martedì 9 settembre 2014

R.P. Raffaele Ballerini d.C.d.G. DELL'ANARCHIA

La Civiltà Cattolica anno XLV, serie XV, vol. XII (fasc. 1064, 9 ott. 1894), Roma 1894 pag. 129-142.



R.P. Raffaele Ballerini d.C.d.G.

DELL'ANARCHIA

I.

Da parecchi mesi tutta quella che si usa chiamare opinione pubblica in Europa, posti da banda altri argomenti, si è fissata nell'anarchia. Governi, magistrature, polizie, giornalismo, in cima ai pensieri, nulla apprendono di più incalzante, che trafiggere questo mostro spaventoso, e schermirsene. Da per tutto si temono, o si sospettano bombe e pugnali, scoppii di dinamite, o mine insidiose.
— Com'è possibile, si ode sclamare, che, dopo un secolo di libertà rinnovatrici del mondo civile, si sia a questo punto, che i fondamenti dell'ordine sociale si abbiano a difendere contro barbari che si sforzano di mandarli in aria? Forsechè in questa fine del secolo rinnovatore non si sono già conseguite le migliori libertà che si potessero desiderare, libertà di coscienza, libertà di riunione, libertà di suffragio? Che pretendono di più e di meglio i maestri e i discepoli dell'anarchia?
Così molti ingenui, ai quali il liberalismo ha fatto vedere la luna nel pozzo. Ma altri molti, per di più ignoranti, domandano che cosa sia questo nuovo infernale malanno, che appesta la gente e la snatura fino ad innamorarla degli assassinamenti. — Che è l'anarchia, e d'onde ci è venuta in casa? interrogano essi. È una scuola? è un sistema? è una dottrina? E checche si sia, quale n'è l'origine primitiva?

II.

Che è l'anarchia? La parola per sè ne esprime il concetto, più negativo però che positivo. Verbalmente, significa negazione di autorità sociale; che è un dire disordine: perocchè, nella società umana, vincolo dell'ordine è l'autorità. Tolta questa, cessa l'ordine d'onde nasce l'unità organica, le membra si disgregano e la società è sciolta.
Se pertanto si vuole dar nome di sistema all'anarchismo, convien definirlo un sistema, secondo il quale la società deve sottrarsi ad ogni autorità, quindi ad ogni Governo, quindi ad ogni legge: sistema, com'è chiaro, il cui termine finale è, non di costituire un modo nuovo di società, ma di annullare ogni modo di società; cioè d'introdurvi il nichilismo.
La dottrina poi nella quale il sistema si appoggia è questa: che l'uomo, per natura, ha diritto al libero esercizio della propria attività, al libero svolgimento delle attitudini e facoltà sue personali, al libero sfogo de' suoi istinti. Perciò tirannica è quella forza qualunque sociale, che a tanta libertà si arroga di mettere ostacolo o freno.
Il Fourier, che col Proudhon, dopo Giangiacomo Rousseau, può intitolarsi uno dei padri di questo bel sistema, vi ha posto per principio l'assioma: «che l'ordine perfetto, tra gli uomini, può aversi unicamente dalla libera esplicazione di tutte le passioni»: e dall'assioma ha dedotta la conseguenza, che adunque «tutti i mali provengono, non dagli uomini, che sono buoni, ma dalle istituzioni, che sono cattive.»
Ad un tale sistema e ad una tale dottrina conformandosi i seguaci suoi, ecco il sommario pratico delle abolizioni che questi si propongono di ottenere. Lo togliamo dal recentissimo documento, che il dottor Francesco Meomartino, sostituto procuratore del re presso il tribunale di Napoli, ha pubblicato; e contiene l'interrogatorio che la società anarchica della Mano nera, federazione delle Alpi Apuane, fa ai catecumeni, i quali aspirano alla sua affigliazione.
«Sai chi siamo e ciò che vogliamo noi? Vogliamo distruggere l'autorità, perchè causa di ogni prepotenza, di ogni abuso, e sostituirvi l'anarchia. Non vogliamo padroni, nè la facoltà di sceglierceli. Odiamo, tanto la tirannide coronata, quanto quella in berretto rosso. Aboliremo la religione, perchè essa, col suo Dio, oltr'essere base d'ogni autorità, ebetizza l'uomo e lo fa divenire docile, schiavo, rassegnato ad ogni avvilimento, e rinnega la ragione e prostituisce la dignità umana. Annulleremo lafamiglia legale, che co' suoi affetti egoistici, è veramente l'ergastolo e la galera del cuore. Adopereremo tutte le nostre forze, per l'abolizione del matrimonio: ad esso anteporremo il libero amore, la libera unione fra uomo e donna. Non vogliamo più proprietarii. Siamo atei, e perciò non si richiede giuramento [1]
Ad ottenere pertanto questa  libera esplicazione di tutte le passioni,» in cui, secondo il Fourier e gli scolari suoi, risiede l'ordine perfetto a rovescio; vale a dire acciocchè i sette vizii capitali trionfino pienamente nell'umano individuo, il sistema anarchico vuole annientata, colla religione, l'idea di Dio, radice di ogni ordine, anche naturalmente morale, l'autorità, la proprietà, il matrimonio e la famiglia.
Si domanda: — Che resta, dopo ciò? Si risponde, che resta l'uomo bruto, vivente, sulla terra, nell'ordine perfetto della bestialità; ultimo e logico ideale dell'anarchia.

III.

I maestri e duci delle turbe anarchiche, formate a dottrine sì orride, grande cura adoperano in distinguere la teoria dal fatto, gli antecedenti dai conseguenti, l'astratto dal concreto. Sopra tutto, a ben bene guardarsi le spalle, consigliano di procedere al conseguimento del fine, per via di evoluzione, piuttosto che per via di rivoluzione. Con questo artifizio, si figurano di aver nette le mani dal sangue e dai misfatti atroci che la teoria, gli antecedenti e l'astratto inducono a commettere.
Ma il volgo dei neofiti non va tanto per le sottili. «Noi, si legge nel precitato documento, ci dichiariamo internazionali, cioè comunisti, anarchici, rivoluzionarii nei mezzi e nel fine. Parteggiamo per l'azione, ora e sempre, e riteniamo inutili ed anzi dannosi i mezzi pacifici, per raggiungere il nostro giusto scopo. La lotta violenta, la rivoluzione è il nostro unico metodo. Il pugnale, la carabina, la dinamite sono i nostri rappresentanti, i nostri Onorevoli; la barricata il nostro Parlamento
E poi segue la rituale interrogazione all'aspirante: — «Approvi le nostre teorie? (cioè le teorie imparate dai maestri?) Sei convinto del principio, sino al punto di colpire a morte, quando tu ne sei richiesto, i nostri comuni nemici, dal più alto al più basso?»
Questa si chiama la parte concreta dell'anarchia, o, come la denominano in gergo i proseliti suoi, lapropaganda del fatto, di cui hanno date splendide prove i Ravachol, i Pallas, i Vaillant, gli Henry, i Lega, i Caserio.
Ecco pertanto risposto in breve al quesito, del che sia l'anarchismo, e se sia scuola, sistema o dottrina. Teoricamente è tutte e tre queste cose, giacchè ha insegnanti e discepoli, ha collegamento di premesse e di corollarii ed ha coordinazione di massime e di regole: tutto però si risolve in una serie di negazioni, che fanno capo all'annichilamento di ogni verità, di ogni diritto, di ogni morale. Ma, nella pratica, l'anarchia si riduce ad una mera scuola di delitti contro la società, per iscompaginarne, se possibil fosse, ogni legame, spezzarne ogni filo.

IV.

Si dirà che essa è l'estremo dell'assurdo. E chi può dubitarne? Ma è un assurdo, che seduce, che ammalia, che dementa schiere innumerabili di cervelli rozzi e di anime disperate.
Certamente assurdo è il supposto, che l'uomo abbia diritto a liberamente sfogare tutti i suoi appetiti: assurdo l'altro, che egli sia intrinsecamente così buono, che non possa abusare del libero arbitrio, dato lo stimolo dell'irascibile e del concupiscibile, ond'è del continuo tormentato: assurdo anche l'altro, che il male possa levarsi dal mondo, con levarvi ogni sociale istituzione; e perciò assurdo pure, che il matrimonio e la famiglia, primo tipo e primo nucleo di società, ordinati dalla natura, impediscano la perfezione dell'umano benessere. Codesti sono delirii da mentecatti.
Se non che assurdo in grado supremo è, che l'uomo, necessariamente socievole, possa vivere fuori d'ogni società, o dentro una società, immune da relazioni morali e giuridiche, tra i membri che la compongono. Di fatto, che società sarebbe quella, nella quale non fosse nè legge, nè freno, nè Governo di alcuna sorta? Quella nella quale tutti avessero ugual ragione di soprastare, e niuno l'obbligo di sottostare? Quella nella quale altra norma di unione non fosse, eccetto il capriccio, o l'arbitrio di ciascheduno? E ciò, ammesso il sacro diritto in ciascuno di regolarsi a libito delle sue proprie passioni? Manifestamente sarebbe una società, in cui si avvererebbe per appunto l'homo homini lupus, un serraglio di belve, un covo di serpenti.
Or può essere questo l'ideale, per godere la cui realtà, tanti poveri dissennati fan gettito della coscienza, dell'onore, della pace e della vita, intruppandosi colle falangi acclamanti le bombe ed i pugnali?

V.

— V'ingannate, soggiunge il famigerato Pietro Gori, già ispiratore di anarchia sublime all'infelice Sante Caserio. Il sistema nostro esclude l'autorità nella società, ma non annulla la società per sè stessa. L'anarchia, se nol sapete, è «libera associazione di sovranità individuali, senza potere centrale e senza coercizione.»
Sta bene. Ma come si mette e si tiene insieme un'associazione di sovrani, l'uno dall'altro indipendenti, senza un centro, dal quale parta la regola ordinatrice e con efficacia sia conservata?
«Imaginate, replica il Gori, una società, in cui tutti i cittadini, liberamente federati in gruppi, associazioni, corporazioni di professione, arte o mestiere, sieno comproprietarii di tutto; terre, miniere, officine, case, macchine, strumenti di lavoro, mezzi di scambio di produzione; imaginate che tutti cotesti uomini, associati da un'evidente armonia d'interessi, amministrino socialmente, senza governanti, la cosa pubblica, godendo in comune dei vantaggi ed in comune lavorando ad aumentare il benessere collettivo; ed avrete l'anarchia ideale [2]
Ottimamente intendiamo che la vaga chimera di una sovranità individuale e di un possesso collettivo di ogni bene di Dio, alletti ed abbarbagli le fantasie di assai disgraziati, avvezzi a servire per guadagnare un tozzo di pane, e possessori soltanto di cenci e di miserie. È però sempre chimera, e ridicola più che ideale. Il Gori ci fa imaginare una confederazione di società civili, sussistenti l'una accanto dell'altra, legate in armonia dall'interesse, ed amministranti le ricchezze comuni, senza l'autorità di governanti.
Ma, prima di tutto, l'interesse è il più fragile e pericoloso dei legami, che possano stringere in fascio gente libera di sè. Si suol dire dei fratelli, nati da un unico padre, che il sangue li congiunge e l'interesse li divide. Che sarà dunque di uomini, i quali neppure hanno tra loro comunanza di sangue? Di gente che non tollera freni sociali a nessuna cupidigia, massimamente a quella dell'interesse, definita radice di tutti i mali, radix omnium malorum?
In secondo luogo, come si fa ad amministrare senza governare? Se tutti i membri amministrano insieme a loro senno, ne verrà fuori la torre di Babele. Se una eletta solo avrà l'uffizio di amministrare, bisognerà che questo uffizio poggi sopra un potere; altrimenti la Babele dei pochi amministranti senz'autorità, sarebbe peggiore di quella di tutti amministranti insieme con autorità pari.
E poi se si scoprissero pasticci simili a quello della Banca romana, o si cogliesse colle mani nel sacco qualche «libera sovranità individuale», in che modo si procederebbe al riparo? Tolte le guardie, i codici, i tribunali e le prigioni, non si rischierebbe forse di vedere i gruppi delle società sovrane convertiti in confederazioni di ladronaie?
Se si osservi soltanto da questi lati, il bozzetto di anarchia ideale, concepito dal Gori, appare dunque come un'illusione di lanterna magica, da spassare i bimbi pel carnevale.

VI.

Ma vi è peggio. Il bozzetto del Gori è già buttato fra le ciarpe dal numero maggiore degli anarchici. Nel suo pensiero «il socialismo sarebbe la base economica, e l'anarchia sarebbe il coronamento politico» di tutto il sistema, secondo che egli si esprime. Or questo concetto, dai caporali e daicompagni (così tra loro si nominano i fratelli in anarchia) più ascoltati dell'anarchismo, si ripudia e s'impugna. Fra socialisti ed anarchici arde guerra, dove sorda e dove aperta. I primi ambiscono di succedere, col nome, cogli onori e cogli utili di Quarto Stato, al Terzo Stato della borghesia, la quale al presente regge a bacchetta la società, dal suo liberalismo ammodernata. Gli altri detestano quest'ambizione, perocchè troppo si avvedono che il Quarto Stato, una volta afferrato il potere, farebbe quello che il Terzo ha fatto, dopo scavalcata la nobiltà; e seguita a fare nell'auge della sua fortuna.
I socialisti volentieri si servirebbero della zampa del gatto dell'anarchia, per cavare dal fuoco la grossa castagna del coronamento politico del loro edifizio: cioè s'impadronirebbero di tutto, e le cose durerebbero ad essere come sono. La frasca si muterebbe, ma l'osteria rimarrebbe quale era avanti lo sfratto del Terzo Stato. In Italia l'esempio dei sabaudisti e dei garibaldini è parlante. Com'ebbe a dire il Thiers nel Corpo legislativo di Francia, il garibaldismo fece a meraviglia bene le parti del falco cacciatore, ma le prede restarono tutte in mano del sabaudismo.
Per gli anarchici accorti, i signori socialisti dalla «base economica», sotto pretesto di socializzare la ricchezza, tentano di prenderla per loro; e sotto quello del «coronamento politico», si affannano di prepararsi a ritenerla ed a difenderla, con tutte le armi che la borghesia stringe in pugno. L'autorità, non che perisse sepolta fra le ruine delle bombe, ma seguiterebbe a regnare più dispotica di prima.
La propaganda delle idee dei dottori di socialismo in soprabito ed in tuba, non fa più presa nell'animo degli anarchici in camiciuola ed in cappello a cencio, militanti per la propaganda del fatto. Costoro tengono tutti que' signori avvocati e medici senza clienti, que' mercanti falliti, quegli spostati frustamattoni, per invidiosi del tagliere, intorno a cui la borghesia è assisa, e vogliosi di strapparlo ad essa, per maciullarvi sopra a due palmenti. Fatto il tiro, agli anarchici riserverebbero, al più al più, le briciole dei crostini e le ossa spolpate. Li tratterebbero come i regii piemontisti trattarono i repubblicani del Mazzini, dopo fatta l'Italia. Accettarono sì i benefici effetti dei loro pugnali e delle loro bombe: ma, in compenso, li lasciarono collo stomaco vuoto, a cantare il sic vos non vobis sull'aria dell'inno garibaldesco.
Perciò, concludono gli anarchici, non badiamo a mutamenti nè a proposte di miglioramenti sociali. Occorre dar della scure nella radice stessa della società: tutto spiantare, tutto disperdere, tutto ridurre in polvere: noi siamo l'esercito sterminatore, gli eroi del nulla.

VII.

In principio abbiamo notato, che molti liberali ingenui od ignoranti, esterrefatti, mostrano ammirazione di tanta mostruosità, e ne cercano le origini, chiedendo: — Come mai quest'idra tartarea ci è entrata in casa?
Nel Vangelo si legge, che il Signor Nostro andava dicendo agli ebrei: — Che cercate, fuori di voi stessi e della gente vostra, il Regno di Dio? Questo Regno è in mezzo a voi: Regnum Dei intra vos est.
Il medesimo, in senso opposto, può ripetersi nel nostro caso: — O uomini tre volte buoni, l'anarchia vi appare tanto abbominevole, che non più il regno di Satanasso, dov'è orrore sempiterno e confusione; e volete sapere d'onde è venuta? È venuta di casa vostra: regnum diaboli intra vos est. A voi sembra di toccare il cielo col dito, perchè il liberalismo da per tutto trionfa, e le magnifiche libertà di pensiero, di parola e di coscienza stanno sopra basi di granito? Ebbene, sappiate che l'anarchia vi è entrata in casa, sotto le ali di queste libertà. La prima, quella del pensiero, vi ha introdotta l'anarchia delle menti: la seconda, quella di parola, l'anarchia della lingua: la terza, quella di coscienza, l'anarchia delle opere: e tutte e tre insieme ve l'hanno ingombrata coll'anarchia degli stocchi e delle bombe.
Il processo logico e storico di questa evoluzione spesso è stato fatto. Ma non piace di riconoscerlo vero; e si taccia, per lo meno, di esagerato. Eppure è limpidissimo.
Se, come promulga il codice del liberalismo, che è sempre quello dell'ottantanove, ognuno, per diritto di natura, è libero di pensare a modo suo; di ragionare, di stampare e d'insegnare ciò che pensa a modo suo; di credere o non credere in Dio, e di propagare la sua credenza o scredenza a modo suo, ne viene che, rotti gli argini all'errore ed alla menzogna, è lor data ogni balìa di allagare città, borghi e campagne, di confondere le teste, di pervertire i cuori, di corrompere la intera società. Sopra tutto ne viene che l'idea dell'uguaglianza, fonte della libertà, si deve allargare fino a comprendere il diritto dei singoli a godere ugualmente dei beni della vita. E poichè la libertà scioglie l'uomo dall'obbligo di dipendere da Dio, e gli concede anzi il diritto di negarlo, ne viene altresì che la morale del decalogo ed i dettami della coscienza non hanno più ragione d'essere, come non l'hanno la religione e la fede. Quindi l'unica remora, che possa contenere la libertà dentro certi confini, si ristringe ai birri ed alle manette, suprema difesa dell'ordine.
Ma con quale diritto un'autorità sociale può, per amore dell'ordine, ricorrere alla forza, postochè l'autorità di Dio rimane esclusa dalla società medesima? Che è quest'ordine, senza Dio? Se Dio non esiste, la proprietà è un furto: se Dio non esiste, la virtù è una pazzia: se Dio non esiste, il Governo è una tirannide. Abolita la forza morale, che in Dio si regge, la forza materiale della società non può giuridicamente sussistere. Ogni uomo ha diritto di sperdere le forze sociali, che gl'impediscono l'appagamento delle sue naturali propensioni, de' suoi istinti. Or bene, l'anarchia ha tratto dal liberalismo queste conseguenze, le quali, si voglia o no, dialetticamente giustificano il suo sistema.
Da quale fucina sono elleno uscite le libertà dell'ottantanove? Da quella della massoneria, che lavorò quasi un secolo a prepararle. È cosa notoria. Quale scopo ultimo ha l'istituzione massonica? La distruzione del trono e dell'altare, cioè di ogni ordinata autorità dell'uomo e di Dio. Forsechè ancor oggi, per salire ai gradi più elevati della setta, non è richiesto all'adepto il giuramento di adoperarsi a questa doppia distruzione, nelle società cristiane? Or questa distruzione medesima Carlo Marx, uno dei fondatori del socialismo alemanno, assegna pur egli a fine immediato dell'opera sua, che può dirsi soglia e limitare dell'anarchia: «Perchè la riforma sociale sia possibile, è d'uopo che la rivoluzione universale abbia da per tutto atterrato il trono e l'altare»: sono sue parole.
La filiazione adunque dell'anarchia dal socialismo e del socialismo dal liberalismo, che è il dominante sistema teorico e pratico della massoneria, si manifesta legittima e diretta. Ed i nostri liberali si affannano a dimandare, d'onde e come l'anarchia ci è entrata in casa?

VIII.

Via, lo stesso buon senso umano detta, che la pubblica libertà della bestemmia e della depravazione, a grado a grado, conducono il civile consorzio al dissolvimento, allo sfacelo. Per intenderlo, non accade nè la filosofia di un Aristotele, nè l'intelletto di un Platone. Al libero sconvolgimento degli spiriti ed al libero avvelenamento delle anime, nelle scuole, nella stampa, nei teatri, nei comizii, nei circoli, nelle associazioni, si aggiungano gl'incentivi degli scandali al mal fare, le ingiustizie e le oppressioni della guasta borghesia sovrastante al basso popolo, e leggi militari e tributarie che aggravano tutti ed affamano il maggior numero; e si facciano le meraviglie che l'odio, l'invidia e la disperazione infiammino le turbe dei nulla aventi contro i governanti e i possidenti. La disuguaglianza delle condizioni e dei beni, fra uomini che sono dichiarati uguali per natura e per civili diritti, ed ammaestrati ad affrancarsi da ogni credenza in Dio e da ogni speranza in un altro mondo, sarebbe miracolo che non portasse lo scompiglio dell'anarchia.
Se ne miri l'esempio nel giovanetto assassino di Sadi Carnot, presidente della Repubblica francese. Egli era nato povero, ma di buon seme, cristianamente allevato da una pia madre, d'indole mite e dolce, di cuore compassionevole, inclinato alle pratiche religiose. Fino ai diciassette anni si conservò probo. Passato in Milano ad esercitarvi un mestiere, cadde nei lacci della libertà corrompitrice, che seppe abusare dell'ignoranza sua. Fu raggirato, fu affascinato, fu viziato. L'anarchia gli venne rappresentata come unica salute, per la immensa caterva di coloro che in questa vita soffrono miserie e stenti. Gli fu accesa in cuore un'ira mortale, contro tutti coloro che gli si dipinsero per nemici e tiranni del popolo lavorante, penante. Ogni scintilla di timore di Dio e di religiosità gli fu spenta nel petto. A meno di ventun anno egli diventò un modello di anarchico, senza fede, senza legge, senza retto amore di nessuna sorta. Il povero Sante Caserio è stato un capolavoro dell'arte educatrice del liberalismo, sublimata all'estrema sua potenza.
Nel foglio da sè scritto, e che, da altri tradotto e messo in ordine grammaticale, fece leggere ai giurati nelle assise di Lione, egli in questi termini si esprimeva:
«Da ragazzo mi insegnarono ad amare la patria; ma quando ho visto migliaia di operai abbandonare il proprio paese ed i loro figli, le loro madri, i loro padri, nella più assoluta miseria, mi son detto: — La patria non esiste per noi, poveri operai. La patria, per noi, è il mondo intero. Quelli che predicano l'amore alla patria, lo fanno perchè vi trovano i loro interessi, la loro vita stessa. Anche gli uccelli difendono il loro nido, perchè vi si trovano bene.
«Io credeva in Dio; ma quando ho visto una simile ineguaglianza fra gli uomini, ho riconosciuto che non era vero che Dio avesse creato gli uomini, ma che gli uomini avevano creato Dio, ed hanno interesse a far credere ad un inferno e ad un paradiso tutti quelli che vogliono far rispettare la loro proprietà individuale, mantenendo il popolo nell'ignoranza.
«Per tutto ciò io son divenuto anarchico.»
Per tutto ciò, poteva aggiungere, ho piantato un pugnale fra le costole del presidente della Repubblica. Ed ora, potrebbe dire che, per tutto ciò, volle ancor mettere il collo sotto la mannaia, tremebondo sì, ma superbo ed ostinato nella sua impenitenza, e ributtando da sè il Dio di misericordia, a' cui altari, nella prima giovinezza, si dilettava di servire.
Ben a ragione la desolata sua madre gemette, inconsolabile di tanta empietà, nè cessò, risaputane la morte, di esclamare: — «Ah, se almeno fosse morto cristiano! [3]» ed i suoi paesani lo compiansero, quale zimbello e giuoco dei «tristi che l'avevano ingannato [4]
Il nome di Sante Caserio passerà famoso ai posteri, pel suo assassinio, paragonabile a regicidio. Ma più famoso forse vi passerà, per essere stato argomento vivo ed operante della corruzione, sgorgata dalle libertà dell'ottantanove. E si provino i liberali, ingenui e non ingenui, a negarlo!

IX.

Un altro quesito si ode spesso, ed è questo: — Arriverà l'anarchia a vincere ed a stabilirsi?
A vincere, è possibile che arrivi: a stabilirsi, no.
Potrà vincere, con una tumultuaria rivoluzione, la quale, per un certo tempo, dia alla piazza quel duplice uffizio di giudice e di carnefice, che nella Francia del 1793 diede ai giacobini. E ciò essendo, verrebbero dies irae, con saccheggi, incendii, rovine e stragi, che torna difficile figurarsi. Il già deputato Emilio Giampietro, fingendosi questa ipotesi e descrivendola, mostra «la massa enorme di popolani, guidata da capi improvvisati, senz'altra finalità che quella di abbattere, distruggere, vendicare, la quale si rovescierebbe nelle officine, nelle Banche, nelle case private, da per tutto. La folla ubbriaca farebbe man bassa, non solo su gli averi, ma sulle persone: vecchi, donne, bambini, vittime innocenti, pagherebbero, colla morte, colpe non loro.» E prega istantemente «i socialisti, i quali credono l'uomoangelo, a notar bene, che la storia di tutti i tempi ha dimostrato come, in casi simili, l'uomo ha da imparare pietà dalle fiere del bosco [5].» Sarebbe proprio la collera del cielo, che si scatenerebbe contro quella borghesia putrida, ladra, sacrilega, blasfema, disumanata, che gronda del sangue e delle lagrime di mille e mille oppressi e traditi. Guai allora al giudaismo rapace, guai agl'ipocriti, agl'impostori, ai politicastri delle cattedre, dei giornali e dei Parlamenti! Pur troppo la bestiale giustizia, esercitata bestialmente, involgerebbe anche gli onesti cittadini, che sono ancora, la Dio mercè, il maggior numero: piglierebbe forse anche di mira i pietosi, i benefici, i veri amatori del bene popolare, come si è veduto in altre rivolture. E perciò è giusto che ogni uomo, a suo potere, si adoperi ad allontanare ed impedire il temuto eccidio.
La vittoria per altro non assicurerebbe all'anarchia stabilità di dominio, come ai giacobini non l'assicurò il passeggiero loro trionfo. La violenza non dura: nè sopra fumanti ruderi e sanguinosi cadaveri si può assodare una struttura qualsiasi di società. Al turbine dei furori anarchici succederebbe il lampo di una spada, al cui riparo i più cercherebbero un rifugio. L'anarchia sfrenata e barbara sarebbe, alla sua volta, vinta da una dittatura.
Questo è ciò che ragionevolmente può prevedersi, dato che il sogno di un'èra anarchica si avverasse. Quanto al rifare la società secondo gl'ideali dei maestri di anarchismo, non è da parlarne. L'assurdo teorico è sempre un impossibile pratico. Il Giampietro lo dimostra, ricorrendo ancora alla religione cattolica, che sarebbe follia sperare di abolire fra noi, ed all'autorità del clero sul popolo, massimamente delle campagne, che non sarebbe agevole dissipare in un soffio [6]. Ed è da rallegrarsi col già deputato radicale, che egli riconosca la religione cattolica e l'autorità del clero, utili almeno a frastornare catastrofi le più calamitose, siccome l'ha riconosciuto Francesco Crispi, nel pubblico discorso, tenuto il 10 settembre in Napoli.
Noi non siamo profeti, nè figliuoli di profeti. Ma se, aguzzando gli occhi, scrutiamo il futuro, non vediamo, per le nazioni traviate dalle libertà dell'ottantanove, altro bivio che questo: o tornare indietro, rifacendo il cammino a ritroso, indicato dal Papa Leone XIII; od incorrere nell'eruzione di un vulcano anarchico, dal quale Dio solo sa chi e che potrà salvarsi.

NOTE:

[1] Veggansi i giornali dal 5 all'8 luglio 1894.
[2] Tribuna di Roma, num. del 2 agosto 1894.
[3] L'Italia del popolo di Milano, num. del 18 agosto 1894.
[4] Ivi.
[5] L'Italia al bivio, pag. 86. Roma, 1894.
[6] Ivi pag. 88.