Non avrei mai creduto che un giorno avrei ringraziato Don Gallo. La morte, però, ti costringe a prendere una posizione, a stare di qua o di là; la morte non dialoga, non “cerca ciò che unisce”, non le serve perché sa benissimo che ciò che ci unisce in questa vita è proprio lei. La morte non è solo per il morto, la morte è anche per noi, anzi forse è più per noi che per lui: noi non possiamo sapere quale confronto ci sia stato tra il morente e Dio, ma possiamo ben renderci conto se la sua dipartita ci ha posto dinanzi all’esistenza del Creatore e che somme ne abbiamo tratto, per il nostro destino e per i Suoi disegni per noi. La morte non è un giudizio sul morto, è un giudizio su di noi, alla fine. Ed è parametro di giudizio sull’agire degli altri, nello specifico – ché qui voglio arrivare – su come gli altri intendano un cammino di Verità quale è la Fede.
Ora, i funerali di Don Gallo – per questo lo ringrazierò sempre – mi hanno fatto comprendere tante cose.
Mi hanno fatto comprendere ad esempio come è facile mettere il rispetto umano al di sopra del Corpo di Cristo, e penso senza troppi giri di parole all’Eucaristia che il Cardinal Bagnasco ha ritenuto di porgere a Valdimiro Guadagno ed al suo collega che neppure mi ricordo come si chiama. Per quale ragione un uomo di Chiesa, un principe della Chiesa, avrebbe dovuto dare l’Eucaristia, il Corpo di Cristo, ad un peccatore manifesto ed impenitente? Che Il Sig. Guadagno sia peccatore impenitente alla luce del Vangelo e del Magistero è indiscutibile, si spera. O no? Poi uno ci pensa meglio e si ricorda che già Ruini aveva comunicato Berlusconi e Vendola: perché dunque Bagnasco non può dare l’Ostia a Vladi e non so come si chiama quell’altro?
Ci sono stati molti gesti, molti silenzi di Bagnasco e della CEI, in questi anni, che hanno suscitato dubbi, hanno provocato interpretazioni rassicuranti (del tipo: “ma no, vedrai che c’è un altro fine”, “ma cosa ne sai tu cosa c’è dietro”, “è tutto per il bene” e via ipotizzando). Per il “caso Don Gallo” la lettura tranquillante era che la Curia non prendesse provvedimenti per evitare di dargli ulteriore visibilità, per non farne l’ennesimo (presunto) martire della “Chiesa oscurantista”; e qualche fondamento, questa lettura, ce l’aveva. Ma forse più fondate erano le ragioni del Cardinal Siri, che, bandita ogni tattica, spedì il Gallo a cantar fuori da Genova e tanti saluti, a tutela della salute delle anime, così come da un cesto di funghi buoni si scarta quello che buono pareva ed era invece avvelenato. Oggi non s’usa più, ad oggi gli ultimi illustri sospesi a divinis sono stati Padre Pio e, qualche anno dopo, Monsignor Lefevbre. Poi, sacramenti in libertà. Ma mentre ancora ci si stava chiedendo cosa passasse per la testa di Bagnasco e compagni, ecco che alle galliche esequie il nostro dava l’Eucaristia a Guadagno, sollevandoci così dal tedio di speculazioni alla camomilla, una sorta di benzodiazepine intellettuali che molti cattolici si autopropinano in dosi massicce da qualche tempo a questa parte. Bene, Monsignore, non sono certo io che devo insegnarLe quando amministrare un Sacramento; manco Luxuria, però.
Un’altra cosa che ho imparato dal funerale del “prete degli ultimi”, è che certi “ultimi” hanno proprio tanta voglia d’essere primi su questa terra. Non mi pare che il Vangelo dica questo, ma tant’è. Quindi il problema non è se la prostituta abortisce, o se il trans continua a transeggiare: esiste una mezza specie di “diritto alla redenzione”, che, se non offerta spontaneamente, può essere ottenuta coattivamente mediante il ricorso ai tribunali mediatici, ove operano giudici di provata imparzialità e soprattutto fini conoscitori della dottrina cattolica quali Lerner, Formigli, Santoro, Augias, per il mezzo del deposito della propria faccia davanti ad una telecamera. Certo, erano prostitute pure quelle che Don Benzi raccoglieva dalla strada, ma quelle non erano ultime abbastanza, perché hanno deciso di cambiare vita quindi non sono più ultime. Sarebbero ultimi pure i poveri che vengono assistiti da centinaia di sacerdoti e suore in tutta Italia, ma molti di quei poveri non sono comunisti e non sfilano con i Radicali, perciò non sono poi così ultimi. Erano ultimi, ora che ci penso. anche gli orfanelli di Don Bosco, ma quelli on si facevano le canne ed uno è pure diventato Santo, perciò altro che ultimi, quelli erano beghini di Parrocchia. Gli ultimi veri, quelli di Don Gallo, i trans da vetrina, le prostitute che abortiscono e via dicendo, hanno bisogno di essere primi qua, subito, lo pretendono e non gli si può dire mica di no. Cominciamo con una concessione da poco, tipo la Santa Comunione: poi, da lì ad una legge sulle coppie gay o sulla legalizzazione della prostituzione è un attimo. E ci precederanno di gran lunga nel regno dei media.
Altra lezione è stata la composta, signorile, tollerante reazione della segretaria (sì, “segretaria”) di Don Gallo che, all’alzarsi delle contestazioni a Bagnasco che s’è permesso addirittura di ricordare Monsignor Siri (che nel frattempo, immagino nella tomba stesse a 15000giri/minuto), ha invitato gli ultimi, che s’erano un po’ risentiti, a placarsi perché, come Don Gallo insegnava, bisogna ascoltare tutte le voci. Nel grande abbraccio della tolleranza, dunque, c’è posto persino per un Cardinale che in Chiesa si permette un’omelia, diciamo così, un po’ sopra le righe; un tizio impaludato senza manco una sciarpa arcobaleno che attacca a parlare di cose che poco hanno a che vedere con la politica o con la “solidarietà companera”. Tocca sentire anche questo, e va sopportato, Don Gallo ce l’ha insegnato e pazienza se gli ultimi di Don Gallo, in un momento di defaillance evidentemente dovuto alla commozione, se ne sono dimenticati ed hanno protestato.
Ho notato un prete antimafia, alle galliche esequie, e me ne sono un po’ meravigliato, perché in quello stesso giorno a Palermo veniva beatificato Don Pino Puglisi, un prete che la mafia l’ha sfidata a sorriso aperto, sorriso al quale la mafia ha risposto come sa fare lei, con una pallottola silenziata alla nuca di notte. Questo prete antimafia, questo che era ai funerali, intendo, non Don Puglisi, non ha perso occasione davanti alle telecamere di reclamare una Chiesa “libera dal potere” e bla bla bla, e manco una parola su quel sacerdote che è stato ammazzato sotto casa una notte di tanti anni fa. Ma del resto, se Bagnasco era a Genova e non a Palermo, perché Don Ciotti avrebbe dovuto essere a Palermo e non a Genova? Don Ciotti mi ha insegnato che non conta la testimonianza, conta il testimonial: e dinanzi al personaggio Don Gallo, così carismatico, così cane sciolto, il Beato Don Puglisi, siamo franchi, non regge il confronto e Don Ciotti l’ha subito capito. Don Puglisi era povero nella Chiesa, Don Gallo pretendeva povertà dalla Chiesa, e decisamente il secondo era più up to date del primo. Quindi, è il trend che va agganciato, e poi ‘ste beatificazioni sono cose d’altri tempi. Meglio intitolargli una cooperativa, piuttosto.
Ho imparato anche tante altre cose, ma quelle che ho riportato bastano e avanzano. Ma un’altra la dico. Ho imparato che la Chiesa è qualcosa di immenso, una storia millenaria che non Galli né Bagnaschi possono sovvertire. Questa storia ce la stiamo perdendo, dietro i testimonial, dietro gli ultimi ma belli, dietro ai preti rossi ed ai priori Bianchi, dietro al rispetto umano per chi non ha alcun rispetto del Divino. Ma è una storia ancora forte, ancora viva e lo prova proprio il fatto che su Don Gallo tutti i nemici della Chiesa hanno parlato e pontificato, commemorato; significa che hanno bisogno di figure come il prete comunista preservativo e canne, che devono ancora attaccare e fuorviare, confondere e piegare, perché sanno che la vittoria contro la Sposa di Cristo è lontana (a dire il vero, sarebbe una vittoria impossibile, ma loro non se ne fanno una ragione e insistono). Qualcuno è confuso e piegato, qualcuno aspetta attorno ad una fiammella accesa che la notte passi e canti il gallo. Con la “g” piccola e, possibilmente, non tre volte.
Massimo Micaletti
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