giovedì 18 dicembre 2014

Vescovi australiani: il celibato può provocare pedofilia

Chiesa cattolica shock: “Abusi sui minori sono dovuti al celibato”
La Chiesa cattolica australiana ha riconosciuto per la prima volta che il voto di celibato può aver contribuito a decenni di abusi sessuali commessi dal clero su migliaia di minori. La Chiesa inoltre raccomanda un addestramento continuato in materia di “sviluppo psico-sessuale”.

Ignoranza, malafede o il consueto tafazzismo postconciliare? Ricordiamo, dati alla mano, che la realtà della pedofilia nel clero cattolico è ben diversa dalla vulgata pubblica, come si potrà leggere nello studio (2007) che riportiamo in fondo a questo articolo.

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La Chiesa cattolica australiana sostiene l’esistenza di un rapporto diretto tra le molestie sessuali fatte da rappresentanti del clero sui minori e il voto di celibato obbligatorio. Lo si legge in un report sottoscritto dal Consiglio per la verità, la giustizia e la guarigione (qui il pdf) composto dagli arcivescovi delle cinque più importanti diocesi australiane (Melbourne, Brisbane, Perth, Canberra e Adelaide). Un report che è il contributo della Chiesa australiana alla Commissione nazionale d’inchiesta che sta indagando sulle criticità delle istituzioni nella lotta contro la pedofilia. Il rapporto degli arcivescovi cattolici è particolarmente importate per la Commissione nazionale, visto che delle oltre 1.600 vittime ascoltate il 60% ha dichiarato di aver subito molestie in ambienti religiosi (nel 68% dei casi erano “luoghi” cattolici) quando aveva tra i 9 e i 10 anni.
Si legge in apertura delle 40 pagine del report che “i vertici religiosi hanno chiuso un occhio troppe volte, fingendo che nulla stesse accadendo. Ma ora la Chiesa deve assumersi le sue responsabilità per gli abusi avvenuti in passato, riconoscendo come la cultura ‘clericale’ non abbia risposto adeguatamente nella lotta contro la pedofilia” [ricordiamo che la Chiesa, societas perfecta e Corpo Mistico di Nostro Signore, non pecca e non deve certo chiedere scusa o assumersi la responsabilità dei peccati commessi da suoi membri che, consapevolmente e con malizia particolare dovuta al loro stato, si separano da Cristo per seguire i propri istinti belluini]. Più oltre si legge anche che “tutto il clero dovrebbe chiedere perdono”. Il che – per quanto possa essere giustificata l’accusa di “clericalismo” e corporativismo mossa a certi ambienti ecclesiali, attenti al potere piuttosto che al servizio – non è accettabile né dal punto di vista logico né dal punto di vista morale.
Un appello che è stato ripreso anche da Neville John Owen, ex giudice della Corte suprema in Australiana occidentale ora membro della Commissione nazionale d’inchiesta: “La Chiesa deve accettare apertamente i fallimenti del passato e tracciare una nuova rotta per il futuro. La società ha bisogno di essere convinta che si arriverà ad una soluzione del problema”.
Riconoscendo pubblicamente il ruolo potenziale del celibato, il rapporto stabilisce un precedente internazionale, in aperto contrasto con un recente rapporto della Conferenza dei vescovi cattolici in Usa, secondo cui il celibato non può invece essere considerato responsabile dell’epidemia di abusi. Francis Sullivan, che dirige il Consiglio per la Verità, la Giustizia e la Guarigione, ed è anche ex segretario dell’Associazione australiana medici, crede che la Chiesa debba assolutamente esaminare “come degli individui che hanno scelto di rimanere celibi possano mantenere un sano equilibrio”.
Più equilibrato quanto riferisce The Guardian, che riporta diverse affermazioni condivisibili: Francis Sullivan ha sottolineato l’importanza dell’educazione alla consapevolezza emozionale, psicologica e sessuale dei preti, a causa del loro ambiente di servizio, molto prossimo e “intimo” alle persone, che rende necessario avere chiari i confini invalicabili tra ciò che è appropriato e ciò che non lo è. Ha inoltre specificato che il gruppo di ricerca non suggerisce l’abolizione del celibato ecclesiastico, ma una maggiore attenzione perché i chierici possano rispettarlo, e che il “processo selettivo” delle vocazioni sacerdotali può aver giocato un ruolo nell’ignorare o nel coprire gli abusi.

Fonti: qui, qui e qui
 


Quanti sono i preti “pedofili”?



[…] Quanti sono i preti “pedofili”? Lo storico e sociologo Philip Jenkins, in una serie di opere (la fondamentale Pedophiles and Priests. Anatomy of a Contemporary Crisis, Oxford University Press, Oxford – New York 1996; Moral Panic. Changing Concepts of the Child Molester in Modern America, Yale University Press, New Haven – Londra 1998; The New Anti-Catholicism. The Last Acceptable Prejudice, Oxford University Press, Oxford – New York 2003) ha mostrato come l’uso di statistiche folkloriche – cioè senza base scientifica, ma che passano da un talk show e da un articolo di giornale all’altro – sia alla base della costruzione di “panici morali”, cioè dell’errata percezione di problemi assolutamente reali e drammatici di cui però sono esagerate le dimensioni. […]
Come nota Jenkins – non senza un pregiudizio anticattolico – i media hanno anzitutto creato uno straordinaria confusione sulla parola “pedofilia”. La pedofilia è definita dai manuali medici (tra cui il diffuso DSM-IV) come “l’attività sessuale ricorrente [di adulti] con bambini prepuberi”. Naturalmente l’età della pubertà varia nei singoli casi, ma le stesse fonti – ai fini statistici – considerano “pedofilia” l’attività sessuale con minori di undici anni. Quando si parla di “pedofilia” per tutti i casi di rapporti sessuali di sacerdoti con minorenni si dice, semplicemente, una sciocchezza. Un sacerdote di trent’anni che scappa con una parrocchiana di sedici viola certamente la morale cattolica e secondo le leggi di molti paesi commette anche un reato, ma non è certamente un pedofilo. Né lo è, tecnicamente, chi va con una dodicenne per quanto il suo comportamento sia ripugnante e sia più che giusto sanzionarlo. […]
[Le] statistiche [relative agli USA] ci dicono che dal 1950 al 2002 4.392 sacerdoti americani (su oltre 109.000) sono stati accusati di relazioni sessuali con minorenni. Di questi poco più di un centinaio sono stati condannati da tribunali civili. Il basso numero di condanne da parte dello Stato deriva da diversi fattori. In alcuni casi le vere o presunte vittime hanno denunciato sacerdoti già defunti, o sono scattati i termini della prescrizione. In altri, all’accusa e anche alla condanna canonica non corrisponde la violazione di alcuna legge civile (è il caso, per esempio, in diversi Stati americani del sacerdote che abbia una relazione con una – o anche un – minorenne maggiore di sedici anni e consenziente). Tuttavia il National Review Board è stato anche criticato per non avere dedicato sufficiente spazio, nel suo commento, al fatto che ci sono stati molti casi clamorosi di sacerdoti innocenti accusati: e Jenkins ritiene che questi si siano moltiplicati negli anni 1990 quando alcuni studi legali hanno capito di poter strappare transazioni milionarie anche sulla base di semplici sospetti. Le cifre non cambiano in modo significativo aggiungendo il periodo 2002-2007, perché già lo studio del John Jay College notava il “declino notevolissimo” dei casi negli anni 2000: le nuove inchieste sono state poche, e le condanne pochissime (un effetto delle politiche di “tolleranza zero” dei vescovi americani ma certo anche delle misure più rigorose introdotte dal cardinale Ratzinger come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede).
Dallo studio del John Jay College si può concludere, come si legge spesso, che il quattro per cento dei sacerdoti americani sono “pedofili”? Niente affatto. Secondo lo stesso studio il 78,2% delle accuse si riferisce a minorenni che hanno superato la pubertà. Dunque i sacerdoti accusati di pedofilia sono 958 in cinquantadue anni, diciotto all’anno. […] le condanne penali di preti (veramente) pedofili negli Stati Uniti sono state nel periodo 1950-2002 poco più di una all’anno, il che ci dice quanto seriamente vadano prese certe affermazioni televisive.
Jenkins aggiunge un altro elemento, tutt’altro che poco importante. Per sapere se la Chiesa cattolica sia un ambiente particolarmente favorevole alla pedofilia – e il sacerdozio sia uno stato di vita “a rischio” – occorrerebbe paragonare le statistiche sui sacerdoti cattolici a quelle sui pastori protestanti, i rabbini, gli imam e i maestri delle scuole e degli asili statali. Per tutte queste categorie non risultano a Jenkins dati sulle accuse raccolti con la stessa sistematicità con cui si è studiato il caso dei sacerdoti cattolici; ma i dati sulle condanne mostrano che la percentuale è simile, e in alcuni casi più alta, rispetto ai preti della Chiesa cattolica. Per Jenkins questo dato smonta, tra l’altro, la tesi più volte ripetuta secondo cui è il celibato sacerdotale a essere responsabile della pedofilia. I pastori protestanti e i maestri di scuola e di asilo sono in maggioranza sposati, eppure tra loro c’è una percentuale di pedofili condannati analoga o più alta rispetto ai sacerdoti cattolici. Come ha ricordato il cardinale arcivescovo di Sydney, George Pell (e i dati di Jenkins lo confermano), il novanta per cento dei pedofili sono sposati. Semmai – per quanto non sia politicamente corretto dirlo – i dati confermano che il rischio pedofilia è maggiore tra gli omosessuali. […] Secondo il rapporto del John Jay College l’81% dei sacerdoti accusati di rapporti con minori nel periodo 1950-2002 avevano un orientamento omosessuale. Tuttavia quando Benedetto XVI ha raccomandato ai vescovi americani maggiore cautela prima di ordinare come sacerdoti seminaristi che manifestano un orientamento omosessuale, gli stessi media – compresa la BBC – che invocano misure durissime contro il rischio pedofilia l’hanno accusato di essere “omofobo”. Dov’è l’errore?

Fonte