Ignem veni mittere in terram, et quid volo nisi ut accendatur? (Luc. XII, 49). [1]
Solennizzavano gli ebrei un giorno chiamato da essi dies ignis, giorno del fuoco, in memoria del fuoco col quale Neemia consumò il sagrificio, allorché ritornò co’ suoi nazionali dalla schiavitù di Babilonia.[2] Così ancora, anzi con maggior ragione dovrebbe chiamarsi il giorno di Natale, giorno di fuoco, in cui viene un Dio da bambino a metter fuoco d’amore ne’ cuori degli uomini. Ignem veni mittere in terram, così disse Gesù Cristo, e in verità così fu. Prima della venuta del Messia, chi amava Dio sulla terra? Appena era egli conosciuto in un cantone del mondo, cioè nella Giudea; ed ivi pure quanti pochi erano quelli che l’amavano nel tempo che venne. Nel resto poi della terra chi adorava il sole, chi le bestie, chi le pietre, e chi altre creature più vili. Ma dopo ch’è venuto Gesù Cristo, il nome di Dio per tutto è stato conosciuto, e da molti amato. Fu più amato Dio dopo la venuta del Redentore tra pochi anni dagli uomini, accesi già da questo santo fuoco, che non era stato amato prima per quattro mila anni, da che gli uomini erano stati creati.
Molti Cristiani sogliono per lungo tempo avanti preparare nelle loro case il presepio,[3] per rappresentare la nascita di Gesù Cristo; ma pochi son quelli che pensano a preparare i loro cuori, affinché possa nascervi in essi e riposarvi Gesù bambino. Ma tra questi pochi vogliamo essere ancora noi, acciocché ancora noi siam fatti degni di restare accesi da questo felice fuoco, che rende l’anime contente in questa terra e beate nel cielo.- Consideriamo in questo primo giorno che il Verbo Eterno appunto a questo fine da Dio si fece uomo,[4] per infiammarci del suo divino amore. Cerchiamo lume a Gesù Cristo ed alla sua[5] santissima Madre, e cominciamo.
Pecca Adamo il nostro primo padre; ingrato a tanti benefici ricevuti, si ribella da Dio, disubbedendo al precetto di non cibarsi del pomo vietato. Dio perciò è obbligato a cacciarlo qui in terra dal paradiso terrestre, ed a privare in futuro così Adamo, come tutti i discendenti di questo ribelle, del paradiso celeste ed eterno, che loro avea preparato dopo questa vita temporale. Ecco dunque gli uomini tutti condannati ad una vita di pene e di miserie, e per sempre esclusi dal cielo. Ma ecco Dio, come ci avvisa Isaia (Cap. LII), che a nostro modo d’intendere par che afflitto si lamenti, e pianga dicendo: Et nunc quid mihi est hic, dicit Dominus, quoniam ablatus est populus meus gratis? (Is. LII, 5). Ed ora, dice Dio, che mi è restato di delizia in paradiso, ora che ho perduto gli uomini ch’erano la mia delizia? Deliciae meae esse cum filiis hominum (Prov. 8, 31). Ma come, Signore, voi tenete in cielo tanti serafini, tanti angeli, e tanto vi accora l’aver perduti gli uomini? Ma che bisogno avete voi e degli angeli e degli uomini per compimento della vostra beatitudine? Voi sempre siete stato e siete in voi stesso felicissimo; che cosa mai può mancare alla vostra felicità ch’è infinita? Tutto è vero, dice Dio, ma perdendo l’uomo – gli fa dire Ugon cardinale sul citato testo d’Isaia – Non reputo aliquid me habere;[6] io stimo di aver perduto tutto, mentre la delizia mia era di stare cogli uomini, ed ora questi uomini io gli ho perduti, ed essi i miseri son condannati a vivere per sempre lontani da me. Ma come può dire il Signore che gli uomini sono la sua delizia? Sì, scrive S. Tommaso, Dio ama tanto l’uomo, come se l’uomo fosse suo Dio, e come se egli senza l’uomo non potesse esser felice: Quasi homo Dei deus esset, et sine ipso beatus esse non posset (Opusc. LXIII, cap. 7).[7] Soggiunge S. Gregorio Nazianzeno, e dice che Dio per l’amore che porta agli uomini par che sia uscito di se: Audemus dicere quod Deus prae magnitudine amoris extra se sit (Epist. VIII).[8] Correndo già il proverbio che l’amore trae l’amante fuori di sé: Amor extra se rapit.
Ma no, disse poi Dio, io non voglio perdere l’uomo; via si trovi un Redentore che per l’uomo soddisfi la mia giustizia, e così lo riscatti dalle mani de’ suoi nemici, e dalla morte eterna a lui dovuta. Ma qui contempla S. Bernardo (Serm. I, in Annunc.), e si figura di vedere in contesa la giustizia e la misericordia divina. La giustizia dice: Io son perduta, se Adamo non è punito: Perii, si Adam non moriatur. La misericordia all’incontro dice: Io son perduta, se l’uomo non è perdonato: Perii, nisi misericordiam consequatur. In tal contesa decide il Signore che per salvare l’uomo reo di morte muoia un innocente: Moriatur qui nihil debeat morti.[9] In terra non vi era chi fosse innocente. Dunque, disse l’Eterno Padre, giacché tra gli uomini non v’è chi possa soddisfare la mia giustizia, via su, chi vuole andare a redimere l’uomo? Gli angeli, i cherubini, i serafini, tutti tacciono, niuno risponde; solo risponde il Verbo Eterno, e dice: Ecce ego, mitte me.[10] Padre, gli dice l’unigenito Figlio, la vostra maestà, essendo ella infinita, ed essendo stata offesa dall’uomo, non può esser ben soddisfatta da un angelo ch’è pura creatura; e benché voi vi contentaste della soddisfazione di un angelo, pensate che dall’uomo sinora con tanti benefici a lui fatti, con tante promesse e con tante minacce, pure non abbiam potuto ancora ottenere il suo amore, perché non ha conosciuto sinora l’amore che gli portiamo; se vogliamo obbligarlo senza meno ad amarci, che più bella occasione di questa possiamo trovare, che per redimerlo vada io vostro Figlio in terra, ivi io prenda carne umana, ed io pagando colla mia morte la pena da lui dovuta, così contenti appieno la vostra giustizia, e resti all’incontro l’uomo ben persuaso del nostro amore?
Ma pensa, o Figlio, gli rispose il Padre, pensa che addossandoti il peso di pagare per l’uomo, avrai da fare una vita tutta di pene. Non importa, disse il Figlio: Ecce ego, mitte me. Pensa che avrai da nascere in una grotta, che sarà stalla di bestie; di là dovrai fanciullo andare fuggiasco in Egitto, per fuggire dalle mani degli stessi uomini, che sin da fanciullo cercheranno di toglierti la vita. Non importa: Ecce ego, mitte me. Pensa che ritornato poi nella Palestina, ivi dovrai fare una vita troppo dura e disprezzata, vivendo da semplice garzone d’un povero artigiano. Non importa: Ecce ego, mitte me. Pensa che quando poi uscirai a predicare ed a manifestare chi sei, avrai sì bene alcuni, ma pochi, che ti seguiranno, ma la maggior parte ti disprezzeranno, chiamandoti impostore, mago, pazzo, samaritano; e finalmente ti perseguiteranno a tal segno che ti faran morire svergognato su d’un legno infame a forza di tormenti. Non importa: Ecce ego, mitte me.
Fatto dunque il decreto che ‘l divin Figlio si faccia uomo, ed egli sia il Redentore degli uomini, s’invia l’arcangelo Gabriele a Maria; Maria l’accetta per figlio: Et Verbum caro factum est.[11] Ed ecco Gesù nell’utero di Maria, ch’entrato già nel mondo, tutto umile e ubbidiente dice: Giacché, Padre mio, non possono gli uomini soddisfare la vostra giustizia da loro offesa, colle loro opere e sagrifici, ecco me tuo Figlio, vestito già di carne umana, a soddisfarla colle mie pene e colla mia morte in vece degli uomini. Ideo ingrediens mundum, dicit: Hostiam et oblationem noluisti, corpus autem aptasti mihi… tunc dixi: Ecce venio… ut faciam, Deus, voluntatem tuam (Hebr. V, 12).[12]
Dunque per noi miseri vermi, e per cattivarsi il nostro amore, ha voluto un Dio farsi uomo? Sì, è di fede, come c’insegna la santa Chiesa: Propter nos homines, et propter nostram salutem descendit de caelis,… et homo factus est.[13] Sì questo ha fatto un Dio per farsi da noi amare. Alessandro il grande, dopo che vinse Dario e s’impadronì della Persia, egli per tirarsi l’affetto di quei popoli si fé vedere vestito alla persiana.[14] Così appunto par che volle[15] ancor fare il nostro Dio; per tirarsi l’affetto degli uomini, si vesti tutto alla foggia umana, e comparve fatt’uomo: Habitu inventus ut homo (Philip. II, 7). E così volle far vedere dove giungeva l’amore che portava all’uomo: Apparuit… gratia… Salvatoris nostri omnibus hominibus (Tit. II, 11). L’uomo non mi ama, par che dicesse il Signore, perché non mi vede; voglio farmi da lui vedere, e con lui conversare, e cosi farmi amare: In terris visus est, et cum hominibus conversatus est (Baruch, III, 38). L’amor divino verso l’uomo era troppo grande, e tal’era sempre stato ab eterno: In caritate perpetua dilexi te, ideo attraxi te miserans tui (Ier. XXXI, 3). Ma quest’amore non era ancora apparso quanto fosse grande ed incomprensibile. Allora veramente apparve, quando il Figlio di Dio si fé vedere da pargoletto in una stalla su della paglia: Benignitas et humanitas apparuit Salvatoris nostri Dei (Tit. III, 4). Legge il testo greco: Singularis Dei erga homines apparuit amor.[16] Dice S. Bernardo che prima era già apparsa nel mondo la potenza di Dio nella creazione, e la sapienza nel governo del mondo; ma solamente poi nell’Incarnazione del Verbo apparve quanto fosse grande la sua misericordia: Apparuerat ante potentia in rerum creatione, apparebat sapientia in earum gubernatione, sed benignitas misericordiae maxime apparuit in humanitate (S. Bern. Serm. I, de Nat.).[17] Prima che Dio apparisse in terra fatt’uomo, non poteano giungere gli uomini a conoscere quanta fosse la bontà divina; perciò egli prese carne umana, acciocché apparendo da uomo si manifestasse agli uomini la grandezza della sua benignità: Priusquam appareret humanitas, latebat benignitas. Sed unde tanta agnosci poterat? Venit in carne ut, apparente humanitate, agnosceretur benignitas (S. Bern., Serm. I, in Epiph.).[18] E in qual modo poteva meglio il Signore dimostrare all’uomo ingrato la sua bontà e l’amor che gli porta? L’uomo disprezzando Dio, dice S. Fulgenzio, s’era da Dio separato per sempre; ma non potendo più l’uomo ritornare a Dio, venne Dio a trovarlo in terra: Homo Deum contemnens, a Deo discessit, Deus hominem diligens, ad homines venit (S. Fulg., Serm. sup. Nat. Christi).[19] E prima lo disse S. Agostino: Quia ad mediatorem venire non poteramus, ipse ad nos venire dignatus est.[20]
In funiculis Adam traham eos, in vinculis caritatis (Osee XI, 4). Gli uomini si fan tirare dall’amore; i segni d’affetto che taluno loro dimostra son certe catene che gli ligano e gli obbligano quasi per forza ad amare chi l’ama. A questo fine il Verbo Eterno volle farsi uomo per tirarsi con tal segno d’affetto – che maggiore non potea ritrovare – l’amore degli uomini: Deus factus est homo, ut familiarius ab homine diligeretur Deus (UGO de S. Vict., in Lib. Sent.).[21] Ciò appunto par che volesse dare ad intendere il nostro Salvadore ad un divoto religioso francescano, chiamato il P. Francesco di S. Giacomo, come si narra nel Diario francescano a’ 15 di dicembre. Gli si diede a vedere più volte Gesù da vago fanciullo, ma volendolo seco ritenere il divoto frate, il fanciullo sempre fuggiva; onde di tali fughe amorosamente si lagnava il Servo di Dio. Un giorno di nuovo gli apparve il S. Bambino, ma come? Gli si fé vedere con ceppi d’oro in mano, per dargli così ad intendere ch’era allora venuto ad imprigionare lui, e ad essere da lui imprigionato, per più da esso non separarsi. Fatto con ciò ardito Francesco, pose i ceppi al piede del Bambino, e se lo strinse al cuore; ed in fatti di là[22] avanti gli parve di vedersi come nel carcere del suo cuore, fatto suo perpetuo prigioniero, l’amato Bambino.[23] Ciò che fece questa volta Gesù con questo suo servo, ben lo fé con tutti gli uomini allorché si fece uomo; volle già con tal prodigio d’amore esser come da noi incatenato, ed incatenare insieme i nostri cuori, obbligandoli ad amarlo, secondo quel che già aveva predetto per Osea: In funiculis Adam traham eos, in vinculis caritatis.
In diversi modi, dice S. Leone, aveva già Dio beneficato l’uomo; ma in niun modo meglio palesò l’eccesso della sua bontà, che inviandogli il Redentore ad insegnargli la via della salute ed a procurargli la vita della grazia: Diversis modis humano generi bonitas divina munera impertiit, sed abundantiam solitae benignitatis excessit, quando in Christo ipsa ad peccatores misericordia, ad errantes veritas, ad mortuos vita descendit (S. Leo, Serm. 4, de Nativ.).[24] Dimanda S. Tommaso, perché l’Incarnazione del Verbo dicasi opera della Spirito Santo: Et incarnatus est de Spiritu Sancto. È certo che tutte le opere di Dio, chiamate da’ Teologi opera ad extra, sono opere di tutte e tre le divine persone; e perché poi l’Incarnazione si attribuisce alla sola persona dello Spirito Santo? La ragion principale che ne assegna l’Angelico è perché tutte l’opere del divin amore si attribuiscono allo Spirito Santo, ch’è l’amore sostanziale del Padre e del Figlio; e l’opera dell’Incarnazione fu tutta effetto dell’immenso amore che Dio porta all’uomo: Hoc autem ex maximo Dei amore provenit, ut Filius Dei carnem sibi assumeret in utero Virginis (S. Thom., III p., q. 32, a. 1).[25] E ciò volle significare il profeta dicendo: Deus ab austro veniet (Habac. III [3]). A magna caritate Dei in nos effulsit, commenta Ruperto abbate.[26] A tal fine scrive ancora S. Agostino (Cap. 4, de Catech.) venne in terra il Verbo Eterno per far conoscere all’uomo quanto Dio l’amasse: Maxime propterea Christus advenit, ut cognosceret homo quantum eum diligat Deus.[27] E S. Lorenzo Giustiniani (De casto connub., c. 23): In nullo sic amabilem suam hominibus patefecit caritatem, sicut cum Deus homo factus est.[28]
Ma quel che più fa conoscere l’amore divino verso il genere umano, è che venne il Figlio di Dio a cercarlo quando l’uomo lo fuggiva; ciò significò l’Apostolo dicendo: Nusquam… angelos…, sed semen Abrahae apprehendit (Hebr. II , [16]). Commenta S. Grisostomo: Non dixit suscepit, sed apprehendit, ex metaphora insequentium eos qui aversi sunt, ut fugientes apprehendere valeant (Hom. V, in Epist. ad Hebr.).[29] Venne Dio dal cielo quasi ad arrestare l’uomo ingrato che da lui fuggiva, come se gli dicesse: Uomo, vedi che per tuo amore io son venuto a posta in terra a cercarti; perché mi fuggi? Ferma, amami: non fuggire più da me che tanto t’amo.- Venne dunque Dio a cercare l’uomo perduto, ed acciocché l’uomo conoscesse meglio l’amore che questo Dio gli portava, e si rendesse ad amare chi tanto l’amava, volle nella prima volta che l’avesse avuto a mirare visibile, apparirgli da tenero bambino, posto sulle paglie. O paglie beate, più vaghe delle rose e de’ gigli, esclama S. Grisologo, e qual terra fortunata v’ha prodotte! E qual fortuna è mai la vostra in aver la sorte di servire di letto al Re del cielo! Ah! che voi – siegue a dire il santo – siete pur fredde per Gesù, mentre non sapete riscaldarlo in questa umida grotta, dov’egli ora se ne sta tremando di freddo; ma siete fuoco e fiamme per noi, giacché ci somministrate un incendio d’amore che non vagliono a smorzarlo tutte l’acque de’ fiumi: O felices paleas, rosis et liliis pulchriores, quae vos genuit tellus? Non palearum momentaneum, sed perpetuum vos suppeditatis incendium, quod nulla flumina exstinguent, (S. Petr. Chrys., serm. 38).[30]
Non bastò, dice S. Agostino, al divino Amore l’averci fatti ad immagine sua nel creare il primo uomo Adamo, se non si fosse fatto egli poi ad immagine nostra nel redimerci: In homine fecit nos Deus ad imaginem suam; in hac die factus est ad imaginem nostram.[31] Adamo si cibò del pomo vietato, ingannato dal serpente che aveva detto ad Eva che chi avesse assaggiato quel frutto, sarebbe diventato simile a Dio, acquistando la scienza del male e del bene. E perciò disse allora il Signore: Ecce Adam factus est quasi unus ex nobis (Gen., cap. 3).[32] Ciò disse Dio per ironia e per rimproverare l’audacia di Adamo; ma noi dopo l’Incarnazione del Verbo con verità possiam dire: Ecco Dio diventato come uno di noi: Nunc vere dicimus, ecce Deus factus est quasi unus ex nobis (Riccar. de S. Vict.).[33] Guarda dunque, o uomo, parla S. Agostino: Deus tuus factus est frater tuus:[34] il tuo Dio si è fatto come te, figlio di Adamo come sei tu, s’è vestito della stessa tua carne, s’è fatto passibile e soggetto a patire e morire come te. Poteva egli assumer la natura d’angelo; ma no, volle prendere la stessa tua carne, acciocché soddisfacesse a Dio colla stessa carne – benché senza peccato – di Adamo peccatore. E di ciò egli se ne gloriava, chiamandosi spesso figliuolo dell’uomo; onde ben possiamo chiamarlo nostro vero fratello. È stato infinitamente maggior abbassamento, un Dio farsi uomo, che se tutti i principi della terra, tutti gli angeli e santi del cielo colla divina Madre si fossero abbassati a diventare un filo d’erba o un pugno di letame; si perché l’erba, il letame, ed i principi, gli angeli e santi son creature e creature, ma tra la creatura e Dio vi è una differenza infinita.
Ah che quanto più un Dio s’è umiliato per noi a farsi uomo, tanto maggiormente, dice S. Bernardo, ci ha fatto conoscere la sua bontà: Quanto minorem se fecit in humilitate, tanto maiorem se fecit in bonitate.[35] Ma l’amore che ci porta Gesù Cristo, esclama l’Apostolo, troppo ci obbliga e ci stringe ad amarlo: Caritas… Christi urget nos (II Cor. V, 14). Oh Dio, che se la fede non ce ne assicurasse, chi mai potrebbe credere che un Dio per l’amore d’un verme, qual è l’uomo, siasi fatto verme come l’uomo! Se mai accadesse, dice un divoto autore, che voi camminando per una strada, a caso col piede schiacciaste un verme di terra, e l’uccideste; e poi avendone voi compassione, taluno vi dicesse: Or via, se volete voi restituire la vita a questo morto verme, bisogna prima che voi diventiate verme com’esso, e poi vi sveniate; e facendo un bagno dì tutto il vostro sangue, in quello dovrà immergersi il verme e riceverà la vita. Che rispondereste voi? E che m’importa, certamente direste, che ‘l verme risorga o resti morto, ch’io abbia da procurar la sua vita colla morte mia? E tanto più ciò direste, se quello non fosse un verme innocente, ma un aspide ingrato, che dopo averlo voi beneficato, avesse tentato di torvi la vita. Ma se mai l’amor vostro verso quest’aspide ingrato giugnesse a tanto che vi facesse già soffrire la morte per rendere ad esso la vita, che ne direbbero gli uomini? E’ che non farebbe per voi quel serpe, salvato colla vostra morte, se fosse capace di ragione? Ma questo ha fatto Gesù Cristo per voi verme vilissimo; e voi ingrato, se Gesù avesse potuto di nuovo morire, co’ vostri peccati avete già attentato più volte di torgli la vita. Quanto siete più vile voi a riguardo di Dio, che non è un verme a riguardo di voi? Che importava a Dio che voi rimaneste morto e dannato nel vostro peccato, come già meritavate? E pure questo Dio ha avuto tanto amore per voi, che per liberarvi dalla morte eterna, prima si e fatto verme come voi, e poi per salvarvi ha voluto spargere tutto il suo sangue, ed ha voluto patire la morte da voi meritata.
Sì, tutto è di fede. Et Verbum caro factum est (Luca I).[36] Dilexit nos et lavit nos… in sanguine suo (Apoc. I, 5). La santa Chiesa in considerare l’opera della Redenzione si dichiara atterrita: Consideravi opera tua, et expavi (Resp. III, in 2. noct. Circumc.). Prima lo disse il profeta: Consideravi opera tua et expavi. Egressus es in salutem populi tui, in salutem cum Christo tuo (Habach III).[37] Onde con ragione S. Tommaso chiamò il mistero dell’Incarnazione, Miraculum miraculorum.[38] Miracolo incomprensibile, dove Dio dimostrò la potenza del suo amore verso gli uomini, che da Dio lo rendeva uomo, da Creatore creatura: Creator oritur ex creatura, dice S. Pier Damiani (Serm. I, de Nat.);39 da Signore lo rende a servo, da impassibile soggetto alle pene ed alla morte: Fecit potentiam in brachio suo (Luc. II).[40] S. Pietro d’Alcantara in udire un giorno cantar l’Evangelio che si dice nella terza Messa di Natale, In principio erat Verbum, etc., in considerare questo gran mistero, talmente restò infiammato d’amore verso Dio, che in estasi fu portato per lungo tratto in aria a’ piedi del SS. Sacramento (Vita, I. 3, c. 1).[41]. E S. Agostino diceva che non si saziava di sempre considerare l’altezza della divina bontà nell’opera della Redenzione umana: Non satiabar considerare altitudinem consilii tui super salutem generis humani (Confess., cap. 6).[42] E perciò il Signore mandò questo santo, per esser egli stato tanto divoto di questo mistero, a scriver sul cuore di S. Maria Maddalena de’ Pazzi le parole: Et Verbum caro factum est.[43]
Chi ama, non ama ad altro fine che per essere amato; avendoci dunque Dio tanto amati, altro da noi non vuole, dice S. Bernardo, che ‘l nostro amore: Cum amat Deus, non aliud vult quam amari (Serm. 83, in Cant.).[44] Onde poi ciascuna[45] di noi esorta: Notam fecit dilectionem suam, ut experiatur et tuam.[46] Uomo chiunque sei, hai veduto l’amore che ti ha portato un Dio in farsi uomo e patire e morire per te; quando sarà che Dio vedrà coll’esperienza e co’ fatti l’amore che tu gli porti? Ah che al vedere ogni uomo un Dio vestito di carne, che ha voluto fare per lui una vita così penosa, ed una morte cosi spietata, dovrebbe continuamente ardere d’amore verso questo Dio cosi amante. Utinam dirumperes coelos et descenderes; a facie tua montes defluerent…, aquae arderent igni (Is. LXIV, 1, [2]). Oh se ti degnassi, mio Dio – diceva il profeta, allorché non era ancora venuto in terra il divin Verbo – di lasciare i cieli e scendere qui tra noi a farti uomo! Ah che allora al vederti gli uomini fatto come uno di loro, montes defluerent, si spianerebbero tutti gli ostacoli e tutte le difficoltà, che ora gli uomini incontrano nell’osservare le vostre leggi ed i vostri consigli. Aquae arderent igni, ah, che a questa fiamma che voi accendereste ne’ cuori umani, l’anime più gelate arderebbero del vostro amore. Ed in fatti dopo l’Incarnazione del Figlio di Dio, che bell’incendio d’amore divino s’è veduto risplendere in tante anime amanti! È certo che solo dagli uomini[47] è stato più amato Dio in un solo secolo, dopo che Gesù Cristo è stato con noi, che in tutti gli altri quaranta secoli antecedenti alla sua venuta. Quanti giovani, quanti nobili, e quanti ancora monarchi hanno lasciate le loro ricchezze, gli onori, ed anche i regni, per ritirarsi o in un deserto o in un chiostro, poveri e disprezzati, per meglio amare questo lor Salvatore! Quanti martiri sono andati giubilando e ridendo a’ tormenti ed alla morte! Quante verginelle han rifiutate le nozze de’ grandi per andare a morire per Gesù Cristo, e così rendere qualche contraccambio d’affetto ad un Dio che s’è degnato d’incarnarsi e di morire per loro amore!
Sì, tutto è vero, ma – veniamo ora alle lagrime – è succeduto lo stesso in tutti gli uomini? Han tutti cercato di corrispondere a questo grande amore di Gesù Cristo? Oh Dio che la maggior parte poi l’han pagato e lo pagano d’ingratitudine! E tu, fratello mio, dimmi, come hai riconosciuto l’amore che ti ha portato il tuo Dio? L’hai ringraziato sempre? Hai considerato che cosa viene a dire un Dio farsi uomo per te, e per te morire?- Un cert’uomo assistendo alla Messa senza divozione, come fanno tanti, a quelle parole che in fine si dicono, Et Verbum caro factum est, non fé alcun segno di riverenza; allora un demonio gli diede un forte schiaffo, dicendo: Ingrato, senti che un Dio s’è fatt’uomo per te, e tu neppure ti degni d’inchinarti? Ah che se Iddio, disse, avesse fatto ciò per me, io in eterno starei per sempre ringraziandolo.[48] – Dimmi, cristiano, che avea da fare più Gesù Cristo per farsi amare da te? Se il Figlio di Dio avesse avuto a salvar dalla morte il suo medesimo Padre, che più poteva fare che abbassarsi sino a prender carne umana, e sacrificarsi alla morte per la di lui salute? Dico più: se Gesù Cristo fosse stato un semplice uomo, e non già una persona divina, e avesse voluto con qualche segno d’affetto acquistarsi l’amore del suo Dio, che avrebbe potuto fare più di quello che ha fatto per te? Se un servo tuo per tuo amore avesse dato tutto il sangue e la vita, non ti avrebbe già incatenato il cuore, ed obbligato almeno per gratitudine ad amarlo? E perché Gesù Cristo poi, giungendo a dare sino la vita per te, non ha potuto sinora giungere ad acquistarsi il tuo amore?
Ohimè che gli uomini disprezzano il divino amore, perché non intendono, diciam meglio, perché non vogliono intendere qual tesoro sia il godere la divina grazia, la quale, come disse il Savio, è un tesoro infinito: Infinitus est thesaurus, quo qui usi sunt participes facti sunt amicitiae Dei (Sap. VII, 14).[49] Si stima la grazia d’un principe, d’un prelato, d’un nobile, d’un letterato, d’una carogna; e la grazia di Dio non si stima niente da taluni, mentre la rinunziano per un fumo, per un gusto bestiale, per un poco di terra, per un capriccio, per niente. Che dici, caro mio fratello, vuoi tu ancora annoverarti tra questi ingrati? Vedi, se non vuoi Dio, dice S. Agostino, se puoi ritrovare altra cosa migliore di Dio: Aliud desidera, si melius invenire potes.[50] Va, ti trova un principe più cortese, un padrone, un fratello, un amico più amabile, e che t’ha amato più di Dio. Va, ti trova uno che possa meglio di Dio renderti felice in questa e nell’altra vita. Chi ama Dio non ha che temere di male, mentre Dio non sa non amare chi l’ama. Ego diligentes me diligo (Prov. VIII, 17). E chi è amato da Dio, qual timore può mai avere? Dominus illuminatio mea, et salus mea, quem timebo? (Ps. II, 26).[51] Così dicea Davide, e così diceano le sorelle di Lazzaro al Signore: Quem amas infirmatur (Io. XI, 3). Bastava lor sapere che Gesù Cristo amava il lor fratello, per credere che gli desse tutto l’aiuto per guarirlo. Ma come all’incontro può Dio, amare chi disprezza il suo amore? -Deh via risolviamoci una volta di rendere amore ad un Dio che tanto ci ha amato. E preghiamolo sempre, che ci conceda il gran dono del suo santo amore. Dicea S. Francesco di Sales che questa grazia di amare Dio è la grazia che dobbiamo desiderare e chiedere sopra ogni grazia, perché col divino amore ad un’anima viene ogni bene.[52] Venerunt… omnia bona pariter cum illa (Sap VII, 11). Perciò diceva S. Agostino: Ama, et fac quod vis.[53] Chi ama una persona sfugge quanto può di disgustarla, e va cercando sempre più di compiacerla. E così, chi veramente ama Dio non sa far cosa avvedutamente che gli dispiaccia, ma si studia quanto più può di dargli gusto.
E per ottenere più presto e più sicuramente questo dono del divino amore, ricorriamo alla prima amante di Dio; dico a Maria sua Madre, che fu così infiammata d’amor divino, che i demoni – come dice S. Bonaventura – non aveano ardire di accostarsi a tentarla: A sua inflammata caritate pellebantur, ut non ausi sint illi appropinquare.[54] E soggiunge Riccardo che anche i serafini poteano scendere dal cielo ad imparare dal cuor di Maria il modo d’amare Dio: Seraphin e caelo descendere poterant, ut amorem discerent in corde Virginis.[55] E perché il cuor di Maria fu già tutto fuoco d’amore divino, perciò, ripiglia S. Bonaventura, tutti coloro che amano questa divina madre, ed a lei si accostano, tutti ella gli accende dello stesso amore, e simili a lei li rende: Quia tota ardens fuit, omnes se amantes, eamque tangentes accendit, et sibi assimilat.[56]
Se taluno ne’ discorsi volesse addurre qualche esempio di Gesù bambino, potrà avvalersi degli esempi posti dopo le Meditazioni.
Tratto dallo scritto del Liguori: Novena del Santo Natale – Discorso I
Pubblicazione a cura di CdP Ricciotti - http://radiospada.org/