martedì 3 novembre 2015

3 novembre 1867: la vittoria dei soldati del Papa Re!

Centro studi Giuseppe Federici - Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 88/15 del 3 novembre 2015, San Giusto
3 novembre 1867: la vittoria dei soldati del Papa Re!
 
Il 3 novembre 1867 l’esercito pontificio sconfiggeva le bande garibaldine (assistite dall’esercito italiano, aspetto dimenticato da chi, contro la realtà storica, attribuisce la vittoria papalina all’intervento dell’esercito francese), dopo due mesi di scontri nell’Agro Romano iniziati il 29 settembre. Ricordiamo la vittoria con un testo dedicato ai cappellani militari dell’esercito pontificio.
Gli apparecchi per la Difesa e i Cappellani Militari
(tratto da “La mano di Dio nell’ultima invasione contro Roma”. Memorie storiche di Paolo Mencacci, Romano, Salviucci, Roma, 1868, pagg.8-13)
Tracciato il disegno della Rivoluzione, accenniamo i mezzi impiegati dalla S. Sede per resisterle, e quelli disposti per l’assistenza delle truppe che erano per impegnarsi nella suprema lotta.
Fin dalle prime mosse della rivoluzione il governo pontificio aveva preso varie precauzioni, e l’Eccellentissimo Ministro dell’Armi Generale Kanzler, aveva disposto le truppe in guisa, da opporre una valida resistenza dovunque si tentasse la nuova invasione. Al Colonnello Azzanesi, col 2 Battaglione del suo Reggimento indigno di Linea, con una sezione di Artiglieria, un Plotone di Dragoni, due Compagnie di Zuavi, due Compagnie di Gendarmi, e una Compagnia di Finanza mobilizzata fu affidata la guardia di Viterbo e di tutta la provincia limitrofa alla Toscana e alle province usurpate dell’Umbria e della Sabina. Il Tenente–Colonnello de Charette con quattro Compagnie di Zuavi, una Compagni di Gendarmi, con alcune Compagnie di Legionari di Antibo. Egualmente con una sezione di Artiglieria, un distaccamento di Dragoni e con alquanti paesani Squadriglieri era incaricato di difendere la Comarca, e tutta la zona posta tra il Tevere e il Teverone fino al confine napoletano copriva le province di Frosinone e di Velletri.
Civitavecchia con la sua provincia era guarnita da due Compagnie del 1° Battaglione del Reggimento indigeno di Linea, due Compagnie della Legione di Antibo, una Batteria d’Artiglieria, un distaccamento del Genio, una Compagnia di Sedentari e una di disciplina. Il grosso della Gendarmeria, alcune Compagnie di Linea, un Battaglione di Zuavi, il Battaglione di Carabinieri esteri, due Squadroni di Dragoni e varie Batterie di Artiglieria e distaccamenti degli altri Corpi difendevano Roma.
Tale sperperamento di truppe, disposto però in guisa, che potessero prontamente accorrere e attestarsi su di ogni punto minacciato, e al bisogno convergere e stringersi intorno a Roma per difenderla, oltre le varie colonne mobili che percorrevano per ogni verso il confine, rendevano affatto insufficiente il numero dei Cappellani ordinari, e l’assistenza delle truppe diveniva difficilissima nel momento che maggiore ne era il bisogno.
S. E. il Ministro delle Armi fece di tutto per supplire a tale difetto; e S. E. Rma Monsignor Tizzani, Cappellano maggiore dell’esercito, coadiuvato da vari uomini di coraggio e spirito, del Clero si secolare che regolare, riusciva felicemente nell’intento. E noi non possiamo fare ameno di non rendere un tributo di ammirazione a quell’illustre Prelato, che sebbene affatto cieco, con zelo veramente apostolico previdde tutto, providde a tutto, così che i generosi difensori di s. Chiesa in ogni fazione fossero accompagnati dai loro Padri spirituali, i quali fornì di ogni cosa necessaria al santo ministero e di tutto quanto occorre per l’ultima assistenza di chi muore sul campo.
Venne pertanto stabilito, che ogni Corpo di truppe nel porsi in marcia fosse seguito da un Cappellano o da facente funzione di Cappellano militare, ed essendo l’esercito pontificio composto d’individui di vaie nazioni e parlando lingue diverse. Oltre i soliti Cappellani, furono invitati vari sacerdoti secolari e religiosi, i quali con uguale carità e abnegazione si consacrarono volenterosi al bene dei nostri cari soldati. Provveduti anche questi di vasi sacri per le sacrosante Specie e pe l’Olio Santo e di tutto l’occorrente corredo, non solo non mancò in nessun incontro la spirituale assistenza alle truppe pontificie:; ma essa si estese ancora all’esercito francese, e agli stessi nemici, che sempre in numero di gran lunga maggiore ai pontifici cadevano miseramente sul campo.
E nella loro gelosia e pericolosissima missione apparve in modo del tutto straordinario l’assistenza di Dio. Mirabil cosa! Quantunque esposti continuamente ai proiettili e alle armi degli invasori, odiatori feroci della Chiesa e dei suoi ministri, e con coraggio veramente eroico si esponessero per tutto dove maggiore era il pericolo, pure nessuno dei nostri Cappellani rimase menomamente offeso!
Il Rev. Don Luigi Galanti, cappellano del Reggimento indigeno di linea, che in tutti i combattimenti da questo sostenuti con inaudita costanza nella provincia di Viterbo trovossi sempre in mezzo al fuoco, amministrando gli ultimi sacramenti ai moribondi e soccorrendo i feriti; il R. P. Vannutelli de Predicatori, che assistette all’eroica difesa di Monte Rotondo, correndo gravissimi rischi per la salute delle anime, e poi fatto prigioniero dei Garibaldeschi fu più volte sul punto di essere ucciso; i Cappellani Giulio Daniel e Augusto Berard, che durante la battaglia di Mentana stettero sempre nel più folto della mischia in mezzo a nembi di palle per soccorrere ed assistere i caduti si pontifici come i francesi, e l’intrepido Monsig. Gustavo Bastide, Cappellano della legione Romana di Antibo, che dimentico affatto di sé stesso accorreva da per tutto dove maggiore era il pericolo e il bisogno, in guisa che maravigliò i suoi uffiziali, e il Colonello Conte d’Argy, vecchio militare dell’esercito francese, ebbe a fare di lui elogio degno dei più valorosi guerrieri: tutti questi fra tanti imminentissimi pericoli, in mezzo a così accaniti combattimenti andarono la Dio mercè del tutto illesi. E illesi egualmente ne andarono il Rev. Don Eugenio Peigne, sacerdote di Nantes, che si offerse generosamente quale vittima di carità, e il R. P. Ligiez dell’Ordine dei Predicatori e il R. P. de Gerlache d.C.d.G. che si assistettero intrepidamente anch’essi alla battaglia di Mentana, ed altri sacerdoti romani e stranieri che accorsero volenterosi in tutti gl’incontri, e alle ambulanze. Tutti costoro sebbene estenuati di forze ed affranti dalla fatica, mai avvenne che lasciassero il campo di battaglia senza prima somministrato i conforti spirituali a quanti dei caduti ne fossero capaci, adoperandosi ancora nell’accompagnare i feriti in luoghi sicuri ed anche in seppellire i morti.
Quindi si può con certezza affermare che nessuno dei militari pontifici e francesi andò privo dei conforti religiosi in quei supremi momenti; e molti degli stessi garibaldini, commossi dalla loro carità, e tocchi dalla grazia di Dio, ebbero anche essi la bella ventura di morire per la loro cura nella pace della santa Chiesa, cui fieramente avevano combattuto.
Non è poi da tacere del Rev. Padre Anselmo, dei Minori Osservanti, il quale tempo per qualche tempo assistette notte e giorno gli Zuavi olandesi che si trovavano col loro corpo scaglionati su quel di Palombara in difesa del confine: né dell’infaticabile Mons. Sacré, di cui notissimo è lo zelo pei suoi bravi Fiamminghi, né dell’ammirabile Padre Wild d.C.d.G. il quale, coadiuvato molto dal R. Padre Cornelio, anch’esso Gesuita, sempre, durante tutta l’invasione, si trovò pronto a prodigare le sue cure e il suo zelo apostolico a pro dei nostri zuavi.
Inutile è l’aggiungere che gli altri Cappellani, sebbene non si trovassero nei combattimenti, tutti con ammirabile zelo si mostrarono risoluti e pronti ad affrontare ogni rischio pei loro figli spirituali, così che l’Ecc.mo Cappellano Maggiore a grande fatica potè trattenerne alcuni presso i corpi non combattenti, perché tutti egualmente desiderosi di andare dove più grande fosse il pericolo.
In presenza di così belle opere cristiane, che solo la fede e la carità di Gesù Cristo possono ispirare, quantunque abbiasi certamente a piangere la perdita di molti caduti gloriosamente nella pugna, ne deve essere di grande conforto il pensare, che tutti morirono nella pace del Signore, assistiti e consolati dalla presenza dei Ministri del Dio delle misericordie.
 
Sull’esercito pontificio e la vittoria di Mentana:
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