Fonte:http://vivereveneto.com/
da un articolo di Mao Valpiana su L'Huffington Post del 4/11/2015
Dopo oltre un secolo, cresce in Italia il movimento per cancellare il nome del Generale assassino e ridare dignità alle sue vittime, giovani ignari che cercavano solo di salvare la pelle.
La figura del generale Luigi Cadorna è, da sempre, molto discussa. Comandante supremo dell’esercito italiano fino alla disfatta di Caporetto, fin da subito si distinse per la scarsa o nulla considerazione della vita dei poveri soldati che mandava all’assalto senza nessuna protezione (e speranza) o per quelli che decimava senza alcuna pietà.
“Cadornismo” fu il termine utilizzato da Antonio Gramsci proprio per definire quella lucida follia, quel trattare gli essere umani come “carne da macello”.Già nella Circolare del 28 settembre del 1915 avente come oggetto “Disciplina di guerra”, il generale scriveva:
“Nessuno deve ignorare che in faccia al nemico una sola via è aperta a tutti: la via dell’onore, quella che porta alla vittoria od alla morte sulle linee avversarie; ognuno deve sapere che chi tenti ignominiosamente di arrendersi o di retrocedere, sarà raggiunto – prima che si infami – dalla giustizia sommaria del piombo delle linee retrostanti o da quello dei carabinieri incaricati di vigilare alle spalle delle truppe, sempre quando non sia stato freddato prima da quello dell’ufficiale”.
Un anno dopo, in un telegramma inviato a tutti i reparti militari sul fronte, il 1 novembre 2016 Cadorna intimava:
“Ricordo che non vi è altro mezzo idoneo per reprimere i reati collettivi che quello della immediata fucilazione dei maggiori colpevoli, e allorché l’accertamento dell’identità personale dei responsabili non è possibile, rimane ai comandanti il diritto e il dovere di estrarre a sorte tra gli indiziati alcuni militari e punirli con la pena di morte”.
Nel centenario del drammatico triennio ’15-’18, sembra diradarsi la retorica patriottarda che ha sempre caratterizzato il dibattito sulla prima guerra mondiale: già nel 2009 Ferdinando Camon scrisse in un significativo articolo “Aver dato il nome di Cadorna è stato, ieri, un errore. Mantenerlo ancora diventa, ormai, una colpa” e chiedeva che ad Udine fosse cambiato il nome alla via Cadorna; il sindaco ha accolto la proposta dell’intellettuale veneto modificando il nome in Piazza dell’Unità d’Italia. Anche a Verona è sorto un comitato di cittadini che chiede al Sindaco Flavio Tosi di cancellare il nome di Cadorna dal piazzale che introduce al quartiere di Borgo Trento (via 4 novembre, piazza Vittorio Veneto, via Diaz, ponte della Vittoria, ecc.); la richiesta è quella di trasformare il nome da “piazzale Cadorna” a “piazzale Disertori della prima guerra mondiale”.
E non è solo un provocazione. Il comitato si basa su precise fonti storiche, per dimostrare che il fenomeno della “diserzione” era in realtà un vero e proprio fenomeno di massa, una modalità popolare per opporsi alla carneficina e alla follia di quella “inutile strage”. Infatti durante e dopo la guerra furono celebrati 470.000 processi per renitenza e oltre un milione per diserzione e per altri gravi reati (procurata infermità, disobbedienza aggravata, ammutinamento) e ciò ci fa capire quanto vasta e di massa fosse l’opposizione alla guerra.
La repressione si intensificò dopo la rotta di Caporetto che produsse un vero e proprio “sciopero militare”, come lo definì Cadorna, con le decimazioni a livello di reparto. La protesta contro la guerra investì anche la popolazione civile. Il malcontento popolare culminò nella rivolta di Torino dell’agosto 1917. È bene specificare che dei 470.000 processi per renitenza alla leva 370.000 furono contro emigrati che non erano rientrati. Comunque i disertori della guerra 1915-18 furono così numerosi che fu necessaria un’amnistia, promulgata nel 1919 dal Presidente del Consiglio Francesco Saverio Nitti.
Simili iniziative si svolgeranno in molte altre città italiane, per uscire dalla retorica e riscrivere pagine di verità su quell’inutile massacro che fu la prima guerra mondiale. Il sindaco nonviolento di Messina, Renato Accorinti, ha scritto un appello a tutti i sindaci per celebrare il 4 novembre non come festa ma come lutto.