quest’occasione, il prelato francese gli disse: “in occasione della visita ad limina che fece a Roma, qualche tempo dopo la morte del’ex Segretario di Stato di Leone XIII, fu chiamato da un cardinale – poiché è ancora vivo non ne faremo il nome per evitargli delle noie – che gli raccontò con numerosi dettagli che alla morte del cardinal Rampolla si scoprì tra le sue carte la prova formale del suo tradimento. Questi documenti schiaccianti furono portati a Pio X: il santo Pontefice ne fu terrorizzato ma, per preservare dal disonore la memoria del cardinale fellone e per evitare uno scandalo, disse, profondamente turbato: ‘Disgraziato! Bruciate!…’ E le carte furono gettate al fuoco in sua presenza” (39). Nel numero di giugno-luglio della stessa rivista, Lacointa pubblica una nuova testimonianza, questa volta di un sacerdote francese del quale non venne pubblicato il nome. Detto sacerdote scrisse a Lacointa per raccontare di una visita che egli fece nel 1907 all’abbazia di Einsiedeln, assieme ad altri 30 sacerdoti francesi. Da due mesi il cardinale villeggiava a Einsiedeln, ed i sacerdoti chiesero di essere ricevuti. “Ci parlò dell’eroismo sublime dei sacerdoti francesi vittime della Separazione [tra Stato e Chiesa] sembrando dirci che se non fosse stato allontanato dalla Cattedra di Pietro non saremmo caduti in questa terribile situazione dovuta a Pio X. Colpito dalla sua aria da gran signore volli scrivere un libretto che raccontasse tutti i dettagli di questa visita. Chiesi ad un libraio cattolico se avessi potuto ottenere una breve prefazione dall’Eminentissimo per il mio opuscolo. Quale non fu il mio stupore nel sentirmi rispondere a bruciapelo: ‘Inutile! Non ne vale la pena: ogni quindici giorni va alla loggia di Zurigo!’ Considerai la battuta come un atto di rancore del libraio e abbandonai il mio progetto di un opuscolo. Questa parola m’è tornata in mente dopo le voci che corrono su vari organi di stampa a proposito del cardinale, e ve la riferisco per quel che vale. F.A., sacerdote” (40). La difesa. Le due testimonianze sono, a prima vista, impressionanti. Sono anche decisive? Vedremo in seguito cosa pensare dell’autorità in materia di Felix Lacointa, che, in fondo, è la sola fonte diretta di questi due racconti (non sappiamo se, ad esempio, Mons. Marty abbia mai pubblicamente confermato quanto Lacointa gli attribuisce). Si tratta però, appunto, non di testimonianze dirette, ma de relato: vengono riferite cose dette da altri, e questo molti anni dopo i fatti (gli articoli sono del 1929, i fatti risalirebbero al 1907 e a dopo il 1913, data della morte di Rampolla). La testimonianza del sacerdote anonimo non ha certo gran valore, giacché non sappiamo nulla sul misterioso libraio in questione. Più serio il racconto “vaticano” che risalirebbe ad un cardinale [anonimo per Lacointa, Merry del Val per Franquerie, il quale Merry del Val fu consacrato vescovo proprio da Rampolla] tramite la testimonianza di un Vescovo. Vediamo però, dalle parole stesse di un Papa, come possano facilmente essere deformate delle confidenze fatte in tutti gli ambienti, non esclusi quelli vaticani. Durante la prima guerra mondiale, Benedetto XV accettò di farsi intervistare da un giornalista francese, tal Latapie, del quotidiano La Liberté. Dall’intervista (che pur era stata effettivamente concessa) risultavano delle dichiarazioni del Papa che, specie in un clima di guerra, parvero gravissime, in quanto favorevoli alle potenze degli Imperi centrali (Austria e Germania). Lo scandalo in Francia e altrove fu enorme. Benedetto XV scrisse allora, l’11 luglio 1915, al card. Amette, arcivescovo di Parigi (che il 25 giugno aveva riferito al Sommo Pontefice della “dolorosa emozione” causata in Francia dall’intervista a La Liberté): “Voi sapete che rifiutiamo ogni autorità al signor Latapie il quale non ha riprodotto, nel suo articolo, né il Nostro pensiero né la Nostra parola, e che ha voluto pubblicarlo senza alcuna revisione o autorizzazione da Nostra parte, malgrado la promessa fattane. Del resto, non ha potuto sfuggire alla vostra perspicacia che il Nostro autentico pensiero deve essere cercato negli atti pubblici e ufficiali della Sede apostolica, e non da racconti o rapporti privati di incontri avuti con Noi; la passione politica o i pregiudizi individuali fanno spesso interpretare le parole ascoltate che, in seguito, passando di bocca in bocca, prendono proporzioni fantastiche” (41). Il Marchese Crispolti, intimo amico di Benedetto XV e che fu ricevuto in udienza subito dopo il giornalista Latapie, narra come le parole del Papa poterono, anche in buona fede, essere deformate, sottolineando alcune confidenze fattegli, ed omettendo delle precisazioni che cambiavano il senso di quanto detto (42). Le confidenze che dal Vaticano raggiunsero il giornalista Lacointa non direttamente ma indirettamente, non possono essere state deformate come lo furono le parole che Benedetto XV riferì direttamente al giornalista Latapie? Una conferma di quanto detto viene dal documento riservato scritto da Mons. Umberto Benigni, fondatore del Sodalitium Pianum, l’associazione anti-modernista tante volte benedetta da San Pio X, all’approssimarsi del Conclave dal quale, nel 1914, uscirà eletto proprio Benedetto XV. Mons. Benigni stese la lista di tutti i cardinali che avrebbero potuto prendere parte al conclave (la salute di San Pio X declinava quando la lista fu redatta il 27 agosto 1913) e per ciascuno diede un giudizio senza peli sulla lingua, in perfetto stile Benigni. Giunto al cardinal Rampolla, che evidentemente non godeva della simpatia del nostro Monsignore, scrisse: “uomo superiore, spirito pieno di illusioni, sognatore, il Jules Verne della politica ecclesiastica, il Crispi del governo papale, megalomane” (43). Non si tratta certo di complimenti! Eppure Mons. Benigni considerava probabile l’elezione di Rampolla, il quale invece morì nel dicembre seguente, prima di San Pio X. Non una parola, però, di un’affiliazione massonica del cardinale… Eppure Mons. Benigni, esperto nemico della massoneria, aveva lavorato a lungo in Segreteria di Stato, conosceva i segreti della Curia, aveva a sua disposizione, come si sa, una struttura di… “spionaggio” dei nemici interni (modernisti, democristiani) ed esterni (giudei, massoni, comunisti) della Chiesa. Se veramente ci fossero stati non dico certezze ma anche solo voci di un tradimento, non ne sarebbe stato forse al corrente? Tanto più che, nella medesima lista, non teme di porre al fianco del nome del Cardinal Agliardi i fatidici “tre puntini” seguiti da un punto interrogativo, indice di un sospetto di affiliazione massonica per quel cardinale che effettivamente fu un importante e autorevole protettore dei modernisti (44). Mons. Benigni sospettò di Agliardi, dunque, non di Rampolla; né, dopo la morte di Rampolla, fece mai cenno all’episodio raccontato dal Lacointa o a fatti simili… E certamente Mons. Benigni non era tipo da nascondere o bruciare documenti che avrebbero dimostrato l’affiliazione massonica di un prelato o anche di un cardinale (tanto più se il cardinale in questione era venerato come un maestro da coloro che decretarono la fine del suo Sodalitium pianum, ovvero Benedetto XV e il cardinal Gasparri)!
Quarto argomento: la rivista The Equinox dimostrerebbe come Rampolla facesse parte dell’Ordo Templi Orientis (O.T.O.) del mago Aleister Crowley (la “Gran Bestia 666”)
L’accusa. L’accusa è stata pubblicata inizialmente da due riviste antimassoniche: La Libre parole (1 luglio 1929) (45) e Le bloc antirévolutionnaire (giugno-luglio 1929) (non so esattamente quale delle due riviste ha avuto la precedenza sull’altra, anche se, come abbiamo visto, Le Bloc aveva già iniziato la sua campagna con un primo articolo nel febbraio 1929). Entrambe le pubblicazioni fanno riferimento ad una rivista, The Equinox, organo ufficiale dell’Ordo Templi Orientis, allora pubblicata a Detroit, negli Stati Uniti (46). Il numero di marzo 1919 (pervenuto nelle mani dei redattori delle due riviste antimassoniche francesi solo dieci anni dopo, quindi, nel 1929), pubblica alla p. 199 “una lista dei principali affiliati che l’hanno illustrata più recentemente”. Questa lista, che “fa parte del Manifesto ufficiale dell’O.T.O. firmato da L. Bathurst, IX, gran segretario generale” include 14 nomi, uno dei quali è quello del “Cardinal Rampolla”. “La nostra accusa – conclude Félix Lacointa, direttore del Bloc antirévolutionnaire – è quindi giustificata: il Segretario di Stato di Leone XIII ha fatto parte di una delle più alte Logge conosciute”. “Nel contesto della testimonianza del grande Pio X e di quella dell’umile pellegrino di Einsiedeln, il nome scoperto nell’annuario di The Equinox costituisce una prova decisiva: ho il diritto di affermare che il Segretario di Stato di Leone XIII apparteneva effettivamente a una delle logge della Setta” (47). In un articolo successivo di Le Bloc antirévolutionnaire (anno 1931) intitolato Le F.˙. Rampolla (suite) Félix Lacointa risponde alle prime obiezioni sollevate dai suoi articoli contro il cardinal Rampolla, parla del ruolo nell’O.T.O. di Aleister Crowley “famigerato capo dei massoni adoratori di Satana” (p. 38) e precisa che la lista di nomi che comprendeva quello del cardinal Rampolla tra gli affiliati dell’O.T.O. più illustri, era una lista “dei nomi degli affiliati morti negli ultimi cinque anni che separano un volume da quello successivo” (p. 40). I riferimenti precisi e dettagliati al volume dell’O.T.O. dati dalle due riviste antimassoniche, il carattere riservato se non segreto della rivista The Equinox, la categorica affermazione del Manifesto dell’Ordine del 1917 pubblicato da The Equinox nel 1919, dimostrano che Rampolla era non solo massone, ma satanista. La difesa. Anche se – a mia conoscenza – gli attuali sostenitori dell’affiliazione massonica di Rampolla non sono in possesso del volume di The Equinox (e sarebbe comunque interessante consultarlo; nel fondo Giantulli-Vannoni di Verrua Savoia ho per ora reperito solo il volume I, n. VII, anno VIII, del marzo 1912, allora stampato a Londra) non si possono avere dubbi sul fatto che i redattori di La libre parole e Le Bloc antirévolutionnaire l’abbiano consultato e copiato, come essi stessi affermano; d’altra parte la rivista The Equinox, come rivista dell’O.T.O. (e dell’A.A.) è certamente esistita. Anche la R.I.S.S. (n. 5, 1 maggio 1929, partie occultiste, pp. 137-145) pubblicò integralmente il Manifesto dell’O.T.O. e la lista degli “adepti”. Per di più, oggi chiunque può leggere il famoso “Manifesto” su internet, ad esempio a quest’indirizzo: http://lib.oto-usa/libri/ liber0052.html; in questo testo, che è considerato il “Liber LII” delle opere di Crowley, viene data la famosa lista di celebri appartenenti all’O.T.O., nella quale compare effettivamente il nome del Cardinal Rampolla. Detto ciò, Félix Lacointa, e gli altri che con lui e dopo di lui hanno dato pieno credito alle affermazioni di The Equinox, avrebbero dovuto essere un poco più prudenti, e meglio esercitare il loro spirito critico. Questo non solo perché non sarebbe il primo caso nel quale una rivista massonica, anche se ad uso solo interno [per la verità The Equinox era in pubblica vendita] attribuisce a delle personalità cattoliche un’affiliazione massonica inesistente (abbiamo visto i casi dei Papi Benedetto XIV e Pio IX). Questo appunto è già stato sollevato dallo stesso Henri Coston: “Cosa c’è di vero in questa storia? È indiscutibile che il documento citato esisteva. Félix Lacointa e i redattori della Libre parole l’avevano avuto per le mani. Si trattava di un piccolo quaderno [per Lacointa un volume di almeno 199 pagine… ed il numero in nostro possesso ne ha più di 400!] stampato, con la firma del Gran Segretario Generale Bathurst. Era semplicemente una bufala? (…) [Crowley] aveva incontrato – come si diceva – Rampolla? Avrebbe quindi, in quest’occasione, sedotto il futuro cardinale fino al punto di fargli dimenticare i suoi doveri verso la Chiesa? Oppure l’aveva iscritto d’ufficio nella lista dei fondatori dell’O.T.O. senza avvisarlo? O ancora, semplice mitomane, aveva posto nel documento il nome di un celebre dignitario della Chiesa per convincere altre personalità religiose o laiche a far parte della sua società? È impossibile dirlo” (48). Ancora una volta Henri Coston, che pure si fa eco di una notizia diffusa a suo tempo da un quotidiano di cui diventerà il direttore (La Libre parole) è lungi dall’avere le certezze del buon Lacointa. Ma questo dubbio un po’ generico aumenta ancora se si esamina da vicino il testo dell’O.T.O. così come fu pubblicato da Lacointa. Esso, infatti, presenta insuperabili incoerenze che rendono inattendibile la fonte. Lacointa, infatti, scrive che quella lista di 14 nomi, inclusa nel Manifesto dell’O.T.O. del 1917 pubblicato da The Equinox nel 1919, contiene i nomi di illustri personalità appartenenti all’O.T.O. e morte negli ultimi cinque anni. Questi dati (appartenenza all’O.T.O.; morte negli ultimi cinque anni) sono assolutamente impossibili per un buon numero delle 14 personalità citate. La fonte, ovvero The Equinox,è quindi, salvo meliore judicio, del tutto inattendibile. Prima di dimostrarlo, diamo la lista dei nomi così come la riporta Lacointa, citato da Sous la bannière (p. 7):
Tutti questi personaggi sarebbero stati membri dell’O.T.O. e morti, secondo Lacointa, nei cinque anni precedenti il 1917 o 1919 (quindi tra il 1912/14 e il 1917/19). Per verificare l’esattezza di questi dati sarà sufficiente allora controllare le date di morte delle 14 personalità in questione, nonché la data di fondazione dell’O.T.O. Iniziamo da quest’ultimo punto. È evidente che nessuno può essere stato membro dell’O.T.O. se è morto prima della fondazione di questa setta occultista. Ora, è ammesso dalle fonti stesse dell’O.T.O. (49), che l’Ordine fu fondato, sulla carta, dall’industriale austriaco Carl Kellner (18501905) nel 1896, ma che in realtà l’Ordine massonico-templare fu presentato come tale solo nel 1904 ed iniziò a funzionare effettivamente solo tra il dicembre 1905 e il gennaio del 1906 per opera del massone e teosofo tedesco Theodor Reuss (1855-1923). Edward ‘Aleister’ Crowley (1875-1947), la “Gran Bestia 666” entrò a farne parte solo verso il 1911-1912, e pur non essendone stato il fondatore ne divenne ben presto il principale esponente. In pratica, i membri dell’Ordine si consacravano alla magia sessuale. All’O.T.O. corrispondeva anche una struttura “religiosa” fondata dalle stesse persone, la “Chiesa gnostica cattolica”, nel cui seno era ed è celebrata una “messa” oscena nella quale si trova un “Canone” con un elenco di personaggi particolarmente “venerabili”, elenco che ha una stretta attinenza alla lista dei 14 nomi riportata da Lacointa; ci ritorneremo. Nella lista delle opere di Crowley, la “messa gnostica” è designata come il “Liber XV”, e si trova anch’essa su internet (in barba al segreto iniziatico!) all’indirizzo: www.hermetic.com /sabazius/gmnotes.html Affinché i 14 personaggi della lista fossero tutti effettivamente membri dell’O.T.O., è necessario che fossero ancora viventi nel 1904, o almeno nel 1895. Ora, questo è assolutamente impossibile per Goethe, che era in effetti massone, ma che morì nel 1832; per Nietzsche, feroce anticristiano, ma che impazzì nel 1889 (e morì nel 1900); per Sir Richard Payne Knight, che morì nel 1824; per Sir Richard F. Burton, celebre esploratore, morto nel 1890; per Hargrave Jennigs, morto anch’egli nel 1890, occultista; per Richard Wagner, il celebre musicista, deceduto nel 1883; per il mago occultista Eliphas Levi, pseudonimo dell’ex abbé Alphonse-Louis Constant, deceduto nel 1875; per il folle Re Luigi II di Baviera, il protettore di Wagner, che si suicidò nel 1886. Erano invece membri dell’O.T.O., tra i nomi della lista, Carl Kellner († 1905), che come abbiamo visto ne fu l’ideatore o il pioniere; Franz Hartmann (1838-1912); Papus (il dott. Gérard Encausse) (1865-1916). Forlong Dux (ovvero James George Roche Forlong), essendo morto nel 1904, avrebbe potuto, in teoria, far parte dell’O.T.O., come Rampolla (deceduto nel 1913); di von Fischer i membri stessi dell’O.T.O. attuale non conoscono con certezza l’identità. Certo, il fatto che Rampolla sia inserito in questa lista di membri dell’O.T.O. non può provare nulla, giacché almeno 8 membri della lista non potevano farne parte! Ma qual è allora, se c’è, il senso di questa lista? Non certo quello di affiliati dell’O.T.O. (abbiamo visto che ciò è impossibile per molti di essi) e neppure di affiliati morti nei cinque anni precedenti la pubblicazione della lista (tra i veri membri Goethe Sir Richard Payne Knigt Sir Richard F. Burton Forlong Dux Il re Luigi di Baviera Richard Wagner L. Von Fischer Fréderic Nietzsche Hargrave Jennings Karl Kellner Eliphas Levi Franz Hartmann Cardinal Rampolla Papus (Dr. Encausse) dell’O.T.O. dovremmo depennare Kellner morto nel 1905, e Forlong, deceduto nel 1904). Il testo del Manifesto dell’O.T.O., che Lacointa (e quindi Sous la bannière) ha riprodotto solo parzialmente, ci dà un inizio di spiegazione. Dopo aver preteso che l’O.T.O. include ben 18 società iniziatiche (tra le quali i Cavalieri di Malta e quelli del Santo Sepolcro) (punto n. 1 del Manifesto), Crowley presenta (punto n. 2 del Manifesto) una doppia lista di membri, a suo dire, dell’O.T.O.: una prima, di quanti – nel passato più remoto – costituirono le assemblee dell’O.T.O. (“In more remote times, the constituent originating assemblies of the O.T.O. included such men as: e segue una lista di 54 nomi) e poi un’altra, quella che già conosciamo e composta di 14 nomi, incluso Rampolla, di coloro che hanno illustrato “recently” l’associazione esoterica. Abbiamo già visto come otto di questi personaggi non possano essere considerati membri dell’O.T.O., per una semplice ragione anagrafica. Il problema è però risolto se, massonicamente, si considera che l’O.T.O. non è nato nel 1906, ma nella notte dei tempi. È quello che vuol far credere Crowley, giacché i “fondatori dell’OTO” (i 54 della prima lista), sono i seguenti personaggi: Fohi, Laotze, Siddartha [il Budda], Krishna, Tahuti, Ankh-f-khonsu, Herakles [Ercole], Orpheus, Vergilius [il poeta Virgilio], Catullo, Marziale, Apollonio di Tiana [un pitagorico], Simon Mago, Mani, Basilide, Valentino, Bardesanes, King Wu, Christian Rosenkreutz [il mitico ‘antenato’ dei Rosacroce], Ulrich von Hutten, Paracelso, Michael Maier, Jakob Boehme, Francis Bacon, Andrea [il fondatore dei Rosacroce], Robertus de Fluctibus [Robert Fludd], Chau, Saturno, Dioniso, Amfortas, Ippolito [si tratta di Sant’Ippolito!], Merlino [il Mago della saga della tavola rotonda], Artù [Re Artù!], Titurel, Percivale [Parsifal], Mosheh [Mosè], Odisseo [Ulisse], Mohammed [Maometto], Hermes, Pan, Dante [Alighieri], Carolus Magnus [Carlomagno], William di Schyren, Frederick of Hohenstaufen [il Barbarossa], Roger Bacon, Jacobus Burgundus Molensis [Jacques de Molay, l’ultimo gran maestro dei Templari], Ko Hsuen, Osiride, Melchizedek, Khem, Menthu [dei egiziani!], Johannes Dee, Sir Edward Kelly, Thos, Vaughan, Elias Ashmole, Comte de Chazal, Sigismund Bacstrom, Molinos [il famoso eretico autore del quietismo]. È evidente che tutti questi personaggi del passato non hanno mai fatto parte dell’O.T.O., tanto più che molti di essi, come le divinità pagane romane, greche, egiziane o orientali, non sono nemmeno mai esistite. Si potrebbe buttarla sul ridere e dire che Rampolla è massone come Mosé e Carlomagno, o il Mago Merlino! Si capisce perché Lacointa nel suo articolo del 1929, si guarda bene dal riprodurre questa prima lista, che getta il ridicolo anche sulla seconda, che invece pubblica a causa del nome di Rampolla. Nell’articolo successivo del Bloc antirévolutionnaire (quello del 1931) nel quale Lacointa risponde alle prime obiezioni, non può invece evitare di parlare almeno un po’ di questa prima lista stravagante di personaggi, mitici o reali, che vanno dalla preistoria fino al XVII secolo. Lacointa, a suo tempo, replicò così: “bisogna ignorare tutto delle pratiche e delle abitudini massoniche per non sapere che si tratta di nomi di guerra [pseudonimi] (…) sotto i quali si celavano i nomi di certi adepti. ‘Quest’abitudine – mi scrive un eminente e venerabile corrispondente – non fa che dar maggior peso alla rivelazione dei nomi degli affiliati morti negli ultimi cinque anni che separano un volume da quello che gli succede’ È in questa categoria che è comparso il nome del cardinal Rampolla” (p. 40). La risposta di Lacointa (e anche in parte della R.I.S.S., l.c., p. 139, nota 4) non è soddisfacente. Infatti, il vero fondatore dell’O.T.O. figura nella seconda lista (è Kellner); 8 membri su 14 di detta lista sono morti prima della fondazione dell’O.T.O.: se i nomi della prima lista sono pseudonimi, perché non anche quelli della seconda? Infine, il senso di queste due liste ci è spiegato dal Canone della Messa gnostica, opera di Crowley (Liber XV: Ecclesiæ Gnosticaæ Catholicæ Canon Missæ). Si tratta di una lista di 70 nomi – che si trova interamente su internet e in parte in varie pubblicazioni (50) – e che corrisponde quasi esattamente alle due liste del Manifesto del 1919: un dettaglio colpisce subito: il nome del cardinal Rampolla è scomparso. A parte il nome di Rampolla, tutti gli altri 13 nomi della lista pubblicata da Lacointa si ritrovano nel “canone della messa gnostica” (51), assieme però ai tantissimi nomi della prima lista, dalla quale pochi sono stati depennati, e pochi altri aggiunti (le due liste del Manifesto contano 68 nomi; il Canone circa 70). Ora, il canone della “messa gnostica” non presenta questi (circa) 70 personaggi come affiliati dell’O.T.O. (come nel Manifesto) ma come “santi” della Chiesa Gnostica Cattolica. Un esame di questo canone (e quindi anche delle liste del Manifesto) ci fa capire il motivo della inserzione di personaggi così diversi da parte di Crowley… Si tratta di persone (mitiche, o che sono esistite realmente) che hanno influenzato o impressionato lo stesso Crowley: “il celebre viaggiatore inglese Sir Richard Francis Burton, da cui era rimasto affascinato da ragazzo e da cui deriverà vari giudizi storici” (Introvigne), oppure Rabelais, dal quale prese l’idea dell’abbazia di Thelema, Eliphas Levi, del quale Crowley credeva essere la reincarnazione, essendo nato egli nell’anno della morte dell’altro (52). Crowley inserisce così i nomi delle divinità, degli scrittori e dei filosofi pagani, orientali e occidentali, specie se lascivi; dei rappresentanti dell’ideale ghibellino imperiale medioevale (Carlo Magno, Barbarossa, Dante); di quelli (letterari), del ciclo cavalleresco del Graal (Artù, Merlino, Parsifal). Il suo amico Reuss è un cantante dell’opera che ha conosciuto Wagner? Ecco iscritti tra i Santi (e nell’O.T.O.) Wagner stesso, e il suo protettore Luigi di Baviera. Ci sono i Rosacroce, dal mitico Rosenkreutz al vero Andrea, e i tanti alchimisti, rosacroce e massoni inglesi del Seicento. Non mancano gli antichi autentici gnostici (Simon Mago, Basilide, Valentino, Mani, Bardesanes) e pure un Santo (S. Ippolito), nonché un Papa (Alessandro VI), per ovvi motivi. C’è il Gran Maestro dei Templari (l’O.T.O. pretende di essere un Ordine Templare). Ci sono occultisti di ogni genere, ma Crowley è anche poeta ed artista, per cui inserisce ad esempio Paul Gauguin. Addirittura, tra i “Santi” c’è lui stesso per due volte: una come Crowley, e una come To Mega Thêrion (La Grande Bestia): una volta sola non gli bastava. Anzi, in fondo è presente più volte giacché egli credeva d’essere la reincarnazione di Ankh-f-Konsu (uno della lista) prete tebano ai tempi della XXVI dinastia, di Ko-Hsuan, discepolo di Lao-Tze, di Maometto, di Alessandro VI, di Eliphas Levi e di chissà quanti altri (53). Senza dubbio, almeno per un momento, la figura del cardinal Rampolla dovette affascinare Crowley (e questo è un argomento per l’accusa) poiché lo inserì nel Manifesto, per poi depennarlo immediatamente col Canone della “messa”. Non possiamo sapere però, perché lo incluse e perché lo escluse; senza dubbio non possiamo certo fare affidamento ad una lista partorita dalla mente malata di Crowley, lista che definire fantasiosa o mitologica è dir poco! Sarà anche la conclusione alla quale giunse la R.I.S.S., come vedremo tra poco…
L’accusa. L’accusa è stata pubblicata inizialmente da due riviste antimassoniche: La Libre parole (1 luglio 1929) (45) e Le bloc antirévolutionnaire (giugno-luglio 1929) (non so esattamente quale delle due riviste ha avuto la precedenza sull’altra, anche se, come abbiamo visto, Le Bloc aveva già iniziato la sua campagna con un primo articolo nel febbraio 1929). Entrambe le pubblicazioni fanno riferimento ad una rivista, The Equinox, organo ufficiale dell’Ordo Templi Orientis, allora pubblicata a Detroit, negli Stati Uniti (46). Il numero di marzo 1919 (pervenuto nelle mani dei redattori delle due riviste antimassoniche francesi solo dieci anni dopo, quindi, nel 1929), pubblica alla p. 199 “una lista dei principali affiliati che l’hanno illustrata più recentemente”. Questa lista, che “fa parte del Manifesto ufficiale dell’O.T.O. firmato da L. Bathurst, IX, gran segretario generale” include 14 nomi, uno dei quali è quello del “Cardinal Rampolla”. “La nostra accusa – conclude Félix Lacointa, direttore del Bloc antirévolutionnaire – è quindi giustificata: il Segretario di Stato di Leone XIII ha fatto parte di una delle più alte Logge conosciute”. “Nel contesto della testimonianza del grande Pio X e di quella dell’umile pellegrino di Einsiedeln, il nome scoperto nell’annuario di The Equinox costituisce una prova decisiva: ho il diritto di affermare che il Segretario di Stato di Leone XIII apparteneva effettivamente a una delle logge della Setta” (47). In un articolo successivo di Le Bloc antirévolutionnaire (anno 1931) intitolato Le F.˙. Rampolla (suite) Félix Lacointa risponde alle prime obiezioni sollevate dai suoi articoli contro il cardinal Rampolla, parla del ruolo nell’O.T.O. di Aleister Crowley “famigerato capo dei massoni adoratori di Satana” (p. 38) e precisa che la lista di nomi che comprendeva quello del cardinal Rampolla tra gli affiliati dell’O.T.O. più illustri, era una lista “dei nomi degli affiliati morti negli ultimi cinque anni che separano un volume da quello successivo” (p. 40). I riferimenti precisi e dettagliati al volume dell’O.T.O. dati dalle due riviste antimassoniche, il carattere riservato se non segreto della rivista The Equinox, la categorica affermazione del Manifesto dell’Ordine del 1917 pubblicato da The Equinox nel 1919, dimostrano che Rampolla era non solo massone, ma satanista. La difesa. Anche se – a mia conoscenza – gli attuali sostenitori dell’affiliazione massonica di Rampolla non sono in possesso del volume di The Equinox (e sarebbe comunque interessante consultarlo; nel fondo Giantulli-Vannoni di Verrua Savoia ho per ora reperito solo il volume I, n. VII, anno VIII, del marzo 1912, allora stampato a Londra) non si possono avere dubbi sul fatto che i redattori di La libre parole e Le Bloc antirévolutionnaire l’abbiano consultato e copiato, come essi stessi affermano; d’altra parte la rivista The Equinox, come rivista dell’O.T.O. (e dell’A.A.) è certamente esistita. Anche la R.I.S.S. (n. 5, 1 maggio 1929, partie occultiste, pp. 137-145) pubblicò integralmente il Manifesto dell’O.T.O. e la lista degli “adepti”. Per di più, oggi chiunque può leggere il famoso “Manifesto” su internet, ad esempio a quest’indirizzo: http://lib.oto-usa/libri/ liber0052.html; in questo testo, che è considerato il “Liber LII” delle opere di Crowley, viene data la famosa lista di celebri appartenenti all’O.T.O., nella quale compare effettivamente il nome del Cardinal Rampolla. Detto ciò, Félix Lacointa, e gli altri che con lui e dopo di lui hanno dato pieno credito alle affermazioni di The Equinox, avrebbero dovuto essere un poco più prudenti, e meglio esercitare il loro spirito critico. Questo non solo perché non sarebbe il primo caso nel quale una rivista massonica, anche se ad uso solo interno [per la verità The Equinox era in pubblica vendita] attribuisce a delle personalità cattoliche un’affiliazione massonica inesistente (abbiamo visto i casi dei Papi Benedetto XIV e Pio IX). Questo appunto è già stato sollevato dallo stesso Henri Coston: “Cosa c’è di vero in questa storia? È indiscutibile che il documento citato esisteva. Félix Lacointa e i redattori della Libre parole l’avevano avuto per le mani. Si trattava di un piccolo quaderno [per Lacointa un volume di almeno 199 pagine… ed il numero in nostro possesso ne ha più di 400!] stampato, con la firma del Gran Segretario Generale Bathurst. Era semplicemente una bufala? (…) [Crowley] aveva incontrato – come si diceva – Rampolla? Avrebbe quindi, in quest’occasione, sedotto il futuro cardinale fino al punto di fargli dimenticare i suoi doveri verso la Chiesa? Oppure l’aveva iscritto d’ufficio nella lista dei fondatori dell’O.T.O. senza avvisarlo? O ancora, semplice mitomane, aveva posto nel documento il nome di un celebre dignitario della Chiesa per convincere altre personalità religiose o laiche a far parte della sua società? È impossibile dirlo” (48). Ancora una volta Henri Coston, che pure si fa eco di una notizia diffusa a suo tempo da un quotidiano di cui diventerà il direttore (La Libre parole) è lungi dall’avere le certezze del buon Lacointa. Ma questo dubbio un po’ generico aumenta ancora se si esamina da vicino il testo dell’O.T.O. così come fu pubblicato da Lacointa. Esso, infatti, presenta insuperabili incoerenze che rendono inattendibile la fonte. Lacointa, infatti, scrive che quella lista di 14 nomi, inclusa nel Manifesto dell’O.T.O. del 1917 pubblicato da The Equinox nel 1919, contiene i nomi di illustri personalità appartenenti all’O.T.O. e morte negli ultimi cinque anni. Questi dati (appartenenza all’O.T.O.; morte negli ultimi cinque anni) sono assolutamente impossibili per un buon numero delle 14 personalità citate. La fonte, ovvero The Equinox,è quindi, salvo meliore judicio, del tutto inattendibile. Prima di dimostrarlo, diamo la lista dei nomi così come la riporta Lacointa, citato da Sous la bannière (p. 7):
Tutti questi personaggi sarebbero stati membri dell’O.T.O. e morti, secondo Lacointa, nei cinque anni precedenti il 1917 o 1919 (quindi tra il 1912/14 e il 1917/19). Per verificare l’esattezza di questi dati sarà sufficiente allora controllare le date di morte delle 14 personalità in questione, nonché la data di fondazione dell’O.T.O. Iniziamo da quest’ultimo punto. È evidente che nessuno può essere stato membro dell’O.T.O. se è morto prima della fondazione di questa setta occultista. Ora, è ammesso dalle fonti stesse dell’O.T.O. (49), che l’Ordine fu fondato, sulla carta, dall’industriale austriaco Carl Kellner (18501905) nel 1896, ma che in realtà l’Ordine massonico-templare fu presentato come tale solo nel 1904 ed iniziò a funzionare effettivamente solo tra il dicembre 1905 e il gennaio del 1906 per opera del massone e teosofo tedesco Theodor Reuss (1855-1923). Edward ‘Aleister’ Crowley (1875-1947), la “Gran Bestia 666” entrò a farne parte solo verso il 1911-1912, e pur non essendone stato il fondatore ne divenne ben presto il principale esponente. In pratica, i membri dell’Ordine si consacravano alla magia sessuale. All’O.T.O. corrispondeva anche una struttura “religiosa” fondata dalle stesse persone, la “Chiesa gnostica cattolica”, nel cui seno era ed è celebrata una “messa” oscena nella quale si trova un “Canone” con un elenco di personaggi particolarmente “venerabili”, elenco che ha una stretta attinenza alla lista dei 14 nomi riportata da Lacointa; ci ritorneremo. Nella lista delle opere di Crowley, la “messa gnostica” è designata come il “Liber XV”, e si trova anch’essa su internet (in barba al segreto iniziatico!) all’indirizzo: www.hermetic.com /sabazius/gmnotes.html Affinché i 14 personaggi della lista fossero tutti effettivamente membri dell’O.T.O., è necessario che fossero ancora viventi nel 1904, o almeno nel 1895. Ora, questo è assolutamente impossibile per Goethe, che era in effetti massone, ma che morì nel 1832; per Nietzsche, feroce anticristiano, ma che impazzì nel 1889 (e morì nel 1900); per Sir Richard Payne Knight, che morì nel 1824; per Sir Richard F. Burton, celebre esploratore, morto nel 1890; per Hargrave Jennigs, morto anch’egli nel 1890, occultista; per Richard Wagner, il celebre musicista, deceduto nel 1883; per il mago occultista Eliphas Levi, pseudonimo dell’ex abbé Alphonse-Louis Constant, deceduto nel 1875; per il folle Re Luigi II di Baviera, il protettore di Wagner, che si suicidò nel 1886. Erano invece membri dell’O.T.O., tra i nomi della lista, Carl Kellner († 1905), che come abbiamo visto ne fu l’ideatore o il pioniere; Franz Hartmann (1838-1912); Papus (il dott. Gérard Encausse) (1865-1916). Forlong Dux (ovvero James George Roche Forlong), essendo morto nel 1904, avrebbe potuto, in teoria, far parte dell’O.T.O., come Rampolla (deceduto nel 1913); di von Fischer i membri stessi dell’O.T.O. attuale non conoscono con certezza l’identità. Certo, il fatto che Rampolla sia inserito in questa lista di membri dell’O.T.O. non può provare nulla, giacché almeno 8 membri della lista non potevano farne parte! Ma qual è allora, se c’è, il senso di questa lista? Non certo quello di affiliati dell’O.T.O. (abbiamo visto che ciò è impossibile per molti di essi) e neppure di affiliati morti nei cinque anni precedenti la pubblicazione della lista (tra i veri membri Goethe Sir Richard Payne Knigt Sir Richard F. Burton Forlong Dux Il re Luigi di Baviera Richard Wagner L. Von Fischer Fréderic Nietzsche Hargrave Jennings Karl Kellner Eliphas Levi Franz Hartmann Cardinal Rampolla Papus (Dr. Encausse) dell’O.T.O. dovremmo depennare Kellner morto nel 1905, e Forlong, deceduto nel 1904). Il testo del Manifesto dell’O.T.O., che Lacointa (e quindi Sous la bannière) ha riprodotto solo parzialmente, ci dà un inizio di spiegazione. Dopo aver preteso che l’O.T.O. include ben 18 società iniziatiche (tra le quali i Cavalieri di Malta e quelli del Santo Sepolcro) (punto n. 1 del Manifesto), Crowley presenta (punto n. 2 del Manifesto) una doppia lista di membri, a suo dire, dell’O.T.O.: una prima, di quanti – nel passato più remoto – costituirono le assemblee dell’O.T.O. (“In more remote times, the constituent originating assemblies of the O.T.O. included such men as: e segue una lista di 54 nomi) e poi un’altra, quella che già conosciamo e composta di 14 nomi, incluso Rampolla, di coloro che hanno illustrato “recently” l’associazione esoterica. Abbiamo già visto come otto di questi personaggi non possano essere considerati membri dell’O.T.O., per una semplice ragione anagrafica. Il problema è però risolto se, massonicamente, si considera che l’O.T.O. non è nato nel 1906, ma nella notte dei tempi. È quello che vuol far credere Crowley, giacché i “fondatori dell’OTO” (i 54 della prima lista), sono i seguenti personaggi: Fohi, Laotze, Siddartha [il Budda], Krishna, Tahuti, Ankh-f-khonsu, Herakles [Ercole], Orpheus, Vergilius [il poeta Virgilio], Catullo, Marziale, Apollonio di Tiana [un pitagorico], Simon Mago, Mani, Basilide, Valentino, Bardesanes, King Wu, Christian Rosenkreutz [il mitico ‘antenato’ dei Rosacroce], Ulrich von Hutten, Paracelso, Michael Maier, Jakob Boehme, Francis Bacon, Andrea [il fondatore dei Rosacroce], Robertus de Fluctibus [Robert Fludd], Chau, Saturno, Dioniso, Amfortas, Ippolito [si tratta di Sant’Ippolito!], Merlino [il Mago della saga della tavola rotonda], Artù [Re Artù!], Titurel, Percivale [Parsifal], Mosheh [Mosè], Odisseo [Ulisse], Mohammed [Maometto], Hermes, Pan, Dante [Alighieri], Carolus Magnus [Carlomagno], William di Schyren, Frederick of Hohenstaufen [il Barbarossa], Roger Bacon, Jacobus Burgundus Molensis [Jacques de Molay, l’ultimo gran maestro dei Templari], Ko Hsuen, Osiride, Melchizedek, Khem, Menthu [dei egiziani!], Johannes Dee, Sir Edward Kelly, Thos, Vaughan, Elias Ashmole, Comte de Chazal, Sigismund Bacstrom, Molinos [il famoso eretico autore del quietismo]. È evidente che tutti questi personaggi del passato non hanno mai fatto parte dell’O.T.O., tanto più che molti di essi, come le divinità pagane romane, greche, egiziane o orientali, non sono nemmeno mai esistite. Si potrebbe buttarla sul ridere e dire che Rampolla è massone come Mosé e Carlomagno, o il Mago Merlino! Si capisce perché Lacointa nel suo articolo del 1929, si guarda bene dal riprodurre questa prima lista, che getta il ridicolo anche sulla seconda, che invece pubblica a causa del nome di Rampolla. Nell’articolo successivo del Bloc antirévolutionnaire (quello del 1931) nel quale Lacointa risponde alle prime obiezioni, non può invece evitare di parlare almeno un po’ di questa prima lista stravagante di personaggi, mitici o reali, che vanno dalla preistoria fino al XVII secolo. Lacointa, a suo tempo, replicò così: “bisogna ignorare tutto delle pratiche e delle abitudini massoniche per non sapere che si tratta di nomi di guerra [pseudonimi] (…) sotto i quali si celavano i nomi di certi adepti. ‘Quest’abitudine – mi scrive un eminente e venerabile corrispondente – non fa che dar maggior peso alla rivelazione dei nomi degli affiliati morti negli ultimi cinque anni che separano un volume da quello che gli succede’ È in questa categoria che è comparso il nome del cardinal Rampolla” (p. 40). La risposta di Lacointa (e anche in parte della R.I.S.S., l.c., p. 139, nota 4) non è soddisfacente. Infatti, il vero fondatore dell’O.T.O. figura nella seconda lista (è Kellner); 8 membri su 14 di detta lista sono morti prima della fondazione dell’O.T.O.: se i nomi della prima lista sono pseudonimi, perché non anche quelli della seconda? Infine, il senso di queste due liste ci è spiegato dal Canone della Messa gnostica, opera di Crowley (Liber XV: Ecclesiæ Gnosticaæ Catholicæ Canon Missæ). Si tratta di una lista di 70 nomi – che si trova interamente su internet e in parte in varie pubblicazioni (50) – e che corrisponde quasi esattamente alle due liste del Manifesto del 1919: un dettaglio colpisce subito: il nome del cardinal Rampolla è scomparso. A parte il nome di Rampolla, tutti gli altri 13 nomi della lista pubblicata da Lacointa si ritrovano nel “canone della messa gnostica” (51), assieme però ai tantissimi nomi della prima lista, dalla quale pochi sono stati depennati, e pochi altri aggiunti (le due liste del Manifesto contano 68 nomi; il Canone circa 70). Ora, il canone della “messa gnostica” non presenta questi (circa) 70 personaggi come affiliati dell’O.T.O. (come nel Manifesto) ma come “santi” della Chiesa Gnostica Cattolica. Un esame di questo canone (e quindi anche delle liste del Manifesto) ci fa capire il motivo della inserzione di personaggi così diversi da parte di Crowley… Si tratta di persone (mitiche, o che sono esistite realmente) che hanno influenzato o impressionato lo stesso Crowley: “il celebre viaggiatore inglese Sir Richard Francis Burton, da cui era rimasto affascinato da ragazzo e da cui deriverà vari giudizi storici” (Introvigne), oppure Rabelais, dal quale prese l’idea dell’abbazia di Thelema, Eliphas Levi, del quale Crowley credeva essere la reincarnazione, essendo nato egli nell’anno della morte dell’altro (52). Crowley inserisce così i nomi delle divinità, degli scrittori e dei filosofi pagani, orientali e occidentali, specie se lascivi; dei rappresentanti dell’ideale ghibellino imperiale medioevale (Carlo Magno, Barbarossa, Dante); di quelli (letterari), del ciclo cavalleresco del Graal (Artù, Merlino, Parsifal). Il suo amico Reuss è un cantante dell’opera che ha conosciuto Wagner? Ecco iscritti tra i Santi (e nell’O.T.O.) Wagner stesso, e il suo protettore Luigi di Baviera. Ci sono i Rosacroce, dal mitico Rosenkreutz al vero Andrea, e i tanti alchimisti, rosacroce e massoni inglesi del Seicento. Non mancano gli antichi autentici gnostici (Simon Mago, Basilide, Valentino, Mani, Bardesanes) e pure un Santo (S. Ippolito), nonché un Papa (Alessandro VI), per ovvi motivi. C’è il Gran Maestro dei Templari (l’O.T.O. pretende di essere un Ordine Templare). Ci sono occultisti di ogni genere, ma Crowley è anche poeta ed artista, per cui inserisce ad esempio Paul Gauguin. Addirittura, tra i “Santi” c’è lui stesso per due volte: una come Crowley, e una come To Mega Thêrion (La Grande Bestia): una volta sola non gli bastava. Anzi, in fondo è presente più volte giacché egli credeva d’essere la reincarnazione di Ankh-f-Konsu (uno della lista) prete tebano ai tempi della XXVI dinastia, di Ko-Hsuan, discepolo di Lao-Tze, di Maometto, di Alessandro VI, di Eliphas Levi e di chissà quanti altri (53). Senza dubbio, almeno per un momento, la figura del cardinal Rampolla dovette affascinare Crowley (e questo è un argomento per l’accusa) poiché lo inserì nel Manifesto, per poi depennarlo immediatamente col Canone della “messa”. Non possiamo sapere però, perché lo incluse e perché lo escluse; senza dubbio non possiamo certo fare affidamento ad una lista partorita dalla mente malata di Crowley, lista che definire fantasiosa o mitologica è dir poco! Sarà anche la conclusione alla quale giunse la R.I.S.S., come vedremo tra poco…
Quinto argomento: il dossier di Mons. Jouin citato dal Marchese della Franquerie
L’accusa. Ecco la testimonianza di André Le Sage, che firmava i suoi libri come Marchese de la Franquerie (1901-1992): “Monsignor Jouin aveva avuto in mano l’affiliazione del Cardinal Rampolla e un intero dossier su di lui. Incaricò il Redattore Capo della ‘Revue Internationale des Sociétés Secrètes’ – che aveva fondato e dirigeva – di mostrare questo dossier ai vescovi francesi suscettibili di capire la gravità della cosa. L’Arcivescovo di Tours, Monsignor Albert Nègre, precisò al suo visitatore alcuni punti importanti concernenti un altro tradimento, quello del Cardinal Antonelli, Segretario di Stato di Pio IX, durante la guerra col Piemonte. Il Vescovo di Montauban, Monsignor Marty (…) confermò il tradimento del Cardinal Rampolla [vedi il terzo argomento, riferito da Lacointa, da noi già esaminato, n.d.a.]” (54). La testimonianza del Marchese della Franquerie (testimonianza diretta, poiché era lui il capo redattore della R.I.S.S. a partire dal 1929), collaboratore di Mons. Jouin, dimostra che anche il prelato francese, esperto e documentato nemico della massoneria, era convinto della realtà dell’affiliazione massonica del Cardinal Rampolla, basando questa sua convinzione su di un intiero dossier. La difesa. Cosa c’è di certo e indiscutibile a questo proposito? Gli elementi seguenti: Il marchese della Franquerie risulta effettivamente capo redattore della R.I.S.S. (nel 1929) e collaboratore di Mons. Jouin (anche se allora non risultava essere Marchese). Tuttavia, né Mons. Jouin né la sua rivista (la R.I.S.S.) hanno mai scritto una sola riga sulla presunta affiliazione massonica del Cardinale. O meglio, l’hanno smentita. Infatti, nel pubblicare la famosa lista dell’O.T.O. (il 1 maggio 1929, p. 139, nota 5) A. Tarannes scrive, sostituendo il nome del cardinale con le iniziali C…R…: “sopprimiamo qui il nome di un alto personaggio ecclesiastico, giacché l’allegazione del tutto gratuita di settari senza scrupoli, non può costituire un’accusa contro chicchessia”. Il marchese della Franquerie non ha mai pubblicato il dossier in questione, né ha mai diffuso, a proposito del caso Rampolla, altre informazioni che quelle già divulgate da Félix Lacointa, tranne, ne parleremo, quelle relative alla fondazione, da parte del Cardinale, di una retro-loggia in Vaticano. Se ne può concludere, con verosimiglianza, che nessun altro dato sia stato diffuso dal Franquerie sul caso Rampolla perché il famoso dossier non doveva contenere altre informazioni di quelle diffuse da Lacointa e già prese in esame, il che sembra confermato dalla data nella quale Mons. Jouin avrebbe costituito il famoso dossier (“verso il 1930”, dice il Marchese in un’altra conferenza, ovverosia subito dopo la pubblicazione degli articoli di Lacointa) (55). Altrimenti, de la Franquerie non avrebbe mancato, nelle numerose conferenze che diede per lunghi anni sulla questione, di apportare altri argomenti all’accusa. Henri Coston, grande esperto anche lui di questioni massoniche, e che non ha mai mancato di parlare del caso Rampolla, si guarda sempre dall’accennare alla tardiva testimonianza di de la Franquerie che, come abbiamo visto, è in contrasto con quanto scrive la stessa R.I.S.S. sulla questione! La prudenza di Coston non è infondata… Infatti, penso sia lecito avere qualche dubbio sull’attendibilità del nostro autore. Al Marchese della Franquerie va la stima e il rispetto che dobbiamo a chi ci ha preceduto nella lotta contro la massoneria ed il modernismo: il suo curriculum ci assicura che egli fece parte di questa onorabile “vecchia guardia”. Ebbi io stesso l’occasione di conoscerlo nell’ormai lontano 1975, e non è mia intenzione denigrarlo o mettere in dubbio la sua buona fede. Nella sua lunga attività di scrittore e uomo d’azione, ha ricevuto le felicitazioni di Cardinali, Vescovi e teologi, non esclusi Padre Garrigou Lagrange, Mons. Lefebvre e Padre Guérard des Lauriers. Ciò non toglie che, a volte, si possa mettere in dubbio la sua piena attendibilità. Quando si tratta – come nel nostro caso – di una testimonianza de relato, è inevitabile valutare l’affidabilità del testimone e il suo senso critico nel vaglio delle fonti. Ora è proprio questo, spesso, il punto debole del nostro autore. De la Franquerie, ad esempio, è noto per aver sostenuto in diverse sue opere l’ascendenza davidica dei Re di Francia e l’imminente venuta di un Gran Monarca e di un Papa Santo della medesima stirpe regale, discendenti entrambi di Luigi XVII, il quale non sarebbe morto al Tempio, ma sarebbe sopravvissuto. La teoria secondo la quale i Re di Francia discendono dalla Casa di Davide non è passata inosservata al cardinal Lustiger (il quale cita il nostro Marchese) (56) e ha nutrito le malsane fantasie di un Dan Brown, ma non ha, evidentemente, il minimo appiglio storico. In appoggio di queste sue due tesi (ascendenza davidica, Gran Monarca) il Franquerie cita una serie di apparizioni private mai approvate dalla Chiesa (e molte apocrife), e non esita ad avallare “l’autorità” di Nostradamus, mago e marrano (sia da parte paterna che materna), di Ferdinand Crombette (1880-1970), di Gaston Bardet (57), negli scritti dei quali è chiara l’influenza del cabalismo. L’ammirazione del Marchese per Nostradamus mi lascia credere che egli sia stato indirettamente influenzato, in questa materia, da un bizzarro personaggio, il canonico Rigaux, parroco d’Argœuves, che ospitò la veggente di La Salette, ma che fu anche sospeso a divinis nel 1911 (58), di cui parla a lungo un ex membro del Sodalitium pianum, l’abbé Boulin, in un libro curioso e postumo intitolato Autour de la Tiare (59). Quanto all’opera ed il pensiero di Crombette devono averlo veramente impressionato, se il marchese accettò di essere Presidente Onorario del CESHE (Cercle Scientifique et Historique), l’associazione che diffonde il pensiero di Crombette. Non mancano gli studi critici su Crombette, che oltre ad essere un personaggio un po’ originale, influenzato dalla gnosi e dalla cabala, giunse fino al punto di negare numerose verità di fede (60). Anche Gaston Bardet fu personaggio bizzarro, tanto da essere considerato da molti uno gnostico cabalista, benché, a suo dire, “cattolico”. Per lo meno, Etienne Couvert scrisse su Lecture et Tradition (61) rispondendo alla vedova di Bardet che difendeva la memoria dello sposo, che i libri di Bardet “sono impregnati di quella gnosi che denuncio nelle mie opere” e che il suo insegnamento “è evidentemente contrario alla fede cristiana, anche se egli ha pensato e scritto il contrario…”. Tuttavia, Bardet doveva essere miglior veggente di Nostradamus, poiché almeno una profezia l’indovinò, quando annunciò ad un turbato e incuriosito Mons. Roncalli che sarebbe diventato Papa, e che nome avrebbe preso sulla Cattedra di Pietro! (62). Altra passione del Marchese è il commento all’Apocalisse del venerabile Bartolomeo Holzauser (16131658), passione che ha trasmesso a tanti suoi estimatori d’oggi. Tutto ciò sarebbe lecito e legittimo, se non fosse che il Marchese considera ogni parola scritta dall’Holzauser come direttamente rivelata da Dio (63), il che è impossibile, non fosse altro per il fatto che, secondo l’esegeta tedesco, l’Anticristo avrebbe dovuto nascere nel 1855 ed essere ucciso nel 1911: nessuno se ne è accorto! (64) Ma quel che è peggio, e che rasenta l’eresia, è l’applicazione che de la Franquerie fa delle più importanti profezie messianiche (e che si riferiscono esclusivamente a Nostro Signore Gesù Cristo), al “Gran Monarca”. La promessa fatta a Davide di un regno eterno, ad esempio, non si realizzerebbe tanto nel Regno messianico di Cristo, ma piuttosto nel regno eterno della casa Reale di Francia, che discenderebbe da Davide. Ora mi chiedo: se il valore della testimonianza dipende dall’affidabilità del testimone, è lecito dubitare della testimonianza di un autore che dimostra di non vagliare sufficientemente le sue fonti, e di avere un’eccessiva passione per il bizzarro, l’insolito, persino – a volte – l’esoterico.
L’accusa. Ecco la testimonianza di André Le Sage, che firmava i suoi libri come Marchese de la Franquerie (1901-1992): “Monsignor Jouin aveva avuto in mano l’affiliazione del Cardinal Rampolla e un intero dossier su di lui. Incaricò il Redattore Capo della ‘Revue Internationale des Sociétés Secrètes’ – che aveva fondato e dirigeva – di mostrare questo dossier ai vescovi francesi suscettibili di capire la gravità della cosa. L’Arcivescovo di Tours, Monsignor Albert Nègre, precisò al suo visitatore alcuni punti importanti concernenti un altro tradimento, quello del Cardinal Antonelli, Segretario di Stato di Pio IX, durante la guerra col Piemonte. Il Vescovo di Montauban, Monsignor Marty (…) confermò il tradimento del Cardinal Rampolla [vedi il terzo argomento, riferito da Lacointa, da noi già esaminato, n.d.a.]” (54). La testimonianza del Marchese della Franquerie (testimonianza diretta, poiché era lui il capo redattore della R.I.S.S. a partire dal 1929), collaboratore di Mons. Jouin, dimostra che anche il prelato francese, esperto e documentato nemico della massoneria, era convinto della realtà dell’affiliazione massonica del Cardinal Rampolla, basando questa sua convinzione su di un intiero dossier. La difesa. Cosa c’è di certo e indiscutibile a questo proposito? Gli elementi seguenti: Il marchese della Franquerie risulta effettivamente capo redattore della R.I.S.S. (nel 1929) e collaboratore di Mons. Jouin (anche se allora non risultava essere Marchese). Tuttavia, né Mons. Jouin né la sua rivista (la R.I.S.S.) hanno mai scritto una sola riga sulla presunta affiliazione massonica del Cardinale. O meglio, l’hanno smentita. Infatti, nel pubblicare la famosa lista dell’O.T.O. (il 1 maggio 1929, p. 139, nota 5) A. Tarannes scrive, sostituendo il nome del cardinale con le iniziali C…R…: “sopprimiamo qui il nome di un alto personaggio ecclesiastico, giacché l’allegazione del tutto gratuita di settari senza scrupoli, non può costituire un’accusa contro chicchessia”. Il marchese della Franquerie non ha mai pubblicato il dossier in questione, né ha mai diffuso, a proposito del caso Rampolla, altre informazioni che quelle già divulgate da Félix Lacointa, tranne, ne parleremo, quelle relative alla fondazione, da parte del Cardinale, di una retro-loggia in Vaticano. Se ne può concludere, con verosimiglianza, che nessun altro dato sia stato diffuso dal Franquerie sul caso Rampolla perché il famoso dossier non doveva contenere altre informazioni di quelle diffuse da Lacointa e già prese in esame, il che sembra confermato dalla data nella quale Mons. Jouin avrebbe costituito il famoso dossier (“verso il 1930”, dice il Marchese in un’altra conferenza, ovverosia subito dopo la pubblicazione degli articoli di Lacointa) (55). Altrimenti, de la Franquerie non avrebbe mancato, nelle numerose conferenze che diede per lunghi anni sulla questione, di apportare altri argomenti all’accusa. Henri Coston, grande esperto anche lui di questioni massoniche, e che non ha mai mancato di parlare del caso Rampolla, si guarda sempre dall’accennare alla tardiva testimonianza di de la Franquerie che, come abbiamo visto, è in contrasto con quanto scrive la stessa R.I.S.S. sulla questione! La prudenza di Coston non è infondata… Infatti, penso sia lecito avere qualche dubbio sull’attendibilità del nostro autore. Al Marchese della Franquerie va la stima e il rispetto che dobbiamo a chi ci ha preceduto nella lotta contro la massoneria ed il modernismo: il suo curriculum ci assicura che egli fece parte di questa onorabile “vecchia guardia”. Ebbi io stesso l’occasione di conoscerlo nell’ormai lontano 1975, e non è mia intenzione denigrarlo o mettere in dubbio la sua buona fede. Nella sua lunga attività di scrittore e uomo d’azione, ha ricevuto le felicitazioni di Cardinali, Vescovi e teologi, non esclusi Padre Garrigou Lagrange, Mons. Lefebvre e Padre Guérard des Lauriers. Ciò non toglie che, a volte, si possa mettere in dubbio la sua piena attendibilità. Quando si tratta – come nel nostro caso – di una testimonianza de relato, è inevitabile valutare l’affidabilità del testimone e il suo senso critico nel vaglio delle fonti. Ora è proprio questo, spesso, il punto debole del nostro autore. De la Franquerie, ad esempio, è noto per aver sostenuto in diverse sue opere l’ascendenza davidica dei Re di Francia e l’imminente venuta di un Gran Monarca e di un Papa Santo della medesima stirpe regale, discendenti entrambi di Luigi XVII, il quale non sarebbe morto al Tempio, ma sarebbe sopravvissuto. La teoria secondo la quale i Re di Francia discendono dalla Casa di Davide non è passata inosservata al cardinal Lustiger (il quale cita il nostro Marchese) (56) e ha nutrito le malsane fantasie di un Dan Brown, ma non ha, evidentemente, il minimo appiglio storico. In appoggio di queste sue due tesi (ascendenza davidica, Gran Monarca) il Franquerie cita una serie di apparizioni private mai approvate dalla Chiesa (e molte apocrife), e non esita ad avallare “l’autorità” di Nostradamus, mago e marrano (sia da parte paterna che materna), di Ferdinand Crombette (1880-1970), di Gaston Bardet (57), negli scritti dei quali è chiara l’influenza del cabalismo. L’ammirazione del Marchese per Nostradamus mi lascia credere che egli sia stato indirettamente influenzato, in questa materia, da un bizzarro personaggio, il canonico Rigaux, parroco d’Argœuves, che ospitò la veggente di La Salette, ma che fu anche sospeso a divinis nel 1911 (58), di cui parla a lungo un ex membro del Sodalitium pianum, l’abbé Boulin, in un libro curioso e postumo intitolato Autour de la Tiare (59). Quanto all’opera ed il pensiero di Crombette devono averlo veramente impressionato, se il marchese accettò di essere Presidente Onorario del CESHE (Cercle Scientifique et Historique), l’associazione che diffonde il pensiero di Crombette. Non mancano gli studi critici su Crombette, che oltre ad essere un personaggio un po’ originale, influenzato dalla gnosi e dalla cabala, giunse fino al punto di negare numerose verità di fede (60). Anche Gaston Bardet fu personaggio bizzarro, tanto da essere considerato da molti uno gnostico cabalista, benché, a suo dire, “cattolico”. Per lo meno, Etienne Couvert scrisse su Lecture et Tradition (61) rispondendo alla vedova di Bardet che difendeva la memoria dello sposo, che i libri di Bardet “sono impregnati di quella gnosi che denuncio nelle mie opere” e che il suo insegnamento “è evidentemente contrario alla fede cristiana, anche se egli ha pensato e scritto il contrario…”. Tuttavia, Bardet doveva essere miglior veggente di Nostradamus, poiché almeno una profezia l’indovinò, quando annunciò ad un turbato e incuriosito Mons. Roncalli che sarebbe diventato Papa, e che nome avrebbe preso sulla Cattedra di Pietro! (62). Altra passione del Marchese è il commento all’Apocalisse del venerabile Bartolomeo Holzauser (16131658), passione che ha trasmesso a tanti suoi estimatori d’oggi. Tutto ciò sarebbe lecito e legittimo, se non fosse che il Marchese considera ogni parola scritta dall’Holzauser come direttamente rivelata da Dio (63), il che è impossibile, non fosse altro per il fatto che, secondo l’esegeta tedesco, l’Anticristo avrebbe dovuto nascere nel 1855 ed essere ucciso nel 1911: nessuno se ne è accorto! (64) Ma quel che è peggio, e che rasenta l’eresia, è l’applicazione che de la Franquerie fa delle più importanti profezie messianiche (e che si riferiscono esclusivamente a Nostro Signore Gesù Cristo), al “Gran Monarca”. La promessa fatta a Davide di un regno eterno, ad esempio, non si realizzerebbe tanto nel Regno messianico di Cristo, ma piuttosto nel regno eterno della casa Reale di Francia, che discenderebbe da Davide. Ora mi chiedo: se il valore della testimonianza dipende dall’affidabilità del testimone, è lecito dubitare della testimonianza di un autore che dimostra di non vagliare sufficientemente le sue fonti, e di avere un’eccessiva passione per il bizzarro, l’insolito, persino – a volte – l’esoterico.
Sesto e ultimo argomento: la politica del cardinal Rampolla del Tindaro, e della sua “scuola”
L’accusa. La Terza Repubblica, in Francia, è stata notoriamente, secondo la felice espressione di Henri Coston, la “Repubblica del Grand’Oriente”. Il Cardinal Rampolla, con la politica del “ralliement” dei cattolici al governo repubblicano, ha oggettivamente lavorato in favore del Grand’Oriente e della Massoneria. Lo stesso Félix Lacointa scrisse nel suo articolo del giugno-luglio 1929: “ ‘Siamo stati ingannati’, disse, sul letto di morte, Leone XIII al suo Segretario di Stato, e l’illustre pontefice è spirato senza immaginare che il principale agente di questo abominevole inganno, l’uomo che aveva introdotto presso di lui gli emissari incaricati Copertina de la RISS (Partie occultiste: la serie rosa) di suggerirgli e di fargli continuare la vergognosa e nefasta politica di cui oggi raccogliamo i frutti orribilmente amari, era il suo collaboratore quotidiano, l’uomo che godeva della sua piena fiducia. Noi che eravamo ossessionati da tanti anni dal pensiero che frutti di quel genere dovevano essere il risultato di una gaffe satanica, ne abbiamo adesso la certezza. (…) Ci sono monumenti che bisogna smontare, e che la generazione che viene smonterà. Tra questi, quello del cardinal Rampolla. Una consolazione della mia modesta ma dura carriera di scrittore cattolico sarà quella di aver contribuito a rovesciare quello dell’astuto maestro il cui tradimento, ancor oggi, fa soffrire i figli migliori della Chiesa. Ho messo a nudo la fonte avvelenata di tanti errori e fellonie di cui il ‘Ralliement’ è il primo, e di cui l’ultimo, crimine innominabile, è la collusione dei democratici cristiani (?) coi comunisti. Ora i cattolici francesi sono stati messi in guardia. Sanno che la scuola del cardinal Rampolla, alla quale i cardinali Gasparri e Lépicier pretendono rimetterli, ben lungi dall’essere quella di San Tommaso, è quella di Giuda…” (65). La scuola del Cardinal Rampolla è il frutto del suo lavoro massonico in Vaticano, come testimonia il Marchese della Franquerie: “Il Cardinale passava le sue vacanze in Svizzera, all’Abbazia di Einsiedeln. Nelle vicinanze dell’Abbazia si trovava una retrologgia dove, ogni sabato, si recava per prendere le direttive del Potere Occulto e applicarle al Governo della Chiesa. Tra queste, due erano importanti per la Francia: concludere il ‘Ralliement’ dei Cattolici alla repubblica; ma per assicurare il regno luciferino nel seno stesso della Chiesa, fondare in Vaticano una retro-loggia segreta destinata a preparare degli alti dignitari della Santa Sede per mettere in esecuzione questo piano infernale. È così che il Potere Occulto sapeva di poter contare su uomini come i Cardinali Rampolla, Ferrata, Gasparri, Ceretti, Bea, Liénart ecc., per non parlare che dei defunti” (66). Felix Causas, in Sous la bannière, citando Heimbichner, fa altri nomi legati alla scuola di Rampolla: Giacomo Della Chiesa (Benedetto XV), Roncalli (Giovanni XXIII), Montini (Paolo VI), e Pio XII: “Con Craig Heimbichner esaminiamo un punto tristissimo. Il molto stimato Eugenio Pacelli (Pio XII) non subì anche lui l’influenza dell’O.T.O.?…” (p. 9). Anzi: “bisogna sapere che, a partire da Pio IX, praticamente tutti i segretari di Stato sono affiliati alla Loggia in virtù di un’esigenza della Contro-Chiesa” (p. 10, nota 8). La difesa, questa volta non più del cardinal Rampolla, ma della Chiesa Cattolica. Devo dire che sono proprio queste ultime parole di Félix Causas che mi hanno deciso a scrivere quest’articolo, perché un vero cattolico che ama la Chiesa non può sopportare così gravi calunnie proferite non contro i modernisti, non contro gli illegittimi occupanti della Sede di Pietro dopo il Vaticano II, ma contro la Chiesa stessa ed i suoi legittimi rappresentanti. La Chiesa cattolica infatti, almeno dalla nomina del cardinale Antonelli a Segretario di Stato di Pio IX (e magari anche prima, già sotto Pio VII, come sostiene l’équipe di Sous la Bannière ) (67) sarebbe stata sotto l’influenza della Massoneria e di Satana stesso; lo stesso cardinale Merry del Val, Servo di Dio e segretario di Stato di San Pio X, per alcuni non sfugge alle accuse di essere un “apostolo di Satana” (68). Queste accuse coinvolgono inevitabilmente i Sommi Pontefici stessi, ovvero Pio IX, Leone XIII, San Pio X, Benedetto XV, Pio XI, e Pio XII. Iniziamo però dal principio, e cioè dalle accuse di Lacointa e de la Franquerie. Le parole di Félix Lacointa, e anche del marchese della Franquerie, possono spiegare l’origine dell’accusa fatta non solo a Rampolla, ma ad altri Cardinali, come Ferrata, Gasparri, Cerretti. I nomi non sono casuali. Le “prove” contro Rampolla che abbiamo esaminato finora hanno dato loro solo una certezza di quello che già, nel loro cuore, era un grave sospetto. Dovuto a cosa? Lo dicono esplicitamente: ai due “errori” della politica vaticana: il “ralliement” dei cattolici alla terza repubblica, voluto da Leone XIII con l’enciclica Au milieu des sollicitudes (1892), e la condanna dell’Action Française, decisa sotto Pio XI con la messa all’Indice delle opere di Maurras e del quotidiano L’Action Française nel 1926. La responsabilità dei Papi (Leone XIII, Pio XI), è allora scaricata sui loro più vicini collaboratori. Il Cardinal Rampolla del Tindaro, Segretario di Stato di Leone XIII, e quindi corresponsabile della politica del Ralliement. Il Segretario di Stato di Benedetto XV, cardinal Ferrata, che fu però Nunzio in Francia all’epoca del Ralliement, e quindi anche lui corresponsabile. Il Segretario di Stato di Benedetto XV e di Pio XI, Gasparri, che era all’Institut Catholique di Parigi dal 1880 al 1888, ma che soprattutto era Segretario di Stato all’epoca della condanna di Maurras. Ed il Nunzio a Parigi nel medesimo periodo, anche lui corresponsabile della condanna di Maurras, Bonaventura Cerretti. Lacointa e Franquerie, infatti, erano certo scrittori cattolici, ma anche monarchici che si schierarono con l’Action Française (69), e non a caso gli articoli contro Rampolla appaiono nel 1929, nel pieno della crisi tra la Santa Sede ed il movimento maurassiano: la condanna dell’A.F. è vista come un secondo Ralliement alla repubblica, che ripete l’errore del primo, ai tempi di Leone XIII (cf LOUBIER, op. cit., pp. 129 ss). Non è compito di questo articolo parlare del Ralliement e della condanna di Maurras, avvenimenti che hanno ferito tante anime dell’élite del cattolicesimo francese… Mi limito a dire che come cattolico sono fedele al magistero della Chiesa, con san Tommaso reputo la monarchia la migliore, ma non l’unica forma di governo, ed infine che la sottomissione al governo costituito (salvo i casi di legittima insurrezione) è presente nella pratica e nell’insegnamento della Chiesa dagli albori del Cristianesimo e poi lungo i secoli, ben prima di Leone XIII e del suo Segretario di Stato (70). È compito di quest’articolo, lasciata da parte la questione del Ralliement che è fuori oggetto, vagliare i pro e i contro della teoria “Rampolla massone”. Ora, se l’accusa considera che la politica rampolliana, e quella dei prelati della sua linea, getta un sospetto di vicinanza alla massoneria (non v’è dubbio, lo ripeto, che la Terza Repubblica fosse la Repubblica del Grand’Oriente), la difesa può dire altresì che questo “pregiudizio” politico sfavorevole ha potuto essere il motivo per il quale Rampolla e soci sono stati accusati di sicuro massonismo, in base a pochi ed incerti argomenti. Dato e non concesso che la politica francese di Rampolla sia un elemento d’accusa, bisognerebbe ancora esaminare tutta la politica ecclesiastica del segretario di Stato di Leone XIII, e di tutto il pontificato leonino. Ci si accorgerà allora che quello di Leone XIII fu in assoluto il pontificato più avverso alla Massoneria, nell’insegnamento e nelle iniziative, e che molti dei documenti anti-massonici di quell’epoca portano la firma proprio del segretario di Stato Rampolla. Anche l’attitudine del Cardinale verso il governo italiano, non meno massonico di quello francese, fu sempre assolutamente intransigente, molto di più di quella conciliatrice di san Pio X, ad esempio. Tanto è vero che la stampa cattolica intransigente italiana, ed i suoi esponenti, come i Monsignori Scotton de La Riscossa, ebbero sempre pieno appoggio nell’Opera dei Congressi e in tutte le loro attività, in primis il giornale intransigente La Riscossa, dalla Segreteria di Stato di Monsignor Rampolla (71); come pure furono legati a Leone XIII tutti gli intransigenti italiani come, ad esempio, Mons. Benigni. Costoro divennero, in seguito, gli alfieri della lotta al modernismo: il cattolicesimo integrale e antimodernista in Italia fu in piena continuità col pontificato leonino (a differenza di quello francese, come si può capire dalla messa all’indice, sotto San Pio X, di due libri dell’abbé Barbier critici di Leone XIII, malgrado l’appoggio che San Pio X dava a questo sacerdote esemplare). Non a caso, quindi, le voci sul massonismo di Rampolla nascono in Francia, e non tra gli ecclesiastici (abbiamo visto che la R.I.S.S. di Mons. Jouin negò ogni valore alla lista dell’O.T.O. per quel che riguarda il nome di Rampolla), ma tra i laici cattolici o nazionalisti (come nel caso della Libre Parole), per ovvi motivi più legati alle passioni politiche. Ma questo è un argomento contro la tesi dell’affiliazione massonica di Rampolla, che, se fosse stata vera, avrebbe lasciato qualche indizio non solo in Francia ma anche e soprattutto a Roma, per esempio – come visto – sulla penna di un Monsignor Benigni. Questo tanto più che la linea di Rampolla, intransigente sotto Leone XIII, non fu favorevole allo zelo antimodernista di san Pio X, come vedremo in seguito: il Sodalitium Pianum – che non stimava Rampolla – avrebbe avuto motivi ancora più gravi per accusare Benedetto XV ed il cardinal Gasparri: non lo fece. Quanto al cardinal Gasparri, qualche voce di massonismo è corsa (72), ben più scarsa che per Rampolla; certo le sue memorie presentano numerosi attacchi alla massoneria, e la R.I.S.S. di Monsignor Jouin poté sempre fregiarsi del pieno sostegno di Benedetto XV (73) e del cardinal Gasparri nella lotta contro la “giudeo-massoneria” (74); se fosse stato massone non si sarebbe fatto scrupolo di far morire la stampa antimassonica, dato che fece morire il Sodalitium pianum e la stampa cattolica integrale.
L’accusa. La Terza Repubblica, in Francia, è stata notoriamente, secondo la felice espressione di Henri Coston, la “Repubblica del Grand’Oriente”. Il Cardinal Rampolla, con la politica del “ralliement” dei cattolici al governo repubblicano, ha oggettivamente lavorato in favore del Grand’Oriente e della Massoneria. Lo stesso Félix Lacointa scrisse nel suo articolo del giugno-luglio 1929: “ ‘Siamo stati ingannati’, disse, sul letto di morte, Leone XIII al suo Segretario di Stato, e l’illustre pontefice è spirato senza immaginare che il principale agente di questo abominevole inganno, l’uomo che aveva introdotto presso di lui gli emissari incaricati Copertina de la RISS (Partie occultiste: la serie rosa) di suggerirgli e di fargli continuare la vergognosa e nefasta politica di cui oggi raccogliamo i frutti orribilmente amari, era il suo collaboratore quotidiano, l’uomo che godeva della sua piena fiducia. Noi che eravamo ossessionati da tanti anni dal pensiero che frutti di quel genere dovevano essere il risultato di una gaffe satanica, ne abbiamo adesso la certezza. (…) Ci sono monumenti che bisogna smontare, e che la generazione che viene smonterà. Tra questi, quello del cardinal Rampolla. Una consolazione della mia modesta ma dura carriera di scrittore cattolico sarà quella di aver contribuito a rovesciare quello dell’astuto maestro il cui tradimento, ancor oggi, fa soffrire i figli migliori della Chiesa. Ho messo a nudo la fonte avvelenata di tanti errori e fellonie di cui il ‘Ralliement’ è il primo, e di cui l’ultimo, crimine innominabile, è la collusione dei democratici cristiani (?) coi comunisti. Ora i cattolici francesi sono stati messi in guardia. Sanno che la scuola del cardinal Rampolla, alla quale i cardinali Gasparri e Lépicier pretendono rimetterli, ben lungi dall’essere quella di San Tommaso, è quella di Giuda…” (65). La scuola del Cardinal Rampolla è il frutto del suo lavoro massonico in Vaticano, come testimonia il Marchese della Franquerie: “Il Cardinale passava le sue vacanze in Svizzera, all’Abbazia di Einsiedeln. Nelle vicinanze dell’Abbazia si trovava una retrologgia dove, ogni sabato, si recava per prendere le direttive del Potere Occulto e applicarle al Governo della Chiesa. Tra queste, due erano importanti per la Francia: concludere il ‘Ralliement’ dei Cattolici alla repubblica; ma per assicurare il regno luciferino nel seno stesso della Chiesa, fondare in Vaticano una retro-loggia segreta destinata a preparare degli alti dignitari della Santa Sede per mettere in esecuzione questo piano infernale. È così che il Potere Occulto sapeva di poter contare su uomini come i Cardinali Rampolla, Ferrata, Gasparri, Ceretti, Bea, Liénart ecc., per non parlare che dei defunti” (66). Felix Causas, in Sous la bannière, citando Heimbichner, fa altri nomi legati alla scuola di Rampolla: Giacomo Della Chiesa (Benedetto XV), Roncalli (Giovanni XXIII), Montini (Paolo VI), e Pio XII: “Con Craig Heimbichner esaminiamo un punto tristissimo. Il molto stimato Eugenio Pacelli (Pio XII) non subì anche lui l’influenza dell’O.T.O.?…” (p. 9). Anzi: “bisogna sapere che, a partire da Pio IX, praticamente tutti i segretari di Stato sono affiliati alla Loggia in virtù di un’esigenza della Contro-Chiesa” (p. 10, nota 8). La difesa, questa volta non più del cardinal Rampolla, ma della Chiesa Cattolica. Devo dire che sono proprio queste ultime parole di Félix Causas che mi hanno deciso a scrivere quest’articolo, perché un vero cattolico che ama la Chiesa non può sopportare così gravi calunnie proferite non contro i modernisti, non contro gli illegittimi occupanti della Sede di Pietro dopo il Vaticano II, ma contro la Chiesa stessa ed i suoi legittimi rappresentanti. La Chiesa cattolica infatti, almeno dalla nomina del cardinale Antonelli a Segretario di Stato di Pio IX (e magari anche prima, già sotto Pio VII, come sostiene l’équipe di Sous la Bannière ) (67) sarebbe stata sotto l’influenza della Massoneria e di Satana stesso; lo stesso cardinale Merry del Val, Servo di Dio e segretario di Stato di San Pio X, per alcuni non sfugge alle accuse di essere un “apostolo di Satana” (68). Queste accuse coinvolgono inevitabilmente i Sommi Pontefici stessi, ovvero Pio IX, Leone XIII, San Pio X, Benedetto XV, Pio XI, e Pio XII. Iniziamo però dal principio, e cioè dalle accuse di Lacointa e de la Franquerie. Le parole di Félix Lacointa, e anche del marchese della Franquerie, possono spiegare l’origine dell’accusa fatta non solo a Rampolla, ma ad altri Cardinali, come Ferrata, Gasparri, Cerretti. I nomi non sono casuali. Le “prove” contro Rampolla che abbiamo esaminato finora hanno dato loro solo una certezza di quello che già, nel loro cuore, era un grave sospetto. Dovuto a cosa? Lo dicono esplicitamente: ai due “errori” della politica vaticana: il “ralliement” dei cattolici alla terza repubblica, voluto da Leone XIII con l’enciclica Au milieu des sollicitudes (1892), e la condanna dell’Action Française, decisa sotto Pio XI con la messa all’Indice delle opere di Maurras e del quotidiano L’Action Française nel 1926. La responsabilità dei Papi (Leone XIII, Pio XI), è allora scaricata sui loro più vicini collaboratori. Il Cardinal Rampolla del Tindaro, Segretario di Stato di Leone XIII, e quindi corresponsabile della politica del Ralliement. Il Segretario di Stato di Benedetto XV, cardinal Ferrata, che fu però Nunzio in Francia all’epoca del Ralliement, e quindi anche lui corresponsabile. Il Segretario di Stato di Benedetto XV e di Pio XI, Gasparri, che era all’Institut Catholique di Parigi dal 1880 al 1888, ma che soprattutto era Segretario di Stato all’epoca della condanna di Maurras. Ed il Nunzio a Parigi nel medesimo periodo, anche lui corresponsabile della condanna di Maurras, Bonaventura Cerretti. Lacointa e Franquerie, infatti, erano certo scrittori cattolici, ma anche monarchici che si schierarono con l’Action Française (69), e non a caso gli articoli contro Rampolla appaiono nel 1929, nel pieno della crisi tra la Santa Sede ed il movimento maurassiano: la condanna dell’A.F. è vista come un secondo Ralliement alla repubblica, che ripete l’errore del primo, ai tempi di Leone XIII (cf LOUBIER, op. cit., pp. 129 ss). Non è compito di questo articolo parlare del Ralliement e della condanna di Maurras, avvenimenti che hanno ferito tante anime dell’élite del cattolicesimo francese… Mi limito a dire che come cattolico sono fedele al magistero della Chiesa, con san Tommaso reputo la monarchia la migliore, ma non l’unica forma di governo, ed infine che la sottomissione al governo costituito (salvo i casi di legittima insurrezione) è presente nella pratica e nell’insegnamento della Chiesa dagli albori del Cristianesimo e poi lungo i secoli, ben prima di Leone XIII e del suo Segretario di Stato (70). È compito di quest’articolo, lasciata da parte la questione del Ralliement che è fuori oggetto, vagliare i pro e i contro della teoria “Rampolla massone”. Ora, se l’accusa considera che la politica rampolliana, e quella dei prelati della sua linea, getta un sospetto di vicinanza alla massoneria (non v’è dubbio, lo ripeto, che la Terza Repubblica fosse la Repubblica del Grand’Oriente), la difesa può dire altresì che questo “pregiudizio” politico sfavorevole ha potuto essere il motivo per il quale Rampolla e soci sono stati accusati di sicuro massonismo, in base a pochi ed incerti argomenti. Dato e non concesso che la politica francese di Rampolla sia un elemento d’accusa, bisognerebbe ancora esaminare tutta la politica ecclesiastica del segretario di Stato di Leone XIII, e di tutto il pontificato leonino. Ci si accorgerà allora che quello di Leone XIII fu in assoluto il pontificato più avverso alla Massoneria, nell’insegnamento e nelle iniziative, e che molti dei documenti anti-massonici di quell’epoca portano la firma proprio del segretario di Stato Rampolla. Anche l’attitudine del Cardinale verso il governo italiano, non meno massonico di quello francese, fu sempre assolutamente intransigente, molto di più di quella conciliatrice di san Pio X, ad esempio. Tanto è vero che la stampa cattolica intransigente italiana, ed i suoi esponenti, come i Monsignori Scotton de La Riscossa, ebbero sempre pieno appoggio nell’Opera dei Congressi e in tutte le loro attività, in primis il giornale intransigente La Riscossa, dalla Segreteria di Stato di Monsignor Rampolla (71); come pure furono legati a Leone XIII tutti gli intransigenti italiani come, ad esempio, Mons. Benigni. Costoro divennero, in seguito, gli alfieri della lotta al modernismo: il cattolicesimo integrale e antimodernista in Italia fu in piena continuità col pontificato leonino (a differenza di quello francese, come si può capire dalla messa all’indice, sotto San Pio X, di due libri dell’abbé Barbier critici di Leone XIII, malgrado l’appoggio che San Pio X dava a questo sacerdote esemplare). Non a caso, quindi, le voci sul massonismo di Rampolla nascono in Francia, e non tra gli ecclesiastici (abbiamo visto che la R.I.S.S. di Mons. Jouin negò ogni valore alla lista dell’O.T.O. per quel che riguarda il nome di Rampolla), ma tra i laici cattolici o nazionalisti (come nel caso della Libre Parole), per ovvi motivi più legati alle passioni politiche. Ma questo è un argomento contro la tesi dell’affiliazione massonica di Rampolla, che, se fosse stata vera, avrebbe lasciato qualche indizio non solo in Francia ma anche e soprattutto a Roma, per esempio – come visto – sulla penna di un Monsignor Benigni. Questo tanto più che la linea di Rampolla, intransigente sotto Leone XIII, non fu favorevole allo zelo antimodernista di san Pio X, come vedremo in seguito: il Sodalitium Pianum – che non stimava Rampolla – avrebbe avuto motivi ancora più gravi per accusare Benedetto XV ed il cardinal Gasparri: non lo fece. Quanto al cardinal Gasparri, qualche voce di massonismo è corsa (72), ben più scarsa che per Rampolla; certo le sue memorie presentano numerosi attacchi alla massoneria, e la R.I.S.S. di Monsignor Jouin poté sempre fregiarsi del pieno sostegno di Benedetto XV (73) e del cardinal Gasparri nella lotta contro la “giudeo-massoneria” (74); se fosse stato massone non si sarebbe fatto scrupolo di far morire la stampa antimassonica, dato che fece morire il Sodalitium pianum e la stampa cattolica integrale.
Il vero torto della “scuola del card. Rampolla”
L’accusa. Ma allora voi siete strenui sostenitori del cardinal Rampolla e della sua “scuola”! Risposta. Niente affatto. È lecito, allo storico, col dovuto rispetto, con obbiettività, con riferimento alle fonti documentarie, formarsi un’opinione sulle vicende storiche della Chiesa e dei suoi ministri. Abbiamo già visto qual fosse, nel 1913, l’opinione non certo lusinghiera di Mons. Benigni sul cardinale Rampolla del Tindaro. Sappiamo che a sua volta, il cardinal Gasparri aveva una pessima opinione di Mons. Benigni e del Sodalitium pianum, al punto che il Segretario di Stato di Benedetto XV e Pio XI testimoniò contro la canonizzazione di San Pio X perché Papa Sarto aveva favorito e sostenuto questo sodalizio e, in genere, le posizioni cattoliche integrali. La Chiesa ha giudicato diversamente dal cardinal Gasparri, ed ha canonizzato il Papa che condannò il modernismo, rispondendo a queste e simili obiezioni con la “Disquisitio circa quasdam obiectiones modum agendi Servi Dei respicientes in modernismi debellatione…” che il Padre (poi cardinale) Antonelli o.f.m., per la S. Congregazione dei Riti redasse nel 1950. Papa Pio XII (che conobbe personalmente e da vicino tutti i protagonisti di questa vicenda, Pio X, Gasparri, Benigni ecc.) (75) dichiarò, il 3 giugno 1951, che Pio X era Beato, e il 29 maggio 1954 che doveva essere contato nel numero dei Santi. Non era questa, abbiamo visto, l’opinione di tutti, anche nella Chiesa e nella Curia Romana, al momento della morte di Pio X, e anche prima, se il Santo Pontefice ripeteva amaramente: de gentibus non est vir mecum. Ho già citato la testimonianza di Filippo Crispolti, amico di Benedetto XV. Dopo la condanna del modernismo con l’enciclica Pascendi, il marchese Crispolti, appartenente quindi “alla scuola Rampolla”, venne ricevuto in udienza da Pio X e con lui si rallegrò “dell’effetto salutare che l’Enciclica avrebbe avuto e già mostrava di avere”. “Egli mestamente mi chiese: ‘Lei lo crede?’ E siccome io soggiunsi che il mio non era un complimento ma una persuasione ragionata, egli mostrò curiosità di queste ragioni e io gliele esposi”. Esse però non furono convincenti: “Il Papa ascoltò: le mie parole non gli parvero mal ragionate. Ma invece di convenire com’io per suo conforto desideravo, che un tal ragionamento (…) sarebbe stato efficace sugli animi dei modernisti o dei propensi al modernismo, egli continuò a scuotere il capo. Era ancora un uomo che ha compiuto un atto solenne, perché davanti a Dio n’aveva obbligo, ma quanto agli effetti rimase pessimista. E sì – conclude il Crispolti – che per riconoscere come il colpo da lui dato al modernismo fosse stato veramente mortale, pochi anni bastarono!” (76). Crispolti pensava che i fatti avevano dato ragione al suo ottimismo, e smentito quel Papa che “vide sempre in nero le condizioni della Chiesa che gli toccava di reggere”. Egli era convinto che il modernismo fosse vinto, e che il danno venisse semmai dagli antimodernisti, gli “zelanti”, i quali, secondo una parola dettagli dal cardinal Maffi, si sarebbero fatti un pretesto della Pascendi “per le solite loro violenze ed accuse” (77). Alla morte di San Pio X il Conclave esitò appunto tra il nome del Cardinal Maffi, Vescovo di Pisa, e quello del Cardinal Della Chiesa, Vescovo di Bologna, entrambi critici del pontificato del loro predecessore, ed ostili a quegli “zelanti” che si accanivano a condannare… un uomo morto (il modernismo). Nulla mutò nel magistero della Chiesa, che continuò a condannare l’errore modernista, e a propagare la Santa Fede. Cambiò, però, l’orientamento del pontificato. “Tra i modernisti e gli antimodernisti esisteva un ‘terzo partito’ impersonato fino al 1913 dal cardinale Mariano Rampolla del Tindaro (…). Rampolla, nel 1901, aveva scelto come suoi collaboratori diretti mons. Giacomo Della Chiesa e mons. Pietro Gasparri. (…) Pio X, dopo aver nominato segretario di Stato il cardinale Merry del Val, aveva allontanato dalla segreteria di Stato entrambi i protetti del Cardinal Rampolla [i quali, comunque, furono entrambi elevati alla porpora da San Pio X: Gasparri nel 1907, e Della Chiesa – a sorpresa – nel 1914, n.d.a.]. (…) Pio X morì il 3 agosto 1914: appena tre mesi dopo il conferimento della porpora, il 3 settembre 1914, Mons. Della Chiesa venne eletto, a sorpresa, al Soglio pontificio: ‘i retroscena del Conclave, ormai noti abbastanza nei circoli romani – scrive Buonaiuti a Houtin il 17 settembre 1914 – mostrano indubbiamente che l’elezione del Cardinal Della Chiesa ha voluto rappresentare l’indicazione di un governo ecclesiastico che fosse l’antitesi perfetta del regime di Pio X’. Quattro mesi dopo la morte di Pio X, mons. Eudoxe Mignot (1842-1918), arcivescovo di Albi, fece pervenire al cardinale Ferrata, primo Segretario di Stato del neoeletto Benedetto XV, un Memoriale in cui si attaccava duramente il movimento di reazione antimodernista promosso da san Pio X e invitava la santa Sede a una politica di ‘riconciliazione’ con i modernisti. Il 13 ottobre 1914, nominando, dopo il cardinale Ferrata, il cardinale Pietro Gasparri suo Segretario di Stato, Benedetto XV manifestò la sua decisa volontà di mutare l’orientamento del pontificato piano, tornando alla linea di governo ‘rampolliana’ abbandonata da San Pio X. Benedetto XV, in accordo con il cardinale Gasparri, smantellò il Sodalitium pianum (78) e tese la mano, senza successo, a Buonaiuti” (79). Il caso del Sodalitium pianum di Mons. Benigni non fu l’unico: Mons. Volpi fu privato della diocesi (80), i fratelli Monsignori Scotton furono privati di quel periodico, La Riscossa, che Leone XIII e Pio X aveva loro affidato, e vessati dal loro vescovo, estimatore di Fogazzaro, morendone di dolore (81), mentre al contrario tanti che erano stati sospetti di modernismo venivano riabilitati: tra di essi, un certo Angelo Giuseppe Roncalli, segretario del Vescovo di Bergamo, Mons. Radini Tedeschi… (82), e segreto ammiratore dell’americanismo condannato da Leone XIII (83). Bastano, questi elementi, per far pensare ad una affiliazione massonica, e perfino luciferina, di Rampolla e dei membri della sua “scuola”? A mio parere assolutamente no, e lo stesso Henri Coston è ben lungi dall’avere quelle certezze che contraddistinguono autori meno seri e intellettualmente meno onesti. Non massoni, pertanto, fino a prova del contrario, ma incapaci di riconoscere nel pontificato di San Pio X e nella lotta senza quartiere contro l’eresia modernista la grande battaglia del nostro tempo. Credettero, troppo facilmente, che l’eresia fosse vinta. Credettero che vi fossero state esagerazioni e zelo amaro nel combatterlo. Così, al termine del pontificato di Benedetto XV “l’aspro dibattito che aveva contrapposto il modernismo all’antimodernismo andò estinguendosi. Si aprì una stagione di apparente tregua in cui il modernismo parve inabissarsi e l’antimodernismo dissolversi” (79). I fatti, però, non hanno smentito il “pessimismo” di San Pio X ma le loro previsioni, veramente troppo ottimistiche. Il modernismo, che per sua natura non vuol lasciare la Chiesa ma cambiarla dal di dentro (84), dal seno e dalle viscere stesse della Chiesa, per usare l’espressione di San Pio X, non era morto. Tutt’altro. Come l’animale ferito e in pericolo, aveva fatto il morto, ma in realtà, eliminati i ringhiosi “cani da guardia” della fede, che magari a volte avevano abbaiato alla persona sbagliata, ma che sempre avevano difeso la Chiesa, era pronto a rialzare la testa. Canonizzando San Pio X, Papa Pacelli dimostrò invece che era vano quell’ottimismo, quell’irenismo, e che coloro che sotto San Pio X e con San Pio X avevano alzato la bandiera di un cattolicesimo integro da ogni compromesso avevano avuto ragione. L’enciclica Humani generis del 12 agosto 1950 condannava infatti la “Nouvelle Théologie”, il neo-modernismo che serpeggiava oltralpe dei vari Congar, Chenu, de Lubac, Danielou… mentre un cardinale arcivescovo di Parigi Suhard, invece, denunciava ancora il pericolo “integrista”: lo scontro d’inizio secolo non era ancora veramente concluso. Venne il Vaticano II. Il Vaticano II altro non è che una battaglia, persa, di questa secolare guerra dell’ortodossia cattolica contro l’eresia dei tempi nostri, il modernismo; e in questo caso, senza dubbio, la massoneria svolse il suo ruolo. La storia, si dice, è maestra di vita; mai maestra, però, fu più inascoltata. San Pio X operò chirurgicamente il tumore mortale, ma in seguito, pensando a una pronta e definitiva guarigione, s’interruppero delle cure considerate troppo dure e amare. Lo sfacelo attuale che, a cent’anni dall’enciclica Pascendi, devasta la Chiesa è sotto gli occhi di tutti, e già l’avrebbe portata alla morte, se ciò non fosse impossibile per promessa divina. Non ripetiamo l’errore dei nostri padri, non rallentiamo la lotta antimodernista, rendiamoci conto che l’eresia è il lupo rapace davanti al quale il pastore non deve fuggire, ma piuttosto esporre la vita. Oggi, dopo un secolo di lotte, sappiamo, più di ieri, che San Pio X aveva ragione.
L’accusa. Ma allora voi siete strenui sostenitori del cardinal Rampolla e della sua “scuola”! Risposta. Niente affatto. È lecito, allo storico, col dovuto rispetto, con obbiettività, con riferimento alle fonti documentarie, formarsi un’opinione sulle vicende storiche della Chiesa e dei suoi ministri. Abbiamo già visto qual fosse, nel 1913, l’opinione non certo lusinghiera di Mons. Benigni sul cardinale Rampolla del Tindaro. Sappiamo che a sua volta, il cardinal Gasparri aveva una pessima opinione di Mons. Benigni e del Sodalitium pianum, al punto che il Segretario di Stato di Benedetto XV e Pio XI testimoniò contro la canonizzazione di San Pio X perché Papa Sarto aveva favorito e sostenuto questo sodalizio e, in genere, le posizioni cattoliche integrali. La Chiesa ha giudicato diversamente dal cardinal Gasparri, ed ha canonizzato il Papa che condannò il modernismo, rispondendo a queste e simili obiezioni con la “Disquisitio circa quasdam obiectiones modum agendi Servi Dei respicientes in modernismi debellatione…” che il Padre (poi cardinale) Antonelli o.f.m., per la S. Congregazione dei Riti redasse nel 1950. Papa Pio XII (che conobbe personalmente e da vicino tutti i protagonisti di questa vicenda, Pio X, Gasparri, Benigni ecc.) (75) dichiarò, il 3 giugno 1951, che Pio X era Beato, e il 29 maggio 1954 che doveva essere contato nel numero dei Santi. Non era questa, abbiamo visto, l’opinione di tutti, anche nella Chiesa e nella Curia Romana, al momento della morte di Pio X, e anche prima, se il Santo Pontefice ripeteva amaramente: de gentibus non est vir mecum. Ho già citato la testimonianza di Filippo Crispolti, amico di Benedetto XV. Dopo la condanna del modernismo con l’enciclica Pascendi, il marchese Crispolti, appartenente quindi “alla scuola Rampolla”, venne ricevuto in udienza da Pio X e con lui si rallegrò “dell’effetto salutare che l’Enciclica avrebbe avuto e già mostrava di avere”. “Egli mestamente mi chiese: ‘Lei lo crede?’ E siccome io soggiunsi che il mio non era un complimento ma una persuasione ragionata, egli mostrò curiosità di queste ragioni e io gliele esposi”. Esse però non furono convincenti: “Il Papa ascoltò: le mie parole non gli parvero mal ragionate. Ma invece di convenire com’io per suo conforto desideravo, che un tal ragionamento (…) sarebbe stato efficace sugli animi dei modernisti o dei propensi al modernismo, egli continuò a scuotere il capo. Era ancora un uomo che ha compiuto un atto solenne, perché davanti a Dio n’aveva obbligo, ma quanto agli effetti rimase pessimista. E sì – conclude il Crispolti – che per riconoscere come il colpo da lui dato al modernismo fosse stato veramente mortale, pochi anni bastarono!” (76). Crispolti pensava che i fatti avevano dato ragione al suo ottimismo, e smentito quel Papa che “vide sempre in nero le condizioni della Chiesa che gli toccava di reggere”. Egli era convinto che il modernismo fosse vinto, e che il danno venisse semmai dagli antimodernisti, gli “zelanti”, i quali, secondo una parola dettagli dal cardinal Maffi, si sarebbero fatti un pretesto della Pascendi “per le solite loro violenze ed accuse” (77). Alla morte di San Pio X il Conclave esitò appunto tra il nome del Cardinal Maffi, Vescovo di Pisa, e quello del Cardinal Della Chiesa, Vescovo di Bologna, entrambi critici del pontificato del loro predecessore, ed ostili a quegli “zelanti” che si accanivano a condannare… un uomo morto (il modernismo). Nulla mutò nel magistero della Chiesa, che continuò a condannare l’errore modernista, e a propagare la Santa Fede. Cambiò, però, l’orientamento del pontificato. “Tra i modernisti e gli antimodernisti esisteva un ‘terzo partito’ impersonato fino al 1913 dal cardinale Mariano Rampolla del Tindaro (…). Rampolla, nel 1901, aveva scelto come suoi collaboratori diretti mons. Giacomo Della Chiesa e mons. Pietro Gasparri. (…) Pio X, dopo aver nominato segretario di Stato il cardinale Merry del Val, aveva allontanato dalla segreteria di Stato entrambi i protetti del Cardinal Rampolla [i quali, comunque, furono entrambi elevati alla porpora da San Pio X: Gasparri nel 1907, e Della Chiesa – a sorpresa – nel 1914, n.d.a.]. (…) Pio X morì il 3 agosto 1914: appena tre mesi dopo il conferimento della porpora, il 3 settembre 1914, Mons. Della Chiesa venne eletto, a sorpresa, al Soglio pontificio: ‘i retroscena del Conclave, ormai noti abbastanza nei circoli romani – scrive Buonaiuti a Houtin il 17 settembre 1914 – mostrano indubbiamente che l’elezione del Cardinal Della Chiesa ha voluto rappresentare l’indicazione di un governo ecclesiastico che fosse l’antitesi perfetta del regime di Pio X’. Quattro mesi dopo la morte di Pio X, mons. Eudoxe Mignot (1842-1918), arcivescovo di Albi, fece pervenire al cardinale Ferrata, primo Segretario di Stato del neoeletto Benedetto XV, un Memoriale in cui si attaccava duramente il movimento di reazione antimodernista promosso da san Pio X e invitava la santa Sede a una politica di ‘riconciliazione’ con i modernisti. Il 13 ottobre 1914, nominando, dopo il cardinale Ferrata, il cardinale Pietro Gasparri suo Segretario di Stato, Benedetto XV manifestò la sua decisa volontà di mutare l’orientamento del pontificato piano, tornando alla linea di governo ‘rampolliana’ abbandonata da San Pio X. Benedetto XV, in accordo con il cardinale Gasparri, smantellò il Sodalitium pianum (78) e tese la mano, senza successo, a Buonaiuti” (79). Il caso del Sodalitium pianum di Mons. Benigni non fu l’unico: Mons. Volpi fu privato della diocesi (80), i fratelli Monsignori Scotton furono privati di quel periodico, La Riscossa, che Leone XIII e Pio X aveva loro affidato, e vessati dal loro vescovo, estimatore di Fogazzaro, morendone di dolore (81), mentre al contrario tanti che erano stati sospetti di modernismo venivano riabilitati: tra di essi, un certo Angelo Giuseppe Roncalli, segretario del Vescovo di Bergamo, Mons. Radini Tedeschi… (82), e segreto ammiratore dell’americanismo condannato da Leone XIII (83). Bastano, questi elementi, per far pensare ad una affiliazione massonica, e perfino luciferina, di Rampolla e dei membri della sua “scuola”? A mio parere assolutamente no, e lo stesso Henri Coston è ben lungi dall’avere quelle certezze che contraddistinguono autori meno seri e intellettualmente meno onesti. Non massoni, pertanto, fino a prova del contrario, ma incapaci di riconoscere nel pontificato di San Pio X e nella lotta senza quartiere contro l’eresia modernista la grande battaglia del nostro tempo. Credettero, troppo facilmente, che l’eresia fosse vinta. Credettero che vi fossero state esagerazioni e zelo amaro nel combatterlo. Così, al termine del pontificato di Benedetto XV “l’aspro dibattito che aveva contrapposto il modernismo all’antimodernismo andò estinguendosi. Si aprì una stagione di apparente tregua in cui il modernismo parve inabissarsi e l’antimodernismo dissolversi” (79). I fatti, però, non hanno smentito il “pessimismo” di San Pio X ma le loro previsioni, veramente troppo ottimistiche. Il modernismo, che per sua natura non vuol lasciare la Chiesa ma cambiarla dal di dentro (84), dal seno e dalle viscere stesse della Chiesa, per usare l’espressione di San Pio X, non era morto. Tutt’altro. Come l’animale ferito e in pericolo, aveva fatto il morto, ma in realtà, eliminati i ringhiosi “cani da guardia” della fede, che magari a volte avevano abbaiato alla persona sbagliata, ma che sempre avevano difeso la Chiesa, era pronto a rialzare la testa. Canonizzando San Pio X, Papa Pacelli dimostrò invece che era vano quell’ottimismo, quell’irenismo, e che coloro che sotto San Pio X e con San Pio X avevano alzato la bandiera di un cattolicesimo integro da ogni compromesso avevano avuto ragione. L’enciclica Humani generis del 12 agosto 1950 condannava infatti la “Nouvelle Théologie”, il neo-modernismo che serpeggiava oltralpe dei vari Congar, Chenu, de Lubac, Danielou… mentre un cardinale arcivescovo di Parigi Suhard, invece, denunciava ancora il pericolo “integrista”: lo scontro d’inizio secolo non era ancora veramente concluso. Venne il Vaticano II. Il Vaticano II altro non è che una battaglia, persa, di questa secolare guerra dell’ortodossia cattolica contro l’eresia dei tempi nostri, il modernismo; e in questo caso, senza dubbio, la massoneria svolse il suo ruolo. La storia, si dice, è maestra di vita; mai maestra, però, fu più inascoltata. San Pio X operò chirurgicamente il tumore mortale, ma in seguito, pensando a una pronta e definitiva guarigione, s’interruppero delle cure considerate troppo dure e amare. Lo sfacelo attuale che, a cent’anni dall’enciclica Pascendi, devasta la Chiesa è sotto gli occhi di tutti, e già l’avrebbe portata alla morte, se ciò non fosse impossibile per promessa divina. Non ripetiamo l’errore dei nostri padri, non rallentiamo la lotta antimodernista, rendiamoci conto che l’eresia è il lupo rapace davanti al quale il pastore non deve fuggire, ma piuttosto esporre la vita. Oggi, dopo un secolo di lotte, sappiamo, più di ieri, che San Pio X aveva ragione.