giovedì 23 maggio 2013

Alcune riflessioni sull’uso (e sull’abuso) del termine “diritto”



blind_justice
 
Dalla lotta iconoclasta al nuovo formalismo legalitaristico
 
Parlando recentemente con un mio caro amico (cattolico dubbioso, e sono stato felice di sciogliergli i dubbi – o, almeno, sono stato felice nel provare a farlo – sia come cattolico, perché ho avuto modo di eseguire un’opera di misericordia spirituale, sia come amico, perché se non ci si aiuta nel momento del bisogno che amici si è?) a proposito di tematiche inerenti ai c.d. “nuovi diritti” (prevalentemente i cosiddetti GLBT rights, ma nella discussione ho potuto comunque un po’ spaziare a proposito del dirittumanismo, di quello che è diventato un vero e proprio culto laico dei diritti umani, e i GLBT rights sembrano essere diventati l’attuale non plus ultra di questi ultimi), mi è venuto da farmi alcune domande: cosa sono e come vengono concepiti i diritti, oggi? E cosa è diventato, oggi, il diritto in generale?
Perché, in effetti, oggi pare che davvero tutto sia diventato diritto, o che si abbia un diritto a qualcosa (cosa, non si sa, basta che si abbia un diritto), e chi prova a esprimere critiche o a controbattere è, nella maggior parte dei casi, tacciato di essere un retrogrado, un formalista (quando poi, come proverò a spiegare più oltre, sono gli stessi “cultisti” dei diritti ad essere i veri formalisti!), una persona chiusa e simili…ma come stanno realmente le cose?
Proverò ora a fare una piccola riflessione in proposito, ben sapendo che, data la mia età (e il fatto di essere ancora nel pieno dei miei studi) e dato che purtroppo ho studiato male in sede universitaria la Filosofia del Diritto (una materia secondo me fondamentale, rovinata per colpa di una professoressa incompetente, e che ho provveduto e provvedo ancora a studiarmi da solo, con gli aspetti positivi e anche negativi che questo metodo comporta), potrei magari commettere errori e pervenire a soluzioni errate; nel caso, se lo vorranno, lascerò la parola agli amici di RS già laureati e operanti nel mondo del diritto (Ilaria Pisa, Massimo Micaletti, Pietro Ferrari), per continuare e completare l’opera o, se necessario, per correggermi.
Prima di tutto, che cos’è il diritto? Secondo Cicerone (e secondo Ulpiano che lo riprende), “La giustizia consiste nella costante e perpetua volontà di attribuire a ciascuno il suo diritto. Le regole del diritto sono queste: vivere onestamente, non recare danno ad altri, attribuire a ciascuno il suo.” ; e, sempre secondo l’Arpinate, “Siamo schiavi delle leggi per poter essere liberi”. Questo bel quadro tratteggiato – e ricordiamo che il Diritto Romano è stato ed è ancora la base fondamentale del nostro diritto e delle nostre leggi – è valido ancora oggi, cosa vediamo oggi con i nostri occhi?
Dove sono finiti il “vivere onestamente” (ovvero secondo ragione e secondo ragione e diritto naturali, due termini che nel mondo di oggi fanno semplicemente orrore!), il “non recare danno ad altri” (che comporta una dimensione comunitaria e sociale, e non individualista ed egoistica, del diritto), addirittura il “siamo schiavi delle leggi” (quando si pretende, per tutto e per tutti, una libertà assoluta e slegata da qualsiasi limite e da qualsiasi responsabilità)?
Oggi praticamente tutto diventa oggetto di diritto (e, quindi, di un riconoscimento pubblico)…compreso, per usare una definizione di Stefano Rodotà, l’avere diritti è un diritto! Certo, ogni volta che sentiamo la parola “diritto” siamo colpiti, certo giustamente, da questa parola, che richiama una certa autorità, persino una certa sacralità, così anche quando rimaniamo perplessi o addirittura contrari davanti a certe affermazioni discutibili (“diritto” al benessere – come reclamavano gli indignados nostrani, l’anno scorso –, “diritto” all’aborto, “diritto” all’eutanasia, “diritto” al matrimonio – in riferimento al “matrimonio egualitario” oggetto di certe campagne politiche gay -, persino “diritti” alla masturbazione – almeno secondo la femminista statunitense Carol Queen, ideatrice del “National Masturbation Day” – e alla droga!) questa parola riesce comunque a tacitare l’avversario…se è un “diritto”, è automaticamente giusto, a maggior ragione se “negato”! Ma le cose stanno davvero così? Tutto è realmente diritto?
Innanzitutto, possiamo chiederci cosa è diritto, e cosa non lo è? Nessuno si scandalizzi, nel nostro ordinamento esiste la fondamentale distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo, e spero non si voglia accusare Franco Gaetano Scoca, o, prima di lui, Mario Nigro, Aldo Sandulli o Massimo Severo Giannini di essere insensibili o cose simili! (perché chi è contro i diritti, specie se questi vengono definiti – a torto o a ragione – civili, non può che essere un insensibile o un razzista!) Cosa si intende poi, oggi, per diritti civili, una frase oramai divenuta molto vaga e che spesso serve a giustificare mediaticamente e politicamente scopi tutt’altro che nobili, dallo stravolgimento del matrimonio, alle guerre imperialiste (definite “umanitarie” o “per la democrazia”)? E non si rischia, poi, di frantumare la concezione stessa, unitaria, di diritto (costruita, peraltro, in opposizione alla forma pluralista di diritto tradizionale, romano e medievale), e di atomizzare il modello antropologico unitario posto alla base del diritto stesso? (difatti, oggi, ci sono i diritti dei cittadini, i diritti dei consumatori, i diritti GLBT sopra richiamati, ancora i diritti dati in base alle più diverse personalità…che confusione!)
Purtroppo, oggi, si assiste ad una estensione e ad una banalizzazione spaventosa del concetto di diritto, tanto che si pone il desiderio e il sentimento (quando non il capriccio) a fondamento del diritto (che, invece, disciplina situazioni e cose concrete, e, peraltro, non tutte, e questa – il fatto che il diritto e la legge non possano disciplinare tutto – è uno dei primi argomenti che vengono insegnati nel corso di Diritto Privato di qualsiasi primo anno di corso a Giurisprudenza), cosa che non è mai avvenuta in millenni di storia del diritto e del pensiero politico e sociale…
Anche qui, nessuno si scandalizzi, contro questa vera e propria deriva sentimentalistica ed emotiva del diritto hanno scritto professori come Lucio Pegoraro (uno degli autori dei manuali di Diritto Costituzionale e Diritto Pubblico sui quali ho studiato), Francesco D’Agostino, Antonio Maria Baggio e Antonio Gambino (e, all’estero, Robert George, professore a Princeton, uno degli attuali alfieri e difensori del diritto naturale), magistrati come Cesare Mirabelli (ex Presidente della Corte Costituzionale), Guido Piffer, Tommaso Emilio Epidendio e Giuseppe Ondei, filosofi come Umberto Scarpelli, Vittorio Possenti e Adriano Pessina, non è certo una mia invenzione! (ho sintetizzato i nomi di alcuni giuristi e filosofi tratti da alcuni articoli che avevo letto e che riportavano loro dichiarazioni e interventi ben più estesi, naturalmente)
A proposito poi di diritti umani (che hanno subito un percorso simile ai diritti civili, così che oggi si definisce un diritto umano, ad esempio, l’aborto!), essi sono tali perché, appunto, spettano ad ogni essere umano (e con ciò torniamo sul punto della frantumazione della concezione unitaria di diritto), mentre i diritti civili e sociali attengono invece all’uomo in quanto parte di una collettività organizzata (ma tutto ciò fa a pugni con l’odierna concezione individualista ed egoista dell’essere umano e con la concezione fluida – o liquida, che dir si voglia – che si ha oggi della società). I diritti umani sono un quid pluris che poggia necessariamente sui diritti umani, rispetto ai quali è sotto-ordinato, e perciò non ci può né deve essere un conflitto tra le due categorie di diritti, e se tale conflitto si presenta, esso è risolto a favore dei diritti umani: non può darsi che un diritto civile prevalga (specie se si tratta di un diritto civile molto presunto, per usare un eufemismo, come quello all’aborto), quanto a titolarità ed esercizio, su un diritto umano. Per citare l’amico Massimo Micaletti (cui devo questa parte del mio articolo a proposito dei diritti umani, che ho provveduto a recuperare e a integrare), “un buon campanello d’allarme per riconoscere l’ennesima barbara paturnia radicale travestita da diritto civile è se questo genera o meno un conflitto con uno o più diritti umani” (in primis, quello alla vita); gli esempi si sprecano, basterà elencare i classici tre: aborto, eutanasia (in cui vanno a farsi benedire il “diritto santissimo di Dio”, per citare il Beato Giovanni Paolo II, alla vita) e matrimonio e adozioni gay (che ledono il fondamentale diritto del bambino ad avere un padre e una madre).
I diritti umani nascono con il diritto stesso, non li hanno inventati né l’illuminismo né il liberalismo (a meno che vogliamo credere alla balla secondo cui i nostri antenati greci, romani – medievali poi non ne parliamo! – e rinascimentali erano solamente dei barbari sanguinari, prima della nascita di Locke, Rousseau o Voltaire), eppure si dice che oggi non sia mai parlato così tanto di diritti umani né che li si sia mai così protetti: evidenti sono, però, le storture commesse sia nel nome dei diritti umani (valga su tutti l’esempio delle “guerre umanitarie”) sia sui diritti umani stessi (quando, appunto, si snaturano e definiscono diritti umani cose che non lo sono, come l’aborto o, per tornare al ridicolo esempio di cui sopra, la masturbazione).
I moderni diritti umani (nella loro concezione originaria, e nella loro distorsione attuale definibile come dirittumanismo) nascono in contrapposizione al giusnaturalismo tradizionale (greco-romano – con padri nobili Aristotele e Cicerone tra i tanti – , cattolico – derivante dalla riflessione di San Tommaso d’Aquino – o genericamente cristiano – come nel caso della riflessione dell’olandese Huig de Groot – ), ma qual è stato il risultato finale? Un diritto lasciato all’arbitrio del legislatore, che non riconosce niente e nessuno al di sopra (o, kantianamente, al di dentro) di lui, e che può produrre le leggi che vuole, senza limiti morali e naturali…così vediamo, alla fine di un processo che ha visto l’eugenetica nazista e la rieducazione comunista, lo Stato liberale (sedicente migliore e superiore rispetto al nazismo e al comunismo, ma non meno totalitario rispetto ad essi) che riscrive, arbitrariamente, i limiti del matrimonio e addirittura della stessa persona umana (partorendo oggi “cose che noi umani non avremmo potuto immaginare”, come il matrimonio gay, sotto la spinta dell’ideologia del gender, o gli abomini biotecnologici e bioetici, sotto la spinta dell’ideologia transumanista, o ancora l’aborto e l’eutanasia – che sono l’arbitrio del più forte sul più debole che non può difendersi – ammantati da una patina di diritto e di bontà); mi si dirà, ma come posso paragonare nazismo e comunismo, al liberalismo dei diritti umani e dell’egualitarismo? Posso eccome, perché il liberalismo (nella sua ultima versione dirittumanista) è, quanto a totalitarismo e antigiusnaturalismo, pari a nazismo e comunismo, e tutte e tre le ideologie politiche (perché troppo spesso ci si scorda che anche il liberalismo è un’ideologia politica, al pari appunto di nazismo e comunismo) asserviscono il diritto (che non è più visto nella sua maniera oggettiva, pura e naturale) ai propri scopi…
Il tanto baldanzoso giuspositivismo, tra i cui padri ci sono stati, nel secolo scorso, Hans Kelsen e Norberto Bobbio, non riesce (neanche nella sua versione riveduta del giusrazionalismo) né a fornire una ragione ultima del perché del diritto, né a spiegare come e perché un diritto o una legge possano essere o meno conformi a giustizia: dopotutto, se una legge è automaticamente giusta perché positivizzata e prodotta da un Parlamento, a prescindere dalle discussioni sulla sua eticità e sulla sua giustizia (che non possono che fondarsi sul diritto naturale, che non ci appartiene e di cui non possiamo disporre liberamente), che cosa ci impone di considerare ingiuste le leggi naziste?
Lo Stato non può essere tutto (e lo dico io che credo, comunque, in uno Stato forte), da esso non può provenire né tutta la legge (dopotutto, non erano il Terzo Reich, o l’Unione Sovietica, la fonte suprema e legittima, positivistica, della loro legge?) né tantomeno tutta l’etica (pretesa, questa, illuminista e poi hegeliana), ma deve necessariamente riconoscere una fonte esterna ad esso, cui si deve conformare (cosa che hanno fatto, in passato, modelli universalmente riconosciuti di diritto e giustizia, come le poleis greche e Roma, e che fa peraltro, in parte, anche il testo costituzionale italiano, quando usa il verbo “riconoscere” all’articolo 29), altrimenti non vi è limite alcun alla sua forza e al suo potere (se io Stato faccio tutte le leggi da solo e non riconosco nessuna legge all’infuori di me, che mi può limitare, cosa mi impedisce di poter andare contro i miei cittadini, come fecero il Terzo Reich contro Ebrei e disabili, o come fecero gli USA contro i Neri?); dopo gli errori della Seconda Guerra Mondiale ci si rese conto (per quanto non integralmente) di cosa potesse comportare un eccessivo lascito del diritto e dell’etica nelle mani dello Stato (Stato legittimo e sovrano, e non si capisce perché le leggi inglesi e americane erano più legittime e sovrane di quelle tedesche e sovietiche), eppure proprio a causa del’indirizzo giuspositivistico, ciò non era possibile in maniera integrale (dopotutto, come detto, le leggi naziste erano state fatte dal Parlamento di uno Stato sovrano, rispettando tutte le procedure, perché erano sbagliate, se l’orizzonte positivo era il solo riconosciuto?)! E allora, come detto, si decise di inventare una sorta di terza via, il giusrazionalismo, ma i problemi non sono di certo scomparsi, anzi…
Insomma, qual è lo stato del diritto, oggi? Stando così le cose, non se la passa affatto bene, personalmente ritengo che si possa e si debba parlare di decadenza, se non di abbruttimento: assistiamo allo spettacolo di un diritto non più comunitario e oggettivo, ma individualistico (ma con l’individualismo, con l’individuo che si sostituisce alla persona, le società si sfaldano!) e relativistico, asservito e strumentalizzato dalle più disparate ideologie politiche, che con il diritto e la giustizia non hanno nulla a che fare!
Ho all’inizio parlato prima di lotta iconoclasta e di formalismo legalitaristico: proverò ora a spiegarmi meglio.
Tra gli anni ’60 e ’80 del secolo scorso si è assistito, in Europa e in America del Nord (e, anche se per motivi e con modalità diversi, nella Repubblica Popolare Cinese, durante la Grande Rivoluzione Culturale) ad una vera e propria sovversione iconoclasta del diritto, giudicato “patriarcale”, “borghese”, “repressivo”, e chi ne ha più ne metta: il diritto era il simbolo e il prodotto del “vecchio” mondo e del “vecchio” uomo, e come tale andava distrutto! Solamente dopo ci si accorse dell’errore, appunto iconoclasta, fatto e, per tutta risposta si riscoprì il valore della legalità (intesa però, in molti casi, in maniera prevalentemente formale), arrivando a voler ricomprendere tutto, soprattutto per quello che riguardava i temi etici, sotto l’alveo dello Stato (unica fonte del diritto: se si era abbandonata l’iconoclastia, non si era purtroppo certo tornati al diritto naturale!) e ad ammantare tutto sotto l’aspetto dei diritti umani (slegati, però, paradossalmente, da qualsiasi accenno al bene comune); in tal modo, si pensava, si erano tagliate le radici “patriarcali” e “repressive” del diritto (avendo eliminato ogni accenno, nella legislazione e della dottrina, non solo al cattolicesimo, ma anche al semplice diritto naturale) e si era riservato allo Stato, e non più ai singoli e alle loro ideologie politiche e religiose, la produzione dell’etica (ma cos’è uno Stato senza un’ideologia politica di riferimento? E anche il liberalismo, come detto, lo è, al pari di nazismo e comunismo).
Porto i nomi di due giuristi italiani come esempio di tale percorso: Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky. Negli anni ’80 Rodotà è uno degli esponenti di spicco del PCI, e tra le altre cose aveva proprio tuonato contro questa vera e propria moltiplicazione dei diritti (che, del resto, sono una moltiplicazione sia delle occasioni di controllo da parte dello Stato che di profitti per il mercato, alla faccia sia dei libertari che degli anticapitalisti!), salvo poi oggi parlare del “diritto di avere diritti”; Zagrebelsky (famoso per la sentenza europea che aveva inizialmente condannato l’Italia per l’esposizione pubblica del Crocifisso e per aver giustificato, in nome della democrazia e della sovranità popolare – ma evidentemente non della giustizia e del diritto –, la scelta che la folla di Giudei fece di Barabba al posto di Gesù) è il padre della teoria del “diritto mite”, consistente in un diritto non forte né punitivo e in un – teorico – arretramento dello Stato, ma qual è il risultato ultimo di questo “diritto mite”? Lo Stato entra prepotentemente in un agone che non gli compete e sancisce, per legge e per sentenza, la giustizia di aborto ed eutanasia (altro che diritto “mite”, visto che l’aborto e l’eutanasia sono tutt’altro che “miti”!) e (in nome della “laicità” e, anche qui, dei “diritti”) l’eliminare non solo il Crocifisso, ma di qualsiasi altra traccia di sacro e di tradizionale (e, quindi, di comunitario) dalla vita sociale e popolare di una Nazione.
Il diritto perde di vista il suo aspetto sociale, comunitario e giusto (trasformandosi in un aspetto individuale, egoistico e agnostico) e diviene allo stesso tempo strumento dello Stato per imporre, senza vincoli alcuni, un’ideologia (e quella dirittumanista e politicamente corretta è eccome un’ideologia, non meno feroce di quelle passate, anche se ipocritamente ammantata e giustificata da buoni motivi!).
Da “sinistra” le leggi divengono un ostacolo per i “nuovi diritti” (con buona pace, poi, del fatto che per imporre tali, reali o presunti, diritti, si ricorra, anche se arbitrariamente, alla stessa legge), da “destra” le leggi sono un ostacolo per le “libertà fondamentali” (chissà perché per i difensori del capitale le libertà e i diritti fondamentali sono sempre quelli dei ricchi e dei forti, e non dei deboli e degli sfruttati), ma in entrambi i casi sono solamente dei legacci di cui liberarsi al più presto, con buona pace del diritto stesso e della giustizia!
Per sintetizzare e tirare un po’ le somme e avviarci alla conclusione, ormai la parola “diritto” (cui, peraltro, non viene abbinato MAI la parola “dovere”) è intesa in maniera meramente individualistica (dell’“alterum” e dell’“honeste vivere” di ciceroniana e ulpianea memoria non se ne parla più) e usata in tutti i modi e in tutte le salse, arrivando a scambiare la libertà (che non può non essere finalizzata e abbinata alla responsabilità) con la licenza, a parificare il bene comune (il fine ultimo di ogni atto giuridico e politico) con qualsiasi situazione soggettiva (da quella indifferente dal punto di vista giuridico e politico, a quella nociva), infine a considerare il desiderio – e più spesso il capriccio – come fonte del diritto (una cosa che non è mai successa in nessun sistema giuridico e politico, a prescindere dalle coordinate geografiche e temporali, religiose e ideologiche); se tutto ciò è drammatico, ancor più drammatico è il caso di giuristi (dal semplice studente all’operatore) che cadono in queste trappole moderne e corrette, ma in questo caso la loro ignoranza non ha scusanti…
Solo il diritto naturale può evitare che il diritto si snaturi e divenga schiavo di Stati e governi (portando alla Rechtsbeugung, la stortura del diritto, tema a me molto caro) e delle più varie ideologie politiche (siano queste il nazismo o il comunismo ieri, o, oggi, il dirittumanismo e il politically correct)…eliminato il giusnaturalismo (dopotutto, se non esiste una verità assoluta o un pensiero giusto, se non esiste nessuna legge naturale insita nell’uomo, chi diviene fonte del diritto, e cosa impedisce allo Stato di produrre esso stesso il diritto?) dal tanto baldanzoso giuspositivismo (e sarebbe anche interessante approfondire il collegamento tra positivismo giuridico e positivismo scientifico), si sono avuti i lager nazisti e comunisti!
Pio XII, nei suoi primi discorsi e nella sua prima Enciclica (la “Summi Pontificatus”, scritta nell’ottobre del 1939, a Seconda Guerra Mondiale iniziata da più di un mese), aveva parlato esplicitamente di “modernolatria”, e nei suoi ultimi anni (famoso al riguardo è un discorso agli uomini dell’Azione Cattolica pronunciato nell’ottobre del 1952) aveva esplicitamente parlato di una politica, una economia e un diritto “senza Dio”, in entrambi i casi condannando questo mondo moderno (“un mondo che solo e impropriamente osa definirsi libero”), dimentico di Dio e prima ancora della ragione naturale.
Pio XI, all’approssimarsi delle grandi ideologie totalitarie da un lato e della finanza e della plutocrazia liberale apolide, aveva indicato un rimedio: la Regalità, Sociale e Spirituale, di Nostro Signore Gesù Cristo.
Sono stati, questi, anche i rimedi che, davanti ad un nuovo avanzare della stessa finanza e plutocrazia e all’avanzare di un nuovo totalitarismo democratico e dirittumanista (peraltro alleati, quanti sanno che la banca d’affari Goldman Sachs, tra le prime responsabili di questo disastro finanziario e sociale in cui ci troviamo, è una grande sponsor dei matrimoni gay, o che lo speculatore e criminale George Soros è tra i grandi finanziatori delle campagne a favore della droga libera?) Papa Benedetto XVI ha indicato: la Regalità di Cristo (vedasi l’Angelus per la Solennità di Cristo Re dell’anno 2008) e la riscoperta e il ritorno al diritto naturale (vedasi il discorso ufficiale al Reichstag, il Parlamento tedesco, nel settembre del 2011); sta a noi seguirli e farli nostri, nelle nostre vite pubbliche (a maggior ragione se giuristi) e private (che devono esplicarsi in coerenti e conseguenti vite pubbliche).
 
Roberto De Albentiis
 
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