di Luca Fumagalli (Fonte: http://www.radiospada.org/ )
Nel 1845 avvenne la celebre conversione al cattolicesimo di John Henry Newman. Nonostante avesse conosciuto personalmente Wiseman in occasione del suo viaggio in Italia nel 1833, fu solo a quarant’anni, dopo aver militato lungamente nel “Movimento di Oxford”, che l’adesione alla Chiesa di Roma divenne per lui ineludibile. Nessuno dei suoi sodali durante il periodo universitario avrebbe fatto atto di sottomissione: Froude morì nel 1836, mentre Keble e Pusey sopravvissero per raccogliere le scarse forze trattatiste rimanenti.
Se i dubbi iniziarono nel 1841, solo due anni dopo Newman ritrattò quanto aveva dichiarato di insultante contro il Papa e si ritirò con pochi intimi a Littlemore, presso Oxford. Dopo altri due anni di meditata e sofferta decisione, venne accolto nella Chiesa il 9 ottobre 1845 da padre Domenico Barbieri, un passionista italiano.
Newman univa il dominio di una mente di larghe vedute e di estrema sensibilità al distacco dei più volgari contatti. Una costante e radicale timidezza, che però non disdegnava un profondo affetto nei confronti degli amici, andava unita in lui a una singolare integrità e indipendenza di mente. Ispirava naturalmente un amore unico e reverente, ma si dimostrava piuttosto rigido con chi non condivideva la sua impostazione mentale, apparendo in molte occasioni poco ricettivo (cosa, del resto, che gli attirò non poche antipatie tra i laici e gli ecclesiastici inglesi). Fu però un teologo brillante, un instancabile apologeta e un romanziere occasionale ma di gran pregio.
Anche il più prossimo gruppo di Littlemore seguì Newman nella conversione, così come diversi amici appartenenti alla cerchia meno intima. Fra questi si ricordano Frederick Oakeley, che condusse una vita da studioso, e William George Ward, collega di Oakeley al Balliol. Ward, di carattere completamente opposto a Newman, alternava periodi di severa concentrazione teologica a una rumorosità gioviale e poco universitaria. Con il suo tipico gusto beffardo e provocatore diede alla luce un’opera teologica che gli affrancò l’accusa di favoreggiatore dei cattolici e la conseguente espulsione dal Balliol. Era pastore anglicano, ma dopo la conversione al cattolicesimo nel 1845 si sposò e più avanti divenne anche piuttosto ricco e famoso. L’intensa preoccupazione di laico per la teologia era caratteristica di un atteggiamento dell’epoca e la sua prosa era limpida e tagliente. Fu insegnante al St. Edmund’s College dal 1851 al 1858 e, fra il 1863 e il 1878, diresse il “Dublin Review”, divenendo uno dei capi del movimento ultramontano, in aspra polemica con i cattolici liberali, con Newman e con gli avversari del Sillabo (1864). La sua amicizia con Alfred Tennyson, poeta laureato, testimonia inoltre uno dei più notevoli contatti tra il cattolicesimo intransigente inglese e il mondo esterno.
Per ultimo merita di essere citato Frederick Wialliam Faber, ugonotto di stirpe, poeta e asceta. Al tempo della sottomissione di Newman alla Chiesa cattolica era rettore di Elton, nello Huntingdonshire, e decise di seguirlo. Il suo monumento è nell’oratorio di Londra di cui sarebbe stato il superiore per quattordici anni. É possibile comprenderne indole soprattutto attraverso i testi di pietà che fecero di lui uno scrittore spirituale fecondo e destinato al successo. Scrisse inoltre moltissimi inni sacri talmente famosi che ancora oggi sono utilizzati persino da alcune congregazioni protestanti: la voce della preghiera levata al cielo caratterizzò i suoi fedeli differenziandoli dal silenzioso e antiquato gruppo dei vecchi cattolici. All’ampia diffusione delle sue opere sul continente contribuì poi uno stile particolarmente convincente nelle traduzioni.
Newman, dopo la sua partenza da Littlemore, fu ad Oscott, dove rinnovò la passeggera conoscenza di Wiseman (i loro rapporti furono sostanzialmente amichevoli ma non sempre facili). Raggiunse poi Roma nel 1846.
Ciò che più distanziava Newman da Wiseman era la conversione dell’Inghilterra vista da quest’ultimo in un’ampia, troppo ottimistica prospettiva. L’immediato problema del ripristino della gerarchia, i particolari materiali e amministrativi e la preoccupazione di valorizzare il punto di vista dei cattolici, erano tutti aspetti che assorbivano la vivace attenzione del vescovo. Il pensiero di Newman era invece concentrato quasi completamente sul solitario procedimento teologico e sulle avventure della mente alla ricerca di Dio. A Roma la stessa divergenza era evidente nei suoi rapporti con la comunità anglo-cattolica.
Egli divenne oratoriano e al suo ritorno a Birmingham, nel 1848, fondò l’oratorio dove trascorse il resto della vita, eccetto un soggiorno in Irlanda tra il 1854 e il 1858 in qualità di rettore presso l’Università cattolica di Dublino. L’opera pastorale del suo oratorio fu davvero determinante per la nuova primavera cattolica in Inghilterra, in particolare nella seconda metà del XIX secolo. Grazie al suo impegno e a quello dei confratelli, divenne presto un luogo di opere pie e di accoglienza per i nuovi convertiti dall’anglicanesimo come, qualche anno più tardi, la madre del futuro scrittore John Ronald Reuel Tolkien, che a Birmingham ricevette la prima educazione.
Newman nutrì un’istintiva e alquanto insulare diffidenza per il pensiero ultramontano. Molte differenze di metodo tendevano a restringere la simpatia fra Newman e Wiseman e questa attenuata amicizia ebbe a mutarsi sotto il crescente influsso di Manning, con il quale i rapporti furono prima poco cordiali e poi freddi. Ma Newman possedeva quello che soprattutto importava: l’incoraggiamento e l’appoggio del proprio diocesano, Ullathorne.
Nel 1852 iniziarono per Newman le prime serie difficoltà. Quell’anno fu trascinato in tribunale con l’accusa di calunnia da Giacinto Achilli, un ex frate domenicano allontanato dalla Chiesa per abusi sessuali e ora convertito al protestantesimo. Reiterando gli attacchi di Wiseman, Newman aveva pubblicamente raccontato l’indole e le astuzie dell’italiano che riuscì però a vincere il processo e costrinse il futuro cardinale a pagare una multa salatissima, estinta solo grazie a una sottoscrizione di massa fra i cattolici.
A questo primo inciampo si assommarono il fallimento dell’apertura di un collegio a Oxford, il prematuro rettorato a Dublino e la controversia con Charles Kingsley, che condusse, nel 1864, alla pubblicazione dell’Apologia pro vita sua, una delle opere più famose e lette di Newman. Charles Kingsley lo aveva infatti accusato di essere stato segretamente cattolico almeno a partire dal 1840 e di non aver denunciato la nuova posizione per non perdere gli incarichi a Oxford e nella chiesa anglicana. Newman rispose con un testo che abbracciava una prospettiva più ampia, strutturandosi come una difesa della propria vita e del personale cammino spirituale. Questo libro, pietra angolare dei suoi scritti, luminosamente sincero e caratterizzato da una straordinaria e profonda limpidezza d’espressione, gli conquistò un grande rispetto nel mondo culturale inglese.
Nel 1877 Newman fu eletto membro onorario del Trinity, segno di pace con Oxford e, nel 1879, fu creato cardinale da Papa Leone XIII su istanza di Ullathorne. Continuò comunque a vivere all’oratorio di Birmingham e lì morì nel 1890. Rappresentò, almeno in epoca moderna, la più grande influenza da parte inglese sul pensiero cattolico.
Un influsso completamente diverso dallo stile teologico oxfordiano di Newman, fu esercitato dalla straordinaria figura di Henry Edward Manning, il prototipo dell’ecclesiastico d’azione. L’arcidiacono di Chichester aveva fatto atto di sottomissione a Roma nel 1851, come conseguenza della sentenza Gorham, che poneva in evidenza non solo il carattere latitudinario della chiesa inglese, ma anche e soprattutto la sua soggiacenza al potere statale.
Nel mese di marzo del 1850 si concluse infatti quello che giornalisticamente fu bollato come il “Caso Gorham” che scatenò una tempesta nella chiesa anglicana e favorì indirettamente il cattolicesimo inglese con la conversione di un gruppo scelto di chierici e laici anglicani. Vicario di Brampford Speke, George Cornelius Gorham era stato destituito dal suo ordinario anglicano, il vescovo di Exter, Henry Phillpotts, per aver negato la dottrina della rigenerazione battesimale. Il chierico deposto aveva fatto ricorso al Privy Council che finì per dettare sentenza a suo favore, annullando conseguentemente il provvedimento vescovile. Lo scandalo che ne venne fu notevole: non solo lo stato interveniva nell’ambito ecclesiastico – prassi del resto diffusa e che già vent’anni prima aveva causato la nascita del “Movimento di Oxford” – ma addirittura si arrogava il diritto di definire, seppur indirettamente, questioni di natura dottrinale. Per molti anglicani si trattava di un abuso senza precedenti e lo stesso Newman colse l’occasione per polemizzare nuovamente contro le ridicole prassi in cui necessariamente cadeva il protestantesimo insulare.
L’arcidiacono Manning si era segnalato presto per la forza di volontà, la schietta pietà e la mentalità singolarmente positiva. Da giovane era un atleta, interessato nella politica, ecclesiastica e laica, e già notevolmente capace. Sebbene molti altri sarebbero venuti dopo di lui, nessuno così intimo entro la chiesa ufficiale vittoriana era mai diventato prima di allora cattolico. Le sue grandi capacità colpirono immediatamente non solo Wiseman che, come già ricordato, lo fece suo consigliere personale, ma anche Pio IX che, alla morte dell’arcivescovo di Westminister, lo scelse personalmente per succedergli. Innalzato al cardinalato nel 1875, governò la principale diocesi inglese dal 1865 fino al 1892.
Dal punto di vista dottrinale il suo operato all’interno della Chiesa cattolica si contraddistinse immediatamente per una propensione allo spirito ultramontano. Fu uno dei più strenui sostenitori dell’infallibilità pontificia e si batté in questo senso, con straordinaria passione, durante il Concilio Vaticano I, come dimostra l’incipit del suo breve intervento del 25 maggio 1870: «L’infallibilità del Romano Pontefice non è un’opinione libera tra i cattolici, liberamente ventilata o liberamente da ventilarsi. Siamo già tutti tenuti a crederla. Non è un’opinione ma una dottrina, perché è già contenuta nella Rivelazione di Dio». Per le sue posizioni teologiche intransigenti e per la naturale predisposizione a seguire con poca simpatia i problemi intellettuali altrui, si trovò raramente concorde con le opinioni di Newman.
La stessa determinazione che impiegava nella difesa dell’ortodossia dottrinale alimentava anche la sua azione pastorale che si caratterizzò per l’ottimo rapporto di collaborazione che ebbe con il clero diocesano e per la costante attenzione ai problemi scolastici e lavorativi dei cattolici inglesi. Come prima cosa egli teneva sempre presente l’educazione. A questo proposito il suo impegno nella fondazione di nuove scuole cattoliche fu straordinario e iniziò ad intavolare trattative con Londra per il loro riconoscimento. In questo contesto era aiutato da una profonda simpatia per i poveri e dalla comprensione dei loro urgenti bisogni, spirituali e materiali. Allo stesso modo si dimostrò un grande amico dell’Irlanda e, oltre a collaborare efficacemente con la gerarchia locale, difese a spada tratta i diritti degli immigrati in territorio inglese.
La prova più forte della fiducia che le persone nutrivano in lui si ebbe in occasione dello sciopero al porto di Londra nel 1889: duecentomila operai protestavano a motivo dei salari troppo bassi e si decisero a interloquire unicamente con il cardinale. Manning, dopo aver parlato alla folla, venne nominato rappresentante degli scioperanti per condurre le trattative con il governo.
Fu sostanzialmente un ecclesiastico “politico” nel senso etimologico e positivo del termine, rappresentando tutti quei sacerdoti che con la loro battaglia quotidiana contro lo sfruttamento e la povertà cronica generata dal sistema liberal-capitalistico, anticiparono nella prassi le direttive espresse nel 1891 nell’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII, il più importante documento pontificio dedicato alla questione sociale.
Il sacerdozio eterno (The eternal pristehood), l’opera letteraria della sua vecchiaia, rispecchia invece l’aspetto più personale e privato dell’esperienza sacerdotale. Oltre a seguire una linea di costante mortificazione di ogni appetito, la sua mente era tutta proiettata nell’imitazione di Cristo e dei moltissimi santi che, attraverso la loro vita e le loro opere, avevano reso grande il cattolicesimo nei secoli.
Manning realizzò l’ideale popolare di un grande uomo di Chiesa, unendo una conoscenza in grado di valutare le essenziali istituzioni inglesi, come la Corona, con la consapevolezza della necessità di grandi riforme sociali. La sua morte nel 1892 segnò la fine di un governo della Chiesa cattolica in Inghilterra singolarmente felice, deciso e progressivamente più tranquillo. Non vi è dunque alcun dubbio che nello sviluppo del cattolicesimo britannico il cardinale Newman e il cardinale Manning furono due figure determinanti e complementari.
Un parallelo approssimativo può essere istituito allo stesso modo fra i discepoli convertiti da Newman e quelli convertiti da Menning. Una conseguenza del predominio politico di quest’ultimo fu che il centro principale del movimento verso il cattolicesimo si spostò lentamente dagli ambienti colti ed intellettuali di Oxford verso l’atmosfera della società londinese, culturalmente meno pretenziosa. I membri del clero colto del periodo Oakeley-Faber, vennero sostituiti nelle conversioni da uomini del più giovane e serio elemento professionale e da aristocratici illustri.
Dopo una pausa tra gli anni 1855 e il 1868, il corso delle conversioni ebbe di nuovo inizio. Il periodo di punta di questo secondo movimento durò dal 1869 al 1874, ma un certo afflusso continuò per tutto il secolo. I convertiti di questi anni erano generalmente uomini pratici, persone di mondo e si contavano un certo numero di figure di pubblica notorietà come Lord Ripon, ministro del gabinetto liberale e, in seguito, viceré in India. Del resto non mancarono anche diversi membri della chiesa anglicana che abbandonavano il protestantesimo per Roma.
Molti dei principali convertiti si erano assimilati al più antico gruppo cattolico, preferendo la più fredda e controllata maniera di pietà, il rigetto della pretesa intellettuale e la schietta vita di società. Il Concilio Vaticano I mise poi in luce, tra i laici, l’esistenza della stessa differente posizione teologica presente nel clero: così come il “Movimento di Oxford” si oppose frontalmente al dogma dell’infallibilità pontificia, generalmente legato a una ripugnanza liberale per il Sillabo di Pio IX, allo stesso modo molti convertiti come lo scrittore Richard Simpson, direttore del periodico cattolico “The Rambler”, dimostrarono di possedere al riguardo la medesima sensibilità.
Comunque, al di là di queste differenziazioni, nel giro di un secolo il numero dei cattolici in Inghilterra era andato crescendo e la loro posizione si era ormai consolidata. Una rete di scuole elementari cattoliche si era estesa per le città inglesi ed erano ormai parte integrante del sistema d’istruzione del paese. La spontanea, libera generosità dei poveri aveva edificato poi le chiese che erano state finanziate, mattone su mattone, con i piccoli salari dei fedeli; questo fatto spiega l’intenso attaccamento all’unità parrocchiale che costituiva il perno della vita della comunità. I vecchi preti dal forte ascendente della bella tradizione irlandese ricevevano la riverenza e l’affetto di un popolo che voleva sentirsi nelle mani di capi forti e sicuri. Dopo anni di tenebra e dolore finalmente la resurrezione cattolica era compiuta.