venerdì 30 agosto 2013
GRANDE IMPRESA DI CORRUZIONE (Estratto dell'opera di mons. Delasuss "Il Probblema dell'ora presente", Tomo I°) .
Per raggiungere lo scopo di Voltaire, la setta sa bene che non le basta di ottenere, dai governi ad essa devoti, leggi e decreti, di rovesciare i troni e abbattere il potere temporale dei romani Pontefici.
Bisogna colpire le anime. È in esse che l'idea cristiana deve essere soffocata, che deve morire, se vuolsi che non possa più rivivere. Continuando a vivere nelle anime, un giorno o l'altro, farà necessariamente rivivere le istituzioni. Ora, le anime non possono essere veramente colpite di morte
se non per la corruzione; per la corruzione dei costumi e soprattutto delle idee. Per ciò il capo occulto dell'Alta Vendita le avea commesso il mandato principale di alterare le idee e corrompere i costumi, soprattutto a questa doppia fonte della vita cristiana: la gioventù laica e la gioventù ecclesiastica. Essa vi si adoperò in tutto il tempo della sua esistenza. Non vi ha dubbio che, dopo di essa, altri furono incaricati a continuare l'opera sua.
Due mesi dopo il suo arrivo a Roma, il 3 aprile 1824, Nubius scrisse a Volpe: "Fu imposto alle mie spalle, caro Volpe, un peso troppo grave: dobbiamo fare l'educazione immorale della Chiesa".
Quattordici anni dopo, il 9 agosto 1838, in una lettera scritta da Castellamare a Nubius, Vindice, parlando dei colpi di pugnale prodigati dai carbonari, ne mostra l'inutilità e ricorda che la loro missione è ben diversa; non sono gl'individui, ma è il vecchio mondo, la civiltà cristiana che essi devono uccidere: "Non individualizziamo il delitto; per ingrandirlo fino alle proporzioui dell'odio contro la Chiesa noi dobbiamo generalizzarlo. Il mondo non ha il tempo di badare ai gemiti della vittima: esso passa e dimentica. Noi, caro Nubius, noi soli possiamo sospendere la sua marcia. Il cattolicismo, meno ancora della monarchia, non teme la punta d'uno stile ben affilato; ma queste due basi dell'ordine sociale possono cadere sotto il peso della corruzione. Non istanchiamoci dunque mai di corrompere. Tertulliano diceva con ragione che il sangue dei martiri era seme di cristiani. Ora è deciso nei nostri consigli, che noi non vogliamo più cristiani; non facciamo dunque dei martiri, ma rendiamo popolare il vizio nelle moltitudini. Fa d'uopo che lo respirino coi cinque sensi, che lo bevano, che ne sieno sature. Fate dei cuori viziosi, e voi non avrete più cattolici.
Il consiglio è stato inteso. Fin dai primi giorni della Ristaurazione, la setta, per guadagnare il terreno che avea perduto, s'accinse a depravare, a corrompere in grande. Sotto l'Impero, Voltaire e Rousseau non avevano trovato né compratori, né lettori, per la buona ragione che la ristampa delle loro opere era interdetta come un attentato ai buoni costumi o alla ragione politica. La setta fece inserire nella Charta la libertà della stampa e subito si mise all'opera. Essa creò il mestiere dei venditori ambulanti, che aveva fatto agire sì abilmente sulla fine del XVIII secolo, moltiplicò le edizioni di Voltaire e le divise per metterle alla portata di tutti. Dopo non cessò d'inventare nuovi mezzi per rendere popolare il vizio sotto tutte le forme; ma non lo fece mai con tanta audacia, con una volontà sì manifesta, come in questi ultimi anni. Ed è proprio ora che le popolazioni lo respirano pei cinque sensi, lo bevono e ne sono sature. Tutte le influenze direttrici dello spirito pubblico, la scuola e la caserma, le cattedre e il parlamento, la stampa e le amministrazioni comunali, provinciali e governative concorrono fraternamente a spingere sempre più oltre la pubblica depravazione".(1) Guardate bene la Repubblica e lo spettacolo che essa offre - diceva di recente Maurizio Talmeyr. - Essa ha sopportato soprattutto una dominazione, la dominazione massonica. Dove l'ha condotta questa dominazione? A una trasformazione politica e sociale? No. Ci avrebbe almeno data la libertà? Nemmeno. Ma qual'è allora l'opera della repubblica massonica? Un'opera di pura depravazione. Pornografia dei libri, del teatro, dei salons, dei giornali, dei poeti, dei romanzieri, degli autori drammatici!" Tutto questo mondo e tutte queste cose e molte altre ancora vanno a gara nello spingere più oltre la corruzione universale. Lo Stato vede e, invece di reprimere, favorisce. Quante prove se ne potrebbero addurre! Nel 26 novembre 1900, essa inaugurava a Montmartre la statua dell'ebreo Enrico Heine, che esercitò un fascino così funesto sulla società del secondo Impero e che diceva: "È mestieri ritornare, anziché alla continenza e al rigore, alla gioconda licenza, istituire dei saturnali, e procurare, col libero amore, il miglioramento estetico dell'animale ragionevole". Nel gennaio 1902, Leygues, ministro dell'Istruzione pubblica, imponeva alle ragazze, come preparazione alla patente superiore, la lettura dell'Essai sur les moeurs di Voltaire. Un mese prima, erasi intentato un processo contro un disegnatore che aveva spinto la licenza fino agli estremi limiti. Uno dei testimoni poté dire: "Nel liceo sono stato educato nell'amore del paganesimo. Alla scuola di Belle Arti mi fu insegnalo il culto del nudo. Dunque lo Stato solo è responsabile della mia inclinazione afrodisiaca". Quante altre prove potrebbero aggiungersi a quelle!
La educazione che lo Stato fa impartire ai figli del popolo è corrompitrice, non meno di quella che dà agli artisti. Libri di una oscenità ributtante sono posti nelle biblioteche delle scuole, dati in premio. Le vignette oscene si scorgono dovunque, ma particolarmente alla porta dei licei e delle scuole. Si cerca di cogliere per sorpresa le giovani pie nei luoghi stessi dove si recano a fare le loro divozioni.(2) Si inseriscono nelle croci e in altri oggetti di pietà delle vedute fotografiche d'una sconvenienza ributtante. Questi oggetti si vendono alla porta delle chiese, ove si recano numerosi pellegrinaggi, da mercanti che mostrano come modello altri oggetti somiglianti che contengono vedute di monumenti religiosi. Il Figaro ha segnalato il fatto nel gennaio 1902. Egli aggiungeva che dei collegiali, delle ragazze, ricevevano, presso un banco di tramways, degli opuscoletti intitolati: Pour Dieu! - Pour la Patrie! che si accettavano senza diffidenza e che contenevano un tessuto d'inesprimibili oscenità. Non havvi in simile propaganda alcuna speculazione mercantile, alcun materiale profitto. È lo avvelenamento calcolato come han voluto i Quaranta. Le taverne, i luoghi di mal fare sono moltiplicati a bella posta. Si colgono tutte le occasioni per diffondere mediante la stampa, in tutte le classi della società, la conoscenza e la cupidigia delle peggiori dissolutezze.
Per non parlare che dell'ultima "l'affare Syveton", si pubblicano le confidenze più sfacciate. Lungo intere colonne, si poterono leggere turpitudini, che, alcuni anni addietro, non sarebbero state permesse nell'appendice più licenziosa. Quante persone che non avrebbero voluto leggere quell'appendice, leggevano queste novelle! Per delle settimane, giovani operai, collegiali, ragazze, tutta l'adolescenza e la gioventù di Francia, han potuto soddisfare i loro malvagi istinti in questa lettura nauseante. Chi è là per cogliere l'occasione e approfittarne per indirizzare ai giornali che vogliono divertire la loro clientela, tutto ciò che può sovreccitare la curiosità malsana e propagare il vizio?
Si fa più che propagarne la conoscenza, si trovano autorità per incoraggiare ad abbandonarvisi. Il 4 dicembre 1904, Piot, senatore della Côte-d'Or, indirizzò al Presidente del Consiglio una lettera in cui richiamava la sua attenzione su questo fatto: alle porte di Parigi, dei municipi cedono le sale dei sindaci alle riunioni che preconizzano le teorie di Maltus.
E non solo è incoraggiata la lussuria, ma tutti i generi di corruzione sbocciano dal mondezzaio in cui siamo trascinati. La cupidigia non conosce più limiti. Per guadagnar presto il denaro, che permetterà tutti i divertimenti, la folla gioca alle corse, la borghesia e la nobiltà giocano alla borsa, senatori e deputati barattano i loro voti cogli chèques; e, infine, la delazione, l'odiosa delazione, è organizzata dall'alto al basso della scala sociale. Vindice non mentiva quando diceva: "È la corruzione in grande che noi abbiamo intrapresa".
Perché la corruzione sia profonda e duratura, bisogna che discenda dall'alto. L'Alta Vendita l'aveva ben compreso; perciò s'applicava a corrompere l'aristocrazia.
Nella lettera in gran parte da noi citata, Piccolo Tigre non esortava soltanto a far entrare nelle loggie più nobili e principi che fosse possibile, ma voleva che si cercasse di corromperli.
"Una volta che un individuo - egli dice - anche un principe, specialmente un principe, comincia a corrompersi, persuadetevi che egli non si arresterà guari sulla via. Poco buon costume si trova anche nella gente più morale (gli piaceva dir così) e si cammina molto in fretta in questa progressione" (e questo è vero).
Non sarebbe punto impossibile di trovare in queste linee la spiegazione della caduta nel vizio di molti principi contemporanei, e forse di quei nostri re, i quali, per i loro costumi, hanno desolato la Francia e la Chiesa, perché la framassoneria non data da oggi: sempre essa ha avuto il medesimo scopo come sempre fece ricorso agli stessi mezzi.
Nella nostra società cristiana, la donna, collo sguardo fisso in Maria, conserva nella famiglia e nella società, l'aroma della purezza. La virtù che emana da essa, circonda anche l'uomo vizioso, lo sforza a una certa ritenutezza e tante volte giunge perfino a sollevarlo dalla corruzione. La setta lo sa, e per questo fa di tutto per trascinare nel fango la donna. Vindice ce lo fa sapere: "Un mio amico, giorni fa, rideva filosoficamente di questi nostri progetti e diceva: Per abbattere il cattolicismo, bisogna prima sopprimere la donna. La frase è vera in un senso, ma poiché non possiamo sopprimere la donna, corrompiamola". I licei delle giovani non furono istituiti coll'intenzione di rispondere a questa parola d'ordine?
Non è il medesimo pensiero che ha dettato i decreti Combes, che hanno fatto chiudere tutti gli stabilimenti tenuti dalle religiose? Le religiose, prima in iscuola, poi nelle riunioni domenicali, ispirano alle fanciulle il rispetto a se stesse, la decenza e la purità. Malgrado tutte le seduzioni e gli allettamenti, la fede e i costumi cristiani si sono mantenuti in tante famiglie per mezzo delle madri educate dalle religiose. Sparse ovunque, nelle nostre città e nei nostri villaggi, esse erano il più potente ostacolo alla grande impresa di corruzione promossa dalla setta. Essa ha deciso di farle sparire. Si è chiesto per quale aberrazione i nostri governanti aveano potuto scegliere come prime vittime queste donne così dedicate al bene, così venerate dalle popolazioni, in mezzo alle quali si trovano. Non ci fu un errore, ma un calcolo.
Non ci piace insistere su questo punto delicato della corruzione della donna e per la donna. È bene però avvertire le famiglie di guardarsi da coloro che si introducono in esse, di sorvegliare ciò che vi si fa. Il 7 dicembre 1883, il giornale l'Emeute di Lione scriveva: "È tempo di rinforzare le nostre file con tutti gli elementi che si uniranno al nostro odio. Le giovani saranno potenti aiuti: esse andranno a cercare i figli di famiglia fino nel seno delle loro madri per spingerli al vizio e al delitto stesso: esse si faranno le serve delle figlie dei borghesi per poter loro inculcare le vergognose passioni ... Vi è ancora un altro ufficio utile che incomberà a queste donne ausiliarie, in mezzo a queste famiglie nemiche; ma non ne diremo niente e con ragione. Tale potrà essere l'opera delle donne attaccate alla rivoluzione".
Un segretario di Mazzini, Scipione Petrucci, non esagerava per nulla quando faceva, il 2 aprile 1849, a Paolo Ripari, questa confessione spoglia d'ogni riguardo: "Il nostro è un gran partito porco: questo in famiglia lo possiamo dire".
Vi ha ancora qualcosa di peggio, di più ributtante, di più satanico di quanto abbiam veduto. Vindice, dopo di aver detto: "corrompiamo la donna", aggiungeva: "corrompiamola insieme colla Chiesa: Corruptio optimi pessima. Noi abbiamo intrapresa la corruzione in grande: la corruzione del popolo per mezzo del clero, e del clero per mezzo nostro: la corruzione che deve condurci un giorno al seppellimento della Chiesa cattolica. Lo scopo è abbastanza bello per tentare uomini come noi. Il miglior pugnale per assassinar la Chiesa e per colpirla nel cuore è la corruzione. Dunque all'opera fino al termine!"
E si misero all'opera. Che un prete sia corrotto o che il popolo creda alla sua corruzione, è quasi la stessa cosa per l'effetto che la setta ha in vista: propagare il vizio, dando a pensare che la virtù è impossibile, che tutti gli uomini, senza eccezione, si abbandonano alle proprie passioni e che là dove sembra esservi più ritenutezza, non vi è che maggiore ipocrisia.
Così, fin dalla Rivoluzione del 1830, il prete fu rappresentato nei teatri e nei romanzi come un essere pieno di turpitudini. Alla fine del secondo Impero, cominciarono, e dopo che la Repubblica divenne massonica, furono ripresi quei processi scandalosi quasi sempre intentati per permettere ai giornali della setta d'imputare al clero i vizi più vergognosi. Bisognava quindi più che fosse possibile non accontentarsi di calunniare; corrompere realmente sarebbe molto meglio, ed ecco perché fu fatta la legge dei preti coscritti, che abbandona l'innocente levita alle promiscuità della caserma; e siccome un anno di vita militare non produce l'effetto voluto, sta per farsi una nuova legge, che impone due anni.
Vindice non era il solo che parlava come udimmo. Nel tempo stesso, o poco dopo, Quinet, professore al collegio di Francia, fece un'edizione delle opere dell'immondo luterano, Marnix de Sainte-Aldegonde, e ne diede questa ragione nella prefazione che vi fece : "Trattasi non solo di combattere il papismo, ma di estirparlo; non solo di estirparlo, ma di disonorarlo; non solo di disonorarlo ma, come voleva la legge germanica contro l'adulterio, di soffocarlo nel fango (p. 31).
"Colui che imprende a sradicare una superstizione caduca e perniciosa come il cattolicismo, se possiede l'autorità, deve anzitutto allontanare questa superstizione dagli occhi del popolo e renderne l'esercizio impossibile, nel tempo stesso che toglie ogni speranza di vederla rinascere" (p. 37). (3)
Qual onore più grande per il cattolicismo che quello d'aver tali nemici, e vederli ridotti a valersi ed a far pompa di siffatti mezzi nella speranza di avere ragione di noi!
Note :
(1) E la famiglia è senza rimprovero? Per non citare che un sol punto indicato un giorno dalla Libera Parola, come non rimanere stupiti dell'incredibile libertà lasciata alla gioventù sulla spiaggia? "Accompagnato da uno straniero, io mi trovavo uno di questi ultimi giorni in una spiaggia di Normandia. Dinanzi a noi un lieto drappello di giovani e di fanciulle faceano echeggiare il casino delle loro risa continue. Io comunicai al mio compagno le riflessioni che questo spettacolo mi suggeriva.
Bisogna confessare - mi disse allora lo straniero - che voi avete in Francia un modo di educare le vostre figlie sotto ogni rispetto deplorevole. La giovine francese gode per tre mesi una libertà quasi completa. In mezzo a giovani, suoi compagni di tutti i momenti, ella nuota, monta a cavallo, giuoca al crivello, va in bicicletta e si riposa la sera di tutte le fatiche della giornata danzando come una disperata. Durante questo tempo, le mamme sul lido a fare dei ricami. L'estate sta sul finire. Allora, attenzione! Al primo segno le vostre giovani devono rientrare nel rango; esse devono astenersi di far due passi se non sono accompagnate dalla cameriera ... E voi congratulatevi di avere ancora degli angeli con un regime mirabilmente fatto per generare dei demoni!".
(2) Di tratto in tratto il prefetto di polizia indirizza ai commissari di polizia di Parigi una circolare che loro ingiunge di istituire processo verbale contro coloro che espongono imagini contrarie ai buoni costumi. Si può dire: pura ipocrisia; poiché, all'indomani di un sequestro, si constata la presenza dei medesimi disegni nelle stesse vetrine; e ogni giorno la figura si fa più oscena e l'esposizione più cinica.
Il 26 ottobre 1904, si tenne a Colonia un congresso per combattere l'immoralità. Oltre la Germania e l'Austria erano rappresentate l'Inghilterra, il Belgio, gli Stati Uniti, la Danimarca, la Svizzera e la Francia.
Il pastore Weber, presidente, apri questo congresso con un discorso sui progressi spaventevoli che fa l'avvelenamento della società per mezzo della letteratura immonda. Si sono allora uditi i rapporti dei delegati delle differenti nazioni sulla situazione e sulle leggi dei loro paesi a questo riguardo. Béranger, senatore, presentò il rapporto della situazione della Francia. Non vi ha alcun paese in cui la letteratura immorale sia tanto diffusa. Una petizione coperta da 210,000 firme e chiedente una legge contro questo flagello, è stata inviata al presidente del Consiglio. I delegati delle altre nazioni fecero quasi tutti questa osservazione che il fiotto impuro che si spande sopra di esse viene principalmente dalla Francia. È certo questo? Non sarebbe più vero il dire che la framassoneria ha portato il suo più potente sforzo sopra la Francia?
(3) Non è inutile osservare che nel 1903 il governo della Repubblica ha festeggiato ed anche fatto festeggiare dai fanciulli delle scuole il centenario della nascita d'Edgar Quinet.
Allocuzione di Benedetto XV al Patriziato e alla nobiltà Romana, del 5 di gennaio 1920 (Estratto dall'opera di Plinio Corrêa de Oliveira "Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana").
Papa Benedetto XV. |
Ma a quella guisa che, dopo il godimento di un concerto, si apprezza o si gusta anche più la voce di chi ripete e sviluppa da solo le note del coro, così dopo i voti che Ci allietarono nel recente periodo Natalizio, torna a Noi vieppiù gradita la ben nota voce del Patriziato e della Nobiltà Romana, modulata da Lei, signor Principe, con accenti di fede e di calore, tradizionale nelle nobili Case di Roma.
Tristi e gravi ha Ella ravvisato gli anni che si son chiusi, e quelli che vanno ad aprirsi; ma poichè, appunto all'aspetto di tanta tristezza, Ella ha invocata le consolazioni e gli aiuti del Cielo sopra il travagliato corso del Nostro Pontificato, Noi diciamo grazie a Lei, signor Principe, e grazie altresì diciamo a tutti i Patrizi e Nobili della Nostra Roma che, o qui son venuti ad accompagnare i di Lei voti, o a questi voti si associano da lontano, perché impediti di accorrere a questo Trono, cui serbaron fede i loro maggiori e cui fedeli rimangono i loro casati.
Grazie anche Le diciamo per le parole che Le piacque indirizzarCi come Sommo Sacerdote, nel volgere uno sguardo retrospettivo all'opera ardua, contrastata, misconosciuta della Cattolica Chiesa durante il più tremendo degli umani cataclismi. Nel che Ci gode l'animo di rilevare che, mentre il suo atto di ossequio era diretto al Capo del Sacerdozio Cattolico, il suo elogio, assurto ad importanza di manifestazione collettiva di questo nobile ceto, sia stato bellamente ed opportunamente rivolto ai più diretti e fedeli interpreti dei Nostri sentimenti in mezzo alle moltitudini, vogliam dire ai membri del Clero.
Il Clero, o dilettissimi figli, non è una organizzazione di guerra, ma di pace; e non ad opera di guerra, ma solo di pacifiche imprese può attendere. Nondimeno il suo apostolato anche nel mezzo all'urto terribile della guerra, gli dischiude molteplici vie al buon operare ed al buon meritare.
Voi perciò lo vedeste nei campi di battaglia a confortare i tiepidi, consolare i moribondi, accompagnare i feriti. Lo vedeste ricevere negli ospedali gli ultimi aliti, lavare le macchie delle anime, sorreggere nelle trafitte
del dolore, confortare nelle lunghe e pericolose degenze, ravvivare il senso del dovere, preservare dai folli sfruttamenti della sventura. Lo vedeste nelle casupole dei poveri, nei negletti villaggi, in mezzo ai popoli scorati, tra moltitudini di profughi, sostenere, spesso solo e sempre inosservato, l'animo dei più colpiti dal dolore, le sorti delle vedove, l'avvenire dei popoli, la resistenza delle masse. Lo vedeste pure nelle persecuzioni, nelle calunnie, nell'esilio, nelle prigioni, nella povertà, nelle morti, oscuro eroe del grande dramma, paziente banditore del dovere presso ognuna delle parti contendenti, esempio di sacrifici, vittima di odii, segnacolo di invidie, immagine di buon pastore.
Lo vedeste, o diletti figli!... Ma, mentre col degno rappresentante del Patriziato Romano Voi riconoscevate che "il sacerdote, a costo di qualunque sacrificio, dava tutto sè stesso per il bene del suo prossimo", anche Noi, simile al Sacerdozio della Chiesa ravvisammo un altro Sacerdozio: quello della Nobiltà. Accanto al "regale Sacerdotium" di Cristo, voi pure, o nobili, adergeste "gens electum" della società; e l'opera vostra fu quella che sopra ogni altra rassomigliò ed emulò l'opera del Clero. Mentre il sacerdote assisteva, sosteneva, confortava colla parola, coll'esempio, col coraggio, colle promesse di Cristo, la Nobiltà compiva, anche'essa, il suo dovere nei campi di battaglia, nelle ambulanze, nelle città, nelle campagne; e pugnando, assistendo, prodigando e morendo, teneva fede, tra i vecchi e tra i giovani, tra gli uomini e tra le donne, alle tradizioni delle avite glorie, ed agli obblighi che nobiltà vuole imporre.
Se, pertanto a Noi riesce gradito l'elogio fatto ai sacerdoti della nostra Chiesa per l'opera compiuta durante il periodo della guerra, è cosa giusta che da Noi si renda la dovuta lode anche al sacerdozio della nobiltà. L'uno e l'altro sacerdozio apparì ministro del Papa, perché in ora tristissima ne ha interpretato bene i sentimenti; epperò, mentre Ci associamo agli elogi che il Patriziato Romano ha voluto oggi rendere ai sacerdoti della Chiesa, Noi, a nome di questi, tributiamo pari lode all'opera di zelo e di carità compiuta, nello stesso periodo della guerra, dai più illustri membri del Patriziato e della Nobiltà romana.
Vogliamo anzi aprirvi anche meglio l'animo nostro, o dilettissimi figli. La mondiale conflagrazione sembra dare finalmente le ultime vampe, perciò il Clero sta ora ritornando alle opere di pace, più conformi alla indole della sua missione nel mondo. Non avrà termine, invece, nemmeno dopo la firma di qualunque protocollo di pace, l'opera di illuminato zelo e di carità efficace, che i nobili hanno saviamente intrapreso durante il periodo della guerra. E non dovremo Noi dire che il sacerdozio della nobiltà, come quello che proseguirà la sua benemerenza anche in tempo di pace, sarà perciò da Noi riguardato con particolare benevolenza! Ah! dall'ardore dello zelo dispiegato in giorni nefasti piace a Noi argomentare la costanza dei propositi colla quale i Patrizi ed i Nobili di Roma continueranno a compiere, in ore più liete, le sante imprese onde si alimenta il sacerdozio della nobiltà!
L'apostolo San Paolo ammoniva i nobili dei suoi tempi, affinché fossero, o diventassero, quali la loro condizione li richiedeva; imperocché, non pago di aver detto anche per essi che avrebbero dovuto mostrarsi modelli di ben fare, nella dottrina, nella purità dei costumi, nella gravità: "in omnibus te ipsum praebe exemplum bonorum operum in doctrina, in integritate, in gravitate" (Tim. 2,17). San Paolo considerava più direttamente i nobili quando scriveva al suo discepolo Timoteo di ammonire i ricchi, "divitibus huius saeculi praecipe", che facciano il bene e diventino ricchi di buone opere "bene agere, divites fieri in bonis operibus" (I Tim. 6,17).
A ragione si può dire che questi ammonimenti dell'Apostolo convengono in mirabile guisa anche ai nobili dell'età nostra. Anche voi, o dilettissimi figli, quanto più elevata è la vostra condizione sociale tanto maggiore è l'obbligo di andare innanzi agli altri colla luce del buon esempio: "in omnibus te ipsum praebe exemplum bonorum operum".
In ogni tempo strinse i nobili il dovere di agevolare l'insegnamento della verità "in doctrina"; ma oggi, quando la confusione delle idee, compagna alla rivoluzione dei popoli, ha fatto smarrire, in tanti luoghi e in tante persone, le vere nozioni del diritto, della giustizia e della carità, della religione e della patria, oggi è cresciuto anche più l'obbligo dei nobili, di adoperarsi a far tornare nel patrimonio intellettuale dei popoli quelle sante nozioni, che li devono dirigere nella quotidiana attività. In ogni tempo strinse i nobili il dovere di non ammettere nulla di indecente nelle parole e negli atti, affinché la loro licenza non fosse eccitamento al vizio nei subalterni, "in integritate, in gravitate": ma anche questo dovere oh! quanto è diventato più forte e più grave per il malvezzo dell'età nostra! Non solo i cavalieri, ma anche le dame sono obbligate a stringersi in
santa lega contro le esagerazioni e le sconcezze della moda, allontanando da sè, e non tollerando negli altri, ciò che non è consentito dalle leggi della cristiana modestia.
E per venire all'applicazione di ciò che abbiamo detto aver S. Paolo raccomandato più direttamente ai nobili del suo tempo, "divitibus huius saeculi, praecipe... bene agere, divites fieri in bonis operibus", a Noi basta che i Patrizi ed i Nobili di Roma continuino, in tempo di pace, ad informarsi a quello spirito di carità di cui hanno fatto bella prova in tempo di guerra. I bisogni dell'ora in cui si svolgerà la loro azione, e le condizioni particolari dei luoghi potranno determinare varie e differenti forme di carità; ma se voi, o dilettissimi figli, non dimenticherete che la carità è dovuta anche al nemico di ieri che oggi langue in miseria, mostrerete di aver fatto vostro il "bene agere" di San Paolo, vi arricchirete delle dovizie augurate dallo stesso apostolo "divites fieri in boni operibus", continuerete a far apprezzare la sublimità di quello che abbiamo chiamato "sacerdozio della nobiltà".
Oh! Come è dolce, come è soave a Noi il vagheggiare i mirabili effetti di questa continuità. La vostra nobiltà, allora, non sarà ritenuta come sopravvivenza inutile di tempi tramontati, ma come lievito serbato per la risurrezione della corrotta società: sarà faro di luce, sale di preservazione, guida degli erranti; sarà non solo immortale in questa terra, dove tutto, anche la gloria delle più illustri dinastie appassisce e tramonta, ma sarà immortale nel cielo, dove tutto vive e si deifica coll'Autore di ogni cosa bella e nobile.
L'Apostolo S. Paolo chiude gli ammonimenti dati ai nobili del suo tempo, dicendo che i tesori acquistati mercè le opere buone avrebbero dischiuse ad essi le porte di quella Celeste Maggiore dove si gode la vera vita "ut aprehendant veram vitam". E Noi, alla Nostra volta, per ricambiare gli auguri che il Patriziato e la Nobiltà di Roma Ci hanno porto al principio del nuovo anno, preghiamo il Signore di far discendere le sue benedizioni non solo sui membri dell'illustre ceto qui presenti, ma anche sui membri lontani e sulle famiglie dei singoli, affinchè ciascuno cooperi col sacerdozio proprio della sua classe alla elevazione, alla purificazione del mondo e, facendo del bene agli altri, assicuri anche per sè l'accesso al regno dell'eterna vita: "ut aprehendant veram vitam!" (L'Osservatore Romano, 5-6 gennaio 1920).
giovedì 29 agosto 2013
PROCLAMA DEL COMANDANTE IN CAPO CHIAVONE: ALL'ARMI! ALL'ARMI! ALL'ARMI!
Il piemontese nemico del nostro Re, della nostra Monarchia, delle nostre leggi, nemico del patrizio, del borghese, del contadino, nemico di tutti gli ordini militari civili e r...eligiosi; il piemontese che arde città, scanna i fedeli a Dio ed al loro sovrano, fa macello di sacerdoti, svelle dalle loro chiese i vescovi, e per sospetti caccia nelle carceri, negli ergastoli e negli esilii quanti non vede piegar la fronte all'idolo d'ingorda e bugiarda rivoluzione, il piemontese che copre con l'orgoglio la sua nudità, e che si gloria di non sentir pietà nello sgozzar vecchi, vergini, pargoletti, nè ritrosia nel dar di piglio nella roba altrui o pubblica o privata; il piemontese che profana le nostre donne ed i nostri templi, ubriaco di libidine, fabbro di menzogna e d'inganni, schernitore di vittime da lui tradite: il piemontese fugge dinanzi allo scoppio dei nostri moschetti rugginosi; e nelle città dov'egli avea fondate le case di prostituzione ed il servaggio, ormai sventola il vessillo della libertà e della indipendenza del Regno al grido di viva Francesco II. La bandiera del sovrano è già inalberata in Sora. Popoli degli Abruzzi, delle Puglie, delle Calabrie, dei Principati, all'armi! Sopra i gioghi degli Appennini, ciascun macigno è fortezza, ciascun albero è baluardo. Ivi il nemico non potrà ferire alla lontana coi proiettili dei cannoni rigati, né con l'unghie dei cavalli. Combattendo uomo con uomo, egli che non ha fede in Dio e in Gesù Cristo, ne può avere carità de' fratelli, dovrà soccombere al fremito del nostro coraggio, alla forza dei petti devoti alla morte per una causa che merita il sacrificio della vita. All'armi! Le falci, le ronche, i massi valgono nelle nostre mani più che le baionette e le spade. Un milione di anime oppresse si confortano con un grido alla pugna; sessantamila dei nostri stendono le braccia dalle carceri verso di noi; le ombre di diecimila ci dicono vendicateci.. Corriamo dai boschi alle città, dalle province a Napoli. L'arcangelo San Michele ci coprirà col suo scudo, la Vergine Immacolata col suo manto, e faranno vittoriosa la bandiera che appenderemo in voto nel tempio. Il piemontese che ci deride, svilisce, conculca, tiranneggia, spoglia, e uccide con l'ipocrita maschera della libertà, ritorni nei suoi confini tra il Po e le Alpi. Ritorni a noi quel Sovrano che Iddio ci ha dato, e lo fe' generare nelle viscere di una madre santa, e crescere in virtù candido come il giglio, che adorna il borbonico stemma. Francesco II e Sofia, ed i Reali principi c'insegnarono come si debba star saldi ed intrepidi nella battaglia. Vinceremo. I potenti dell'Europa compiranno l'opera nostra rimenando la pace all'Italia; ed il nostro regno all'ombra della religione cattolica e del papato, si riabbellirà di quella gloriosa borbonica dinastica che ci sottrasse ai duri ceppi dei piccoli tiranni, e ci diede ricchezza e franchigia vera, e la indipendenza dallo straniero. All'armi!
Il Comandante in capo Chiavone
Luigi Riccardi Aiutante
di Antonio Ciano - "I SAVOIA E IL MASSACRO DEL SUD" - Grandmelò, ROMA, 1996
Ma non arrivarono acclamati come liberatori?
Arrivo delle truppe piemontesi a Santa Lucia (Napoli): il popolo cerca di respingerle con bastoni e pietre. |
VERITA' SCONOSCIUTE: DEPORTATI A 13 ANNI..
Dagli archivi di Livorno, grazie alle ricerche di un volontario neoborbonico , sono emerse molte notizie inedite e drammatiche relative alle genti delle Due Sicilie (soldati e Partigiani) dopo il 1860…
Tra esse la storia di un ragazzo di 13 anni sospettato di volontà “brigantesche” e deportato in un isola dell'arcipelago toscano.
Nei pochi e sentiti versi di Manfredi Adamo la sintesi della tragedia ancora sconosciuta e ancora (spesso volontariamente e colpevolmente) ignorata…
Ero nu guaglione
quanno vedette patemo ‘e partì.
Dicette ca nel Meridione
tanta fratelli vulevano venì.
Ma nuje nun putevamo cchiù ascì,
mammà me nzerraje ‘ncasa,
‘e scole chiudetteno, gnorsì,
e nun trasevano turnese.
Appaurato, passavano jurnate,
mammà chiagneva e s’ammalava.
Je m’addumannavo quale pate
lassava ‘na famiglia e nun turnava.
Sapette na dummeneca mmiez’ ‘o paese
ca ll’uommene se ne jettero tutte quante:
i “fratelli” erano cannune piemontese,
papà addeventaje nu Brigante!
Jammo mammà, papà sta ‘ncoppa ‘e muntagne,
sarrà muorto ‘e famme, s’è annascunnuto,
appripara pane, patane e pupagne…
lassame purtà forse ll’urdemo saluto.
Figlio mio addò vai, da li gguardie t’hè a fa castigà!
Mammà so’ gruosso nun me faccio piglià,
Je tengo tridece anne...
e voglio fa ‘o Brigante comme a papà!
(Manfredi Adamo)
Fonte:
SULLA LIBERTA’ RELIGIOSA E SULLA DIGNITATIS HUMANAE
Il 25 dicembre 1961, il “papa buono” Roncalli, nel suo quarto anno di pontificato, promulgava la Costituzione apostolica di indizione del Concilio, la “Humanae Salutis” [1]. Roncalli ricordava la promessa fatta da Gesù “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo” (Mt. 28,20), ovvero:
“… tale gioiosa assistenza di Cristo, se non è mai mancata, viva ed operante, nella santa Chiesa, è stata evidente soprattutto quando la compagine e la comunità umana erano sconvolte dalle più furiose tempeste”; poiché “questo nostro tempo la Chiesa vede la comunità umana gravemente turbata aspirare ad un totale rinnovamento”, si richiede “ora alla Chiesa: di immettere l’energia perenne, vivificante, divina del Vangelo nelle vene di quella che è oggi la comunità umana”. Contro “le ideologie di coloro che riducono tutto a materia o tentano di sovvertire i fondamenti della fede cattolica” la Chiesa “dotata cioè di una più robusta compattezza nell’unità, potenziata dal supporto di una più feconda dottrina, più bellamente fulgida per splendore di santità, sicché essa appare del tutto pronta a combattere le sante battaglie della fede”.
Davanti ad “una comunità di uomini travagliata da un’estrema povertà di valori dell’animo”, ma nel contempo con una Chiesa “fiorente per rigoglio di vitalità”, secondo Roncalli si rendeva necessario un Concilio perché:
“la Chiesa si dimostrasse sempre più idonea a risolvere i problemi degli uomini contemporanei”, indetto “in un momento in cui la Chiesa avverte più vivo il desiderio di irrobustire la sua fede con forze nuove”; dinanzi ai “i pericoli di disastrosi conflitti” propositi del Concilio volevano essere “soprattutto i valori che fanno parte dell’animo e dell’ordine soprannaturale, come anche l’intelligenza e la coscienza degli uomini, che devono prendere luce e guida da Dio, Creatore e Redentore del genere umano”, perciò – dice Roncalli – “confidiamo che quello che sarà deliberato nel Concilio Ecumenico sarà di tale efficacia che non soltanto illuminerà di sapienza cristiana e fortificherà di fervorosa energia l’intimo degli animi, ma anche pervaderà l’insieme delle attività umane”.
Sebbene Roncalli sosteneva che l’indizione del Concilio fu accolta con grande entusiasmo e per definire anche che un “ordine soprannaturale deve però influire al massimo sull’altro ordine”, quello temporale, e questo perché la Chiesa è “Madre e Maestra”, in molti non furono poi così elettrizzati: ritenevano che non era certo necessario un Concilio per risolvere i problemi del tempo, dato che sarebbe bastato probabilmente ricordare a gran voce e con forza quelle ovvie condanne già comminate definitivamente al comunismo, alla massoneria (che aveva ricevuto più di 200 condanne nel Magistero), al modernismo ed all’ateismo dilagante.
Per usare le parole del pro-Prefetto del Sant’Uffizio (prima della riforma voluta da Paolo VI nel 1965, era Prefetto lo stesso Papa), il cardinale Alfredo Ottaviani, era solamente necessario contrastare con maggiore forza quella “ideologia marxista, un’offesa alla legge di Dio e una tragedia per l’intera umanità”, quel comunismo ateo “intrinsecamente perverso” [cf. Pio XI, Divini Redemptoris], di cui si interessò anche Pio XII deliberandone nel 1949 la “scomunica a tutti i propugnatori”.
In alcuni ambienti si usa sostenere che fu proprio Pio XII a spingere fortemente per l’indizione di un Concilio, tuttavia la storia ci insegna non è così: il 4 marzo del 1948, Papa Pacelli convocò in gran segreto il card. Ottaviani “per costituire una Commissione preparatoria per un eventuale prossimo Concilio ecumenico. Non per aprirsi al mondo, come fu poi deciso da Giovanni XXIII, ma, al contrario, per ridefinire i vari punti della dottrina cristiana minacciati dalla Nouvelle Théologie” [2].
La “Humanae Salutis” di Giovanni XXIII si conclude con la preghiera:
“rinnova in questa nostra epoca i tuoi prodigi, quasi come con una nuova Pentecoste, e concedi alla Santa Chiesa che, perseverando concordemente e assiduamente con Maria, la Madre di Gesù, e guidata da San Pietro, estenda il regno del divin Salvatore, regno di verità e di giustizia, regno di amore e di pace. Amen”. [3]
Nel suo diario, il cardinal Ottaviani scriveva nel 1965, 3 anni dopo la “Humanae Salutis”:
“… il Concilio più che una nuova aurora per l’umanità, [è] una lunga notte per la Chiesa”; “… prego Dio di farmi morire prima della fine di questo Concilio, così almeno muoio cattolico”.
Il 30 ottobre del 1962, quando già si paventavano venti di “libertà religiosa” e di “aperture ai fratelli separati” furono messe in cantiere anche alcune modifiche all’“Ordo” della Messa, il cardinal Ottaviani, e non fu il solo, intervenne duramente:
“Stiamo cercando di suscitare il disorientamento e lo scandalo nel popolo cristiano, introducendo delle modifiche in un rito così venerabile, che è stato approvato lungo tanti secoli e che è ora divenuto così familiare? Non si può trattare la Santa Messa come se fosse un pezzo di stoffa che si rimette seguendo la moda, secondo la fantasia di ciascuna generazione”. Non immaginava ancora che tutto ciò avrebbe portato al “Novus Ordo Missae”.
Anni dopo i cardinali Ottaviani e Bacci, facendosi portavoce di una corrente numerosa di teologi e sacerdoti che “rigettavano” la “messa normativa” ideata dal Consilium ad exequendam Constitutionem de Sacra Liturgia, inviarono a Paolo VI il “Breve esame critico del «Novus Ordo Missæ»”, scritto da mons. Michel Guérard des Lauriers [4]. Nel documento si legge, inoltre, che con il “Novus Ordo Missae”:
“si vuol fare tabula rasa di tutta la teologia della Messa. In sostanza ci si avvicina alla teologia protestante che ha distrutto il sacrificio della Messa” [5].
La “messa normativa” o falso-ecumenica comunque non sorge da nulla, ma piuttosto sembra trarre linfa vitale dalla libertà religiosa della massoneria (cf. L’Oecuménisme vu par un franc-macon de tradition, del massone Yves Marsaudon) e da quella “Nouvelle Théologie” (caratterizzata da un rifiuto del dominio della Scolastica per favorire un ritorno a fonti, male interpretate, che Henri de Lubac spacciava per patristiche e del cristianesimo delle origini) che tanto aveva già minato il dogma ed aveva messo a dura prova la fede dei cattolici nel pre e nel post Concilio (a cominciare dallo scandaloso testo Surnaturel. Études historiques), quella vastissima corrente teologica “vicina al protestantesimo” e “prossima alle eresie” che pare essere una riproposizione in chiave contemporanea (XX secolo) dell’ “eresia modernista”, così fortemente condannata da Papa San Pio X nel “LAMENTABILI SANE EXITU” [6]
“Con deplorevoli frutti, l’età nostra, impaziente di freno nell’indagare le somme ragioni delle cose, non di rado segue talmente le novità, che, lasciata da parte, per così dire, l’eredità del genere umano, cade in errori gravissimi. Questi errori sono di gran lunga più pericolosi qualora si tratti della disciplina sacra, dell’interpretazione della Sacra Scrittura, dei principali misteri della Fede”
e nella “PASCENDI DOMINICI GREGIS” [7]:
“Di qual guisa poi i modernisti dall’agnosticismo, che è puro stato d’ignoranza, passino all’ateismo scientifico e storico, che invece è stato di positiva negazione; e con qual diritto perciò di logica, dal non sapere se Iddio sia intervenuto o no nella storia dell’uman genere si trascorra a spiegar tutto nella storia medesima ponendo Dio interamente da parte come se in realtà non fosse intervenuto, lo assegni chi può. Ma tanto è; per costoro è fisso e determinato che la scienza e la storia debbano esser atee; entro l’àmbito di esse non vi è luogo se non per fenomeni, sbanditone in tutto Iddio e quanto sa di divino. Dalla quale dottrina assurdissima vedrem bentosto che cosa siasi costretti di ammettere intorno alla persona augusta di Gesù Cristo, intorno ai misteri della Sua vita e della Sua morte, intorno alla Sua risurrezione ed ascensione al Cielo”.
Il “Dizionario del pensiero cristiano alternativo” (eresie.it, v. Lubac) ci ricorda che:
“a parte de Lubac, aderirono alle idee della Nouvelle Théologie teologi come Pierre Teilhard de Chardin, Yves Congar, Hans Küng, Edward Schillebeeckx, Han Urs von Balthasar (1905-1988), Marie-Dominique Chenu (1895-1990), Karl Rahner (1904-1984), Louis Bouyer (1913-2004), Etienne Gilson (1884-1978), Daniélou e Joseph Ratzinger, sebbene gli ultimi due si dissociassero successivamente dal pensiero della Nouvelle Théologie”.
“Messa normativa”, ideata probabilmente con l’intento di “riunire tutti i cristiani” in un “rito universale” o “simile” ma “nelle diverse lingue” che pare davvero far contenti i promotori di quel “pancristianesimo irenista”, così biasimato da Papa Pio XI nella “MORTALIUM ANIMOS”, poiché incompatibile con gli insegnamenti di Cristo, quindi con la fede cattolica e con con il diritto divino [8] [9]:
“Potrà sembrare che questi pancristiani, tutti occupati nell’unire le chiese, tendano al fine nobilissimo di fomentare la carità fra tutti i cristiani; ma come mai potrebbe la carità riuscire in danno della fede? Nessuno certamente ignora che lo stesso apostolo della carità, San Giovanni (il quale nel suo Vangelo pare abbia svelato i segreti del Cuore sacratissimo di Gesù che sempre soleva inculcare ai discepoli il nuovo comandamento: « Amatevi l’un l’altro »), ha vietato assolutamente di avere rapporti con coloro i quali non professano intera ed incorrotta la dottrina di Cristo: « Se qualcuno viene da voi e non porta questa dottrina, non ricevetelo in casa e non salutatelo nemmeno » [II Ioann., 10.]. Quindi, appoggiandosi la carità, come su fondamento, sulla fede integra e sincera, è necessario che i discepoli di Cristo siano principalmente uniti dal vincolo dell’unità della fede.”
Nel marasma conciliare non mancarono i duri scontri, interventi decisi e importanti che il prof. Roberto De Mattei ha ben “catalogato” ed “archiviato” nella sua ricerca storia “Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta”. [10]
Nonostante le polemiche e le “guerre intestine”, il cardinal Ottaviani, ricordando comunque l’essenza della dottrina cattolica, ha sempre esortato all’obbedienza, poiché “l’obbedienza per un cristiano – diceva – deve essere sempre al primo posto. Senza di essa c’è solo disordine. Se gli altri non ubbidiscono, voi siate ubbidienti alla Chiesa anche per loro”.
Dagli anni ’70 il dibattito si è quindi spostato su un altro fronte: “è ancora cattolica questa chiesa?”, “la gerarchia principalmente visibile - probabilmente grazie ai media ed al potere economico - è ancora la Chiesa di Cristo?”, “stando al diritto divino, chi siede nella Sede Apostolica è ancora Papa, o piuttosto Cristo lo ha privato del pontificato e la Sede è vacante?” [cf. Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, Verità della Fede, vol I, Marietti, Torino, 1826, pp. 142 e succ.], quindi “si può parlare di disobbedienza” o piuttosto di “battaglia contro una dottrina propugnata da chi non è più Chiesa di Cristo e non ha alcuna autorità e valore?” [11] [12].
Considerazioni durissime e che hanno aperto uno scontro mai placatosi soprattutto a seguito della promulgazione in Concilio Vaticano II della Dichiarazione sulla libertà religiosa “DIGNITATIS HUMANAE” [13], Paolo VI, 7 dicembre 1965. In essa si legge:
“Tutte e singole le cose stabilite in questo Decreto sono piaciute ai Padri del Sacro Concilio. E Noi, in virtù della potestà Apostolica conferitaci da Cristo, unitamente ai Venerabili Padri, nello Spirito Santo le approviamo, le decretiamo e le stabiliamo; e quanto stato così sinodalmente deciso, comandiamo che sia promulgato a gloria di Dio”.
Ma facciamo un passo indietro. Nel Discorso di apertura del Concilio Vaticano II [14], pronunciato da Giovanni XXIII il giorno 11 ottobre del 1962, le intenzioni, riferendosi al Concilio Vaticano II ed ai suoi documenti, venivano così solennemente espresse:
- “Tutti i Concili [...]attestano con evidenza la vitalità della Chiesa Cattolica e sono iscritti come lumi splendenti nella sua storia”;
- “… si è proposto di riaffermare ancora una volta il Magistero Ecclesiastico, che non viene mai meno e perdura sino alla fine dei tempi; Magistero che con questo Concilio si presenta in modo straordinario a tutti gli uomini che sono nel mondo”;
- “Ogni volta che vengono celebrati, i Concili Ecumenici proclamano in forma solenne questa corrispondenza con Cristo e con la sua Chiesa ed irradiano per ogni dove la luce della verità, indirizzano sulla via giusta la vita dei singoli, della convivenza domestica e della società, suscitano ed irrobustiscono le energie spirituali, innalzano stabilmente gli animi ai beni veri e sempiterni”;
- “Illuminata dalla luce di questo Concilio, la Chiesa si accrescerà, come speriamo, di ricchezze spirituali e, attingendovi il vigore di nuove energie, guarderà con sicurezza ai tempi futuri. Infatti, introducendo opportuni emendamenti ed avviando saggiamente un impegno di reciproco aiuto, la Chiesa otterrà che gli uomini, le famiglie, le nazioni rivolgano davvero le menti alle realtà soprannaturali”;
- “Quel che più di tutto interessa il Concilio è che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace [...] è necessario prima di tutto che la Chiesa non distolga mai gli occhi dal sacro patrimonio della verità ricevuto dagli antichi”;
- “Il ventunesimo Concilio Ecumenico — che si avvale dell’efficace e importante aiuto di persone che eccellono nella scienza delle discipline sacre, dell’esercizio dell’apostolato e della rettitudine nel comportamento — vuole trasmettere integra, non sminuita, non distorta, la dottrina cattolica, che, seppure tra difficoltà e controversie, è divenuta patrimonio comune degli uomini. Questo non è gradito a tutti, ma viene proposto come offerta di un fecondissimo tesoro a tutti quelli che sono dotati di buona volontà”;
- “In altri termini, la Chiesa offre agli uomini dei nostri tempi non ricchezze caduche, né promette una felicità soltanto terrena; ma dispensa i beni della grazia soprannaturale, i quali, elevando gli uomini alla dignità di figli di Dio, sono di così valida difesa ed aiuto a rendere più umana la loro vita; apre le sorgenti della sua fecondissima dottrina …”.
E così via … Sostanzialmente Roncalli ribadiva quella che è la missione della Chiesa sin dalla sua fondazione (cf. Matteo 16,14-18), ovvero traghettare i fedeli nelle burrascose onde del mondo salvaguardando integra la dottrina (o depositum fidei), secondo la Parola di Dio (Padre, Figliuolo e Spirito Santo); Gesù prega per Pietro (cf. Luca 22,31-34) che “scioglie e lega” [14a] e rende “immune il governo” da “errori dottrinali su fede e costume nel Magistero”, rende “l’insegnamento santo”, ed è certissimo che [la Chiesa] traghetta l’uomo osservante alla meta, che “è la salvezza”. La Chiesa è, difatti, Una, Santa, Cattolica ed Apostolica (cf. Catechismo maggiore, San Pio X).
***
In seno al Concilio Vaticano II, sulla “libertà religiosa”, poi sancita dalla “DIGNITATIS HUMANAE”, come su tanti altri argomenti, non mancarono tuttavia eminenti interventi che ritengo opportuno rendere noti, attingendo così alle fonti storiche di chi, coraggiosamente, ha scritto e pubblicato in questi anni.
L’allora arcivescovo di Palermo, card. Ruffini, [15] “previde le conseguenze della dichiarazione sulla libertà religiosa”:
“Con il patto tra la Santa Sede e l’Italia firmato VII febbraio 1929 si stabilisce all’inizio che la religione cattolica, apostolica, romana è la religione di stato e per di più unica [...] – elenca una serie di vittorie della cristianità sul laicismo – Tutti questi aspetti, se la nostra dichiarazione fosse approvata come ci viene mostrata oggi, in forza della stessa dichiarazione, sarebbero facilmente impugnati dai nostri nemici, con una facile speranza di vittoria”.
Il card. Giuseppe Siri [16]:
“ … per noi che siamo i successori degli apostoli, è più importante difendere l’ordine divino, è più importante difendere la legge divina. Perché se nella difesa della libertà, noi disprezziamo la legge, si verificheranno sicuramente dei mali, sia teorici che pratici, che comporteranno l’indifferentismo, sia per quanto riguarda i frutti dell’apostolato, che per l’illusione secondo la quale molti crederanno di salvare la propria anima facendo quello che loro piace e rimandando a lungo o per sempre la loro conversione alla vera fede. Chiedo che si presti più attenzione a quello che le fonti teologiche dicono sulla libertà religiosa e soprattutto a quello che hanno detto Leone XIII, Pio XI e Pio XII”.
Il card. Arriba y Castro [17], ricordando gli insegnamenti di Gesù:
“… solo la Chiesa cattolica ha il diritto e il dovere di predicare il Vangelo. Perciò il proselitismo dei non cattolici fra i cattolici è illecito e nella misura in cui lo consente il bene comune dev’essere impedito non solo dalla Chiesa ma anche dallo Stato [...] Veda dunque il Sacrosanto Concilio Vaticano li di non decretare la rovina della religione cattolica in nazioni in cui praticamente questa religione è unica. Infatti, dopo che si è cominciato a parlare, sia a parole che per iscritto, sono molti che, soprattutto tra i più sprovveduti, dicono: ‘A quel che sembra, tutte le religioni sono uguali’. E manca poco che concludano: ‘Quindi, nessuna è importante’ …”.
Il card. Florit [18]:
“ … Per questo il raggiungere la verità religiosa, conservarla e difenderla riguarda il fine naturale dello Stato. Da ciò consegue che i limiti della libertà religiosa non sono soltanto di ordine pubblico, ma anche e soprattutto necessità di verità religiosa”.
Il card. Ottaviani [19]:
“Sarebbe meglio distinguere tra costrizione fisica e costrizione morale, oppure, più che costrizione morale: l’obbligo morale. Dio non costringe, eppure obbliga, e perciò viene detto nel Vangelo: ‘Chi avrà creduto e sarà battezzato sarà salvo, chi non avrà creduto, sarà con dannato’. E quindi anche il Cristo e la Chiesa possono imporre un obbligo morale, e nella materia religiosa, che obbliga in coscienza…”.
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Gli interventi furono numerosissimi e si contrapponevano alla tendenza moderna che voleva giusta e legittima quella “libertà religiosa in foro esterno”, anche nel “governo degli stati”, libertà che, secondo loro, si fonda “sulla stessa natura” dell’uomo e non su una “disposizione soggettiva della persona”, libertà da garantire anche “in coloro che non soddisfano l’obbligo di cercare la verità e di aderire ad essa”. Tutte idee prossime all’eresie, se non eretiche, così deplorate sin dalle origini della Chiesa, e condannate fortemente anche da Papa Pio XII, il 6 dicembre 1953, nel Discorso ai giuristi cattolici [20]:
“… Con questo sono chiariti i due principi, dai quali bisogna ricavare nei casi concreti la risposta alla gravissima questione circa l’atteggiamento del giurista, dell’uomo politico e dello Stato sovrano cattolico riguardo ad una formula di tolleranza religiosa e morale del contenuto sopra indicato, da prendersi in considerazione per la Comunità degli Stati. Primo: ciò che non risponde alla verità e alla norma morale, non ha oggettivamente alcun diritto nè all’esistenza, nè alla propaganda, nè all’azione. Secondo : il non impedirlo per mezzo di leggi statali e di disposizioni coercitive può nondimeno essere giustificato nell’interesse di un bene superiore e più vasto”;
“… dal bene che secondo una saggia prognosi ne potrà derivare alla Comunità medesima come tale, e indirettamente allo Stato che ne è membro … Per ciò che riguarda il campo religioso e morale, egli domanderà anche il giudizio della Chiesa. Da parte della quale in tali questioni decisive, che toccano la vita internazionale, è competente in ultima istanza soltanto Colui a cui Cristo ha affidato la guida di tutta la Chiesa, il Romano Pontefice”.
Nel 1974, il Vescovo della diocesi di Campos, Mons. De Castro Mayer, scrisse [21] uno studio di critica cattolica al documento “DIGNITATIS HUMANAE” ed una supplica che inviò a Paolo VI, sui disastrosi frutti sia del “nuovo magistero” sulla “libertà religiosa” che sulla “nuova messa”, si legge:
“… in coscienza io non fossi d’accordo con gli atti dell’attuale Magistero Ordinario della Chiesa” quindi “manifestassi liberamente alla Santa Sede” il mio parere. “Santo Padre, l’ubbidienza mi obbliga ora comunicare a Vostra Santità pensieri che forse vi cagioneranno afflizione. Lo faccio però con l’animo in pace, poiché sono nella via della sincerità e dell’ubbidienza in cui conto di rimanere con la grazia di Dio”, “Imploro da Vostra Santità compassione per l’ubbidienza di questo Vescovo ormai settuagenario e che vive in questo momento l’episodio più drammatico della propria esistenza. E chiedo a Vostra Santità almeno una particella di quella comprensione e benevolenza che tante volte avete manifestato non soltanto verso quelli che Vi stanno vicini, ma anche con persone estranee, e perfino nemiche del Gregge unico dell’unico Pastore”. “Negli anni ha preso corpo nel mio spirito la convinzione che atti ufficiali di Vostra Santità non hanno quella consonanza, che con tutta l’anima desideravo vedere, con gli atti di Pontefici che Vi hanno preceduto”.
Il monsignore, inizialmente, comunque era convinto che il Magistero ordinario di Paolo VI (e di un Concilio Ecumenico) nonostante si esprimesse e vincolasse su questioni di fede e costume:
“Non si tratta chiaramente di atti garantiti dal carisma dell’infallibilità. Così, quella mia convinzione non scuote in niente la mia fede senza riserve nelle definizioni del Concilio Vaticano I”.
In alcuni ambienti questa convinzione è ancora fervente e si favorisce probabilmente la disubbidienza alle disposizioni di quello che dovrebbe essere il “buon governo” di chi “scioglie e lega”. Secondo il mio punto di vista, che ho espresso sinteticamente anche in 4 studi [L’INFALLIBILITÀ DELLA CHIESA E DEL PAPA: MAGISTERO UNIVERSALE E ORDINARIO, SULL’INFALLIBILITÀ NELLA CANONIZZAZIONE, SULLA NECESSITÀ DELL’INFALLIBILITÀ DEL PONTEFICE E SULLA CONDANNA DELLA COLLEGIALITÀ, BENEDETTO XVI: “RILEGGERE I DOCUMENTI DEL CONCILIO ALLA LUCE DELLA TRADIZIONE”], comunque le convinzioni iniziali di Mons. De Castro Mayer erano errate. Ma questo è un altro discorso …
Il 22 marzo 1974 il Nunzio Apostolico, Mons. Carmine Rocco, trasmise [22] a S.E. Mons. Antonio de Castro Mayer la seguente risposta e null’altro:
«Le lettere del 25 gennaio u.s. dirette all’Eminentissimo Card. Baggio e a Sua Santità Paolo VI, insieme con gli studi fatti da Vostra Eccellenza, sono pervenute a destinazione».
Nelle Riflessioni sulla Sospensione “a divinis” di Mons. Marcel Lefebvre, si leggono [23] alcune affermazioni dello stesso in merito alla Chiesa del Concilio Vaticano II, in tutte le sue espressioni, che vanno dalla “libertà religiosa”, alla “collegialità”, alla “nuova messa”, ai “nuovi studi biblici”, all’“ecumenismo irenista”, ecc… :
“Siamo sospesi a divinis dalla Chiesa Conciliare e per la Chiesa Conciliare, alla quale non desideriamo appartenere. Quella Chiesa Conciliare è una Chiesa scismatica, perché rompe con la Chiesa Cattolica che è sempre stata. Ha i suoi nuovi dogmi, il suo nuovo sacerdozio, le sue nuove istituzioni, il suo nuovo culto, tutti già condannati dalla Chiesa in molti documenti, ufficiali e definitivi …”;
“La Chiesa che afferma tali errori è ad un tempo scismatica ed eretica. Questa Chiesa Conciliare è, pertanto, non cattolica. Nella misura in cui Papa, vescovi, preti, o fedeli aderiscono a questa nuova Chiesa, essi si separano dalla Chiesa Cattolica”.
Il 29 agosto 1987, Mons. Lefebvre nella lettera inviata ai futuri vescovi, che consacrerà un anno dopo, scriveva:
“La Sede di Pietro e i posti di autorità in Roma essendo occupati da anticristi, la distruzione del Regno di Nostro Signore viene condotta rapidamente anche dentro il Suo Corpo Mistico quaggiù, specialmente attraverso la corruzione della Santa Messa che è sia la splendida espressione del trionfo di Nostro Signore sulla Croce — Regnavit a Ligno Deus — sia la sorgente dell’estensione del Suo regno sulle anime e sulle società”.
Nel giugno del 1988, intervistato da S. Paci, su 30 Giorni, dichiarò:
“Poichè riconosco nel Papa il successore di Pietro, non sono uno che considera la Sede di Pietro vacante; non dico che questo Papa è un eretico. Ma le sue idee sono eretiche, e sono già state condannate dai precedenti pontefici, e conducono all’eresia. Vedendo come le autorità della Chiesa hanno agito sin dal Concilio, sembra che lo Spirito Santo si sia preso una vacanza.”
Mons. Marcel Lefebvre morirà probabilmente convinto [23] che il Vicario di Cristo possa “non essere eretico” ma possa “insegnare [con pertinacia] idee eretiche e che portano all’eresia”, da qui la pratica della “disobbedienza agli ordini sbagliati”, non la consapevolezza che la “Sede possa essere vacante” bensì “occupata da anticristi” il che, secondo lui, non sarebbe la stessa cosa e sarebbe possibile. Posizione simile è ribadita (non esplicitamente) dalla Fraternità Sacerdotale San Pio X “Dichiarazione nella ricorrenza del 25° anniversario delle Consacrazioni Episcopali (30 giugno 1988 – 27 giugno 2013)” leggibile in nota [24]. Ma questo è un altro discorso …
Sulla “libertà religiosa” così condannata dal cattolicesimo, ed anche coraggiosamente dallo stesso Lefebvre, possiamo ricordare alcuni insegnamenti di Magistero.
Papa Pio IX, l’8 dicembre del 1964, nella Quanta cura [25], parla di “libertà religiosa” come di “libertà di perdizione”, incompatibile con gli insegnamenti della Chiesa di Cristo. Ricorda e comanda:
“Contro la dottrina delle sacre Lettere della Chiesa e dei Santi Padri, non dubitano di affermare “essere ottima la condizione della società nella quale non si riconosce nell’Impero il dovere di reprimere con pene stabilite i violatori della Religione cattolica, se non in quanto lo chieda la pubblica pace”. Con tale idea di governo sociale, assolutamente falsa, non temono di caldeggiare l’opinione sommamente dannosa per la Chiesa cattolica e per la salute delle anime, dal Nostro Predecessore Gregorio XVI di venerata memoria chiamata delirio , cioè “la libertà di coscienza e dei culti essere un diritto proprio di ciascun uomo che si deve proclamare e stabilire per legge in ogni ben ordinata società ed i cittadini avere diritto ad una totale libertà che non deve essere ristretta da nessuna autorità ecclesiastica o civile, in forza della quale possano palesemente e pubblicamente manifestare e dichiarare i loro concetti, quali che siano, sia con la parola, sia con la stampa, sia in altra maniera”. E mentre affermano ciò temerariamente, non pensano e non considerano che essi predicano “la libertà della perdizione” , e che “se in nome delle umane convinzioni sia sempre libero il diritto di disputare, non potranno mai mancare coloro che osano resistere alla verità e confidano nella loquacità della sapienza umana, mentre la fede e la sapienza cristiane debbono evitare questa nociva vanità, in linea con la stessa istituzione del Signor Nostro Gesù Cristo””
Sempre Pio IX nel Sillabo [26] ai n° 77 e 78 condanna le seguenti proposizioni, che sono eretiche:
“In questa nostra età non conviene più che la religione cattolica si ritenga come l’unica religione dello Stato, escluse tutte le altre quali che si vogliano” [27];
“E però lodevolmente in alcuni paesi cattolici si è stabilito per legge che a quelli, i quali vi si recano, sia lecito di aver pubblico esercizio del culto proprio di ciascuno” [28].
Papa Leone XIII nell’Enciclica “Libertas” [29] del 20 giugno 1888, esprime così insegnamento di Magistero sull’argomento:
“Nell’ordine sociale dunque la civile libertà, degna di questo nome, non consiste già in far quel che talenta a ciascuno, ciò che anzi partorirebbe confusione e disordine, che riuscirebbe in ultimo ad oppressione comune; ma in questo unicamente, che con la tutela e l’aiuto delle leggi civili si possa più agevolmente vivere secondo le norme della legge eterna [...]. Considerata rispetto alla società, la libertà dei culti importa non esser tenuto lo Stato a professarne o a favorirne alcuno: anzi dover essere indifferente a riguardo di tutti e averli in conto di giuridicamente uguali, anche se si tratti di nazioni cattoliche [...].Iddio è quegli che creò l’uomo socievole, e lo pose nel consorzio de’ suoi simili, affinché i beni, onde ha bisogno la natura di lui, e ch’ei, solitario, non avrebbe potuto conseguire, li trovasse nell’associazione. Laonde la società civile, proprio perché società, deve conoscere e onorarne il potere e dominio sovrano. Ragione adunque e giustizia del pari condannano lo Stato ateo o, ch’è lo stesso, indifferente verso i vari culti, e ad ognuno di loro largo de’ diritti medesimi. Posto pertanto che una religione debba professarsi dallo Stato, quella va professata che è unicamente vera, e che per le note di verità, che evidentemente la suggellano, non è difficile a riconoscersi, massime in paesi cattolici [...].Potestà morale è il diritto, e, come si disse e converrà spesso ridire, è assurdo che la natura ne dia indistintamente e indifferentemente alla verità e alla menzogna, al bene e al male. Le cose vere ed oneste hanno diritto, salve le regole della prudenza, di essere liberamente propagate, e divenire il più che possibile comune retaggio; ma gli errori, peste della mente, i vizi, contagio dei cuori e dei costumi, è giusto che dalla pubblica autorità siano diligentemente repressi per impedire che non si dilatino a danno comune. L’abuso della forza dell’ingegno, che torna ad oppressione morale degl’ignoranti, va legalmente represso con non minore fermezza, che l’abuso della forza materiale a danno dei deboli. Tanto più che guardarsi dai sofismi dell’errore, specialmente se accarezzanti le passioni, la massima parte dei cittadini o del tutto non possono o non possono senza estrema difficoltà [...].Per queste cagioni, senza attribuire diritti fuorché al vero e all’onesto, ella non vieta che per evitare un male più grande o conseguire e conservare un più gran bene, il pubblico potere tolleri qualche cosa non conforme a verità e giustizia”.
Papa Pio XII, nella allocuzione “Ci riesce” [30]:
“Un’altra questione essenzialmente diversa è se in una Comunità di Stati possa, almeno in determinate circostanze, essere stabilita la norma che il libero esercizio di una credenza e di una prassi religiosa o morale, le quali hanno valore in uno degli Stati-membri, non sia impedito nell’intero territorio della Comunità per mezzo di leggi o provvedimenti coercitivi, statali. In altri termini, si chiede se il “non impedire”, ossia il tollerare, sia in quelle circostanze permesso, e perciò la positiva repressione non sia sempre un dovere.”Noi abbiamo or ora addotta l’autorità di Dio. Può Dio, sebbene sarebbe a lui possibile e facile di reprimere l’errore e la deviazione morale, in alcuni casi scegliere il “non impedire”, senza venire in contraddizione con la Sua infinita perfezione? Può darsi che in determinate circostanze Egli non dia agli uomini nessun mandato, non imponga nessun dovere, non dia perfino nessun diritto d’impedire e di reprimere ciò che è erroneo e falso? … Uno sguardo alla realtà dà una risposta affermativa. Essa mostra che l’errore e il peccato si trovano nel mondo in ampia misura. Iddio li riprova; eppure li lascia esistere. Quindi l’affermazione: Il traviamento religioso e morale deve essere sempre impedito, quanto è possibile, perché la sua tolleranza è in se stessa immorale – non può valere nella sua incondizionata assolutezza. D’altra parte, Dio non ha dato nemmeno all’autorità umana un siffatto precetto assoluto e universale, né nel campo della fede né in quello della morale. Non conoscono un tale precetto né la comune convinzione degli uomini, né la coscienza cristiana, né le fonti della rivelazione, né la prassi della Chiesa. Per omettere qui altri testi della Sacra Scrittura che si riferiscono a questo argomento, Cristo nella parabola della zizzania diede il seguente ammonimento: Lasciate che nel campo del mondo la zizzania cresca insieme al buon seme a causa del frumento. Il dovere di reprimere le deviazioni morali e religiose non può quindi essere una ultima norma di azioni. Esso deve essere subordinato a più alte e generali norme, le quali in alcune circostanze permettono, ed anzi fanno forse apparire come il partito migliore il non impedire l’errore, per promuovere un bene maggiore. … Con questo sono chiariti i due prìncipi, dai quali bisogna ricavare nei casi concreti la risposta alla gravissima questione circa l’atteggiamento del giurista, dell’uomo politico e dello Stato sovrano cattolico riguardo ad una formula di tolleranza religiosa e morale del contenuto sopra indicato, da prendersi in considerazione per la Comunità degli Stati. Primo: ciò che non risponde alla verità e alla norma morale, non ha oggettivamente alcun diritto né all’esistenza né alla propaganda, né all’azione. Secondo: il non impedirlo per mezzo di leggi statali e di disposizioni coercitive può nondimeno essere giustificato nell’interesse di un bene superiore e più vasto. … Quanto alla seconda proposizione, vale a dire alla tolleranza, in circostanze determinate, alla sopportazione anche in casi in cui si potrebbe procedere alla repressione, la Chiesa – già per riguardo a coloro, che in buona coscienza (sebbene erronea, ma invincibile) sono di diversa opinione – si è vista indotto ad agire ed ha agito secondo quella tolleranza, dopo che sotto Costantino il Grande e gli altri Imperatori cristiani divenne Chiesa di Stato, sempre per più alti e prevalenti motivi; così fa oggi e anche nel futuro si troverà di fronte alla stessa necessità. In tali singoli casi l’atteggiamento della Chiesa è determinato dalla tutela e dalla considerazione del bonum comune, del bene comune della Chiesa e dello Stato nei singoli Stati, da una parte, e dall’altra, del bonum comune della Chiesa universale, del regno di Dio sopra tutto il mondo”.
La Chiesa, riverendo accuratamente il diritto divino, ha sempre comandato che la propaganda (o libertà in foro esterno) alle “false religioni” deve essere non solo “negata”, ma anche “impedita”, come anche vanno condannate le “persone concrete che diffondono l’errore in materia religiosa”. Chi “offende moralità ed ordine pubblico”, favorendo o autorizzando “false fedi”, “finti culti”, “idee immorali”, quindi “diffonde l’errore”, va ostacolato e condannato, poiché bisogna evitare che “pregiudichi l’ordine pubblico” e alteri la percezione di “legge naturale”, di “ciò che è giusto e ciò che è sbagliato”. Per approfondimenti si possono studiare i seguenti documenti di fede cattolica: - Quod Aliquantun; – Adeo Nota; – Post tam diuturnas; – Mirari Vos; – Singulari Nos; – Humanum Genus; – Immortale Dei; – Vehementer Nos; – Quas primas; – Libertas; – Syllabus; – Quanta Cura; – All. Ci riesce; – Non Abbiamo Bisogno; – Chir. Ci si è domandato … ecc … ecc …
Sta di fatto che il 7 dicembre 1965, viene promulgato il documento “DIGNITATIS HUMANAE” [31], ovvero sul “diritto della persona umana e delle comunità alla libertà sociale e civile in materia di religione”, dichiarazione di “Paolo Vescovo e Servo di Dio, unitamente ai Padri del Sacro Concilio, a perpetua memoria”.
La “DIGNITATIS HUMANAE”, come si apprende dalle parole di Paolo VI [32], in Udienza generale del 12 gennaio 1966, è un insegnamento:
“dell’autorità del supremo magistero ordinario il quale magistero ordinario e cosí palesemente autentico deve essere accolto docilmente e sinceramente da tutti i fedeli”, la cui “eredità” “durerà per l’avvenire”. Sempre secondo Paolo VI la dottrina cattolica “non è messa in dubbio dal Concilio o sostanzialmente modificata; ché anzi il Concilio la conferma, la illustra, la difende e la sviluppa con autorevolissima apologia”, inoltre “dalla voce franca e solenne del Concilio sperimentano quale provvidenziale ufficio sia stato affidato da Cristo al magistero vivo della Chiesa per custodire, per difendere, per interpretare il deposito della fede” [33].
Questa opinione sarà condannata da molti uomini di Chiesa e teologi, ritenendo alcuni documenti, fra cui la stessa “DIGNITATIS HUMANAE”, “pericolosi per la fede e per la salvezza delle anime”. Alcuni si diranno “obbligati alla disobbedienza” sebbene “rimanendo in comunione”, altri invece riterranno che “questo magistero, essendo eretico, non può essere imputabile alla Chiesa di Cristo”, quindi dichiareranno la “vacanza della Sede Apostolica”. Nello stesso tempo ci sarà chi propenderà per una “ermeneutica della continuità” e chi dichiarerà in contro la “netta frattura” fra la “dottrina preconciliare e quella conciliare” (erm. della discontinuità).
Il 2 febbraio 1995, nella Lettera pastorale che mons. Mark A. Pivarunas [34] inviò ai fedeli, si fa il punto della situazione sulla dottrina “cattolica” così come viene percepita (nel 1995) dal mondo e nel mondo, a “30 anni di distanza dalla chiusura del Concilio Vaticano II”:
“il nuovo anno 1995 segna trent’anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II, e senza dubbio la confusione, divisione e perdita della fede entro la Chiesa Cattolica possono essere direttamente attribuite ad alcuni dei decreti e dichiarazioni di questo Concilio. Fra tali decreti, il più controverso durante il Concilio, e il più distruttivo della Fede Cattolica dopo il Concilio, fu il decreto “Dignitatis Humanae” sulla Libertà Religiosa, promulgato da Paolo VI il 7 dicembre 1965”.
Senza entrare nello specifico della posizione teologica sedevacantista di mons. Pivarunas, Superiore Generale della Congregazione di Maria Regina Immacolata o CMRI, e senza pregiudizi di sorta, direi che è opportuno piuttosto concentrarsi sulle precise considerazioni dottrinali [35], che già ritroviamo nel diritto divino e nel Magistero preconciliare. Leggiamo insieme (è in grassetto):
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La ragione per la quale questo decreto fu il più controverso e il più distruttivo - dice - è che esso insegna esplicitamente dottrine già condannate in precedenza dai Papi del passato. E questo era così lampante che molti Padri Conciliari conservatori si opposero ad esso fino alla fine; mentre anche i cardinali liberali, vescovi e teologi che promossero gli insegnamenti di “Dignitatis Humanae” dovettero confessare la loro incapacità di conciliare questo decreto con le passate condanne dei Papi. Esaminiamo gli errori dottrinali di questo decreto sulla Libertà Religiosa per vedere cosa causò tutta questa controversia durante il Concilio Vaticano II.
Al contorno della questione, consideriamo anzitutto gli importanti principi implicati in questa materia. Il primo principio da considerare è il termine “diritto.” Il diritto è definito come il potere morale residente in una persona – un potere che tutti gli altri sono tenuti a rispettare – di fare, possedere, o richiedere qualcosa. Il diritto si fonda sulla legge, poiché l’esistenza di un diritto in una persona implica un obbligo in tutti gli altri di non impedire o violare quel diritto. Orbene, è solo la legge che può imporre un tale obbligo – sia che sia la legge naturale (nella natura, data da Dio); o la legge positiva [espressa dagli uomini], entrambi le quali si fondano (come ogni vera legge) ultimamente sulla Eterna Legge di Dio. Quindi, la base ultima del diritto è l’Eterna Legge di Dio.
C’è molta gente oggi che fa clamore per i suoi “diritti”. Alcuni pretendono di avere il “diritto” di uccidere un bambino non ancor nato nel seno materno; alcuni il “diritto” di vendere pornografia; altri il “diritto” di vendere e promuovere l’uso di contraccettivi; altri ancora il “diritto” di suicidarsi assistiti da un medico. In questo senso, questi cosiddetti “diritti” non sono affatto dei veri diritti. Essi sono contro le leggi di Dio: “Non ammazzare”; “Non commettere adulterio”. L’uomo può avere la libera volontà di commettere peccato ma non ha il diritto – il potere morale di farlo. Questa è la ragione primaria per la quale la società si trova al presente in un tale triste stato. Questa è la ragione per cui l’immoralità è così rampante e la “fibra morale” della società così lacerata. L’uomo si è allontanato dalle leggi di Dio e segue ciecamente le sue brame e passioni.
Consideriamo ora le cose un passo più oltre. Se l’uomo non ha il “diritto” di abbandonare le leggi di Dio, non ha neppure il “diritto” di essere indifferente ai suoi doveri verso il Creatore. Come cattolici, sappiamo che Dio ha rivelato al genere umano una religione mediante la quale gli si deve dare il culto. Questa religione fu divinamente rivelata da N.S. Gesù Cristo, il Figlio di Dio, il Messia Promesso, il Redentore. Gesù Cristo compì le profezie concernenti il Messia Promesso, affermò di essere il Messia e il Figlio di Dio, e pubblicamente operò i più stupendi miracoli (specialmente la Sua Risurrezione) per provare la sua affermazione. Nessun’altra religione ha questa prova divina. Gesù Cristo stesso fondò una Chiesa che sappiamo dalla Sacra Scrittura, dalla Tradizione e dalla storia attuale, essere la Chiesa Cattolica. A questa Chiesa, Gesù Cristo diede la sua propria Divina Autorità “di insegnare a tutte le nazioni”:
“Come il Padre ha inviato Me, anch’io mando voi” (Giov. 20:21).
“Chi ascolta voi, ascolta Me” (Luca 10:16).
“Andate, perciò, e insegnate a tutte le nazioni… insegnando loro ad osservare tutto quello che vi ho comandato ed ecco, Io sono con voi tutti i giorni, fino alla consumazione del mondo” (Matt. 28:19-20).
“Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura… chi viene battezzato e crede sarà salvato e chi non crede sarà condannato” (Marco 16:16).
Papa Pio IX, nell’enciclica “Singulari Quadam” (9 dicembre 1854), espresse la necessità dell’uomo di avere la vera religione per guidarlo e la grazia celeste per rafforzarlo:
“Poiché è certo che la luce della ragione si è attenuata, e che il genere umano è caduto miserabilmente dal suo primigenio stato di giustizia ed innocenza a causa del peccato originale, che si trasmette a tutti i discendenti di Adamo, può qualcuno ancora pensare che la ragione da sola sia sufficiente per il conseguimento della verità? Se si deve evitare di scivolare e cadere in mezzo a tali grandi pericoli, e a fronte di tale debolezza, si può negare che la divina religione e la celeste grazia siano necessarie alla salvezza?”
Per ritornare al punto, si potrà dire allora che l’uomo abbia il “diritto” di prestare culto a Dio in qualunque maniera desideri? Si potrà dire che l’uomo abbia il “diritto” di liberamente promuovere falsi insegnamenti su questioni di religione nella società e di diffondere promiscuamente tutte le forme di dottrine erronee? Si potrà dire che l’uomo possieda il “diritto” – il potere morale – di insegnare e far proseliti delle dottrine dell’Ateismo, Agnosticismo, Panteismo, Buddismo, Induismo, e Protestantesimo? E cosa, allora, riguardo a coloro che praticano la Stregoneria o il Satanismo? Si consideri questo specialmente riguardo alle nazioni cattoliche dove la religione del Paese è il Cattolicesimo. I governi cattolici sarebbero forse obbligati a garantire il “diritto” nella legislazione civile di propagandare tutte le forme di religione? I governi cattolici sarebbero obbligati a permettere per diritto civile la diffusione di ogni tipo di dottrina tenuta dalle svariate religioni? Per rispondere a queste domande, rivediamo gli insegnamenti dei Papi, i Vicari di Cristo in terra.
Riguardo al termine “diritto,” Papa Leone XIII insegnò nell’enciclica “Libertas” (20 giugno 1888):
“Il diritto è una facoltà morale, e come abbiamo detto e non può essere abbastanza spesso ripetuto, sarebbe assurdo credere che appartenga naturalmente e senza distinzione alla verità ed alle menzogne, al bene ed al male.”
E per quanto si riferisce agli obblighi dei governi, Papa Pio XII insegnò nella allocuzione ai giuristi cattolici “Ci Riesce” (6 dicembre 1953):
“Si deve chiaramente affermare che nessuna autorità umana, nessuno Stato, nessuna Comunità di Stati, di qualsivoglia carattere religioso, può dare un mandato positivo o una autorizzazione positiva di insegnare o di fare ciò che è contrario alla verità religiosa o al bene morale… Qualsiasi cosa non risponda alla verità ed alla legge morale non ha oggettivamente alcun diritto ad esistere, né alla propaganda, né all’azione.”
Ancora una volta, per rispondere alle domande sopra dette sulla Libertà Religiosa, l’argomento reale è questo: l’errore e le false religioni non possono essere oggetto di un diritto naturale (Con “naturale” si intende presente in natura, dato da Dio!). Quando le società garantiscono promiscuamente il diritto alla libertà di tutte le religioni, il risultato naturale è l’indifferentismo religioso – la falsa nozione che una religione sia buona quanto un’altra.
Continuiamo il nostro studio degli insegnamenti Papali su questa materia.
Lettera al Vescovo di Troyes di Papa Pio VII (1814):
“Il nostro cuore è ancor più profondamente afflitto da una nuova causa di dolore che, lo ammettiamo, ci tormenta e fa sorgere profondo scoramento ed estrema angoscia: è l’articolo 22 della Costituzione. Non soltanto esso permette la libertà dei culti e di coscienza, per citare i termini precisi dell’articolo, ma promette sostegno e protezione a questa libertà e, inoltre, anche ai ministri dei quali i culti sono citati….
“Questa legge fa ben più che stabilire la libertà per tutti i culti senza distinzione: mescola la verità con l’errore e pone le sette eretiche e perfino il Giudaismo sullo stesso piano della santa ed immacolata Sposa di Cristo, fuori della quale non ci può essere salvezza. In aggiunta a questo, nel promettere favore e supporto alle sette eretiche ed ai loro ministri non sono semplicemente le loro persone, ma i loro errori che vengono favoriti e tollerati. Questa è implicitamente l’eresia disastrosa e sempre da deplorarsi che S. Agostino descrive in questi termini: ‘Pretende che tutti gli eretici siano sul retto cammino e dicano la verità. Questa è un’assurdità così mostruosa che non posso credere che qualsiasi setta possa realmente professarla.’”
“Mirari Vos” di Papa Gregorio XVI (15 agosto 1832):
“Veniamo ora ad un’altra causa, ahimé! fin troppo fruttuosa delle deplorevoli infermità che oggi affliggono la Chiesa. Intendiamo l’indifferentismo, ovvero quella diffusa e pericolosa opinione seminata dalla perfidia dei malvagi, secondo la quale è possible, mediante la professione di qualche sorta di fede, procurare la salvezza dell’anima, posto che la morale di una persona si conformi alle norme of giustizia e probità. Da questa sorgente avvelenata dell’indifferentismo sgorga quella falsa e assurda massima, meglio definita il folle delirio (deliramentum), secondo il quale si deve ottenere la libertà di coscienza e garantirla a chiunque. Questo è il più contagioso degli errori, che prepara la via per quella assoluta e totalmente sfrenata libertà di opinioni che, per la rovina della Chiesa e dello Stato, si diffonde ovunque e che certuni, per eccesso di impudenza, non temono di propugnare come vantaggiosa per la religione. Ah, ‘qual morte più disastrosa per le anime della libertà di errore?’, disse S. Agostino.”
“Quanta Cura” di Papa Pio IX (8 dicembre 1864):
“Contrarie agli insegnamenti delle Sacre Scritture, della Chiesa, e dei santi Padri, queste persone non esitano ad asserire che ‘la miglior condizione dell’umana società è quella in cui il governo non riconosce alcun diritto di correggere, mediante l’attuazione di sanzioni, i violatori della religione cattolica, eccetto quando sia richiesto dal mantenimento della pubblica quiete’. Da questa totalmente falsa nozione di governo sociale, non temono di sostenere quell’erronea opinione sommamente perniciosa per la Chiesa Cattolica, e per la salvezza delle anime, che venne chiamata dal Nostro Predecessore, Gregorio XVI (prima citato) folle delirio (deliramentum): vale a dire ‘che la libertà di coscienza e di culto è diritto peculiare (o inalienabile) di ogni uomo che deve essere proclamato per legge, e che i cittadini hanno diritto a tutti i generi di libertà, senza alcuna restrizione di legge, sia ecclesiastica sia civile, che permettano loro di manifestare apertamente e pubblicamente le loro idee, con la parola, attraverso la stampa, o con qualsiasi altro mezzo.’”
Le seguenti proposizioni furono condannate da Papa Pio IX nel “Sillabo degli Errori” (8 dicembre 1864):
“15. Ogni uomo è libero di abbracciare e professare quella religione che, guidato dalla luce della ragione, egli consideri vera.”
“55. La Chiesa dev’essere separata dallo Stato, e lo Stato dalla Chiesa.”
“77. Al giorno d’oggi, non è più opportuno che la religione cattolica sia tenuta come unica religione dello Stato, ad esclusione di tutte le altre forme di culto.”
“79. Inoltre è falso che le libertà civili di ogni forma di culto e il pieno diritto, dato a tutti, di apertamente e pubblicamente manifestare qualsivoglia opinioni e pensieri, conduca più facilmente a corrompere i costumi e le menti del popolo e a propagare la peste dell’indifferentismo.”
“Libertas” di Papa Leone XIII (20 giugno 1888):
“… La società civile deve riconoscere Dio come suo Padre Fondatore, e deve obbedire e riverire il Suo potere ed autorità. La giustizia perciò proibisce e la ragione stessa proibisce allo Stato di essere senza Dio; o di adottare una linea di azione che termini nell’assenza di Dio – vale a dire, di trattare allo stesso modo le varie religioni (come le chiamano), e di attribuire loro promiscuamente eguali diritti e privilegi.”
Da questi insegnamenti papali, è ovvio che i governi cattolici sarebbero obbligati a legiferare contro il promiscuo “diritto” di tutte le religioni di spargere i loro errori in una società cattolica. L’unica eccezione sarebbe la tolleranza di queste religioni in quelle zone dove esse fossero già stabilite in precedenza, e tale tolleranza sarebbe ammessa in vista di un bene maggiore. Questo è l’insegnamento di Papa Leone XIII in “Libertas”:
“Mentre non concede alcun diritto a cosa alcuna, salvo a quanto sia vero e onesto, essa (la Chiesa Cattolica) non proibisce alla pubblica autorità di tollerare ciò che differisce da verità e giustizia, per evitare qualche male maggiore, o di ottenere o preservare qualche bene maggiore.”
Questi insegnamenti papali si riflettono magnificamente nel Concordato tra la Santa Sede e la Spagna. Il Concordato del 1953 mantiene il contenuto della Costituzione spagnola del 13 luglio 1945, che stabilisce. Articolo 6 della Costituzione spagnola:
“1) La professione e la pratica della religione cattolica, che è quella dello Stato Spagnolo, godranno della protezione ufficiale.
“2) Nessuno potrà venir disturbato per le sue convinzioni religiose o per il privato esercizio della sua religione. Non vi è autorizzazione per cerimonie pubbliche o manifestazioni che non siano quelle della religione cattolica.”
Dopo aver rivisto i coerenti insegnamenti del Papa e l’esempio pratico del Concordato tra la Spagna e il Vaticano in questa materia – sostiene mons. Pivarunas – consideriamo il Decreto sulla Libertà Religiosa del Concilio Vaticano II “DIGNITATIS HUMANAE”:
“Ci sono due distinti aspetti della libertà religiosa che sono assai sottilmente intrecciati, che potrebbero indurre a considerare la libertà religiosa insegnata nel decreto come apparentemente coerente con i passati insegnamenti della Chiesa Cattolica. Questi due distinti aspetti sono la libertà dell’uomo dalla coercizione e la libertà dell’uomo di manifestare pubblicamente la propria religione”.
All’inizio del decreto, viene enfatizzato il primo aspetto:
“Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa. Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata. Inoltre dichiara che il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana quale l’hanno fatta conoscere la parola di Dio rivelata e la stessa ragione. Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell’ordinamento giuridico della società”.
Questo primo aspetto è in accordo con quello che la Chiesa Cattolica ha sempre sostenuto – che nessuno può essere forzato ad accettare la vera religione. Papa Leone XIII nella “Immortale Dei” (1° novembre 1885) insegnò:
“La Chiesa è tenuta a prendere la più grande cura che nessuno sia forzato ad abbracciare la Fede Cattolica contro la sua volontà, perchè, come saggiamente ci ricorda S. Agostino, ’L’uomo non può credere altrimenti che con la propria libera volontà.’”
Fino a questo punto “DIGNITATIS HUMANAE” non presenta problemi. Tuttavia, da questo primo aspetto della libertà dell’uomo dalla coercizione, viene la falsa nozione che l’uomo abbia il diritto della libertà religiosa di pubblicamente promuovere e diffondere le proprie convinzioni religiose, anche se non vive conformemente all’obbligo di cercare la verità e di aderire ad essa:
“Il diritto alla libertà religiosa non si fonda quindi su una disposizione soggettiva della persona, ma sulla sua stessa natura. Per cui il diritto ad una tale immunità perdura anche in coloro che non soddisfano l’obbligo di cercare la verità e di aderire ad essa, e il suo esercizio”.
Le comunità religiose hanno anche il diritto di non essere ostacolate nel pubblico insegnamento e testimonianza della loro fede, sia con la parola che con gli scritti. [“La libertà religiosa che compete alle singole persone, compete ovviamente ad esse anche quando agiscono in forma comunitaria. A tali gruppi, pertanto, posto che le giuste esigenze dell'ordine pubblico non siano violate, deve essere riconosciuto il diritto di essere immuni da ogni misura coercitiva nel reggersi secondo norme proprie, nel prestare alla suprema divinità il culto pubblico, nell'aiutare i propri membri ad esercitare la vita religiosa, nel sostenerli con il proprio insegnamento e nel promuovere quelle istituzioni nelle quali i loro membri cooperino gli uni con gli altri ad informare la vita secondo i principi della propria religione”] [“I gruppi religiosi hanno anche il diritto di non essere impediti di insegnare e di testimoniare pubblicamente la propria fede, a voce e per scritto”].
In aggiunta, fa parte del significato di libertà religiosa il fatto che non si debba proibire alle comunità religiose di liberamente intraprendere la presentazione dello speciale valore della loro dottrina circa quanto concerne l’organizzazione della società e l’ispirazione dell’intera attività umana [“Inoltre la libertà religiosa comporta pure che i gruppi religiosi non siano impediti di manifestare liberamente la virtù singolare della propria dottrina nell'ordinare la società e nel vivificare ogni umana attività”].
“Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell’ordinamento giuridico della società” [“È manifesto che oggi gli esseri umani aspirano di poter professare liberamente la religione sia in forma privata che pubblica; anzi la libertà religiosa nella maggior parte delle costituzioni è già dichiarata diritto civile ed è solennemente proclamata in documenti internazionali”]
Notiamo bene che “DIGNITATIS HUMANAE” afferma esplicitamente:
1) Il diritto alla libertà religiosa ha il suo fondamento, non nella disposizione soggettiva della persona, ma nella sua propria natura [“Il diritto alla libertà religiosa non si fonda quindi su una disposizione soggettiva della persona, ma sulla sua stessa natura”]. In altre parole, questo decreto insegna che questo diritto è un diritto naturale, dato da Dio.
2) “Di conseguenza, il diritto ad una tale immunità perdura anche in coloro che non soddisfano l’obbligo di cercare la verità e di aderire ad essa, e il suo esercizio …” Conseguentemente “DIGNITATIS HUMANAE” insegna che coloro che sono in errore hanno ancora il diritto di promuovere pubblicamente il loro errore.
3) “Le comunità religiose hanno anche il diritto di non essere ostacolate nel loro pubblico insegnamento e testimonianza della loro fede, sia con la parola che con gli scritti… va riconosciuto nella legge costituzionale con la quale si governa la società; perciò deve diventare un diritto civile.” Inoltre, “DIGNITATIS HUMANAE” insegna che questo diritto di promuovere le loro false credenze deve essere riconosciuto dai governi nella legislazione civile.
Forse tutto questo sembra essere solo un certo numero di tecnicismi teologici. Ma per vedere le conseguenze di questo decreto sulla Libertà Religiosa, consideriamo i suoi effetti in Spagna. Poco dopo la chiusura del Concilio Vaticano II, ne sorse infatti la necessità di aggiornare il Concordato tra la Spagna e il Vaticano. Quanto segue è un estratto del nuovo preambolo aggiunto al Concordato:
“La legge fondamentale del 17 maggio 1958, in virtù della quale la legislazione spagnola deve ispirarsi alla dottrina della Chiesa Cattolica, forma la base della presente legge. Ora, come noto, il Concilio Vaticano II ha approvato la Dichiarazione sulla Libertà Religiosa il 7 dicembre 1965, stabilendo nell’Articolo 2: ’Il diritto alla libertà religiosa ha il suo fondamento nella propria dignità della persona umana, poiché questa dignità è conosciuta attraverso la parola rivelata di Dio, e mediante la stessa ragione. Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa dev’essere riconosciuto nella legge costituzionale con la quale si governa la società. Pertanto deve diventare un diritto civile.’ Dopo questa dichiarazione del Concilio, sorse la necessità di modificare l’Articolo 6 della Costituzione Spagnola in virtù del sopra menzionato principio dello Stato Spagnolo. Questa è la ragione per la quale la legge organica dello Stato in data 10 gennaio 1967 ha modificato il predetto Articolo 6 come segue: ’La professione e la pratica della religione cattolica, che è quella dello Stato Spagnolo, gode di protezione ufficiale. Lo Stato garantisce la protezione della Libertà Religiosa, che sarà garantita mediante un efficace provvedimento giuridico che salvaguarderà la morale e l’ordine pubblico.’”
Quale fu il risultato di questo cambiamento nel Concordato? Dalla data del cambiamento, qualunque setta religiosa fu libera di far proseliti nella cattolica Spagna. E cosa ne seguì? Con la circolazione di tutti i tipi di opinioni e credenze la Spagna giunse in pratica a legalizzare la pornografia, i contraccettivi, il divorzio, la sodomia, e l’aborto.
Questo esempio non è affatto limitato alla sola Spagna. Altre nazioni cattoliche con Costituzioni e Concordati che una volta proibivano il proselitismo delle sette religiose dovettero cambiare le loro leggi per garantire libertà religiosa a tutte le religioni. In Brasile, la Conferenza Nazionale dei Vescovi Brasiliani riconosce che ogni anno circa 600.000 cattolici abbandonano la Chiesa per seguire le false religioni. E perchè? La risposta si trova nell’enciclica Mirari Vos di Papa Gregorio XVI:
“Questo è il più contagioso degli errori, che prepara la via per quella assoluta e totalmente illimitata libertà di opinioni che, per la rovina della Chiesa e dello Stato, si diffonde ovunque e che certuni, per eccesso di impudenza, non temono di propugnare come vantaggiosa per la religione. Ah, ‘Qual morte delle anime più disastrosa della libertà di errore’, disse S. Agostino. Nel vedere quindi la rimozione dagli uomini di ogni freno capace di mantenerli sui cammini della verità, portati come già sono alla rovina per naturale inclinazione al male, Noi affermiamo invero che si è aperto il pozzo dell’inferno del quale S. Giovanni descrisse un fumo che oscurava il sole e dal quale emergevano locuste a devastare la terra. Questa è la causa della mancanza di stabilità intellettuale; questa è la causa della corruzione continuamente crescente della gioventù; questo è ciò che causa nel popolo il disprezzo dei sacri diritti, delle leggi e degli oggetti più santi. Questa è la causa, in una parola, del più mortale flagello che possa rovinare gli Stati; poiché l’esperienza prova, e la più remota antichità ci insegna, che per effettuare la distruzione del più ricco, del più potente, del più glorioso, e del più fiorente degli Stati, null’altro è necessario oltre quella illimitata libertà di opinione, quella libertà di pubblica espressione, quella infatuazione della novità.”
Fonte clicca qui
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In “DIGNITATIS HUMANAE” al n° 9 si legge: «Quanto questo Concilio Vaticano [secondo] dichiara sul diritto degli esseri umani alla libertà religiosa ha il suo fondamento nella dignità della persona, le cui esigenze la ragione umana venne conoscendo sempre più chiaramente attraverso l’esperienza dei secoli. Anzi, una tale dottrina sulla libertà affonda le sue radici nella Rivelazione divina, per cui tanto più va rispettata con sacro impegno dai cristiani».
Ci si può rendere conto [36], anche solo leggendo, che il Concilio Vaticano II e Paolo VI invocano universalmente la Rivelazione e, come dice Leone XIII in Satis Cognitum:
«Per questo i padri del concilio Vaticano (Primo) nulla hanno decretato di nuovo, ma solo ebbero in vista l’istituzione divina, l’antica e costante dottrina della Chiesa e la stessa natura della Fede, quando decretarono: “Per Fede divina e cattolica si deve credere tutto ciò che si contiene nella parola di Dio scritta o tramandata, e viene proposto dalla Chiesa o con solenne definizione o con ordinario e universale magistero come verità da Dio rivelata”».
Preghiamo Dio affinché mitighi i suoi castighi contro le nostre società secolarizzate e blasfeme, nel contempo operi sulla Chiesa affinché finalmente sia fatta chiarezza.
“1 Ora vi preghiamo, fratelli, riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e alla nostra riunione con lui, 2 di non lasciarvi così facilmente confondere e turbare, né da pretese ispirazioni, né da parole, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia imminente. 3 Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti dovrà avvenire l’apostasia e dovrà esser rivelato l’uomo iniquo, il figlio della perdizione, 4 colui che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio” (2Tessaalonicesi, 2).
“Bisogna prima che accada l’apostasia, che si riveli l’iniquo, il perduto (o votato alla perdizione), l’avversario, e altezzoso spregiatore di Dio e del Tempio (Dan. 11, 36 ss.), fino ad insediarsi nel Tempio di Dio e proclamarsi Dio (Ez. 28, 2) = Mt. 24, 15; Mc. 13, 14”. Secondo mons. Spadafora [37] “Chi nega Gesù e si oppone alla sua Chiesa, questi è l’anticristo; si tratti di individui o di collettività (Stato); tutti gli eretici e tutti i persecutori del passato, del presente e del futuro sono anticristi (= S. Giovanni nelle lettere e nell’Apocalisse). S. Mt. e II Thess. si riferiscono al nemico più feroce della Chiesa primitiva: il giudaismo; ne predicono le persecuzioni, l’effimero trionfo, il tremendo castigo.”
Note:
[2] Ottaviani, un difensore della Chiesa, Rai Vaticano, A. Cannarozzo, 2011
[3] AAS 51 (1959), p. 832
[10] Edizioni Lindau, , Torino, novembre 2010, pagine 650
[14a] “legare” e “sciogliere” hanno un significato molto preciso nel linguaggio biblico. In materia dottrinale, legare e sciogliere significano proibire e permettere. Dunque il Papa ha il potere di proibire o permettere, cioè di dichiarare, sancire lecita o illecita una dottrina di fede. Nel campo giuridico e disciplinare, legare e sciogliere significano condannare o assolvere. Quindi, il Papa ha il potere, datogli da Gesù Cristo, di sancire, di confermare come lecito o illecito un comportamento, di dichiararlo morale o immorale. E questo potere – lo ricordiamo – viene riconosciuto anche in Cielo, cioè da Dio stesso in persona: “Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli“, dice chiarissimamente il Vangelo di san Matteo al capitolo XVI. [Diz. Apologetica cattolica, OnLine, V. Primato Pietro]
[15] Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, Roberto de Mattei, Edizioni Lindau, , Torino, novembre 2010, p. 459
[16] Ivi, pp.499 – 460
[17] Ivi., pp. 460 e 461
[18] Ivi., p. 462
[19] Ibid.
[21] http://disputationes-theologicae.blogspot.it/2011/06/liberta-religiosa-la-chiara-posizione.html
[22] Ibid.
[27] Alloc. Nemo vestrum, 26 luglio 1855
[28] Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852
[32] http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/audiences/1966/documents/hf_p-vi_aud_19660112_it.html
[33] Montini cita sconvenientemente la Humani generis di Papa Pio XII, A.A.S., 1960, p. 567
[37] Dizionario Biblico, F. Spadafora, Studium 1963, v. Anticristo
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