Fonte: Regno Lombardo Veneto / Königreich Lombardo Venetien
Molto spesso nel descrivere il turbolento bienno 1848-1849 in Lombardia e nel Veneto, al fine di avvalorare l'importanza dei movimenti di stampo risorgimentale, si racconta che quasi tutte le truppe imperiali reclutate nel Lombardo-Veneto per solidarietà “nazionale” si rifiutarono di obbedire e che decisero di aiutare la rivolta (alternativamente è proposta la versione secondo cui le truppe “italiane” venivano spedite nelle remote provincie dell'Impero sia per disprezzo sia per evitare che gli ideali delle correnti risorgimentali potessero comprometterne la fedeltà).
Entrambe queste versioni sono però o false o poco fedeli alla realtà.
In questi paragrafi presi dall'opera di Karl Schönhals “Memorie della Guerra d'Italia degli anni 1848-1849” si capisce di come le cose andarono sensibilmente diversamente.
Schönhals in questo pezzo riassume la situazione delle forze militari di stanza a Milano e nel resto del Lombardo-Veneto, alla vigilia dello scoppio dei disordini pubblici. Emerge una situazione non così critica in quanto le truppe erano ben fornite di uomini e di munizioni. Nella parte finale del seguente paragrafo viene fatto presente che un terzo delle truppe di stanza in Lombardia e nel Veneto erano composte da soldati arruolati nei territori italiani dell'Impero, soldati che (nonostante fossero inizialmente motivo di preoccupazione per i generali dell'esercito a causa di un loro possibile passaggio nelle file del nemico) avevano sempre dimostrato “tanta fedeltà alle loro bandiere”.
“La guarnigione di Milano sommava a 10 battaglioni, 5 squadroni e 6 batterie; le caserme erano strapiene, alloggiarvi un maggior numero di truppe era impossibile, e naturalmente impossibilissimo un aquartamento comune. L'esercito era diviso in due corpi. Il primo comandato dal Tenente maresciallo conte Wratislaw trovavasi in Lombardia ed aveva il suo quartier generale a Milano; il secondo comandato dal Tenente-Maresciallo barone d'Aspre, era stanziato nel Veneto con quartier generale a Padova. Le truppe erano in ottimo stato, sufficientemente provviste di munizioni, ma non armate sul piede di guerra, e per un tal caso difettavano specialmente di mezzi di trasporto. Venti battaglioni unitamente al reggimento di gendarmeria, quindi un buon terzo di quelle truppe, erano composte da italiani. Era questo senza dubbio un grande inconveniente, massime in un movimento, che assumeva un carattere nazionale. Ma quelle truppe avevano fin allora manifestato un eccellente spirito, ed in ogni occasione dato prove di tanta fedeltà ed affezione alle loro bandiere, che non v'era motivo a sospettare della loro devozione.”
Dopo aver dato una panoramica generale delle forze militari dell'esercito imperiale, Schönhals passa a raccontare la strategia attuata dai rivoltosi i quali più che attaccare i battaglioni arruolati nel Lombardo-Veneto, scelsero di “amicarsi” i soldati per poterli portare dalla propria parte. Questa strategia, per i motivi qui di seguito presentati dall'autore, si rivelò in parte efficace, anche se non portò alcun contribuito alle forze in rivolta.
“Il grande sbaglio che i rivoluzionari commisero insultando ed assalendo il militare fu tosto avvertito dai loro capi, che cercarono di porvi rimedio in tutti i modi possibili. Ogni mezzo che uno possa immaginarsi fu posto in opera per amicarsi il soldato […]. Mentre, per esempio, i due primi battaglioni del reggimento Arciduca Alberto passava in massa alla rivoluzione*, il terzo sotto il comando del bravo Maggiore Plietz si manteneva fedele e sebbene fosse composto pressochè interamente da Milanesi lasciò coll'altre truppe Milano, dove non ritornò che alli 6 agosto con tutto l'esercito. Quattro compagnie dell'8° battaglione di cacciatori defezionarono, due rimasero fedeli, e le stesse circostanze si manifestarono in diversi altri reggimenti.”
Se è vero che molti soldati disertarono, è anche vero che non ebbero alcuna intenzione di rivelarsi di aiuto per le truppe rivoltose (spalleggiate dalle truppe di Carlo Alberto). Schönhals, infatti, afferma che degli otto mila soldati (su ventimila disertori) che i piemontesi riuscirono a raccogliere, nessuno di questi si rivelò di una qualche importanza poiché nessuno di loro partecipò ad uno scontro con le forze dell'Impero Austriaco.
“Laonde la maggior parte di quelle truppe che passarono alla rivoluzione nol fecero assolutamente se non nella mira di approfittare di quell'occasione per liberarsi del servizio militare. Infatti pressochè tutte si sciolsero e n'andarono a casa loro. Se ciò non fosse stato, e se tutte le truppe che allora disertarono fossero passate immediatamente al servizio della rivoluzione, la Lombardia avrebbe tosto fornito all'esercito di Carlo Alberto un rinforzo di venti mila soldati ben addestrati e muniti di armi austriache. La qual cosa, come ognun sa, non avvenne. A fatica si potè runare una forza di ottomila uomini dalla quale Carlo Alberto non ebbe alcun profitto; chè non ci è noto ch'ella andasse una sol volta al fuoco”.
*Schönhals precisa che la gran parte delle diserzioni fu risolta abbastanza velocemente da Radetzky, che riuscì a riportare sotto il proprio comando buona parte dei disertori concedendo ampia amnistia.
Se quindi è vero che le diserzioni dei soldati arrecarono qualche ostacolo alla gestione della situazione, è anche vero che essi non fornirono alcun aiuto al progetto di Carlo Alberto di Savoia e del suo governo di annettere la Lombardia e il Veneto al Regno di Sardegna.