mercoledì 21 agosto 2013

Allocuzioni di Pio XII al Patriziato e alla Nobiltà Romana (Estratto dall'opera di Plinio Corrêa de Oliveira "Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana").





Allocuzione dei 8 gennaio 1940

Un duplice dono sul principio del nuovo anno Il Patriziato e la Nobiltà Romana hanno voluto offrirCi nell'adunarsi intorno a Noi: il graditissimo don della loro presenza e insieme il dono dei filiali auguri, adorni, come di un fiore, dell'attestato della tradizionale fedeltà alla Santa Sede, di cui, diletti Figli e Figlie, sono state una prova novella le devote ed eloquenti parole testè pronunziate dall'insigne vostro interprete, presentandoci così una ben desiderata occasione di confermare e crescere da parte Nostra al vostro illustre ceto l'alta stima, in che questa Sede Apostolica lo ha sempre tenuto, né mai ha cessato di dargliene aperta dimostrazione.
In tale stima vibra la storia dei secoli passati. Tra coloro che in questo momento Ci fanno corona, non pochi portano nomi che da secoli s'intrecciano con la storia di Roma e del Papato, nei giorni luminosi e oscuri, nella gioia e nel dolore, nella gloria e nell'umiliazione, sostenuti da quell'intimo sentimento erompente dalle profondità di una fede col sangue ereditata dagli avi, sopravvivente a tutte le prove e le tempeste e, pure nei passeggeri traviamenti, pronta a rinvenire il sentiero verso la casa del Padre. Lo splendore e la grandezza della Città eterna riflette e rifrange i suoi raggi sopra le famiglie del Patriziato e della Nobiltà romana. I nomi dei vostri antenati stanno indelebilmente incisi negli annali di una storia, i cui fatti per molti rispetti hanno avuto gran parte nelle origini e nello svolgimento di tanti popoli dell'odierno mondo civile. Che, se, senza il nome di Roma e delle sue nobili prosapie, non si potrebbe scrivere la storia profana di molte nazioni e regni e corone imperiali, i nomi del Patriziato e della Nobiltà romana ritornano ancor più sovente nella storia della Chiesa di Cristo, la quale assurge a più alta grandezza, vincente ogni gloria naturale e politica, nel suo Capo visibile, che, per benigna disposizione della Provvidenza, ha la sua sede sulle sponde del Tevere.
Della vostra fedeltà al Pontificato romano e della continuità che vi onora come appannaggio glorioso delle vostre Famiglie, Noi vediamo intorno a Noi, coi Nostri occhi, in questa eletta accolta, quasi una vivente immagine, nella presenza simultanea di tre generazioni. In quelli tra voi, che portano la fronte incorniciata di neve o di argento, Noi salutiamo i molti meriti acquistati nel lungo adempimento del dovere, che, come trofei di vittoria, siete qui venuti a deporre per farne omaggio al solo vero Signore e Maestro, invisibile ed eterno. Ma i più di voi Ci stanno innanzi baldi del fiore della giovinezza o dello splendore della virilità, con quel vigore di energie fisiche e morali che vi fa pronti e desiderosi di dedicare le vostre forze all'avanzamento e alla difesa di ogni buona causa. La nostra predilezione però va e si china verso la innocenza serena e sorridente dei piccoli, ultimi venuti in questo mondo, in cui lo spirito del Vangelo Ci fa ravvisare i fortunati primi nel regno di Dio; nei quali amiamo l'ingenuo candore, il fulgore vivo e puro dei loro sguardi, riflesso angelico della limpidezza delle loro anime. Sono innocenti, all'apparenza inermi; ma nell'incanto della loro ingenuità, che piace a Dio non meno che agli uomini, celano un'arma che sanno già maneggiare, come il giovane David la sua fionda: la tenera arma della preghiera; mentre pure nella faretra della loro volontà, ancora fragile ma già libera, serbano una freccia meravigliosa, futuro e sicuro strumento di vittoria: il sacrificio.
A questo rigoglio di varie età, che Noi godiamo di riconoscere in voi, fedeli custodi di tradizioni cavalleresche, Noi non dubitiamo, anzi siamo anticipatamente sicuri, che il nuovo anno risponderà buono e cristianamente felice. Giacchè pur sotto il velo opaco in cui il futuro lo involge, voi pronti lo ricevete dalle mani della Provvidenza, come uno di quei plichi sigillati, portanti un ordine di virtuose e sante lotte della vita, che l'officiale, in via per una missione di fiducia, riceve dal suo capo e non deve aprire se non nel corso del suo cammino. Giorno per giorno, Iddio, che vi concede di cominciare questo anno novello nel Suo servizio, ve ne scoprirà il segreto; e voi non ignorate che tutto ciò che vi apporterà questa successione ancora misteriosa di ore, di giorni e di mesi, non avverrà se non per volere o con la permissione di quel Padre celeste, la cui provvidenza e il cui governo del mondo mai non s'inganna o fallisce nei suoi disegni. Potremmo però
Noi dissimularvi che l'anno nuovo e i nuovi tempi, che esso apre, recheranno pure occasioni di contrasti e di sforzi e, vogliamo sperare, anche di meriti e di vittorie? Non vedete come, poichè la legge dell'amore evangelico è stata disconosciuta, negata e oltraggiata, imperversano oggi in alcune parti del mondo guerre, - da cui la misericordia divina ha finora preservato l'Italia -, nelle quali si sono vedute intere città trasformate in cumuli di fumanti rovine e pianure maturanti copiose messi in necropoli di straziati cadaveri? Erra, solitaria per vie deserte, nell'ombra di nubilosa speranza, timida, la pace; e sulle sue tracce e sui suoi passi, nel mondo antico e nuovo, uomini, a lei amici, la vanno cercando, preoccupati e pensosi di ricondurla in mezzo agli uomini per vie giuste e solide e durevoli, e di preparare, in uno sforo fraterno d'intesa, l'arduo compito delle necessarie ricostruzioni!
In quest'opera di ricostruzioni voi, diletti Figli e Figlie, potrete avere parte importante. Giacchè, se è vero che, la società moderna insorge contro l'idea e contro il nome stesso di una classe privilegiata, non è men vero che, al pari delle società antiche, anche essa non potrà far a meno di una classe laboriosa e, per ciò stesso, partecipante ai circoli dirigenti. Spetta dunque a voi di mostrare francamente che siete e intendete essere un ceto volonteroso ed attivo. Voi lo avete del resto ben compreso, e i figli vostri ancor più chiaramente lo comprenderanno e vedranno: nessuno vale a sottrarsi alla legge originale e universale del lavoro, per svariato e molteplice che sia e appaia nelle sue forme dell'ingegno e della mano. Onde Noi siamo sicuri che la magnanima vostra generosità saprà far proprio questo sacro dovere non meno coraggiosamente, non meno nobilmente che i vostri grandi obblighi di cristiani e di gentiluomini, discendenti come siete di avi, la cui operosità esaltano e tramandano all'età nostra tanti stemmi marmorei nei palazzi dell'Urbe e delle terre d'Italia.
Vi è, del resto, un privilegio che nè il tempo né gli uomini varranno a rapirvi, se voi stessi, non più meritandolo, non consentite a perderlo: quello di essere i migliori, gli "optimates", non tanto per la copia delle ricchezze, il lusso delle vesti, lo sfarzo dei palazzi, quanto per la integrità dei costumi, per la rettitudine del vivere religioso e civile; il privilegio di essere patrizi, "patricii", per le eccelse qualità della mente e del cuore; il privilegio infine di essere nobili, "nobiles", vale a dire uomini, il cui nome è degno di essere conosciuto e le azioni di venir citate ad esempio ed emulazione.
Per voi, in tal guisa operando e proseguendo, sempre più risplenderà e continuerà la nobiltà avita; e dalle mani stanche dei vegliardi a quelle vigorose dei giovani trapasserà la fiaccola della virtù e dell'azione, luce silenziosa e calma di tramonti dorati, che si ravviva in novele aurore a ogni nuova generazione, coi lampi di una fiamma di aspirazioni generose e feconde.
Tali sono, diletti Figli e Figlie, i voti che innalziamo a Dio per voi, pieni di fiduciosa speranza, mentre, come pegno delle più elette grazie celesti, impartiamo a tutti e a ciascuno di voi, a tutti i vostri cari, a tutte le persone che avete nella mente e nel cuore, la Nostra paterna Apostolica Benedizione (Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, Tipografia Poliglotta Vaticana, 8/1/1940, pp. 471-474).  

Allocuzione del 5 gennaio 1941

Fonte di intima e paterna gioia al Nostro cuore, diletti figli e figlie, è la gradita vostra corona intorno a Noi, sull'aprirsi del nuovo anno, non meno grave di trepidi orizzonti di quello testè tramontato, convenuti come siete a porgerCi auguri filiali col la voce dell'esimio vostro interprete, le cui devote ed elevate espressioni danno alla consona e consenziente vostra presenza un pregio e un affetto a Noi particolarmente cari. Nel patriziato e nella nobiltà romana Noi rivediamo ed amiamo una schiera di figli e di figlie, il cui vanto è il vincolo a la fedeltà avita verso la Chiesa e il Romano Pontefice, il cui amore per il Vicario di Cristo erompe dalla profonda radice della fede, nè viene meno per volgere di anni e di vicende varianti coi tempi e con gli uomini. In mezzo a voi Ci sentiamo più romani per la consuetudine della vita, per l'aria che abbiamo respirato e respiriamo, per il medesimo cielo, per il medesimo sole, per le medesime rive del Tevere sulle quali posò la Nostra culla, per quel suolo sacro fin nei riposti aditi delle sue viscere, donde Roma trae per i suoi figli gli auspici di una eternità che s'inciela.
È un fatto che Cristo Nostro Signore, se elesse, per conforto dei poveri, di venire al mondo privo di tutto e di crescere in una famiglia di semplici operai, volle tuttavia col la sua nascita onorare la più nobile ed illustre delle case di Israele, la discendenza stessa di David.
Perciò, fedeli allo spirito di Colui, del quale sono Vicari, i Sommi pontefici hanno sempre tenuto in alta considerazione il Patriziato e la Nobiltà romana, i cui sentimenti di inalterabile attaccamento a questa Sede Apostolica sono la parte più preziosa della eredità ricevuta dai loro avi e che essi stessi trasmetteranno ai loro figli.
Di questa grande e misteriosa cosa che è l'eredità - vale a dire il passaggio in una stirpe, perpetuantesi di generazione in generazione, di un ricco insieme di beni materiali e spirituali, la continuità di un medesimo tipo fisico e morale conservantesi da padre in figlio, la tradizione che unisce attraverso i secoli membri di una medesima famiglia di questa eredità, diciamo, si può senza dubbio travisare la vera natura con teorie materialiste. Ma si può anche e si deve considerare una tale realtà di così grande importanza nella pienezza della sua verità umana e soprannaturale.
Non si negherà certamente il fatto di un sostrato materiale alla trasmissione dei caratteri ereditari; per meravigliarsene, bisognerebbe dimenticare la unione intima della nostra anima col nostro corpo, e in quale larga misura le stesse nostre attività più spirituali siano dipendenti dal nostro temperamento fisico. Perciò la morale cristiana non manca di ricordare ai genitori le gravi responsabilità che loro spettano a tale riguardo.
Ma quel che più vale è la eredità spirituale, trasmessa non tanto per mezzo di questi misteriosi legami della generazione materiale, quanto con l'azione permanente di quell'ambiente privilegiato che costituisce la famiglia, con la lenta e profonda formazione delle anime nell'atmosfera di un focolare ricco di alte tradizioni intellettuali, morali, e soprattutto cristiane, con la mutua influenza fra coloro che dimorano in una medesima casa, influenza i cui benefici effetti si prolungano ben al di là degli anni della fanciullezza e della gioventù, sino al termine di una lunga vita, in quelle anime elette, che sanno fondere in se stesse i tesori di una preziosa eredità col contributo delle loro proprie qualità ed esperienze.
Tale è il patrimonio, sopra ogni altro pregevole, che, illuminato da una fede salda, vivificato da una forte e fedele pratica della vita cristiana in tutte le sue esigenze, eleverà, affinerà, arricchirà le anime dei vostri figli. Ma, come ogni ricco patrimonio, anche questo porta con sè stretti doveri, tanto più stretti, quanto più esso è ricco. Due soprattutto:
1) il dovere di non sperperare simili tesori, di trasmetterli intatti, accresciuti anzi, se è possibile, a coloro che verranno dopo di voi; di resistere perciò alla tentazione di non vedere in essi che un mezzo di vita più facile, più piacevole, più squisita, più raffinata;
2) il dovere di non riservare per voi soli quei beni, ma di farne largamente profittare coloro che sono stati meno favoriti dalla Provvidenza.
La nobiltà della beneficenza e della virtù, diletti figli e figlie, è stata essa pure conquistata dai vostri maggiori, e ne sono testimoni i monumenti e le case, gli ospizi, i ricoveri, gli ospedali di Roma, dove i loro nomi e il loro ricordo parlano della loro provvida e vigile bontà verso gli sventurati e i bisognosi. Noi ben sappiamo che nel patriziato e nella nobiltà romana non è venuta meno, per quanto le facoltà di ciascuno lo permettono, questa gloria e gara di bene. Ma nella presente ora penosa, in cui il cielo è turbato da vigilate sospettose notti, l'animo vostro, mentre osserva nobilmente una serietà, vorremmo anzi dire una austerità di vita, che esclude ogni leggerezza e ogni frivolo piacere, incompatibili per ogni cuore gentile col lo spettacolo di tante sofferenze, sente ancor più vivo l'impulso della carità operosa che vi sospinge a crescere e moltiplicare i meriti già da voi acquistati nel sollievo delle miserie e della povertà umana. Quante occasioni vi porgerà il nuovo anno, che inizia nuovi cimenti ed eventi, di far del bene non solo dentro le pareti domestiche, ma anche fuori! Quanti nuovi campi di soccorso e di aiuto! Quante secrete lacrime da asciugare! Quanti dolori da lenire! Quante angustie fisiche e morali da sollevare!
Quale sia per essere il corso dell'anno testè cominciato, è segreto e consiglio di Dio, sapiente e provvido, che governa e guida il cammino della sua Chiesa e del genere umano verso quel termine, ove trionfano la sua
misericordia e la sua giustizia. Ma la Nostra brama, la Nostra preghiera, il Nostro augurio è la giusta e durevole pace e la tranquillità ordinata del mondo; la pace che rallegri tutti i popoli e le nazioni; la pace che, richiamando il sorriso su tutti i volti, susciti nei cuori l'inno della più alta lode e riconoscenza al Dio di pace che adoriamo nella culla di Betlemme.
In questo Nostro voto, diletti figli e figlie, è anche un auspicio di anno non fortunoso, ma fortunato per tutti voi, la cui gradita presenza Ci offre la immagine di ogni età umana, che sotto la protezione divina si avanza nel sentiero della vita e fa delle virtù private e pubbliche la miglior lode dei suoi passi. Agli anziani, custodi delle nobili tradizioni familiari e lumi di saggia esperienza ai minori; ai padri e alle madri, maestri ed esempi di virtù ai figli e alle figlie, ai giovani che crescono puri, sani, operosi, nel timor santo di Dio, alle speranze della famiglia e della diletta Patria; ai piccoli che sognano il futuro delle loro imprese nei moti e nei giuochi della loro fanciullezza; a voi tutti che godete e partecipate della comunanza e della gioia familiare, Noi porgiamo un paterno e vivo augurio che risponda al desiderio di ciascuno e di ciascuna di voi, memori che tutte le nostre brame sono sempre vagliate e pesate da Dio sulla bilancia del nostro maggior bene, sulla quale spesso ha minor peso ciò che noi chiediamo di quello che Egli ci concede.
Tale è la preghiera che per voi, in questo inizio del nuovo anno, dietro i cui impenetrabili veli regna, governa ed opera l'alta Provvidenza che impera con amore sullo universo e sul mondo degli eventi umani, eleviamo al Signore, invocando sopra di voi l'abbondanza dei celesti favori, mentre, ridando nell'immensa bontà divina, a tutti e a ciascuno di voi, ai vostri cari e a quanti avete nella mente e nel cuore, impartiamo la Nostra paterna Apostolica Benedizione (Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, Tipografia Poliglotta Vaticana, 5/1/1941, pp. 363-366).  

Allocuzione del 5 gennaio 1942

I voti augurali, che il vostro illustre interprete, diletti figli e figlie, con parola elevata Ci ha presentati, vogliono, nel vostro pensiero, sopra ogni cosa manifestare quel filiale attaccamento alla Sede Apostolica, che anima la vostra fede ed è la gloria più bella del Patriziato e della Nobiltà romana. Noi con grand'animo e altamente ve ne ringraziamo; e la corrispondenza dell'amore Nostro meritatamente riversa i Nostri voti su di voi e sulle vostre famiglie, affine di attestarvi ancora una volta, per così vivi sentimenti della vostra tradizionale fedeltà al Vicario di Cristo, la Nostra grata e particolare affezione.
Questo filiale e paterno incontro nella casa del Padre comune, se non è primizia, non può neppure esser scemato della sua dolcezza e del suo gradimento dall'impero della consuetudine, come il ritorno delle feste natalizie non ne diminuisce la religiosa letizia, nè le aurore del nuovo anno offuscano l'orizzonte delle speranze. Il rinnovarsi della sacra gioia dello spirito non somiglia forse al rinnovellarsi del giorno, dell'anno, della natura? Anche lo spirito ha il suo rinnovamento e la sua rinascita. Noi rinasciamo, noi riviviamo, commemorando i misteri della nostra fede; e nella grotta di Betlemme riadoriamo il Bambino Gesù, Salvatore nostro, luce e sole nuovo del mondo, come sui nostri altari si rinnova il perenne Calvario di un Dio crocifisso e morente per amor nostro. Voi, ricordando i vostri avi, quasi li rivivete; e i vostri avi rivivono nei vostri nomi e nei titoli che vi hanno lasciati dei loro meriti e delle loro grandezze. Non sono forse due parole gravi di gloria e ricche di senso: Patriziato e Nobiltà di questa Roma, il cui nome varca i secoli e splende sul mondo quale sigillo di fede e di verità scesa dal cielo per sublimarvi l'uomo?
Umanamente il nome di Patriziato romano rievoca in noi il ricordo di quelle antiche gentes, le cui origini si perdono fra le nebbie della leggenda, che però nella chiara luce della storia appariscono quali menti e volontà fattrici essenziali della potenza e della grandezza romana ai tempi più gloriosi della Repubblica e dell'Impero, quando i Cesari nei loro comandi non ponevano in luogo della ragione l'arbitrio. Uomini rudi, i più antichi, tutti penetrati del sentimento dei destini dell'Urbe, identificanti i loro propri interessi con quelli della cosa pubblica, perseguenti i loro vasti e arditi disegni con una costanza, una perseveranza, una saggezza e un'energia che giammai non si smentivano; essi eccitano anche oggi l'ammirazione di chiunque richiami alla mente la storia di quei secoli lontani. Erano i patres e i loro discendenti, "Patres certe ab honore, patreciique progenies eorum appellati" (Liv. l. I, c. 8 n. 7), i quali al patriziato del sangue sapevano congiungere la nobiltà
della sapienza, del valore e della virtù per un proposito e un processo di conquista del mondo, che Dio, contro il loro pensiero, avrebbe un giorno, nel suo eterno consiglio, tramutato in preparato e aperto campo di lotte e di vittorie sante per gli eroi del suo Vangelo, mentre dell'Urbe avrebbe fatto la Roma delle genti credenti in Cristo, elevando sopra i muti ricordi dei Pontefici Masssimi del paganesimo, il perenne pontificato e Magistero di Pietro.
Ond'è che cristianamente, soprannaturalmente, il nome di Patriziato Romano sveglia nel nostro spirito pensiero e visione di storia ancor più grandi. Se il termine di patrizio, patricius, nella Roma pagana, significava il fatto di avere degli antenati, di appartenere, non a una discendenza di grado comune, ma a una classe privilegiata e dominante; nella luce cristiana prende aspetto più luminoso e risuona più profondo, in quanto associa l'idea di superiorità sociale a quella di illustre paternità. Esso è un patriziato della Roma cristiana, che ebbe i suoi fulgori più alti e antichi, non già nel sangue, ma nella dignità di protettori di Roma e della Chiesa: patricius Romanorum, titolo portato dal tempo degli Esarchi di Ravenna fino a Carlomagno e ad Enrico III. Armati difensori della Chiesa ebbero pure i Papi attraverso i secoli, usciti dalle famiglie del Patriziato romano; e Lepanto ne segnò ed eternò un gran nome nei fasti della storia. Oggi, diletti figli e figlie, il Patriziato e la nobiltà romana sono chiamati a difendere e proteggere l'onore della Chiesa con l'arma del decoro di una virtù morale, sociale e religiosa, che splenda in mezzo al popolo romano e innanzi al mondo.
Le ineguaglianze sociali, anche quelle legate alla nascita, sono inevitabili: la natura benigna e la benedizione di Dio all'umanità illuminano e proteggono le culle, le baciano, ma non le pareggiano. Guardate pure le società più inesorabilmente livellate. Nessun'arte ha mai potuto operare tanto che il figlio di un gran Capo, di un gran conduttore di folle, restasse in tutto nel medesimo stato di un oscuro cittadino perduto fra il popolo. Ma se tali ineluttabili disparità possono paganamente apparire un'inflessibile conseguenza del conflitto delle forze sociali e della potenza acquisita dagli uni sugli altri, per le leggi cieche che si stimano reggere l'attività umana e metter capo al trionfo degli uni, come al sacrificio degli altri; da una mente invece cristianamente istruita ed educata esse non possono considerarsi se non quale disposizione voluta da Dio con il medesimo consiglio delle ineguaglianze nell'interno della famiglia, e quindi destinate a unire maggiormente gli uomini tra loro nel viaggio della vita presente verso la patria del cielo, gli uni aiutando gli altri, a quel modo che il padre aiuta la madre e i figli.
Che se questa concezione paterna della superiorità sociale talvolta, per l'urto delle passioni umane, sospinse gli animi a deviazioni nei rapporti delle persone di rango più elevato con quelle di condizione più umile, la storia dell'umanità decaduta non se ne meraviglia. Tali deviazioni non valgono a diminuire o ad offuscare la verità fondamentale che per il cristiano le disuguaglianza sociali si fondono in una grande famiglia umana; che quindi le relazioni fra ranghi e classi ineguali hanno da rimanere governate da una proba a pari giustizia, e, ad un tempo, animate di rispetto e di affezione mutua, che, pur senza sopprimere la disparità, ne scemino le distanze e ne temperino i contrasti. Nelle famiglie veramente cristiane non vediamo noi forse i più grandi fra i patrizi e le patrizie vigili e solleciti di conservare verso i loro domestici e tutti quelli che li circondano, un comportamento, consentaneo senza dubbio al loro rango, ma scevro di ogni sussiego, atteggiato a benevolenza e cortesia di parole e di modi, che dimostrano la nobiltà di cuori i quali vedono in essi uomini, fratelli, cristiani come loro, a sè uniti in Cristo coi vincoli della carità? di quella carità, che anche nei palazzi aviti, fra i grandi e gli umili, massime nelle ore di mestizia e di dolore che non è mai che manchino quaggiù, conforta, sostiene, allieta e addolcisce la vita?
Voi, diletti figli e figlie, come Patriziato e Nobiltà romana, voi in questa Roma, nel centro della comunità cristiana, nella Chiesa Madre e Capo di tutte le Chiese del mondo cattolico, intorno a Colui che Cristo ha stabilito Suo Vicario, Padre comune di tutti i fedeli; voi siete posti dalla Divina Provvidenza in alto, perchè la vostra dignità rifulga in faccia al mondo, nella devozione alla Sede di Pietro, quale esempio di virtù civile e di grandezza cristiana. Se ogni preminenza sociale trae seco uffici e doveri, quella che per mano di Dio vi è toccata in sorte, domanda da voi, specialmente nella grave e tempestosa ora che volge, - ora opaca delle discordie e delle fiere contese cruente umane, ora che chiama a preghiera e a penitenza, le quali trasformino e correggano in tutti, più conforme alla legge divina, il costume della vita, come ce ne ammoniscono fuori di ogni dubbio le presenti angustie e l'incertezza dei futuri pericoli - domanda, diciamo, da voi una pienezza di vita cristiana, una irreprensibile e austera condotta, una fedeltà a tutti i vostri doveri di famiglia, a tutti i vostri obblighi privati e pubblici, che mai non si smentiscano, ma risplendano vivamente e chiaramente agli occhi di quanti vi guardano e vi mirano, ai quali voi dovete nei vostri atti e nei vostri passi, con la verace via per
avanzare nel bene, mostrare che il miglior ornamento del Patriziato e della Nobiltà romana è l'eccellenza della virtù.
Mentre pertanto all'umile e povero Bambino Gesù, di progenie regale, umanato Re degli angeli e degli uomini, chiediamo che vi sia di guida nel compimento della missione a voi assegnata, e vi illumini e fortifichi con la sua grazia, vi impartiamo con effusione di cuore, diletti figli e figlie, la nostra paterna Apostolica Benedizione; la quale intendiamo che si estenda e rimanga su tutti i vostri cari, in modo speciale su quelli, che sono lontani da voi, che per l'adempimento del dovere si trovano esposti a pericoli, cui vanno incontro con valore pari alla nobiltà del loro sangue; che sono forse dispersi, feriti, prigionieri. Questa benedizione scenda e sia per voi balsamo, conforto, protezione, auspicio dei più eletti e abbondanti favori e aiuti celesti, e per il mondo inquieto e sconvolto speranza di tranquillità e di pace! (Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, Tipografia Poliglotta Vaticana, 5/1/1942, pp. 345-349).  

Allocuzione del 11 gennaio 1943

Ai fervidi auguri, diletti figli e figlie, che l'alta parola del vostro illustre interprete Ci ha presentati in nome vostro, come potrebbero non rispondere i voti che Noi innalziamo a Dio per voi? Noi proviamo, in questo momento, non vinte dalla tristezza dell'ora presente, una soave consolazione, una gioia profonda, perchè nelle vostre persone vediamo in qualche modo rappresentata davanti a Noi tutta la Nostra diletta Roma. A così eminente stato la disposizione della divina Provvidenza vi ha nel corso della storia elevati; voi ne avete coscienza e ne concepite al tempo stesso una legittima alterezza e un sentimento di grave responsabilità.
Per privilegio di nascita il consiglio divino vi ha collocati come una città sopra un monte; non potete quindi rimanere nascosti (Cfr. Matth. 5,14): vi ha poi destinati a vivere in pieno secolo ventesimo, presentemente in giorni di strettezza e di angosce. Se voi siete ancora situati in alto e dall'alto dominate, non è più al modo dei vostri antenati. Quegli avi vostri, dimoranti nelle loro rocche e nei loro castelli isolati, difficili di accesso, formidabili di guardia, - torri e manieri sparsi per tutta Italia, compresa la regione romana, avevano là un rifugio contro le incursioni di rivali o di malfattori, là organizzavano la difesa armata, di là discendevano a combattere nel piano. Anche voi, loro nipoti, traete a voi gli sguardi di coloro che stanno giù nella valle. Considerate nella storia i grandi nomi, quelli che voi portate, resi famosi per valore militare, per servigi sociali di ogni lode e vantaggio, per zelo religioso, per santità; quali e quante aureole di gloria li cingono! Il popolo li ha cantati ed esaltati con la voce dei suoi scrittori e dei suoi poeti, con la mano dei suoi artisti: ha giudicato però anche, e giudica tuttora, con implacabile severità, talvolta fino all'ingiustizia, i loro errori e le loro colpe. Se ne cercate la cagione, la troverete nell'alto ufficio, nel loro posto di responsabilità cui non si addicono, non che cadute o mancanze, nemmeno una onestà comune o una semplice e ordinaria mediocrità.
La responsabilità che voi, diletti figli e figlie, e in generale la nobiltà porta di fronte al popolo, non è oggi di molto minor peso che quella gravante già sugli antenati dei secoli trascorsi, come con ogni chiarezza la storia insegna.
Se osserviamo infatti i popoli, che un tempo professavano uniti e concordi la fede e la civiltà cristiana, noi vediamo al presente vasti campi di rovine religiose e morali, onde assai rare sono le regioni dell'antico occidente cristiano, in cui la valanga dello sconvolgimento spirituale non abbia lasciato tracce della sua devastazione.
Non già che tutto e tutti ne siano rimasti travolti od oppressi; anzi non dubitiamo di affermare che raramente nel corso dei tempi la vivacità e la fermezza della fede, la dedizione a Cristo e la prontezza a difendere la sua causa furono nel mondo cattolico così aperte, manifeste, forte come sono oggidi, tanto che per vari aspetti se ne potrebbe far quasi un paragone coi primi secoli della Chiesa. Ma, a paragone stesso, apparisce altresì il rovescio della medaglia. Il fronte cristiano urta anche ora contro una civiltà non cristiana, anzi nel caso nostro - e ciò aggrava la situazione al confronto dei primi secoli del Cristianesimo - contro una civiltà che si è allontanata da Cristo. Questo scristianamento è oggi così potente e audace che torna troppo spesso difficile
all'atmosfera spirituale e religiosa di espandersi e di mantenersi del tutto libera e immune del suo alito velenoso.
Conviene tuttavia ricordare che tale cammino verso la incredulità e la irreligione ebbe il suo punto di partenza non dal basso, ma dall'alto, vale a dire dalle classi dirigenti, dai ceti elevati, dalla nobiltà, da pensatori e filosofi. Non intendiamo qui di parlare - notate bene - di tutta la nobiltà, e ancor meno della nobiltà romana, la quale largamente si distinse per la sua fedeltà alla Chiesa e a questa Sede Apostolica - e le eloquenti e filiali espressioni, che abbiamo testè udite, ne sono una novella e luminosa prova - ma, in generale, della nobiltà in Europa. Negli ultimi secoli non si rileva forse nell'occidente cristiano una evoluzione spirituale, che, per così dire, orizzontalmente e verticalmente, in larghezza e in profondità, sempre più veniva demolendo e scalando la fede, conducendo a quella rovina, che presentano oggi moltitudini di uomini senza religione od ostili alla religione, o almeno animati e traviati da intimo e malconcepito scetticismo verso il soprannaturale e il cristianesimo?
Avanguardia di questa evoluzione fu la cosidetta Riforma protestante, nelle cui vicende e guerre una gran parte della nobiltà europea si staccò dalla Chiesa cattolica e se ne appropriò i beni. Ma la incredulità propriamente si diffuse nei tempi che precedettero la rivoluzione francese. Gli storici notano che l'ateismo, anche sotto la lustra di deismo, si era allora propagato rapidamente nell'alta società in Francia e altrove: credere in Dio creatore e redentore era divenuto, in quel mondo dedito a tutti i piaceri dei sensi, quasi cosa ridicola e disdicevole a spiriti colti e avidi di novità e di progresso. Nella maggior parte dei "saloni" delle più grandi e raffinate dame, ove si agitavano i più ardui problemi di religione, di filosofia, di politica, letterati e filosofi, fautori di dottrine sovvertitrici, erano considerati come il più bello e ricercato ornamento di quei ritrovi mondani. L'empietà era di moda nell'alta nobiltà, e gli scrittori più in voga nei loro attacchi contro la religione sarebbero stati meno audaci, se non avessero avuto il plauso e l'incitamento della società più elegante. Non già che la nobiltà e i filosofi si proponessero tutti e direttamente come scopo lo scristianamento delle masse. Al contrario, la religione avrebbe dovuto rimanere per il popolo semplice, come mezzo di governo in mano dello Stato. Essi però si sentivano e stimavano superiori alla fede e ai suoi precetti morali: politica ben presto dimostratasi funesta e di corta veduta, anche a chi la considerasse dall'aspetto puramente psicologico. Con rigore di logica, potente nel bene, terribile nel male, il popolo sa tirare le conseguenze pratiche dalle sue osservazioni e dai suoi giudizi, fondati o erronei che siano. Prendete in mano la storia della civiltà negli ultimi due secoli: essa vi palesa e dimostra quali danni alla fede e ai costumi dei popoli abbiano prodotti il cattivo esempio che scende dall'alto, la frivolezza religiosa delle classi elevate, l'aperta lotta intellettuale contro la verità rivelata.
Ora che cosa conviene dedurre da questi insegnamenti della storia? Che oggidi la salvezza deve prendere le mosse di là, donde il pervertimento ebbe la sua origine. Non è per sè difficile di mantenere nel popolo la religione e i sani costumi, quando le classi alte lo precedono col loro buon esempio e creano condizioni pubbliche, che non rendano grave oltre misura la formazione della vita cristiana, ma la promuovano imitabile e dolce. Non è forse tale anche il vostro officio, diletti figli e figlie, che per la nobiltà delle vostre famiglie, e per le cariche che non di rado occupate, appartenete alle classi dirigenti? La grande missione, che a voi, e con voi a non pochi altri, è assegnata, - di cominciare cioè con la riforma o il perfezionamento della vita privata, in voi stessi e nella vostra casa, e di adoperarvi poi, ciascuno al suo posto e per la sua parte, a far sorgere un ordine cristiano nella vita pubblica, - non permette dilazione o ritardo. Missione questa nobilissima e ricca di promesse, in un momento in cui, come reazione contro il materialismo devastante e avvilente, si viene rivelando nelle masse una nuova sete dei valori spirituali, e contro la incredulità una fortissima apertura degli animi verso le cose religiose; manifestazioni le quali lasciano sperare essere ormai superato e oltrepassato il punto più profondo del decadimento spirituale. A voi quindi spetta con la luce e l'attrattiva del buon esempio, elevantesi sopra ogni mediocrità, non meno che con le opere, il vanto di collaborare affinchè quelle iniziative e quelle aspirazioni di bene religioso e sociale siano condotte al loro felice adempimento.
Che dire della efficacia e della potenza di quei generosi del vostro ceto, che, penetrati della grandezza della loro vocazione, hanno dedicato pienamente la loro vita a spargere la luce della verità e del bene, di quei "grands seigneurs de la plume", come sono stati chiamati, gran signori dell'azione intellettuale, morale e religiosa? La Nostra voce non potrebbe troppo elogiarli: hanno l'alta lode di buoni e fedeli servitori del Maestro divino, che mettono a eccellente frutto i talenti loro affidati.
Ci piace di aggiungere che l'ufficio della nobiltà non ha da restar pago di risplendere alla maniera di un faro, che fa luce ai naviganti, ma non si muove. La vostra dignità è pur quella di stare in vedetta, dall'alto della montagna su cui siete collocati, sempre pronti a spiare nel basso piano tutte le pene, le sofferenze, le angustie, per scendere solleciti a sollevarle come pietosi confortatori e soccorritori. In questi tempi calamitosi, quale campo si offre alla dedizione, allo zelo e alla carità del Patriziato e della Nobiltà! Quali e quanti esempi di virtù da illustri casati vengono a confortare il Nostro cuore! Certo, se la responsabilità davanti ai bisogni è grande, l'azione di chi vi si sobbarca, quanto è più grave, tanto è più gloriosa: anche voi sarete in tal guisa di più in più pari all'altezza del vostro grado, perchè il Padre celeste, che vi ha in modo particolare destinati ed elevati ad essere rifugio, lume, soccorso nel mondo in affanno, non mancherà di largirvi in abbondanza e sovrabbondanza le grazie per corrispondere degnamente alla vostra alta vocazione.
Sì, un'alta vocazione è veramente anche la vostra, nella quale spirito cristiano e condizione sociale si uniscono e v'invitano a far rifulgere quella bontà effusiva di se stessa, che vi acquista e cumula meriti e gratitudine presso gli uomini, ma meriti più grandi e nobili presso Dio, giusto rimuneratore del bene che, fatto al prossimo, è da Lui ritenuto come fatto a Se stesso. Non cessate pertanto di adoperarvi affinchè per la generosa azione vostra non solo si onori il benefico vostro nome, ma il popolo esalti nel cristianesimo che anima la vostra vita, ispira la vostra attività e vi eleva a Dio. E da Dio, diletti figli e figlie, invocando ogni favore celeste sulle vostre famiglie, sui vostri bambini dall'ineffabile sorriso, sui giovinetti dalla serena adolescenza, sui baldi giovani dal condente ardire, sugli uomini maturi dal virile proposito, sui vegliardi dai sapienti consigli, che allietano e sostengono gl'insigni vostri casati, e specialmente sui cari e valorosi assenti, oggetto dei vostri ansiosi pensieri e del vostro particolare affetto, Noi vi impartiamo con tutta l'effusione dell'animo la Nostra paterna Apostolica Benedizione (Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, Tipografia Poliglotta Vaticana, 11/1/1943, pp. 357-362).  

Allocuzione del 19 gennaio 1944

Non fu vostro pensiero, diletti figli e figlie, che le presenti prove, le quali interrompono e perturbano il quieto andamento della vita familiare e sociale, dovessero impedirvi di venire, come gli altri anni, ad offrirCi con filiale devozione l'omaggio dei vostri auguri. Questo periodo tragico e doloroso, pieno di ansie e di cure, impone gravi doveri e provvedimento e propositi per la ricostituzione della umana società al cessare e tranquillarsi, in un pacifico domani, dell'immane cataclisma mondiale. Giammai le preghiere non sono state più necessarie; giammai i voti più opportuni. Noi vi ringraziamo, con pieno affetto dell'animo Nostro, di quelli che Ci avete presentati per la voce del vostro illustre interprete, e ancor più del concorso di intenti e di azioni, che siamo sempre sicuri di trovare in voi. Quando la casa è in fiamme, una prima sollecitudine fa chiamare al soccorso per spegnere il fuoco; ma dopo la rovina conviene riparare i danni e rialzare l'edificio.
Noi assistiamo oggigiorno ad uno dei più grandi incendi della storia, ad uno dei più profondi sconvolgimenti politici e sociali segnati negli annali del mondo, ma al quale sta per succedere un nuovo ordinamento, il cui segreto è ancora celato nel consiglio e nel cuore di Dio, provvido reggitore del corso degli eventi umani e del loro concludersi. Le cose terrene scorrono come un fiume nell'alveo del tempo: necessariamente il passato cede il posto e la via all'avvenire, e il presente non è che un istante fugace che congiunge l'uno con l'altro. E un fatto, è un moto, è una legge; non è in sè un male. Il male sarebbe, se questo presente che dovrebbe essere un flutto tranquillo nella continuità della corrente, divenisse una tromba marina, sconvolgendo ogni cosa come tifone o uragano al suo avanzarsi, escavando con furioso distruggimento e rapimento un abisso tra ciò che fu e ciò che deve seguire. Tali sbalzi disordinati, che fa la storia nel suo corso, costituiscono allora e segnano ciò che si chiama una crisi, vale a dire un passaggio pericoloso, che può far capo a salvezza o a rovina irreparabile, ma la cui soluzione è tuttora avvolta di mistero entro la caligine delle forze contrastanti.
Chi bene considera, studia e pondera il passato a noi più vicino, non può negare che il male compiuto sarebbe stato evitabile e la crisi possibile a scongiurarsi, grazie ad un procedimento normale, in cui ciascuno avrebbe adempiuto decorosamente e coraggiosamente la missione assegnatagli dalla Provvidenza divina.
La società umana non è forse, o almeno non dovrebbe essere, simile ad una macchina bene ordinata, di cui tutti gli organi concorrono all'azione armonica dell'insieme? Ognuno di essi ha il proprio ufficio, ognuno deve applicarsi al miglior progresso dell'organismo sociale, deve cercarne il perfezionamento, secondo le proprie forze e la propria virtù, se veramente ama il suo prossimo e tende ragionevolmente al bene e al vantaggio comune.
Ora quale parte è stata commessa in modo speciale a voi, diletti figli e figlie? quale ufficio vi è stato particolarmente attribuito? Precisamente quello di agevolare questo svolgimento normale; quello che nella macchina presta e compie il regolatore, il volano, il reostato, che partecipano all'attività comune e ricevono la loro parte della forza motrice per assicurare il movimento di regime dell'apparecchio. In altri termini, Patriziato e Nobiltà, voi rappresentate e continuate la tradizione.
Questa parola, ben si sa, suona sgradita a molti orecchi; essa spiace a buon diritto, quando è pronunciata da certe labbra. Alcuni la comprendono male; altri ne fanno il cartellino menzognero del loro egoismo inattivo. In tale drammatico dissenso ed equivoco, non poche voci invidiose, spesso ostili e di cattiva fede, più spesso ancora ignoranti o ingannate, vi interrogano e vi domandano senza riguardo: A che cosa servite voi? Per rispondere loro, conviene prima intendersi sul vero senso e valore di questa tradizione, di cui voi volete essere principalmente i rappresentanti.
Molti animi, anche sinceri, s'immaginano e credono che la tradizione non sia altro che il ricordo, il pallido vestigio di un passato che non è più, che non può più tornare, che tutt'al più viene con venerazione, con riconoscenza se vi piace, relegato e conservato in un museo che pochi amatori o amici visitano. Se in ciò consistesse e a ciò si riducesse la tradizione e se importasse il rifiuto o il disprezzo del cammino verso l'avvenire, si avrebbe ragione di negarle rispetto e onore, e sarebbero da riguardare con compassione i sognatori del passato, ritardatari in faccia al presente e al futuro, e con maggior severità coloro, che, mossi da intenzione meno rispettabile e pura, altro non sono che i disertori dei doveri dell'ora che volge così luttuosa.
Ma la tradizione è cosa molto diversa dal semplice attaccamento ad un passato scomparso; è tutto l'opposto di una reazione che diffida di ogni sano progresso. Il suo stesso vocabolo etimologicamente è sinonimo di cammino e di avanzamento. Sinonimia, non identità. Mentre infatti il progresso indica soltanto il fatto del cammino in avanti passo innanzi passo, cercando con lo sguardo un incerto avvenire; la tradizione dice pure un cammino in avanti, ma un cammino continuo, che si svolge in pari tempo tranquillo e vivace, secondo le leggi della vita, sfuggendo all'angosciosa alternativa: "Si jeunesse savait, si vieillesse pouvait!"; simile a quel Signore di Turenne, di cui fu detto: "Il a eu dans sa jeunesse toute la prudence d'un âge avancé, et dans un âge avancé toute la vigueur de la jeunesse" (Fléchier, Oraison funèbre, 1676). In forza della tradizione, la gioventù, illuminata e guidata dall'esperienza degli anziani, si avanza di un passo più sicuro, e la vecchiaia trasmette e consegna fiduciosa l'aratro a mani più vigorose che proseguono il solco cominciato. Come indica col suo nome, la tradizione è il dono che passa di generazione in generazione, la fiaccola che il corridore ad ogni cambio pone in mano e affida all'altro corridore, senza che la corsa si arresti o si rallenti. Tradizione e progresso s'integrano a vicenda con tanta armonia, che, come la tradizione senza il progresso contraddirebbe a sè stessa, così il progresso senza la tradizione sarebbe una impresa temeraria, un salto nel buio.
No, non si tratta di risalire la corrente, di indietreggiare verso forme di vita e di azione di età tramontate, bensì, prendendo e seguendo il meglio del passato, di avanzare incontro all'avvenire con vigore di immutata giovinezza.
Ma così procedendo, la vostra vocazione splende già delineata, grande e laboriosa, che dovrebbe meritarvi la riconoscenza di tutti e rendervi superiori alle accuse che vi fossero rivolte dall'una o dall'altra parte.
Mentre voi mirate provvidamente ad aiutare il vero progresso verso un avvenire più sano e felice, sarebbe ingiustizia ed ingratitudine il farvi rimprovero e segnarvi a disonore il culto del passato, lo studio della sua storia, l'amore delle sante costumanze, la fedeltà irremovibile ai principi eterni. Gli esempi gloriosi o infausti di coloro, che precedettero l'età presente, sono una lezione e un lume dinanzi ai vostri passi; e già fu detto a ragione che gli insegnamenti della storia fanno dell'umanità un uomo sempre in cammino e che mai non invecchia. Voi vivete nella società moderna non quasi come emigranti in paese straniero, ma come benemeriti e insigni cittadini, che intendono e vogliono lavorare e collaborare coi loro contemporanei, affine di preparare il risanamento, la restaurazione e il progresso del mondo.
Vi sono mali della società, non altrimenti che degli individui. Fu un grande avvenimento nella storia della medicina, quando un giorno il celebre Laënnec, uomo di genio e di fede, chino ansiosamente sul petto dei malati, armato dello stetoscopio da lui inventato, ne faceva l'ascoltazione, distinguendo e interpretando i più leggeri soffi, i fenomeni acustici appena percettibili dei polmoni e del cuore. Non è forse una funzione sociale di prim'ordine e di alto interesse quella di penetrare in mezzo al popolo e di ascoltare le aspirazioni e il malessere dei contemporanei, di sentire e discernere i battiti dei loro cuori, di cercare rimedio ai mali comuni, di toccarne delicatamente le piaghe per guarirle e salvarle dall'infezione, possibile a sopravvenire per difetto di cure, schivando di irritarle con un contatto troppo rude?
Comprendere, amare nella carità di Cristo il popolo del vostro tempo, dar prova coi fatti di questa comprensione e di questo amore: ecco l'arte e il modo di fare quel maggior bene che è da voi, non solo direttamente a coloro che vi stanno intorno, ma in una sfera quasi senza limiti, allorchè la vostra esperienza diviene un beneficio per tutti. E in questa materia quali magnifiche lezioni danno tanti nobili spiriti ardentemente e alacremente tesi a diffondere e suscitare un ordine sociale cristiano!
Non meno offensivo per voi, non meno dannoso per la società, sarebbe il pregiudizio mal fondato ed ingiusto, il quale non dubitasse di far credere e insinuare che il Patriziato e la Nobiltà verrebbero meno al proprio onore e alla dignità del proprio grado col tenere e praticare funzioni ed uffici che li mettessero al fianco dell'attività generale. È benvero che in tempi antichi l'esercizio delle professioni non si reputava ordinariamente degno dei nobili, eccettuata quella delle armi; ma anche allora non pochi di loro, appena la difesa armata li rendeva liberi, non esitavano di darsi ad opere d'intelletto o al lavoro delle loro mani. Oggidi poi, nelle mutate condizioni politiche e sociali, non è raro di trovare nomi di grandi famiglie associati ai progressi della scienza, dell'agricoltura, dell'industria, della pubblica amministrazione, del governo; tanto più perspicaci osservatori del presente e sicuri e arditi pionieri dell'avvenire, quanto più con mano salda stanno fermi al passato, pronti a trarre vantaggio dall'esperienza dei loro antenati, presti a guardarsi dalle illusioni o dagli errori, che furono già cagione di molti passi falsi e nocivi.
Custodi come volete essere della vera tradizione, che onora le vostre famiglie, spetta a voi l'ufficio e il vanto di contribuire alla salvezza della convivenza umana, preservandola sia dalla sterilità a cui la condannerebbero i contemplatori malinconici troppo gelosi del passato, sia dalla catastrofe a cui l'avvierebbero e la condurrebbero i temerari avventurieri o i profeti allucinati di un fallace e menzognero avvenire. Nell'opera vostra apparirà sopra di voi e in voi quasi l'immagine della Provvidenza divina, che con forza e dolcezza dispone e dirige tutte le cose verso il loro perfezionamento (Sap. 8,1) finchè la follia dell'orgoglio umano non intervenga ad attraversare i suoi disegni, semòre però d'altra parte superiori al male, al caso e alla fortuna. Con tale azione voi sarete anche preziosi collaboratori della Chiesa, che, pur in mezzo alle agitazioni e ai conflitti, non cessa di promuovere il progresso spirituale dei popoli, città di Dio sulla terra che prepara la città eterna.
Su questa santa e feconda vostra missione, alla quale, ne siamo sicuri, continuerete con fermo proposito a corrispondere, operando con zelo e con dedizione, in questi giorni gravosi più che mai necessari, imploriamo le più abbondanti grazie celesti, mentre di gran cuore impartiamo a voi e alle vostre care famiglie, ai vicini e ai lontani, ai sani e ai malati, ai prigionieri, ai dispersi, a coloro che si trovano esposti ai più acerbi dolori o pericoli, la Nostra paterna Apostolica Benedizione (Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, Tipografia Poliglotta Vaticana, 19/1/1944, pp. 177-182).  

Allocuzione del 14 gennaio 1945

Ancora una volta, diletti figli e figlie, in mezzo agli sconvolgimento, ai lutti, alle inquietudini d'ogni sorta, che travagliano la umana famiglia, voi siete venuti ad offrirCi i devoti auguri, che il vostro illustre interprete Ci ha presentati con nobiltà di sentimenti e delicatezza di espressione. Noi ve ne ringraziamo di cuore, come anche delle preghiere, con le quali, in un tempo così agitato, Ci assistete nel compimento dei formidabili doveri che gravano sulle Nostre deboli spalle.
Come dopo tutte le guerre e le grandi calamità vi sono sempre piaghe da sanare e rovine da riparare: così dopo le grandi crisi nazionali vi è tutto un adattamento da effettuare per ricondurre un Paese turbato e danneggiato nell'ordine generale, per fare ad esso riconquistare il posto che gli spetta, riprendere il cammino verso quel progresso e quel benessere, che la sua condizione e la sua storia, i suoi beni materiali e le sue facoltà spirituali gli assegnano.
Questa volta l'opera di restaurazione è incomparabilmente più vasta, delicata e complessa. Non si tratta di reintegrare nella normalità una sola Nazione. Il mondo intero, si può dire, è da riedificare; l'ordine universale è da ristabilire. Ordine materiale, ordine intellettuale, ordine morale, ordine sociale, ordine internazionale, tutto è da rifare e da rimettere in movimento regolare e costante. Questa tranquillità dell'ordine, che è la pace, la sola vera pace, non può rinascere e perdurare che a condizione di far riposare la società umana su Cristo, per raccogliere, ricapitolare e ricongiungere tutto in Lui: instaurare omnia in Christo (Eph. 1,10): con la unione armoniosa dei membri tra loro e la loro incorporazione all'unico Capo che è Cristo (Eph. 4,15).
Ora tutti generalmente ammettono che questa riorganizzazione non può essere concepita come un puro e semplice ritorno al passato. Un simile regresso non è possibile; pur nel suo moto spesso disordinato, sconnesso, senza unità nè coerenza, il mondo ha continuato a camminare; la storia non si arresta, non può arrestarsi; essa avanza sempre, proseguendo la sua corsa, ordinata e rettilinea ovvero confusa e contorta, verso il progresso ovvero verso una illusione di progresso; nondimeno essa cammina, corre, e volere semplicemente "far marcia indietro", non vogliamo dire per ridurre il mondo alla immobilità su posizioni antiche, ma per ricondurlo a un punto di partenza malauguratamente abbandonato a causa di deviamenti o di falsi scambi, sarebbe vana e sterile impresa. Non in ciò consiste - come osservammo l'anno passato in questa medesima occasione - la vera tradizione. Come non si potrebbe concepire a modo di una ricostituzione archeologica la ricostruzione di un edificio, che deve servire ad usi odierni, così essa neppure sarebbe possibile secondo disegni arbitrari, anche se fossero teoricamente i migliori e i più desiderabili; occorre tener presente la imprescindibile realtà, la realtà in tutta la sua estensione.
Non intendiamo con ciò di dire che bisogna contentarsi di veder passare la corrente, ancor meno di seguirla, di vogare secondo il suo capriccio, a rischio di lasciar la barca urtare nello scoglio o precipitare nell'abisso. L'energia dei torrenti, delle cateratte, è stata resa non soltanto inoffensivo, ma utile, feconda, benefica, da coloro, che, invece di reagire contro di essa o di cedere, hanno saputo dirigerla mediante chiuse, sbarramenti, incanalamenti, derivazioni. Tale è l'ufficio dei dirigenti, i quali, con lo sguardo fisso agli immutabili principi dell'operare umano, debbono sapere e volere applicare queste indefettibili norme alle contingenze dell'ora.
In una società progredita, come la nostra, che dovrà essere restaurata, riordinata dopo il grande cataclisma, l'ufficio di dirigente è assai vario: dirigente è l'uomo di Stato, di governo, l'uomo politico; dirigente l'operaio, che senza ricorrere alla violenza, alle minacce, alla propaganda insidiosa, ma col suo proprio valore, ha saputo acquistare autorità e credito nella sua cerchia; dirigenti, ciascuno nel suo campo, l'ingegnere e il giureconsulto, il diplomatico e l'economista, senza i quali il mondo materiale, sociale, internazionale, andrebbe alla deriva; dirigenti il professore universitario, l'oratore, lo scrittore, che mirano a formare e guidare gli spiriti; dirigente l'ufficiale, che infonde nell'animo dei suoi militi il senso del dovere, del servizio, del sacrificio; dirigente il medico nell'esercizio della sua missione salutare; dirigente il sacerdote che addita alle anime il sentiero della luce e della salvezza, comunicando loro gli aiuti per camminarvi e avanzare sicuramente.
Qual'è, in questa moltiplicità di direzioni, il vostro posto, il vostro ufficio, il vostro dovere? Esso si presenta in un duplice aspetto: ufficio e dovere personale, per ognuno di voi, ufficio e dovere della classe a cui appartenete.
Il dovere personale richiede che voi, con la vostra virtù, con la vostra applicazione, vi studiate di divenire dirigenti nella vostra professione. Ben sappiamo infatti che la gioventù odierna del vostro nobile ceto, consapevole dell'oscuro presente e dell'ancor più incerto avvenire, è pienamente persuasa che il lavoro è non solo un dovere sociale, ma anche una garanzia individuale di vita. E Noi intendiamo la parola professione nel senso più largo e comprensivo, come avemmo già ad indicare lo scorso anno; professioni tecniche o liberali, ma anche attivitità politica, sociale, occupazioni intellettuali, opere d'ogni sorta, amministrazione oculata, vigilante, laboriosa, delle vostre sostanze, delle vostre terre secondo i metodi più moderni e più sperimentati di coltura per il bene materiale, morale, sociale, spirituale, dei coloni o delle popolazioni, che vivono in esse.
In ciascuna di queste condizioni voi dovete porre ogni cura per ben riuscire come dirigenti, sia a causa della fiducia che mettono in voi coloro i quali sono rimasti fedeli alle sane e vive tradizioni, sia a ragione della diffidenza di molti altri, diffidenza che voi dovete vincere, guadagnandovi la stima e il rispetto loro, a forza di eccellere in tutto nel posto in cui vi trovate, nell'attività che esercitate, qualunque sia la natura di quel posto o la forma di quell'attività.
In che cosa deve dunque consistere questa vostra eccellenza di vita e di azione, e quali sono i suoi caratteri principali?
Essa si manifesta innanzi tutto nella finitezza dell'opera vostra, sia essa tecnica o scientifica o artistica o altra simile. L'opera delle vostre mani e del vostro spirito deve avere quell'impronta di squisitezza e di perfezione, che non si acquista dall'oggi al domani, ma che riflette la finezza del pensiero, del sentimento, dell'anima, della coscienza, ereditata dai vostri maggiori e incessantemente fomentata dall'ideale cristiano.
Essa si palesa altresì in ciò che può chiamarsi l'umanesimo, vale a dire la presenza, l'intervento dell'uomo completo in tutte le manifestazioni della sua attività anche speciale, in tal guisa che la specializzazione della sua competenza non sia mai una ipertrofia, non atrofizzi mai nè veli la coltura generale, a quel modo che in una frase musicale la dominante non deve rompere l'armonia nè opprimere la melodia.
Essa si mostra inoltre nella dignità di tutto il portamento e di tutta la condotta, dignità però non imperiosa, e che lungi dal dare rilievo alle distanze, non le lascia, al bisogno, trasparire che per ispirare agli altri una più alta nobiltà di anima, di spirito e di cuore.
Essa apparisce infine soprattutto nel senso di elevata moralità, di rettitudine, di onestà, di probità, che deve informare ogni parola e ogni atto. Una società immorale o amorale, che non sente più nella sua coscienza e non dimostra più nelle sue azioni la distinzione fra il bene e il male, che non inorridisce più allo spettacolo della corruzione, che la scusa, che vi si adatta con indifferenza, che l'accoglie con favore, che la pratica senza turbamento né rimorso, che la ostenta senza rossore, che vi si degrada, che deride la virtù, è sul cammino della sua rovina. L'alta società francese del secolo decimottavo ne fu, fra molti altri, un tragico esempio. Mai società non fu più raffinata, più elegante, più brillante, più affascinatrice. I godimenti più svariati dello spirito, una intensa coltura intellettuale, un'arte finissima di piacere, una squisita delicatezza di maniere e di linguaggio, dominavano in quella società esternamente così cortese ed amabile, ma ove tutto - libri, racconti, figure, arredi, abbigliamenti, acconciature - invitava a una sensualità che penetrava nelle vene e nei cuori, ove la stessa infedeltà coniugale non sorprendeva nè scandalizzava quasi più. Così essa lavorava alla sua propria decadenza e correva verso l'abisso scavato con le sue stesse mani. Ben altra è la vera gentilezza: essa fa risplendere nelle relazioni sociali una umiltà piena di grandezza, una carità ignara di ogni egoismo, di ogni ricerca del proprio interesse. Noi non ignoriamo con quale bontà, dolcezza, dedizione, abnegazione, molti e specialmente molte di voi, in questi tempi d'infinite miserie ed angosce, si sono chinati sugl'infelici, hanno saputo irradiare intorno a sè, in tutte le forme più progredite e più efficaci, la luce del loro caritatevole amore. E questo è l'altro aspetto della vostra missione.
Poichè, nonostante ciechi e calunniosi pregiudizi, nulla è tanto contrario al sentimento cristiano e al vero senso e scopo del vostro ceto, in tutti i Paesi, ma particolarmente in questa Roma, madre di fede e di vivere civile, quanto lo stretto spirito di casta. La casta divide la società umana in sezioni o compartimenti separati da pareti impenetrabili. La cavalleria, la cortesia, è d'ispirazione soprattutto cristiana; è il vincolo che unisce tra loro, senza confusione nè disordine, tutte le classi. Lungi dall'obbligarvi a un superbo isolamento, la vostra origine vi inclina piuttosto a penetrare in tutti gli ordini sociali, per comunicar loro quell'amore della perfezione, della coltura spirituale, della dignità, quel sentimento di compassionevole solidarietà, che è il fiore della civiltà cristiana.
Nella presente ora di divisioni e di odi, quale nobile ufficio vi è stato assegnato dai disegni della Provvidenza divina! Adempitelo con tutta la vostra fede e con tutto il vostro amore! Con tale augurio e inattestato dei Nostri paterni voti per l'anno già cominciato, impartiamo di cuore a voi e a tutte le vostre famiglie la Nostra Apostolica Benedizione (Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, Tipografia Poliglotta Vaticana, 14/1/1945, pp. 273-277).
 

Allocuzione del 16 gennaio 1946

Negli anni passati, diletti figli e figlie, - dopo aver paternamente accolto i voti che il vostro illustre interprete è uso di offrirCi nella presente ricorrenza in nome vostro, con sì profondo sentimento e con sì nobili espressioni di fede e di filiale devozione, - Noi siamo stati soliti di accompagnare i Nostri ringraziamenti con alcune raccomandazioni suggerite dalle circostanze del momento. Noi vi parlavamo, cioè, dei vostri doveri e del vostro ufficio nella società moderna, tormentata e vacillante; ma necessariamente in una maniera alquanto generale, in vista di un avvenire, di cui era ben difficile prevedere con esattezza la scadenza e l'aspetto.
Senza dubbio esso è oscuro ancor oggi; l'incertezza perdura e l'orizzonte rimane carico di nubi tempestose; cessato appena il conflitto armato, i popoli si trovano di fronte a una impresa grave di responsabilità per le conseguenze che peseranno sul corso dei tempi e ne disegneranno le curve. Si tratta, infatti, non solo per l'Italia, ma per molte altre nazioni, di elaborare le loro costituzioni politiche e sociali, sia per crearne una del tutto nuova, sia per rimaneggiare, ritoccare, modificare più o meno profondamente quelle che le reggono. Ciò che rende il problema anche più arduo è che tutte queste costituzioni avranno un bell'essere diverse e autonome, come autonome e diverse sono le nazioni, che intendono di darsele liberamente; esse non saranno per ciò (in fatto, se non in diritto) meno interdipendenti. Si tratta dunque di un avvenimento della più alta importanza, di cui raramente si è presentato l'uguale nella storia del mondo. Vi è di che far tremar le vene e i polsi dei più arditi, per poco che essi abbiamo coscienza della loro responsabilità; di che turbare i più chiaroveggenti, precisamente perchè questi vedono meglio e più lontano degli altri e, convinti come sono della gravità dell'assunto, comprendono più chiaramente la necessità di dedicarsi, nella calma e nel raccoglimento, alle mature riflessioni richieste da lavori di così grande portata. Ed ecco che, invece, sotto la spinta collettiva e reciproca, l'avvenimento apparisce imminente; dovrà essere affrontato fra breve; bisognerà forse in pochi mesi trovare le soluzioni e fissare le determinazioni definitive, che faranno sentire i loro effetti sui destini, non di un solo paese, ma del mondo intero, e che, una volta prese, stabiliranno forse per lungo tempo la condizione universale dei popoli.
A questa impresa, nella nostra era di democrazia, debbono cooperare tutti i membri della società umana; da una parte, cioè, i legislatori, con qualsiasi nome vengano designati, a cui spetta di deliberare e di trarre le conclusioni; dall'altra, il popolo, a cui compete di far valere la sua volontà con la manifestazione della sua opinione e col suo diritto di voto. Anche voi dunque - sia che possiate appartenere o no alla futura assemblea costituente - avete il vostro ufficio da compiere, il quale si esercita al tempo stesso sui legislatori e sul popolo. Qual'è questo ufficio?
Vi è forse più volte accaduto d'incontrare nella chiesa di S. Ignazio gruppi di pellegrini e di "turisti". Li avete veduti arrestarsi, sorpresi, nella vasta navata centrale, lo sguardo teso verso la volta, in cui Andrea Pozzo dipinse il suo stupefacente trionfo del Santo, nella missione affidatagli da Cristo di trasmettere la luce divina fino agli angoli più riposti della terra. Nel vedere l'apocalittico crollo di personaggi e di architetture che si urtavano al di sopra delle loro teste, essi credevano sul principio al delirio di un folle. Voi li avete allora cortesemente condotti verso il centro. Man mano che vi si avvicinavano, i pilastri si ergevano verticalmente, sostenendo gli archi che salivano nello spazio, e ciascuno dei visitatori, ponendosi sul piccolo disco circolare che indica nel pavimento il punto più adatto per l'occhio, vedeva la volta materiale sparire al suo sguardo per lasciargli contemplare con stupore in quella mirabile prospettiva tutta una visione di angeli e di santi, di uomini e di dèmoni, che vivono e si agitano intorno a Cristo e ad Ignazio, nei quali s'incentra la grandiosa scena.
Così il mondo, a chi non lo guarda che nella sua materialità complessa e confusa, nella sua andatura disordinata, offre spesso l'aspetto di un caos. Di mano in mano i bei disegni dei più abili costruttori crollano e fanno credere irreparabili le rovine, impossibile la costituzione di un mondo nuovo in equilibrio su basi ferme e stabili. Perchè?
Vi è in questo mondo una pietra di granito posta da Cristo; su quella pietra bisogna mettersi, e volgere in alto lo sguardo; di là ha origine la restaurazione di tutte le cose in Cristo. Ora Cristo ne ha rivelato il segreto: "Quaerite primum regnum Dei et iustitiam eius, et haec omnia adicientur vobis" (Matth. 6, 33).
Non si può dunque elaborare la costituzione sana e vitale di alcuna società o nazione, se i due grandi poteri, il legislatore nelle sue deliberazioni e risoluzioni, e il popolo nella espressione della sua libera opinione e nell'esercizio delle sue attribuzioni elettorali, non si appoggiano fermamente l'uno e l'altro su questa base per guardare in alto e attirare sul loro paese e sul mondo il regno di Dio. Stanno forse così le cose? Purtroppo, esse ne sono ben lontane.
Nelle assemblee deliberativi, come nella folla, quanti, non dotati di costante equilibrio morale, corrono e menano gli altri alla ventura, nelle tenebre, per le vie che conducono alla rovina! Altri, sentendosi disorientati e smarriti, cercano ansiosamente, o almeno desiderano vagamente la luce, un poco di luce, senza sapere ove sia, senza aderire all'unica "vera luce, che illumina ogni uomo il quale viene in questo mondo" (Io, I, 9). Essi la sfiorano ad ogni passo, senza giammai riconoscerla.
Pur supponendo i membri di quelle assemblee competenti nelle questioni di ordine temporale, politiche, economiche, amministrative, molti di loro sono incomparabilmente meno versati nelle materie che riguardano l'ordine religioso, la dottrina e la morale cristiana, la natura, i diritti e la missione della Chiesa, al momento di terminare l'edificio, essi si accorgono che nulla si tiene a piombo, perchè manca la chiave della volta o non è al suo posto.
Dal canto suo, la folla innumerevole, anonima, è facile ad agitarsi disordinatamente; essa si abbandona alla cieca, passivamente, al torrente che la trascina o al capriccio delle correnti che la dividono e la traviano. Una volta divenuta trastullo delle passioni o degli interessi dei suoi agitatori, non meno che delle proprie illusioni, essa non sa più prender piede sulla roccia e stabilirvisi per formare un vero popolo, vale a dire un corpo vivente con le membra e gli organi differenziati secondo le loro forme e funzioni rispettive, ma tutti insieme concorrenti alla suo attività autonoma nell'ordine e nella unità.
Già in altra occasione Noi abbiamo parlato delle condizioni necessarie, acciocchè un popolo sia maturo per una sana democrazia. Ma chi può condurlo ed elevarlo a questa maturità? Senza dubbio molti insegnamenti potrebbe la Chiesa a tale riguardo trarre dal tesoro delle sue esperienze e della sua propria azione civilizzatrice. Ma la vostra presenza qui Ci suggerisce una particolare osservazione. Per testimonianza della storia, là ove vige una vera democrazia, la vita del popolo è come impregnata di sane tradizioni, che non è lecito di abbattere. Rappresentanti di queste tradizioni sono anzitutto le classi dirigenti, ossia i gruppi di uomini e donne o le associazioni, che danno come suol dirsi, il tono nel villaggio e nella città, nella regione e nell'intero paese.
Di qui, in tutti i popoli civili, l'esistenza e l'influsso d'istituzioni eminentemente aristocratiche nel senso più alto della parola, come sono talune accademie di vasta e ben meritata rinomanza. Anche la nobiltà è del numero: senza pretendere alcun privilegio o monopolio, essa è o dovrebbe essere una di quelle istituzioni; istituzione tradizionale, fondata sulla continuità di un'antica educazione. Certo in una società democratica, quale vuol essere la moderna, il semplice titolo della nascita non è più sufficiente ad acquistare autorità e credito; per conservare quindi degnamente la vostra elevata condizione e il vostro grado sociale, anzi per aumentarlo e inalzarlo, voi dovete essere veramente una élite, dovete adempire le condizioni e corrispondere alle esigenze indispensabili nel tempo in cui ora viviamo.
Una élite? Voi potete ben esserla. Avete dietro di voi tutto un passato di tradizioni secolari, che rappresentano valori fondamentali per la sana vita di un popolo. Fra queste tradizioni, di cui andate giustamente alteri, voi contate in primo luogo la religiosità, la fede cattolica viva e operante. La storia non ha forse già crudelmente provato che ogni umana società senza base religiosa corre fatalmente alla sua dissoluzione o finisce nel terrore? Emuli dei vostri antenati, voi dovete dunque rifulgere innanzi al popolo con la luce della vostra vita spirituale, con lo splendore della vostra inconcussa fedeltà verso Cristo e la Chiesa. - Fra quelle tradizioni annoverate altresì l'onore inviolato di una vita coniugale e familiare profondamente cristiana. Da tutti i paesi, almeno da quelli della civiltà occidentale, sale il grido di angoscia del matrimonio e della famiglia, così straziante che non è possibile di non udirlo. Anche qui con tutta la vostra condotta mettetevi alla testa del movimento di riforma e di restaurazione del focolare domestico. - Fra le stesse tradizioni computate inoltre
quella di essere per il popolo, in tutte le funzioni della vita pubblica a cui potreste essere chiamati, esempi viventi d'inflessibile osservanza del dovere, uomini imparziali e disinteressati, che, liberi da ogni disordinata brama di ambizione o di lucro, non accettano un posto se non per servire la buona causa, uomini coraggiosi, non timidi nè per perdita di favore dall'alto, nè per minacce dal basso. - Fra le medesime tradizioni ponete infine quella di un calmo e costante attaccamento a tutto ciò che l'esperienza e la storia hanno convalidato e consacrato, quella di uno spirito inaccessibile all'agitazione irrequieta e alla cieca bramosia di novità che caratterizzano il nostro tempo, ma insieme largamente aperto a tutte le necessità sociali. Fortemente convinti che soltanto la dottrina della Chiesa può portare efficace rimedio ai mali presenti, abbiate a cuore di aprirle la via, senza riserva o diffidenze egoistiche, con la parola e con l'opera, in particolar modo costituendo nell'amministrazione dei vostri beni veri modelli di aziende dal lato tanto economico che sociale. Un vero gentiluomo non presta mai il suo concorso a intraprese, che non possono sostenersi e prosperare se non con danno del bene comune, con detrimento o con la rovina delle persone di condizione modesta. Al contrario, egli porrà il suo vanto nell'essere dalla parte dei piccoli, dei deboli, del popolo, di coloro che, esercitando un onesto mestiere, guadagnano il pane col sudore della fronte. Così voi sarete veramente una élite; così compirete il vostro dovere religioso e cristiano; così servirete nobilmente Iddio e il vostro Paese.
Possiate, diletti figli e figlie, con le vostre grandi tradizioni, con la cura del vostro progresso e della vostra perfezione personale, umana e cristiana, coi vostri servigi amorevoli, con la carità e la semplicità delle vostre relazioni con tutte le classi sociali, aiutare il popolo a raffermarsi sulla pietra fondamentale, a cercare il regno di Dio e la sua giustizia. È il voto che formiamo per voi; è la preghiera che facciamo salire, per intercessione del Cuore immacolato di Maria, verso il Cuore divino di Cristo Re, fino al trono del sovrano Signore dei popoli e delle nazioni. Scenda copiosa su di voi la sua grazia, in pegno della quale impartiamo di cuore a voi tutti, alle vostre famiglie, a tutte le persone che vi sono care, la Nostra paterna Apostolica Benedizione (Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, Tipografia Poliglotta Vaticana, 16/1/1946, pp. 337-342).  

Allocuzione del 8 gennaio 1947

L'omaggio della vostra devozione e della vostra fedeltà, e i voti augurali, che ogni anno, diletti figli e figlie, per antica costumanza venite ad offrirCi, felicemente espressi dal vostro Ecc.mo interprete, scendono sempre graditi al Nostro cuore. Essi sogliono naturalmente riflettere i pensieri e le ansie, che in differente grado agitano gli animi dinanzi alle mutevoli condizioni dei tempi. Dopo gli orrori della guerra, dopo le indicibili miserie, che ne seguirono, e le angustie derivanti da una sospensione delle ostilità che non poteva chiamarsi e non era pace, Noi v'intrattenemmo, più di una volta, in questa stessa ricorrenza, sull'officio e sui doveri della nobiltà nella preparazione del nuovo stato di cose nel mondo, e in particolar modo nella vostra tanto amata patria. La nota caratteristica era allora la completa incertezza. Si camminava in piena oscurità: le deliberazioni, le manifestazioni della volontà popolare si formavano e si trasformavano incessantemente. Che ne sarebbe uscito? Niuno avrebbe potuto pronosticarlo con qualche precisione.
Frattanto sulla scena del mondo l'anno testè trascorso ha presentato al nostro sguardo uno spettacolo, nel quale non potrebbe certo dirsi che siano mancate attività, commozioni, sorprese. Ciò che invece ha fatto difetto, come negli anni precedenti, è stato il conseguimento di soluzioni, che lascino gli animi respirare tranquilli, che chiariscano definitivamente le condizioni della vita pubblica, che additino il diritto cammino verso il futuro, anche se dovesse essere arduo ed aspro. In tal guisa - nonostante alcuni notevoli progressi che Ci auguriamo duraturi - la incertezza continua ad essere ancora il carattere dominante del momento presente, non solo nelle relazioni internazionali, in cui ansiosamente si attendono conclusioni di pace almeno tollerabili, ma altresì nell'ordinamento interno dei singoli Stati. Anche qui non è dato finora di prevedere con qualche certezza quale sarà per essere il risultato finale dell'incontro o dell'urto delle varie tendenze e forze, e soprattutto delle diverse e discordanti dottrine nel campo religioso, sociale e politico.
Meno malagevole è oggi invece di determinare, fra i differenti modi che si offrono a voi, quale debba essere la vostra condotta.
Il primo di tali modi è inammissibile; è quello del disertore, di colui che fu ingiustamente chiamato l'"Emigré à l'intérieur"; è l'astensione dell'uomo imbronciato o corrucciato, che, per dispetto o per scoraggiamento, non fa alcun uso delle sue qualità e delle sue energie, non partecipa ad alcuna delle attività del suo Paese e del suo tempo, ma si ritira - come il Pelide Achille nella sua tenda, presso alle navi del rapido tragitto, lontano dalle battaglie, - mentre sono in giuoco i destini della patria.
Anche men degna è l'astensione, quando è l'effetto di una indifferenza indolente e passiva. Peggiore, infatti, del cattivo umore, del dispetto e dello scoraggiamento, sarebbe la noncuranza di fronte alla rovina, in cui fossero per cadere i propri fratelli e il proprio popolo. Invano essa tenderebbe di celarsi sotto la maschera della neutralità; essa non è punto neutrale; è, volere o no, complice. Ciascuno dei fiocchi leggieri, che riposano dolcemente sul pendio della montagna e l'adornano della loro bianchezza, contribuisce, mentre si lascia trascinare passivamente, a far della piccola massa di neve, staccatasi dalla vetta, la valanga che porta il disastro nella valle e vi abbatte e vi seppellisce le tranquille dimore. Soltanto il saldo blocco, che fa corpo con la roccia fondamentale, oppone alla valanga una resistenza vittoriosa, e può arrestarne o almeno frenarne la corsa devastatrice.
In tal guisa l'uomo giusto e fermo nel suo proposito di bene, di cui parla Orazio in una celebre Ode (Carm, III, 3), che non si lascia scuotere nel suo incrollabile pensiero nè dal furore dei cittadini, che danno ordini delittuosi, nè dal cipiglio minaccioso del tiranno, rimane impavido, anche se l'universo cadesse in frantumi sopra di lui "si fractus inlabatur orbis, impavidum ferient ruinae". Ma se quest'uomo giusto e forte è un cristiano, non si contenterà di restare ritto, impassibile, in mezzo alle rovine; egli si sentirà in dovere di resistere e d'impedire il cataclisma, o almeno di limitare i danni. Che se non potrà contenerne l'opera distruggitrice, egli sarà ancora là per ricostruire l'edificio abbattuto, per seminare il campo devastato. Tale conviene che sia la vostra condotta. Essa consiste - senza dover rinunziare alla libertà delle vostre convinzioni e dei vostri giudizi sulle umane vicissitudini - nel prendere l'ordine contingente delle cose tale quale è, e nel dirigere la sua efficienza verso il bene, non tanto di una determinata classe, quanto della intera comunità.
Ora questo bene comune, vale a dire l'attuazione di normali e stabili condizioni pubbliche, in modo che sia ai singoli sia alle famiglie, col retto uso delle loro forze, riesca non difficile di condurre una vita, secondo la legge di Dio, degna, regolata, felice, è il fine e la norma dello Stato e dei suoi organi.
Gli uomini, così i singoli come la umana società, e il loro bene comune, sono sempre legati all'assoluto ordine dei valori stabilito da Dio. Ora precisamente per attuare e rendere efficace questo legame in modo degno della natura umana, è stata data all'uomo la libertà personale, e la tutela di questa libertà è lo scopo di ogni ordinamento giuridico meritevole di tal nome. Ma da ciò consegue altresì che non vi può essere la libertà e il diritto di violare quell'ordine assoluto dei valori. Si verrebbe quindi a lederlo e a scardinare la difesa della pubblica moralità, che è senza dubbio un elemento precipuo per il mantenimento del bene comune da parte dello Stato, se, per citare un esempio, si concedesse, senza riguardo a quell'ordine supremo, una incondizionata libertà alla stampa e al "film". Nel qual caso non si riconoscerebbe il diritto alla vera e genuina libertà; ma si verrebbe a legalizzare la licenza, se si permettesse alla stampa e al "film" di scalzare i fondamenti religiosi e morali della vita del popolo. Per comprendere ed ammettere un tale principio, non è neppure necessario di essere cristiani. Basta l'uso, non turbato dalle passioni, della ragione e del sano senso morale e giuridico.
È ben possibile che alcuni gravi avvenimenti, maturati nel corso dell'anno testè terminato, abbiano avuto nel cuore di non pochi fra voi un'eco dolorosa. Ma chi vive della ricchezza del pensiero cristiano, non si lascia abbattere nè sconcertare dagli eventi umani, quali che essi siano, e volge coraggiosamente lo sguardo a tutto ciò che è rimasto, e che è pur tanto grande e tanto degno delle sue cure. Quel che è rimasto, è la patria e il popolo; è lo Stato, il cui fine supremo è il vero bene di tutti, e la cui missione richiede la comune cooperazione, nella quale ciascun cittadino ha il suo posto; sono i milioni di animi integri, che amano di vedere questo bene comune nella luce di Dio e di promuoverlo secondo gli ordinamenti non mai caduchi della sua legge.
L'Italia è sul punto di darsi una nuova Costituzione. Chi potrebbe disconoscere la importanza capitale di una tale impresa? Ciò che è il principio vitale nel corpo vivente, è la Costituzione nell'organismo sociale, il cui sviluppo, non solo economico, ma anche morale, è da quella strettamente condizionato. Se vi è quindi alcuno che ha bisogno di tenere lo sguardo fisso sugli ordinamenti stabiliti da Dio, se mai alcuno è obbligato ad avere
costantemente dinanzi agli occhi il vero bene di tutti, tali sono certamente coloro cui è affidata la grande opera di redigere una Costituzione.
D'altra parte, a che giovano le migliori leggi, se hanno da restare lettera morta? La loro efficacia dipende in gran parte da quelli che debbono applicarla. Nelle mani di uomini, che non ne hanno lo spirito, che forse internamente dissentono da quanto essa dispone, o che non sono spiritualmente e moralmente capaci di metterla in atto, anche la più perfetta opera legislativa perde molto del suo valore. Una buona Costituzione è senza dubbio cosa di alto pregio. Ciò però, di cui lo Stato ha assoluta necessità, sono uomini competenti ed esperti in materia politica e amministrativa, interamente dediti al maggior bene della Nazione, guidati da chiari e sani principi.
Perciò la voce della vostra Patria, scossa dai gravi rivolgimenti degli ultimi anni, chiama a collaborare tutti gli onesti, uomini e donne, nelle cui famiglie e nelle cui persone vive il meglio del vigore spirituale, delle categorie morali e delle tradizioni vissute e sempre viventi del Paese. Quella voce li scongiura di mettersi a disposizione dello Stato, con tutta la forza delle loro intime convinzioni, e di lavorare per il bene del popolo! Ed ecco che si apre così anche a voi il cammino verso l'avvenire.
Noi abbiamo l'anno scorso, in questa medesima occasione, mostrato come anche nelle democrazie di fresca data e che non hanno dietro di loro alcun vestigio di un passato feudale, si è venuta formando, per la forza stessa delle cose, una specie di nuova nobiltà o aristocrazia. È la comunanza delle famiglie che per tradizione mettono tutte le loro energie al servizio dello Stato, del suo Governo, della sua amministrazione, e sulla cui fedeltà esso può in ogni momento contare.
Il vostro ufficio è dunque ben lungi dall'essere negativo; esso suppone in voi molto studio, molto lavoro, molta abnegazione, e soprattutto molto amore. Nonostante la rapida evoluzione dei tempi esso non ha perduto il suo valore, non è giunto al suo termine. Ciò che richiede altresì da voi, e che deve essere la caratteristica della vostra educazione tradizionale e familiare, è il fine sentimento e la volontà di non prevalervi della vostra condizione - privilegio oggidi bene spesso grave ed austero - che per servire.
Andate dunque con coraggio e con umile fierezza incontro al futuro, diletti figli e figlie. La vostra funzione sociale, nuova nella forma, è nella sostanza la stessa, come nei vostri tempi passati di maggior splendore. Se talvolta essa vi sembrasse difficile, ardua, forse anche non priva di delusioni, non dimenticate che la Provvidenza divina, la quale ve l'ha affidata, vi elargirà ad un tempo le forze e i soccorsi necessari per adempirla degnamente. Questi aiuti Noi li chiediamo per voi al Dio fatto uomo per risollevare la società umana dal suo decadimento, per stabilire la nuova società sopra una incrollabile base, per essere Egli stesso la pietra angolare dell'edificio, per restaurarlo sempre nuovamente di generazione in generazione. Intanto, pegno dei più eletti favori celesti, impartiamo con paterno affetto a voi, alle vostre famiglie, a tutte le persone che avete nel cuore, presenti e lontane, in modo particolare alla vostra cara gioventù, la Nostra Apostolica Benedizione (Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, Tipografia Poliglotta Vaticana, 8/1/1947, pp. 367-371).  

Allocuzione del 14 gennaio 1948

Diletti figli e figlie!
Sebbene le difficili circostanze presenti Ci abbiano consigliato di dare quest'anno alla vostra tradizionale Udienza una forma esteriore diversa dalla consueta, ciò nondimeno, nè l'accoglimento dei vostri omaggi e dei vostri voti, nè l'espressione dei Nostri auguri per voi e per le vostre Famiglie hanno perduto alcunchè del loro intimo valore e del loro profondo significato.
Come il cuore del Padre comune non ha bisogno di molte parole per effondersi nel cuore di figli che gli sono tanto vicini; così la vostra sola presenza è già per se stessa la più eloquente testimonianza e la più chiara
conferma dei vostri immutati sentimenti di fedeltà e di devozione verso questa Sede Apostolica e verso il Vicario di Cristo.
La gravità dell'ora non può turbare e scuotere che i tiepidi e gli esitanti. Per gli spiriti ardenti, generosi, abituati a vivere in Cristo e con Cristo, essa è, al contrario, un potente stimolo a dominarla ed a vincerla. E voi volete senza dubbio essere del novero di questi ultimi.
Perciò quel che attendiamo da voi è innanzitutto una fortezza di animo, che le più dure prove non potrebbero abbattere; una fortezza di animo che faccia di voi, non soltanto perfetti soldati di Cristo per voi stessi, ma anche quasi allenatori e sostegni di coloro che fossero tentati di dubitare o dicedere.
Quel che attendiamo da voi è, in secondo luogo, una prontezza di azione, cui non sgomenta nè scoraggia la previsione di alcun sacrificio, che il bene comune oggi richieda; una prontezza e un fervore, che, rendendovi alacri nell'adempimento di tutti i vostri doveri di cattolici e di cittadini, vi preservino dal cadere in un "astensionismo" apatico e inerte, che sarebbe gravemente colpevole in un tempo in cui sono in giuoco i più vitali interessi della religione e della patria.
Quel che attendiamo da voi è, finalmente, una generosa adesione, non a fior di labbra e di pura forma, ma dal fondo del cuore e messa in atto senza riserve, al precetto fondamentale della dottrina e della vita cristiana, precetto di fratellanza e di giustizia sociale, la cui osservanza non potrà non assicurare a voi stessi vera felicità spirituale e temporale.
Possano questa fortezza di animo, questo fervore, questo spirito fraterno guidare ciascuno dei vostri passi e rinfrancare il vostro cammino nel corso del nuovo anno, che così incerto si annunzia e sembra quasi condurvi attraverso un oscuro traforo.
Allora senza dubbio esso sarà per voi un anno non soltanto di ardue prove, ma altresì di luce interiore, di spirituale letizia e di benefiche vittorie.
In tale aspettazione e con fiducia inconcussa nel Signore e nella Vergine protettrice di questa eterna Città, v'impartiarno di tutto cuore la Nostra paterna Apostolica Benedizione (Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, Tipografia Poliglotta Vaticana, 14/1/1948, pp. 423-424).  

Allocuzione del 15 gennaio 1949

Le feste natalizie e il rinnovellarsi dell'anno sono per le famiglie cristiane un'occasione, colta sempre con gioia, di stringere maggiormente i vincoli dell'affetto e di manifestare il reciproco amore con auguri e con mutua assicurazione di preghiere. Questa gioia Noi la proviamo oggi che, secondo l'antica tradizione, voi siete venuti, diletti figli e figlie, ad offrirCi il vostro devoto omaggio, felicemente espresso dal vostro illustre e giovane interprete.
Ma i membri di una famiglia, degna di questo nome, non si contentano di scambiarsi viete e trite formule augurali. Ogni anno il padre rinnova le sue consuete raccomandazioni, illustrandole e completandole con quegli avvertimenti che le speciali esigenze dell'ora suggeriscono. Dal canto loro, i figli esaminano la loro condotta per potere - se è il caso - lealmente affermare la loro docilità ai consigli paterni.
Così facciamo anche Noi. Tutti gli anni vi ricordiamo, nella varietà dei loro molteplici aspetti, i doveri fondamentali e immutabili che v'impone il vostro posto nella società. L'anno scorso li abbiamo delineati con la brevità che le circostanze richiedevano. Noi non dubitiamo che, interrogando la vostra coscienza, voi vi siate domandati con quale fedeltà e in quale maniera pratica, concreta, effettiva, voi avete, nel corso dell'anno passato, dato prova di fortezza d'animo, di prontezza d'azione, di generosa adesione ai precetti della dottrina e della vita cristiana secondo il vostro proprio stato.
Senza dubbio questo triplice dovere vincola tutti e in ogni tempo; nondimeno esso si digrada e si differenzia secondo gli eventi sempre mutevoli e le condizioni speciali di coloro che obbliga.
La Provvidenza divina ha assegnato ad ognuno nella società umana una particolare funzione; essa ha perciò anche diviso e distribuito i suoi doni. Ora questi doni o talenti debbono dare il loro frutto, e voi sapete che il Signore chiederà conto a ciascuno del modo come sono stati amministrati, e secondo il guadagno ottenuto giudicherà e discernerà i buoni e i cattivi servitori (Cfr. Matth. 5,14 sgg.; Luc. 16, 2). Il rigore dei tempi potrebbe mettere anche voi nella necessità di lavorare, come tanti altri, per guadagnare la vita; ma anche allora voi avreste, per motivo della vostra nascita, doni e doveri speciali in mezzo ai vostri concittadini.
È ben vero che nella nuova Costituzione d'Italia "i titoli nobiliari non sono riconosciuti" (salvo, naturalmente, a norma dell'articolo 42 del Concordato, per ciò che riguarda la Santa Sede, quelli conferiti o da conferirsi in avvenire dai Sommi Pontefici); ma la Costituzione stessa non ha potuto annullare il passato, nè la storia delle vostre famiglie. Quindi anche ora il popolo sia esso a voi favorevole o contrario, abbia per voi una rispettosa fiducia o sentimenti ostili guarda ed osserva quale esempio voi date nella vostra vita. A voi dunque spetta di rispondere a tale attesa e di mostrare in qual modo la vostra condotta e i vostri atti siano conformi a verità e a virtù, particolarmente nei punti che abbiamo sopra ricordati delle Nostre raccomandazioni.
Della fortezza d'animo tutti hanno bisogno, ma specialmente ai nostri giorni, per sopportare coraggiosamente le sofferenze, per superare vittoriosamente le difficoltà della vita, per adempire costantemente il proprio dovere. Chi non ha da soffrire? chi non ha da penare? chi non ha da lottare? Soltanto colui che si arrende e fugge. Ma voi avete, meno di tanti altri, il diritto di arrendervi e di fuggire. Oggi le sofferenze, le difficoltà, le necessità, sono, ordinariamente, comuni a tutte le classi, a tutte le condizioni, a tutte le famigli e, a tutte le persone. E se alcuni ne sono esenti, se nuotano nella sovrabbondanza e nei godimenti, ciò dovrebbe spingerli a prendere sopra di sè le miserie e gli stenti degli altri. Chi potrebbe trovare contentezza e riposo, chi non sentirebbe piuttosto disagio e rossore, di vivere nell'ozio e nella frivolezza, nel lusso e nei piaceri, in mezzo alla quasi generale tribolazione?
Prontezza d'azione. Nella grande solidarietà personale e sociale, ognuno deve essere pronto a lavorare, ad immolarsi, a consacrarsi al bene di tutti. La differenza sta non nel fatto della obbligazione, ma nel modo di soddisfarla. E non è forse vero che coloro, i quali dispongono di più tempo e di più abbondanti mezzi, debbono essere i più assidui e i più solleciti a servire? Parlando di mezzi, Noi non intendiamo di riferirCi soltanto nè primariamente alle ricchezze, ma a tutte le doti d'intelligenza, di coltura, di educazione, di conoscenze, di autorevolezza, le quali doti non sono concesse ad alcuni privilegiati dalla sorte per loro esclusivo vantaggio, o per creare una irrimediabile disuguaglianza tra fratelli, ma per il bene della intera comunità sociale. In tutto ciò che è servigio del prossimo, della società, della Chiesa, di Dio, voi dovete essere sempre i primi. Là è il vostro vero grado di onore; là è la vostra più nobile precedenza.
Generosa adesione ai precetti della dottrina e della vita cristiana. Essi sono gli stessi per tutti, perchè non vi sono due verìtà, nè due leggi: ricchi e poveri, grandi e piccoli, alti ed umili, sono egualmente tenuti a sottomettere il loro intelletto con la fede al medesimo domma, la loro volontà con l'obbedienza alla medesima morale. Però il giusto giudizio di Dio sarà molto più severo verso coloro che hanno più ricevuto, che sono meglio in grado di conoscere l'unica dottrina e dì metterla in pratica nella vita quotidiana, che col loro esempio e con la loro autorità possono più facilmente dirigere gli altri nella via della giustizia e della salvezza, ovvero perderli nei funesti sentieri della incredulità e del peccato.
Diletti figli e figlie ! Lo scorso anno ha mostrato quanto queste tre forze interori siano necessarie e ha reso altresì manifesti i notevoli risultati che col loro retto uso possono essere conseguiti. Quel che innanzi tutto importa è che l'azione non subisca alcuna sosta o rallentamento, ma si svolga e si avvivi con costanza e saldezza. Perciò con particolare compiacimento abbiamo rilevato dalle parole del vostro interprete quanto profonda è in voi la comprensione degli odierni mali sociali e quanto fermo il proposito di contribuire ad apportarvi rimedio secondo giustizia e carità.
Fortificate dunque negli animi vostri la risoluzione di corrispondere pienamente a ciò che Cristo, la Chiesa, la società attendono con fiducia da voi, affinchè, il giorno della grande retribuzione, possiate udire la parola beatifica del Giudice supremo: "Servo buono e fedele, ... entra nel gaudio del tuo Signore" (Matth. 25, 21).
Tale è il voto che, all'aurora di questo nuovo anno, presentiamo per voi al Bambino Gesù, mentre con effusione di cuore impartiamo a voi, alle vostre famiglie, a tutte le persone che vi sono care, la Nostra paterna Apostolica Benedizione (Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, Tipografia Poliglotta Vaticana, 15/1/1949, pp.345-348). 

Allocuzione del 12 gennaio 1950

Se Noi, diletti figli e figlie, conformandoCi all'esempio dei Nostri Predecessori, siamo soliti di accogliervi al principio del nuovo Anno per ricevere e ricambiare i vostri buoni auguri, l'animo Nostro, lungi dall'obbedire a considerazioni o preferenze mondane, è mosso da motivi di onore e di fedeltà. Noi salutiamo in voi i discendenti e i rappresentanti di famiglie, che si segnalarono già nel servizio della Santa Sede e del Vicario di Cristo e rimasero fedeli al Pontificato Romano, anche quando questo era esposto ad oltraggi e a persecuzioni. Senza dubbio, nel corso del tempo l'ordine sociale ha potuto evolversi e il suo centro spostarsi; i pubblici uffici, che una volta erano riservati alla vostra classe, possono ora essere attribuiti ed esercitati sopra una base di eguaglianza; tuttavia ad un tale attestato di riconoscente memoria - che deve altresì valere d'impulso per l'avvenire - anche l'uomo moderno, se vuol essere di retti ed equanimi sentimenti, non può negare comprensione e rispetto.
Voi vi trovate oggi adunati intorno a Noi all'aurora dell'anno che segna la divisione fra le due parti del secolo ventesimo, anno giubilare, inaugurato con l'apertura della Porta Santa. Considerata in se stessa, la cerimonia religiosa dei tre colpi di martello battuti al centro della Porta, ha un valore simbolico; e il simbolo dell'apertura del gran Perdono. Come spiegare dunque la viva impressione che essa ha suscitato non solo nei figli devoti della Chiesa, i quali sono in grado di penetrarne l'intimo senso, ma anche in molti altri che le sono estranei e che non sembrerebbero sensibili se non a ciò che si tocca, si misura e si traduce in cifre? Vi si deve forse ravvisare come il presentimento e l'attesa di un nuovo mezzo secolo meno gravato da amarezze e da delusioni? Il sintomo di un bisogno di purificazione e di riparazione, la brama di riconciliazione e di pace fra gli uomini, che la guerra e le lotte sociali hanno così disuniti fra di loro? Come dunque potremmo non vedere, con umile e cristiana fiducia, in questo così salutare inizio del gran Giubileo il dito di Dio?
La potenza di benedizione, che l'Anno Santo è chiamato ad irradiare sulla umanità, dipenderà in buona parte dalla più larga cooperazione che i cattolici vi apporteranno, soprattutto con la preghiera e l'espiazione. Ma a tale riguardo i fedeli di Roma hanno certamente speciali doveri e responsabilità: il loro modo di comportarsi, il loro costume di vita, saranno in quest'anno più particolarmente sotto lo sguardo della Chiesa universale, rappresentata dalla moltitudine dei pellegrini che da tutte le parti del mondo affluiranno nell'Urbe. A voi stessi, diletti figli e figlie, non mancheranno le occasioni di precedere gli altri e di trarli dietro di voi col buon esempio: esempio di fervore nella preghiera, di semplicità cristiana nel tenore di vita, di rinunzia alle comodità e ai piaceri, di vero spirito di penitenza, di ospitalità cordiale, di zelo nelle opere di bontà in favore degli umili, dei sofferenti e dei poveri, di fortezza intrepida nella difesa della causa di Dio.
Inoltre il ceto, a cui voi appartenete, vi mette più facilmente e più di frequente a contatto con personaggi autorevoli di altri Paesi. Abbiate a cuore, in tali circostanze, di promuovere il ravvicinamento e la pace fra gli uomini e fra le Nazioni. Possa la faccia della terra, alla fine dell'Anno Santo, risplendere più serena nella tranquillità e nella fraterna concordia!
Con tale augurio impartiamo di tutto cuore a voi e alle vostre famiglie, in particolar modo ai lontani, ai malati, la Nostra paterna Apostolica Benedizione (Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, Tipografia Poliglotta Vaticana, 12/1/1950, pp. 357-358).  

Allocuzione del 11 gennaio 1951

Con effusione di cuore rivolgiamo il Nostro paterno saluto ai membri della Nobiltà e del Patriziato romano, che, fedeli ad un'antica tradizione, si sono adunati intorno a Noi per offrirCi i loro auguri all'aurora del nuovo Anno; auguri, che Ci sono stati espressi con filiale devozione dal loro illustre ed eloquente interprete.
L'uno dopo l'altro, ciascun anno entra nella storia, tramandando al susseguente un retaggio, di cui porta con sè la responsabilità. Quello testè chiuso, l'Anno Santo 1950 rimarrà come uno dei più grandi nell'ordine morale, e specialmente soprannaturale. I vostri annali di famiglia ne noteranno le date più fulgide, come altrettanti fari luminosi per rischiarare la via che si apre dinanzi ai vostri figli e nipoti.
Ma questi annali saranno forse quasi un libro sigillato? o non conterranno che i ricordi di un passato morto? No: essi dovranno, al contrario, essere il messaggio delle scomparse generazioni alle future.
La celebrazione dell'Anno Santo è terminata per Roma, non già alla maniera di uno spettacolo giunto alla sua fine, ma come il programma di una vita crescente, purificata, santificata, fecondata dalla grazia e che deve continuare ad arricchirsi con l'incessante contributo dei pensieri e dei sentimenti, delle risoluzioni e degli atti, di cui i vostri avi vi hanno trasmesso la memoria, affinchè voi stessi ne tramandiate l'esempio a quelli che verranno dopo di voi.
Il soffio impetuoso di un nuovo tempo avvolge coi suoi vortici le tradizioni del passato. Ma tanto più esso palesa ciò che, come foglia morta, è destinato a cadere, e ciò che invece tende con genuina forza vitale a mantenersi e a consolidarsi.
Una nobiltà e un patriziato, che, per così dire, si anchilosassero nel rimpianto dei tempi trascorsi, si voterebbero ad un inevitabile declino.
Oggi più che mai, voi siete chiamati ad essere una élite non solo del sangue e della stirpe, ma anche più delle opere e dei sacrifici, delle attuazioni creatrici nel servizio di tutta la comunanza sociale.
E questo non è soltanto un dovere dell'uomo e del cittadino, a cui niuno può sottrarsi impunemente, è anche un sacro comandamento della fede, che avete ereditata dai vostri padri e che dovete, dopo di loro, lasciare, integra ed inalterata, ai vostri discendenti.
Bandite dunque dalle vostre file ogni abbattimento e ogni pusillanimità: ogni abbattimento, di fronte ad una evoluzione dei tempi, la quale porta via con sè molte cose, che altre epoche avevano edificate; ogni pusillanimità, alla vista dei gravi eventi, che accompagnano le novità dei nostri giorni.
Essere romano: significa essere forte nell'operare, ma anche nel sopportare.
Essere cristiano: significa andare incontro alle pene e alle prove, ai doveri e alle necessità del tempo, con quel coraggio, con quella fortezza e serenità di spirito, che attinge alla sorgente delle eterne speranze l'antidoto contro ogni umano sgomento.
Umanamente grande è il fiero detto di Orazio: Si fractus illabatur orbis, impavidum ferient ruinae (Od. 3, 3).
Ma quanto più bello, più fiducioso e beatificante è il grido vittorioso, che sgorga dalle labbra cristiane e dai cuori traboccanti di fede: Non confundar in aeternum! (Te Deum).
Implorando per voi dall'Autore di ogni bene fortezza intrepida e il dono divino di una speranza incrollabile fondata sulla fede, impartiamo di cuore a voi, diletti figli e figlie, alle vostre famiglie e a tutti i vostri cari, vicini e lontani, sani e malati! alle vostre sante aspirazioni, alle vostre imprese, la Nostra Apostolica Benedizione (Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, Tipografia Poliglotta Vaticana, 12/1/1951, pp.357-358).  

Allocuzione del 14 gennaio 1952

Fedeli alla vostra antica tradizione, voi siete venuti, diletti figli e figlie, anche quest'anno a porgere al Capo visibile della Chiesa l'attestato della vostra devozione e i vostri auguri di nuovo anno. Noi li accogliamo con viva e affettuosa riconoscenza, e vi offriamo in contraccambio i Nostri voti più fervidi. Noi l'includiamo nelle Nostre preghiere, affinchè l'anno testè dischiusosi sia segnato dal suggello della bontà divina e arricchito dei più preziosi favori della Provvidenza. A questi voti desideriamo di aggiungere, come di consueto, alcune strenne spirituali pratiche, che compendieremo brevemente in una triplice esortazione.
1) In primo luogo, guardate intrepidamente, coraggiosamente, la realtà presente. Ci sembra superfluo d'insistere per richiamare alla vostra mente ciò che, or sono tre anni, fu l'oggetto delle Nostre considerazioni; Ci parrebbe vano e poco degno di voi il velarlo con prudenti eufemismi, specialmente dopo che le parole del vostro eloquente interprete Ci hanno reso una così chiara testimonianza della vostra adesione alla dottrina sociale della Chiesa e ai doveri che da essa derivano. La nuova Costituzione d'Italia non vi riconosce più, come classe sociale, nello Stato e nel popolo, alcuna particolare missione, alcun attributo, alcun privilegio. Una pagina della storia è stata voltata; un capitolo è stato chiuso; è stato messo il punto, che indica il termine di un passato sociale ed economico; un nuovo capitolo è stato aperto, che inaugura assai diverse forme di vita. Si può pensare come si vuole; ma il fatto è là; è il "fatale andare" della storia. Qualcuno, forse, risentirà penosamente una così profonda trasformazione; ma a che giova l'indugiarsi ad assaporarne lungamente l'amarezza? Tutti debbono alla fine inchinarsi dinanzi alla realtà; la differenza sta soltanto nella "maniera". Mentre i mediocri nell'avversa fortuna non fanno che tenere il broncio, gli spiriti superiori sanno, secondo l'espressione classica, ma in un senso più elevato, mostrarsi "beaux joueurs", conservando imperturbabilmente il loro portamento nobile e sereno.
2) Elevate lo sguardo e tenetelo fisso all'ideale cristiano. Tutti quei rivolgimenti, quelle evoluzioni o rivoluzioni, lo lasciano intatto; nulla possono contro ciò che è l'intima essenza della vera nobiltà, quella che aspira alla perfezione cristiana, quale il Redentore additò nel discorso della montagna. Fedeltà incondizionata alla dottrina cattolica, a Cristo e alla sua Chiesa; capacità e volontà di essere anche per gli altri modelli e guide. E forse necessario di enumerarvene le applicazioni pratiche? Date al mondo, anche al mondo dei credenti e dei cattolici praticanti, lo spettacolo di una vita coniugale irreprensibile, l'edificazione di un focolare domestico veramente esemplare; opponete una diga ad ogni infiltrazione, nelle vostre dimore, nella vostra cerchia, di princìpi esiziali, di condiscendenza e tolleranze perniciose, che potrebbero contaminare od offuscare la purezza del matrimonio e della famiglia. Ecco, certamente, una insigne e santa impresa, ben atta ad accendere lo zelo della nobiltà romana e cristiana ai nostri tempi.
Mentre proponiamo alla vostra mente queste riflessioni, Noi pensiamo in modo speciale ai Paesi, ove la catastrofe distruggitrice ha colpito con particolare rigore le famiglie della vostra classe, riducendole dalla potenza e dalla ricchezza all'abbandono e persino alla estrema miseria; ma al tempo stesso ha scoperto e messo in luce la nobiltà e la generosità, con cui tante di loro sono rimaste fedeli a Dio anche nella sventura, e la silenziosa magnanimità e dignità, con cui sanno portare la loro sorte: virtù queste che non s'improvvisano, ma fioriscono e maturano nell'ora della prova.
3) Date finalmente all'opera comune la vostra collaborazione devota e pronta. Assai vasto è il campo in cui la vostra attività può esercitarsi utilmente: nella Chiesa e nello Stato, nella vita parlamentare e amministrativa, nelle lettere, nelle scienze, nelle arti, nelle varie professioni. Un solo atteggiamento vi è interdetto: esso sarebbe radicalmente opposto allo spirito originale della vostra condizione: vogliamo dire I'"astensionismo". Più che una "emigrazione" esso sarebbe una diserzione, poichè, qualunque cosa possa accadere e per quanto possa costare, occorre, innanzi tutto, mantenere, contro ogni pericolo della più piccola incrinatura, la stretta unione di tutte le forze cattoliche.
Può ben essere che l'uno o l'altro punto nel presente stato di cose vi dispiaccia. Ma nell'interesse e per l'amore del bene comune, per la salvezza della civiltà cristiana, nella crisi che, lungi dall'attenuarsi, sembra piuttosto andare crescendo, state fermi sulla breccia, nella prima linea di difesa. Le vostre qualità particolari possono trovare là anche oggi ottimo impiego. I vostri nomi, che risuonano altamente nei ricordi fin del lontano passato, nella storia della Chiesa e della società civile, richiamano alla memoria figure di uomini grandi e fanno echeggiare nelle vostre anime la voce ammonitrice del dovere di mostrarvene degni.
Il sentimento innato della perseveranza e della continuità, l'attaccamento alla tradizione sanamente intesa, sono note caratteristiche della vera nobiltà. Se ad esse voi saprete unire un ampia larghezza di vedute sulla realtà contemporanea, specialmente sulla giustizia sociale, una leale e franca collaborazione, conferirete alla vita pubblica un concorso del più alto valore.
Tali sono, diletti figli e figlie, i pensieri che abbiamo creduto opportuno di suggerirvi all'aurora di questo nuovo anno. Voglia il Signore ispirarvi il proposito di attuarli e si degni di fecondare il vostro buon volere con l'abbondanza delle sue grazie, in auspicio delle quali impartiamo di gran cuore a voi, alle vostre famiglie, ai vostri bambini, ai vostri malati ed infermi, a quanti vi sono cari, vicini e lontani, la Nostra paterna Apostolica Benedizione (Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, Tipografia Poliglotta Vaticana, 14/1/1952, pp. 457-459).  

Allocuzione del 9 gennaio 1958

Con vivo gradimento vi accogliamo, diletti Figli e Figlie, nella Nostra dimora, ancora pervasa dai santi effluvi delle festività natalizie, venuti per riconfermare la devota fedeltà a questa Sede Apostolica. Con animo di Padre, bramoso di circondarsi dell'affetto dei figli, accondiscendiamo ben volentieri al vostro desiderio di ascoltare ancora una volta qualche parola di esortazione, quasi in contraccambio degli auguri testè a Noi porti dal vostro esimio ed eloquente interprete.
La presente Udienza ridesta nell'animo Nostro il ricordo della prima visita da voi resaCi nel lontano 1940. Quanti dolorosi vuoti, da allora, nella eletta vostra schiera; ma altresì quanti leggiadri nuovi fiori sbocciati nella stessa aiuola! Il ricordo commosso degli uni e la lieta presenza degli altri sembrano racchiudere in un'ampia cornice un intiero quadro di vita, che, sebbene trascorsa, non lascia d'impartire salutari insegnamenti e d'irradiare luce di speranza sul vostro presente ed avvenire. Mentre coloro dalla "fronte incorniciata di neve e di argento" - così Ci esprimevamo allora - sono passati alla pace dei giusti, adorni dei "molti meriti acquistati nel lungo adempimento del dovere"; altri, già "baldi del fiore della giovinezza o dello splendore della virilità", sono andati occupando o già occupano il loro posto, sospinti dall'inarrestabile mano del tempo, a sua volta guidato dalla provvida sapienza del Creatore. Frattanto sono entrati a prender parte nell'agone per l'"avanzamento e la difesa di ogni buona causa" quelli che erano allora nel novero dei piccoli, verso la cui "innocenza serena e sorridente" si chinava la Nostra predilezione, e dei quali amavamo "l'ingenuo candore, il fulgore vivo e puro dei loro sguardi, riflesso angelico della limpidezza delle loro anime" (Cfr. Discorsi e Radiomessaggi, vol. I, 1940, pag. 472). Ebbene, a questi piccoli di allora, al presente giovani ardenti o uomini maturi, desideriamo di rivolgere, innanzi tutto, una parola, quasi ad aprire uno spiraglio nell'intimo del Nostro cuore.
Voi che, all'inizio degli anni nuovi, non mancavate di renderCi visita, ricordate certamente la premurosa sollecitudine, con cui Ci adoperammo per spianarvi la via verso l'avvenire, che si annunziava fin d'allora aspra per i profondi sconvolgimenti e le trasformazioni incombenti sul mondo. Siamo pertanto certi che voi, quando anche le vostre fronti saranno incorniciate di neve e di argento, sarete testimoni non soltanto della Nostra stima e del Nostro affetto, ma altresì della verità, fondatezza ed opportunità delle Nostre raccomandazioni, come dei frutti che vogliamo sperare ne siano provenuti a voi stessi ed alla società. Ricorderete in particolare ai figli ed ai nipoti come il Papa della vostra infanzia e fanciullezza non omise d'indicarvi i nuovi uffici che imponevano alla Nobiltà le mutate condizioni dei tempi; che, anzi, più volte vi spiegò come la laboriosità sarebbe stata il titolo più solido e degno per assicurarvi la permanenza tra i dirigenti della società; che le disuguaglianze sociali, mentre vi ponevano in alto, vi prescrivevano particolari doveri a vantaggio del bene comune; che dalle classi più elevate potevano discendere nel popolo grandi vantaggi o gravi danni; che i mutamenti delle forme di vita possono, ove si voglia, accordarsi armonicamente con le tradizioni, di cui le famiglie patrizie sono depositarie. Talora, riferendoCi alla contingenza del tempo e degli eventi, vi esortammo a prendere parte attiva al risanamento delle piaghe prodotte dalla guerra, alla ricostruzione della pace, alla rinascita della vita nazionale, rifuggendo da "emigrazioni" od astensioni; perchè nella nuova società restava pur sempre largo posto per voi, se vi foste mostrati veramente élites e optimates, vale a dire insigni per serenità di animo, prontezza di azione, generosa adesione. Ricorderete altresì i Nostri incitamenti a bandire
l'abbattimento e la pusillanimità di fronte alla evoluzione dei tempi, e le esortazioni ad adattarvi coraggiosamente alle nuove circostanze, col fissare lo sguardo all'ideale cristiano, vero e indelebile titolo di genuina nobiltà.
Ma perchè, diletti figli e figlie, vi dicemmo, ed ora vi ripetiamo questi avvertimenti e raccomandazioni, se non per premunire voi stessi da amari disinganni, per serbare ai vostri casati la eredità delle avite glorie, per assicurare alla società, alla quale appartenete, il valido contributo che voi siete ancora in grado di prestarle? Tuttavia - Ci domanderete forse - che cosa di concreto dovremo fare per conseguire un così alto scopo?
Innanzi tutto dovete insistere in una condotta religiosa e morale irreprensibile, specialmente nella famiglia, e praticare una sana austerità di vita. Fate che le altre classi si accorgano del patrimonio di virtù e di doti, a voi proprie, frutto di lunghe tradizioni familiari. Tali sono la imperturbabile fortezza di animo, la fedeltà e la dedizione alle cause più degne, la pietà tenera e munifica verso i deboli e i poveri, il tratto prudente e delicato nei difficili e gravi affari, quel prestigio personale, quasi ereditario nelle nobili famiglie, per cui si riesce a persuadere senza opprimere, a trascinare senza sforzare, a conquistare senza umiliare gli animi altrui, anche degli avversari e degli emuli. L'impiego di queste doti e l'esercizio delle virtù religiose e civiche sono la risposta più convincente ai pregiudizi ed ai sospetti, poichè manifestano l'intima vitalità dello spirito, da cui scaturiscono ogni vigore esterno e la fecondità delle opere.
Vigore e fecondità di opere! Ecco due caratteri della genuina nobiltà, dei quali i segni araldici, impressi nel bronzo e nel marmo, sono perenne testimonianza, perchè rappresentano quasi la visibile trama della storia politica e culturale di non poche gloriose città europee. È vero che la moderna società non suole attendere con preferenza dal vostro ceto il "la" per dar principio alle opere ed affrontare gli eventi; tuttavia essa non rifiuta la cooperazione degli ingegni eletti che sono tra voi, poichè una saggia porzione conserva un giusto rispetto alle tradizioni e pregia l'alto decoro, ove sia fondato; mentre, anche l'altra parte della società, che ostenta noncuranza e forse disprezzo per le vetuste forme di vita, non va del tutto immune dalla seduzione del lustro; tanto è vero che si sforza di creare nuove fogge di aristocrazie, talune degne di stima, altre appoggiate su vanità e frivolezze, paghe soltanto di appropriarsi gli elementi scadenti delle antiche istituzioni.
È però chiaro che il vigore e la fecondità delle opere non può oggi manifestarsi sempre con forme ormai tramontate. Ciò non significa che sia stato ristretto il campo alla vostra attività; è stato, al contrario, ampliato nella totalità delle professioni e degli uffici. Tutto il terreno professionale è aperto anche a voi: in ogni suo settore potete essere utili e rendervi insigni: negli uffici della pubblica amministrazione e del governo, nelle attività scientifiche, culturali, artistiche, industriali, commerciali.
Vorremmo infine che il vostro influsso nella società le risparmiasse un grave pericolo proprio dei tempi moderni. È noto che la società progredisce e si eleva quando le virtù di una classe si diffondono nelle altre; decade, al contrario, se si trasferiscono dall'una alle altre i vizi e gli abusi. Per la debolezza della umana natura si verifica più sovente la diffusione di questi, ed oggi con tanto maggiore celerità, quanto più facili sono i mezzi di comunicazione, d'informazione e di contatti personali, non solo tra nazione e nazione, ma tra continenti. Accade nel campo morale ciò che si verifica in quello della sanità fisica: nè le distanze nè le frontiere impediscono ormai più che un germe epidemico raggiunga in breve tempo lontane regioni. Ora le classi elevate, tra cui è la vostra, a causa delle molteplici relazioni e dei frequenti soggiorni in paesi dallo stato morale differente, e forse anche inferiore, potrebbero divenire facili veicoli di traviamenti nei costumi. Accenniamo in particolar modo a quegli abusi, che minacciano la santità del matrimonio, la educazione religiosa e morale della gioventù, la temperanza cristiana negli svaghi, il rispetto alla pudicizia. La tradizione della vostra Patria riguardo a questi valori deve essere difesa e mantenuta sacra ed inviolabile, e tutelata dalle insidie dei germi dissolvitori, da qualsiasi parte provengano. Ogni tentativo di infrangerla, mentre non segna alcun progresso se non verso la dissoluzione, è un attentato all'onore ed alla dignità della Nazione.
Per quanto a voi spetta, vegliate e adoperatevi, affinchè le perniciose teorie ed i perversi esempi non riscuotano giammai la vostra approvazione e simpatia, tanto meno trovino in voi favorevoli veicoli e focolai d'infezione. Quel profondo rispetto alle tradizioni, che coltivate e con cui intendete distinguervi nella società, vi sostenga per serbare in mezzo al popolo così preziosi tesori. Può essere questa la più alta funzione sociale della odierna Nobiltà; certamente è il maggior servizio, che voi potete rendere alla Chiesa e alla Patria.
Esercitare dunque le virtù ed impiegare a comune vantaggio le doti proprie del vostro ceto, eccellere nelle professioni ed attività prontamente abbracciate, preservare la Nazione dalle esterne contaminazioni: ecco le raccomandazioni che Ci sembra dovervi porgere in questo inizio di nuovo anno.
Accoglietele, diletti Figli e Figlie, dalle Nostre mani paterne, e, tramutate da un generoso atto di volontà in un triplice impegno, offritele, a vostra volta, come doni del tutto personali, al divino Fanciullo, che li gradirà, al pari dell'oro, dell'incenso e della mirra, offertigli, in un di lontano, dai Magi d'Oriente.
Affinchè l'Onnipotente convalidi i vostri propositi e adempia i Nostri voti, esaudendo le suppliche che per tanto gli rivolgiamo, discenda su di voi tutti, sulle vostre famiglie, particolarmente sui vostri bambini, continuatori nel futuro delle vostre pii degne tradizioni, la Nostra Apostolica Benedizione (Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, Tipografia Poliglotta Vaticana, 9/1/1958, pp. 707-711).