domenica 12 maggio 2013

Obiezioni antinobiliari impregnate dello spirito ugualitario della Rivoluzione francese (Estratto dall'opera di Plinio Corrêa de Oliveira "Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana").


 

Nobiltà, élites: perché mai, in questo libro, ci preoccupiamo solo di loro? Questa è l'obiezione che, indubbiamente, verrà in mente a lettori ugualitari, dalla mentalità ipso facto antinobiliare.
La società odierna è satura di preconcetti radicalmente ugualitari, a volte accolti coscientemente o meno perfino da persone che fanno parte di settori di opinione dai quali si potrebbe aspettare una compatta unanimità nel senso opposto. E questo il caso, per esempio, di ecclesiastici entusiasmati dal trinomio rivoluzionario Libertà-Uguaglianza-Fratellanza e per ciò stesso dimentichi del fatto che esso veniva allora interpretato in un senso diametralmente contrario alla dottrina cattolica.
Se troviamo queste dissonanze ugualitarie perfino in certi ambienti del clero, non deve sorprendere tanto il fatto che si manifestino anche fra nobili o membri di altre élites tradizionali. Essendo recentemente caduto il secondo centenario della Rivoluzione francese, queste riflessioni fanno venire in mente istintivamente il nobile rivoluzionario per eccellenza: il Duca di Orléans Philippe Egalité. Da allora in poi, il suo esempio non ha cessato di essere imitato in più di una stirpe illustre.
Quando, nel 1891, Leone XIII pubblicò la sua celebre Enciclica Rerum novarum sulla condizione del mondo operaio, non mancò chi obiettasse, in certi ambienti capitalistici, che le relazioni tra capitale e lavoro costituivano materia specificamente economica, per cui il Romano Pontefice non aveva nulla a che fare con essa. La sua Enciclica costituiva pertanto una indebita intromissione in campo altrui...
Non mancheranno lettori che, a loro volta, si domanderanno cosa ha a che fare un Papa con la nobiltà o con le élites, tradizionali o meno. La loro stessa sopravvivenza, nei nostri tempi così cambiati, sembrerà un residuo arcaico e inutile del mondo feudale. In questa prospettiva, la nobiltà e le élites contemporanee non sarebbero altro che un punto di riferimento, e addirittura di irradiazione, di maniere di pensare, sentire ed agire non apprezzate dall'uomo di oggi, e nemmeno capite. Quei pochi che ancora le apprezzano sarebbero ispirati da fatui sentimenti meramente estetici o poetici. Coloro che, per il fatto di farne parte, si sentono ancora in posizione di rilievo, sarebbero vittime di un mero sentimento di orgoglio e di vanità. Nulla quindi impedirà - penseranno questi lettori - che il percorso implacabile dell'evoluzione storica finisca per ripulire interamente la faccia della terra da queste sopravvivenze obsolete. E se Pio XII non ha agevolato il cammino della Storia - così inteso - almeno non doveva ostacolarlo.
Perché mai, inoltre, Pio XII ha trattato così ampiamente questo argomento in un senso che evidentemente lusinga animi contro rivoluzionari come quello di colui che ha raccolto i suoi insegnamenti sul tema, li ha annotati ed adesso li rende pubblici? Non sarebbe stato meglio che il Pontefice avesse taciuto?
La risposta a queste obiezioni ugualitarie, impregnate della vecchia mentalità dell'Ottantanove, è semplice. Chi la vuole conoscere, non potrà far nulla di meglio che ascoltarla dalle stesse autorevoli parole di quel Pontefice. Come più avanti si vedrà  , nelle sue allocuzioni al Patriziato ed alla Nobiltà romana, egli indica, con notevole potere di sintesi, il profondo significato morale del suo intervento in questa materia. Egli mette anche in rilievo il ruolo legittimo della nobiltà, nel contesto di una dottrina sociale ispirata dal Diritto naturale nonché dalla Rivelazione. Contemporaneamente, mostra tutte le ricchezze spirituali che, nel passato cristiano, furono caratteristiche della nobiltà, e asserisce che essa continua ad essere custode di queste ricchezze,
aggiungendo che le spetta l'elevata missione di affermarle e irradiarle nel mondo contemporaneo. E ciò perfino quando l'azione devastante delle rivoluzioni ideologiche, delle guerre mondiali e delle crisi socio- economiche avessero ridotto molti nobili in concreto ad una condizione modesta. In più di un passaggio, e in maniera altamente onorifica, il Pontefice ricorda l'analogia della loro situazione con quella di san Giuseppe, Principe della Casa di Davide eppure modesto carpentiere, ma soprattutto padre putativo del Verbo Incarnato e casto sposo della Regina di tutti gli Angeli e di tutti i santi.