In questi giorni in televisione abbiamo potuto vedere una pubblicità che inizia con le parole “Chiedilo a loro”. Si tratta dello spot, oramai sulla stessa falsariga da molti anni, per incentivare i cittadini italiani a devolvere l’ 8×1000 alla Chiesa cattolica, nel quale vengono mostrate scene di emarginati e/o poveri, soccorsi da suore o preti. Con l’8×1000, ci vien detto, “hai fatto molto per tanti”. Ora, senza alcun dubbio si tratta di pubblicità studiate bene, perché vanno a colpire le corde interne dell’essere umano, quelle che lo stimolano ad aiutare i più deboli (o perlomeno dovrebbero farlo; in tempi individualisti come quelli odierni, non è sicuro). Ma allo stesso tempo, a parere di chi scrive, viene veicolata un’immagine del Sacerdozio e della Chiesa cattolica profondamente riduttiva. In questo breve scritto cercherò quindi di “mettere qualche punto sulle i” relativamente alla vera figura del Prete, sottolineando le differenze con la figura annacquata e parziale presentata dal tubo catodico, per poi sottolineare anche le differenze fra il filantropismo e la vera Carità.
Per inquadrare innanzitutto i termini della questione, prendiamo l’imperituro Catechismo di San Pio X, che nonostante sia stato scritto un secolo fa, rimane insuperato per chiarezza della dottrina e semplicità di esposizione. Nelle domande 728 e 729 si legge: “E’ grande la dignità del Sacerdozio?”, “E’ grandissima per la sua potestà sul Corpo reale di Gesù Cristo (che rende presente nell’Eucarestia) e sul corpo mistico di Lui, la Chiesa (che governa, con la missione di condurre gli uomini alla santità ed alla vita beata)”. “Qual fine deve aver chi entra negli Ordini?” “Chi entra negli Ordini deve avere per fine soltanto la gloria di Dio ed il bene delle anime”.
Già queste semplici parole ci fanno capire che il fine dei Ministri della Chiesa e della Chiesa stessa è soprannaturale: guidare gli uomini (e le donne, naturalmente, non sia mai che ci si accusi di esclusivismo maschilista…) verso la Visione Beatifica, attraverso in particolare l’amministrazione dei Sacramenti, la predicazione della dottrina, e ovviamente l’aiuto ai bisognosi, anche di natura materiale.
Qui parrebbe esserci un punto di contatto fra i promotori della pubblicità dell’ 8×1000 e la dottrina tradizionale: Ma come! – mi si dirà – L’aiuto a chi soffre nell’indigenza è sempre stato praticato, è giusto e normale che vengano incentivate queste iniziative. Questo è verissimo e chi conosce anche solo un po’ di storia della Chiesa lo sa perfettamente; tuttavia è solo da circa cinquant’anni, da quando cioè si è chiuso un certo Concilio che è stato “l’ 89 della Chiesa” (non è mia la definizione, ma di un alto prelato di allora), che la missione del nuovo prete, e un po’ quella di tutta la Chiesa, è diventata di coadiuvare la cosiddetta “società civile” nel benessere materiale dell’uomo, avendo come nuovi obiettivi il “progresso”, i “diritti umani”, la “libertà dal bisogno”. Tutto questo a discapito, molto spesso, della celebrazione della Santa Messa, delle ore trascorse in confessionale, delle corse ai capezzali dei moribondi; attività viste come poco fruttuose, anzi contrarie all’attenzione “agli ultimi”. Qui si configura un ribaltamento totale rispetto alla dottrina classica. Il sacerdote in primis deve infatti avere come obiettivo la vita eterna del gregge a cui è preposto, e soltanto poi la vita materiale. E riusciva, in tempi passati, a fondere le due senza tralasciarne alcuna, in una bella figura a tutto tondo. Questa corretta gerarchia deriva dalla retta interpretazione della virtù della Carità, che ora andiamo ad analizzare, sempre con l’ausilio del Catechismo di San Pio X e di altri validi testi (Mons. G. Casali, Somma di Teologia Dogmatica, 1964, e AA.VV., Catholic Encyclopedia, 1912).
“La Carità è una virtù soprannaturale infusaci da Dio nell’anima, per la quale amiamo Dio sopra ogni cosa ed amiamo il prossimo come noi stessi per amor di Dio”. Questo è quanto recita il Catechismo di San Pio X, al n. 466. Quindi l’oggetto materiale primario di questa virtù è Dio, che è sommo bene in Se stesso. Oggetto secondario (e non a caso l’ho sottolineato) è invece l’uomo, che ama se stesso nell’ordine spirituale, e poi il prossimo. Le opere di carità devono quindi esser fatte per amor di Dio, non per amore del prossimo in quanto tale: mancherebbe infatti un fondamentale pilastro, che annacquerebbe tutte le nostre azioni. Questo amor di Dio anche nelle opere più corporali di misericordia deve, ovviamente, esser presente al massimo grado in chi guida la comunità: nel Sacerdote alter Christus. Quanti santi preti e frati si sono spogliati di ciò che avevano, anche delle cose più essenziali, per aiutare i più deboli, nella storia della Chiesa! Ma attenzione! L’hanno fatto perché vedevano nell’uomo sofferente, affamato, incarcerato, infreddolito una creatura di Dio, e per guadagnarsi e far guadagnare la vita eterna, non perché “mi fa stare bene dare una mano”, oppure perché, come spesso anche si sente, “è bello servire chi non sta bene”. Peraltro, sia detto per inciso, questo spiega parzialmente anche il calo di vocazioni alla vita consacrata: se io giovane ragazzo voglio dedicarmi agli altri, chi me lo fa fare di sopportare tutte le privazioni e le difficoltà della vita religiosa quando, per compiere attività alla fin fine molto simili, mi basta entrare in una qualsiasi associazione laica di volontariato, che per esempio fornisce i pasti ai vecchietti di periferia?
In tempi più sani non si facevano torti alle parole di Nostro Signore, il quale affermò “Cercate prima il Regno di Dio, il resto vi sarà dato in sovrappiù”. Se ci si scorda di queste parole (e quanta responsabilità ha in questo la gerarchia “conciliare”, purtroppo!), è ovvio e naturale che il prete venga visto come una specie di volontario di Croce Rossa, e la Chiesa come una qualunque ONG. Ma, se il sale del mondo che devono essere i Cristiani, perde il suo sapore, allora che tempi ci aspettano? Solo riscoprendo il vero significato della Carità cristiana e del ruolo del Sacerdote, solo così si può “fare molto, per tanti”.
Matteo Luini
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