L’indagine giudiziaria contro Giacomo Longo,
autore del libro pubblicato nel 1911 per denunciare al Re
l’operato del Generale Mazza e del Governo Giolitti
autore del libro pubblicato nel 1911 per denunciare al Re
l’operato del Generale Mazza e del Governo Giolitti
UN DUPLICE FLAGELLO:
Il terremoto del 1908 e il Governo Italiano
Notizie tratte dal fascicolo del Fondo Prefettura conservato presso l’Archivio di Stato di Messina
Il terremoto del 1908 e il Governo Italiano
Notizie tratte dal fascicolo del Fondo Prefettura conservato presso l’Archivio di Stato di Messina
Giacomo Longo
“Dedico alla insipienza e alla inettezza del Governo Italiano
tutto l’odio mio; ed al generale Mazza, gli scatti impetuosi di una eterna
maledizione. Da lui, all’ultimo della sua stirpe sciagurata, passi sempre
severa, sempre tremenda, l’eco disperata dell’ultima parola dei miei fratelli di
sventura, sepolti sotto le rovine di una illustre città.
Al suo cuore, ritratto singolare del cuore di Giolitti, dedico
a perenne supplizio il gemito straziante e l’agonia lenta di centinaia e
centinaia di feriti lasciati morire sulla banchina del porto; e possano le
inulte ombre di tanti assassinati, tormentare senza posa i suoi sonni.
Ai diecimila uomini di truppa, venuti in mezzo a noi in pieno
assetto di guerra, e per costituire il vero disastro – giacché il 28 dicembre
1908 rispetto a loro non fu che un momento di sventura – io dedico il ricordo
vergognoso della loro opera vandalica […].
A S. M. Vittorio Emanuele III dedico la mia protesta,
rispettosa sì, ma sincera, sentita e solenne. Considerate o Sire, l’opera
infruttuoso del Vostro Governo […].
A voi, onorevole Giolitti, dedico la nostra gioia e il nostro
conforto per non avervi fin qui veduto”.
E’ con queste parole che Giacomo Longo inizia la prefazione al
suo libro “Un Duplice flagello: il terremoto del 1908 e il Governo Italiano”,
testo alquanto raro, che verrà prossimamente ridato alle stampe per tornare ad
essere testimonianza civile dei tristi fatti che seguirono la sciagura del
tremendo sisma.
Ten.Gen. F. Mazza
Parole, dure, piene di rancore e risentimento nei confronti di
un Governo e del suo più “duro” rappresentante, il Regio Commissario Tenente
Generale Francesco Mazza, colpevole di omissioni e inettitudine, nei confronti
delle popolazioni bisognose di soccorso, e di negligenza mostrata
nell’amministrazione degli aiuti umanitari ricevuti da ogni parte del mondo.
Nell’intento di invocare il sovrano intervento di Vittorio
Emanuele e della Regina Elena, a difesa delle ingiustizie subite dai superstiti
e a garanzia che gli aiuti offerti da tante nazioni come la Russia, l’America,
la Francia e la Germania fossero ben impiegati, Giacomo Longo, un comune
cittadino abitante nel borgo di Torre Faro, si era prodigato nella stesura di un
libro che potesse costituire, nelle mani del Re, la prova inconfutabile per
denunciare pubblicamente l’operato del Generale Mazza, autore dello Stato
d’Assedio proclamato il 4 gennaio 1909, e del Governo Giolitti.
Fu per tale motivo che, una volta realizzato e stampato il suo
“capolavoro” presso la tipografia Arti grafiche La Sicilia di Carlo Magno a
Messina, Giacomo Longo si preoccupò di darne la maggiore diffusione possibile
nel timore di una probabile censura da parte delle autorità, dato il contenuto
altamente accusatorio nei confronti del Governo, reo di non aver saputo gestire
l’emergenza e, ancor più, di aver abusato dei propri poteri contro le vittime
della più grande catastrofe della storia.
A maggiore garanzia che la denuncia sortisse gli effetti
desiderati, Longo si premurò di inviarne due copie al Re, una alla Procura
Generale presso la Corte d’Appello di Messina e un numero non definito di copie
a persone a lui note, emigrate in diverse città italiane e di Paesi europei e
d’oltre mare.
Con tale gesto, egli dimostrava di non temere affatto il
pericolo di subire querele per diffamazione, né denunzie da parte delle autorità
governative, anzi lanciava senza timore la sfida di poter essere chiamato al
banco degli imputati per dar voce a quanto scritto e documentato nel suo
libro.
Ma come reagì l’Autorità Governativa alle gravi accuse mosse da
un comune cittadino, in un periodo storico in cui la censura non consentiva
fughe di notizie che potessero compromettere, in modo diffamatorio, l’immagine
del Paese agli occhi del mondo?
La notizia della pubblicazione del libro venne di fatto
annunciata nell’edizione di sabato 13 aprile 1911 da un solo giornale minore
locale chiamato Il Risveglio che, a differenza della Gazzetta che non fornì
alcuna notizia in merito, riportava con molto risalto l’opera coraggiosa di
Giacomo Longo:
“DUPLICE FLAGELLO. Questo è il titolo di un grosso volume
pubblicato a cura del Sig. Giacomo Longo, ove sono messi nella loro vera luce
tutti i fatti scandalosi che nello scompiglio del disastro furono compiuti da
eroi collocati sotto la protezione e col nulla osta del Generale Mazza e del
Governo d’Italia.
Il libro è pieno di verità controllate, che bisogna leggere per
conoscere se non altro quale scempio si sia fatto della carità pervenutaci
dall’estero.
All’autore la nostra lode, ai critici inverecondi non
rispondiamo”. [Il Risveglio, 13 aprile 1911]
In tempi brevissimi, il Procuratore Generale del Re, Cav.
Ragazzoni, ne informò il Ministro dell’Interno il quale, nel prendere atto della
comunicazione ricevuta, invitò la competente Autorità giudiziaria locale ad una
oculata vigilanza, in accordo con l’Autorità politica, affinché “niun
inconveniente venga a deplorarsi”.
Ricevuta tale raccomandazione, il 21 aprile 1911 il Procuratore
Generale si premurò di inviare una lettera riservata al Prefetto di Messina in
cui, dopo aver relazionato sul parere del Ministro, esprimeva la propria
opinione sul da farsi: in riferimento alla legge del 28 giugno 1906 n° 278 e
alle sentenze emesse dal Procuratore di Cagliari in un precedente analogo caso,
non era possibile impedire la diffusione del libro, salvo ordini contrari.
Sottolineava altresì, che il costo elevato del libro pari a £. 4 non avrebbe
comunque consentito una vasta diffusione.
Al Prefetto non restava quindi che allertare la Questura ed
avviare le indagini necessarie a fornire utili informazioni in merito alla
figura dello spregiudicato autore dell’opera.
Il 30 aprile 1911, il Questore di Messina era già nelle
condizioni di poter riferire al Prefetto.
Chi aveva raccolto le informazioni non era certamente immune da
un atteggiamento pregiudizievole nei confronti della vicenda. Bisognava trovare
elementi che consentissero di screditare i protagonisti del grave atto
denigratorio nei confronti del Governo Italiano.
Dalle “diligenti investigazioni” eseguite dal Delegato di
Pubblica Sicurezza Attilio Stagni, dal Delegato Signor Cortisano e dal
Maresciallo Di Ciuccio, risultò quanto segue:
“Uniformemente alle richieste verbali fatte dalla S. V. Ill.ma
[sono state svolte] le indagini atte a stabilire ed accertare il vero autore del
libello intitolato “Un duplice flagello” la cui pubblicazione è comparsa sotto
il nome di Giacomo Longo di anni 35, fu Francesco e di Francesca Bonanzinca, da
Torre Faro.
Anzitutto si accennerà a brevi linee chi è il firmatario di
tale opuscolo, quale le sue attitudini e coltura, i suoi legami, il suo passato
per dimostrare come in effetti il Longo non sia che un prestanome. Il Longo ebbe
bassissimi natali; studiò fino alla terza elementare e non potè migliorare la
sua coltura perché gravato di una malattia agli occhi. Il Longo nelle sua vita
si è rivelato di animo volgare, aggressivo e prepotente e in forza di tale
carattere è riuscito nella pacifica contrada di Torre Faro ad essere temuto.
Egli infatti vive di espedienti facendo l’affarista e spillando
per questo o quell’affare denaro dalla classe marinareccia. Il Longo fu sotto
processo per diffamazione, per furto di vino e ricettazione in danno di un certo
Fumia, già delegato municipale, perito nel disastro tellurico del 28 dicembre
‘908. Non ha occupazione alcuna però vive bene e veste bene. Il Longo è parente
del notissimo strillone inteso “l’Orbo”. Il Longo ha altresì mostrato idee
socialiste e molto tempo prima del disastro tentò di costituire una cooperativa
tra i marinai di Torre Faro e Ganzirri, che non attecchì.
Circa quattro o cinque mesi orsono circolò a Torre Faro e a
Ganzirri un manoscritto dattiloscritto a firma di Giacomo Longo.
In esso si esponevano cronologicamente dei fatti poco onorifici
a carico dei militari qua convenuti pel disastro del 1908 e di autorità, facendo
i nomi del Generale Mazza, del Comm. Trinchera, del Cav. De Bernardines e
dell’Ingegnere Capo del Comune Simonetti.[…]
Essendo cieco, dettò tutte le minute ad alcuni giovanotti del
paese che vennero poi rivedute e corrette dal Sacerdote prof. Giovanni Scarfì
insegnante di lingue presso il locale Seminario. Il materiale è stato fornito
al Longo da molti naturali della vicina Ganzirri – Torre Faro, da messinesi e in
parte dalla lettura dei giornali..
Le spese per la pubblicazione furono sostenute da persone del
luogo che furono indotte ad acquistare azioni da £. 25 così da racimolare £.
1.000 che in varie riprese versò al tipografo Magno al quale firmò alcune
cambialette.
Quasi tutti acquistarono a malincuore le suddette azioni perché
tutti temevano il Longo essendo questo un intrigante temerario e capace di ogni
falsa denuncia presso le diverse autorità.
Questa prima edizione consta di 2.000 volumi di cui circa 100
furono già spediti in America. […]
Nel volume doveva comparire pubblicato anche un capitolo contro
il Papa ed in difesa del vescovo D’Arrigo, in non buoni rapporti con la Santa
Sede; ma è stato soppresso, dietro mandato del vescovo per inframmettenza del
Canonico Bruno.
Il Longo, prima di pubblicare il volume si è consultato con
l’avvocato Baratta.
Segue a questo punto un dettagliato rapporto sul tipografo
Magno e sul numero di copie spedite in Italia e all’estero, nonché dei nomi
degli azionisti che contribuirono con £. 25 alla stampa del libro:
[…] Il Magno è massone non gode di buona reputazione tra gli
stessi compagni tanto che i più propendono a volerlo espellere dalle proprie
file essendo ritenuto una spia dei gesuiti […]. Il libro del Longo è stato
richiesto dai compaesani residenti all’estero e da quasi tutti i librai
nazionali ai quali si è rivolto in precedenza con circolare.
Nel frattempo, il Ministro dell’Interno, inviava al Prefetto di
Messina una nota nella quale, nell’informare l’Autorità Governativa locale della
spedizione da parte di Longo delle due copie del volume indirizzate ai Sovrani,
ne richiedeva un parere, considerato il tono polemico dell’opera, al fine di
dare giusto seguito all’omaggio ricevuto.
Nuove informazioni intanto venivano prese sulla vicenda che
andavano a rinfoltire il fascicolo aperto sul conto di Giacomo Longo:
[…] Mi risulta che terminata la scritturazione, l’opuscolo
venne affidato al sacerdote Giovanni Scarfì, professore del Seminario, per la
dovuta correzione. Mi risulta inoltre che il gesuita padre Calvi, persona
ritenuta molto intelligente, abbia preso parte scrivendo anche egli qualche cosa
e ciò non è da mettersi in dubbio perché nel libro si doveva pubblicare un
capitolo contrario al Papa e non si è pubblicato; ad avvalorare tale
affermazione sono in grado di dire che l’Arcivescovo D’Arrigo ha pagato £. 90 al
tipografo Magno per il lavoro che aveva già eseguito e £. 150 al Longo per
autorizzare a togliere quel capitolo. Il Longo ha spedito due copie al Re e alla
Regina d’Italia e ai Ministri di Francia, Inghilterra e America. Firmato
Brigadiere Donato.
Completata la raccolta di informazioni, il Prefetto Angelo
Buganza fu nelle condizioni di inviare il 16 Maggio al Ministro degli Interni
una dettagliata relazione sulle indagini svolte e, nel rassicurare che la stampa
locale, ad eccezione di un “giornaletto locale”, non aveva dato alcuna risonanza
alla pubblicazione, suggerì di non dar seguito alla denuncia al fine di non
fornire al libro “quella rèclame che il compilatore brama ed invoca”.
In conseguenza a
ciò, con nota del 17 maggio 1911, il Ministro chiese al Prefetto di restituire
al Longo le copie inviate al Re accompagnandole con una comunicazione che
ritenesse più opportuna.
Nel ricevere da parte del Capo di Gabinetto del Ministro parere
favorevole sulla linea suggerita da seguire, il Prefetto Buganza diede ordine
immediato al Sindaco di provvedere alla restituzione delle copie del libro.
E così che, nella giornata del 28 maggio, Giacomo Longo, tra lo
sconcerto e lo sconforto più amaro si vide recapitare, dal delegato comunale
direttamente a casa, le copie che, in nome del popolo messinese, nella speranza
di ricevere giustizia aveva inviato al Re Vittorio Emanuele e all’amata Regina
Elena.
Fu come dire: “Il Re vi ringrazia per il pensiero che avete
avuto nell’inviare questa vostra opera, ma a Sua Maestà non interessa”.
Vincenzo Caruso
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