venerdì 31 ottobre 2014

Estratti dal libro "Cervignano austriaca" di Bruno Fontana

 
 



Di Redazione A.L.T.A.

PRESENTIMENTI - PROFEZIE (Estratto dell'opera di mons. Delasuss "Il Probblema dell'ora presente", Tomo II°) .

 
 
 
San Pio X
Abbiamo udito, o udiremo, Pio IX, Leone XIII e Pio X, de Maistre e de Bonald, Donoso Cortes e de
Saint-Bonnet, annunciare, pel nostro tempo, un intervento divino straordinario. Quanti altri nomi si
potrebbero aggiungere a questi nomi illustri, la cui autorità s'impone ... !

Prima d'andar avanti, è necessario esaminare l'autorità che si deve concedere a questi presentimenti
o a queste previsioni.
Nelle Soirées de Saint-Pétersbourg, de Maistre ha fatto tenere questo linguaggio al Senatore
(russo): "Signori, noi dobbiamo occuparci più che mai di queste alte speculazioni, poiché fa d'uopo
tenerci pronti ad un avvenimento straordinario nell'ordine divino, verso il quale camminiamo con
moto accelerato, che deve riempire di stupore tutti gli osservatori. Non havvi più religione sulla
terra: il genere umano non può rimanere in questo stato. D'altra parte oracoli formidabili
annunziano che i tempi sono arrivati. Molti teologi, anche cattolici, hanno creduto che fatti di
prim'ordine e poco lontani fossero annunziati nella rivelazione di S. Giovanni ... Uno di questi
scrittori giunse fino a dire, che l'avvenimento era già incominciato, e che la nazione francese dovea
essere il grande strumento della massima delle rivoluzioni. Non evvi forse un uomo religioso in
Europa (parlo della classe istruita) che non aspetti in questo momento qualche cosa di straordinario;
or, ditemi, Signori, credete voi che questo accordo di tutti gli uomini possa essere disprezzato? Non
è questo un grido rivelatore di grandi cose?"

Il Senatore ricorda i presentimenti che furono espressi presso i pagani, negli anni che precedettero la
venuta del divin Salvatore. Egli continua:

"Il materialismo che imbratta la filosofia del nostro secolo, gl'impedisce di vedere che la dottrina
degli spiriti, e specialmente quella dello spirito profetico, è più che credibile in se stessa, e, di più, la
meglio sostenuta dalla tradizione più universale e la più imponente che mai. Pensate voi che gli
antichi si sieno tutti accordati a credere che la virtù divinatoria o profetica sia un appannaggio
innato dell'uomo? (In nota, molte opere da consultarsi). Ciò non è possibile. Mai un individuo, ed a
più forte ragione, una classe intiera d'individui, potrebbe manifestare generalmente ed
invariabilmente una inclinazione contraria alla propria natura. Ora, siccome l'eterna malattia
dell'uomo è di penetrare nell'avvenire, quest'è una prova certa ch'egli ha dei diritti su questo
avvenire, e che ha dei mezzi per conseguirlo, almeno in certe circostanze ...


Nicolò Machiavelli
"Se voi mi chiedete che cosa è questo spirito profetico, io vi risponderò che non accaddero mai nel
mondo grandi avvenimenti che non sieno stati in qualche modo predetti. Machiavelli, è il primo
uomo, per quanto io sappia, che abbia messa innanzi questa proposizione; ma se vi riflettete, voi
stesso, troverete che l'attenzione di questo pio scrittore è giustificata dalla storia. Ne avete un ultimo
esempio nella Rivoluzione francese, predetta in tutte le sue circostanze e nel modo il più
incontestabile ... Perché non volete che avvenga oggi lo stesso? L'universo è nell'aspettazione.

Come disprezzeremo noi questa grande persuasione? E con qual diritto condanneremo noi gli
uomini che, avvertiti da questi segni divini, si dedicano a sapienti ricerche? ... Poiché da tutte le
parti una moltitudine di esseri grida ad una voce: Venite, Signore, venite! Perché biasimerete voi gli


uomini che si slanciano in questo avvenire misterioso, e si fanno una gloria di congetturarlo? ...

"Dio parlò una prima volta agli uomini sul Monte Sinai, e quella Rivelazione fu circoscritta, per
ragioni che noi ignoriamo, entro i confini angusti di un sol popolo e di un sol paese. Dopo quindici
secoli, una seconda Rivelazione è stata fatta a tutti gli uomini senza distinzione, ed è quella che noi
 godiamo; ma l'universalità della sua azione doveva pur ancora essere grandemente ristretta dalle
circostanze di tempo e di luogo. Altri quindici secoli doveano trascorrere prima che l'America
vedesse la luce; e le sue vaste contrade contengono ancora una quantità di orde selvaggie, si
estranee al gran beneficio, da far quasi credere che ne sieno escluse per natura, in virtù di qualche
anatema primitivo ed inesplicabile. Il gran Lama ha più sudditi spirituali che il Papa; il Bengala
conta settanta milioni di abitanti, la Cina ne conta duecento, il Giappone venticinque o trenta.

Considerate ancora quegli arcipelaghi immensi del Grande Oceano che formano al giorno d'oggi
una quinta parte del mondo.

"I vostri missionarii hanno, senza dubbio, fatto meravigliosi sforzi per annunziare il Vangelo in
alcune di quelle contrade, ma con qual successo?(1) Quante miriadi d'uomini esistono, a cui non
perverrà mai la buona novella! La scimitarra dei figli d'Ismaele non ha scacciato quasi intieramente
il cristianesimo dall'Africa e dall'Asia? E infine nella nostra Europa, quale spettacolo si offre
all'occhio religioso? Il cristianesimo è radicalmente distrutto in tutti i paesi sottomessi alla riforma
insensata del secolo XVI, ed anche nei vostri paesi cattolici, sembra non esista che di nome ... Qual
odio da una parte e dall'altra, qual prodigiosa indifferenza in mezzo a voi per la religione, e per tutto
ciò che ad essa si riferisce! Quale scatenamento di tutti i poteri cattolici contro il capo della vostra
religione! A quale estremo l'invasione generale dei vostri principi non ha ridotto presso di voi
l'ordine sacerdotale! Lo spirito pubblico che li ispira, o li invita, s'è rivolto interamente contro
questo ordine. È una congiura, è una specie di furore ...

"D'altra parte, esaminate voi stessi senza pregiudizi, e sentirete che il vostro potere vi sfugge; voi
non avete più quella coscienza della forza che sì spesso ricomparisce sotto la penna di Omero,
quando vuol renderci sensibile la grandezza del coraggio. Voi non avete più eroi, non osate più
nulla, e tutto si osa contro di voi. Contemplate questo lugubre quadro, aggiungetevi l'aspettazione
degli uomini distinti, e vedrete se gl'illuminati han torto d'intravedere come più o meno prossima
una terza manifestazione della onnipotente Bontà in favore del genere umano. Io non finirei più se
volessi raccogliere tutte le prove che concorrono a giustificare questa grande aspettazione".(2)


G. de Maistre

Il conte, cioè G. de Maistre, dopo di aver rettificato talune delle parole del Senatore, dice: "Voi
aspettate un grande avvenimento: sapete che su questo punto, io sono interamente del vostro avviso,
e mi sono spiegato abbastanza chiaramente in una delle nostre prime conversazioni".
Ai presentimenti degli uomini superiori, fa mestieri aggiungere le profezie dei santi, o delle persone
che parvero favorite del dono della profezia.

Negli anni trascorsi tra il 1870 e 1880, le profezie sono cadute in completo discredito. È mestieri
abbandonarsi ciecamente a questo movimento d'opinione?
La Chiesa di Dio, perché è sempre santa, sarà sempre provveduta di doni divini, particolarmente dei
miracoli e delle profezie, che sono pel mondo le testimonianze autentiche che Dio è sempre con lei.

"Il nostro secolo, ha detto Mons. Roess, vescovo di Strasburgo, ha specialmente bisogno di sapere
che Dio dirige tutti gli avvenimenti di questo mondo per mezzo della sua divina Provvidenza, e che
se vuole far ben conoscere i suoi disegni all'umanità, li rivela alle anime umili". E monsignor
Vibert, vescovo di S. Giovanni di Maurienne: "Dio prova con queste profezie, che tutto è
sottomesso al suo governo, e, perché la prova sia più completa, egli si serve, quasi sempre, per
annunziare i più grandi avvenimenti, di coloro che sono piccoli e senza valore nell'opinione del
mondo: Revelasti ea parvulis". Mons. Marinelli, vescovo di Syra. dice da parte sua: "Nell'immenso
amore che Dio porta alla sua Chiesa, opera delle sue mani, ed agli uomini, i quali quasi sempre son
ingrati, ma che nondimeno sono sue creature, egli si è degnato di predire ed annunciare ai mortali,
per la bocca de' suoi profeti, fin dall'origine del mondo e nell'Antico Testamento, vera figura e tipo
 della sua Chiesa nel Nuovo Testamento, le vicessitudini della santa Chiesa, le tribolazioni ed i mali
che in tutte le epoche e sopratutto verso la fine dei tempi, doveano colpire ed opprimere il mondo,
affine di tenere gli uomini in sull'avviso contro Satana ed i suoi emissari, e disporli a prevenire,
nella penitenza e nell'umiltà, i colpi della Giustizia divina sospesi sul capo dei malvagi. Quindi per
una particolare provvidenza Dio ha voluto far precedere, in ogni tempo, le grandi catastrofi del
mondo e le grandi tribolazioni della Chiesa, da segni precursori e da predizioni, perché i colpi
preveduti, riescano meno terribili a sopportare, dice S. Gregorio Magno".

Dio usò particolarmente questa misericordia nel nostro tempo. Mai forse si ebbero tante profezie.
Perché sono cadute in tanto discredito ? Appunto per l'abuso che se ne è fatto.
Vi sono stati i venditori del Tempio, che hanno guadagnato denaro con quelle che essi inventavano.
Molte volte abbiamo dovuto segnalarli nella Semaine religieuse e stigmatizzare questo traffico
sacrilego.

Vi sono stati anche degli interpreti. Essi hanno voluto determinare i tempi e i tempi non risposero
alla loro determinazione. I loro calcoli mancavano di base. Le profezie sulle quali li appoggiavano
non hanno la consistenza che dovrebbero avere per permettere di stabilire delle previsioni serie e
precise. Tramandate assai di sovente di bocca in bocca prima d'essere state rese stabili per iscritto,
subirono delle alterazioni, delle trasposizioni, sebbene non offrano un terreno solido a quelli che
vogliono determinare i tempi e i momenti fissati dalla sapienza eterna, sia alla giustizia, sia alla
misericordia.

Fa d'uopo aggiungere che, anche nelle profezie indubbiamente rivelate e conservate nella loro
autenticità, Dio ha sempre lasciato dei lati oscuri che non furono rischiarati se non dagli
avvenimenti, e dei problemi la cui soluzione dipende dal libero arbitrio dell'uomo. La è così anche
delle profezie evangeliche.

Infine, nello studio delle profezie, bisogna comprendere che Colui che le ha fatte ha dinanzi a sé
tutta l'estensione dei secoli. "L'impazienza è ben naturale a noi - dice Giuseppe de Maistre - poiché
soffriamo; ma fa di mestieri essere abbastanza filosofi per vincere i primi movimenti. I minuti degli
imperi sono gli anni dell'uomo: noi dunque che non viviamo se non poco più di ottanta minuti, dai
quali bisogna detrarne dieci per la infanzia e dieci per la vecchiaia, subito che una calamità dura,
per es., venti minuti, noi diciamo: è finito".


Limitandosi a ciò che riguarda la Francia, a ciascuna delle nostre rivoluzioni quelli che se ne son
fatti gl'interpreti, le hanno sollecitate per farle parlare secondo le loro idee e far loro annunciare
quello che desideravano.
Nemmeno il degnissimo ab. Richaudeau si è potuto sottrarre alla tentazione di determinare.
Nell'articolo necrologico che gli consacrò la Semaine religieuse di Blois, è detto che, sollecitato da
tutte le parti, nel 1870, egli pubblicò la Profezia di Blois "accompagnandola da schiarimenti". "Noi
crediamo - dice la Semaine - che sarebbe stato più logico di lasciar intatto il testo conservato dalla
tradizione senza cercare di metterlo in rapporto diretto e forzato cogli avvenimenti che
minacciavano o con quelli che erano accaduti. In questo argomento, crediamo noi, certe
considerazioni imponevano al dotto limosiniere una parte esclusivamente passiva, che dovea
limitarsi al visto d'un testimonio, la cui missione naturale era di affermare l'esistenza di questa
tradizione. La prudenza esigeva si evitassero interpretazioni particolari che erano fatalmente
arrischiate, ed esponevano l'elemosiniere a disdirsi un momento o l'altro. Era naturale di lasciare
all'avvenire la cura di giustificare questa tradizione del monastero di Blois". Niente di più saggio,
ma nulla fu peggio osservato, non solamente dall'abate Richaudeau, ma si può dire da tutti gli
editori di profezie.

Le ingiurie che così sono loro state fatte, non impediscono affatto che non esistano. Per non parlare
che di quella di cui qui si tratta, la Semaine di Blois, afferma in questi termini la sua autenticità: "La
 profezia di Blois è stata fatta nel 1804. Conservata per tradizione nell'interno del convento, essa fu
primieramente una serie di confidenze fatte da una suor Marianna, pia portinaia del monastero, e
che era stata favorita di grazie singolari. Queste confidenze erano state comunicate alla madre
Provvidenza, religiosa dello stesso convento, la quale alcuni anni or sono, viveva ancora. Visto il
carattere e le virtù di suor Marianna, non eravi alcun dubbio da mettere sul valore della sua
testimonianza. Era certo, nello stesso tempo, che la comunità era stata testimone di molti fatti
annunziati dalla profezia in termini, è vero, molto enigmatici da principio, ma divenuti molto chiari
dopo l'avvenimento".

Che diceva questa povera giovane cent'anni or sono?

"Sarà necessario pregar molto, perché gli empi vorranno tutto distruggere". Ella avea detto "gli
empi". Si volle, prima del 1870, farle dire: I Prussiani. "Prima del gran combattimento, essi saranno
i padroni, faranno tutto il male che potranno, non tutto quello che vorranno, poiché non ne avranno
il tempo".

Non ci lascieremo condurre alla tentazione in cui cadde l'abate Richaudeau, quantunque sia molto
lusinghiera. Diremo tuttavia che nel 1884 proponemmo all'Univers un articolo che fu pubblicato il
13 giugno, in cui dicevamo: "Sono veramente "gli empi" che sono attualmente "i padroni"; essi
fanno tutto il male che possono; hanno pure la volontà decisa di "tutto distruggere". Questa volontà
e questo potere che aveano, venti anni fa, l'hanno assai più al giorno d'oggi; sono all'opera, niente li
arresta, e si può dimandarsi: che cosa domani resterà in piedi? La povera portinaia aggiungeva: Non
faranno tutto il male perché non ne avranno il tempo".

Che cosa sopraggiungerà per mettere in esecuzione tutti i loro progetti? Un grande combattimento
in cui gli empi sul punto di trionfare saranno schiacciati, mercé un soccorso che verrà dall'Alto. "Vi
saranno cose tali che i più increduli saranno costretti a dire: "Qui c'è il dito di Dio". Quindi: "Si
canterà un Te Deum come non si è mai cantato". Allora "il trionfo della religione sarà così grande,
che non si vide mai l'eguale; tutte le ingiustizie saranno riparate, le leggi civili saranno messe in
armonia con quelle di Dio e della Chiesa; l'istruzione data ai fanciulli sarà eminentemente cristiana;
le corporazioni operaie saranno ristabilite".


Santa Caterina da Siena, affresco di Andrea Vanni nella Basilica di san Domenico, Siena.
Santa Caterina da Siena, affresco di Andrea Vanni
 nella Basilica di san Domenico, Siena.
Così parlava, son già cent'anni, una umile religiosa che non fu giudicata capace se non di custodire
la porta. Come si può non notare il rapporto che esiste fra le sue parole e quelle delle più eminenti
intelligenze dell'ultimo secolo e quelle di S. Caterina da Siena citate più sopra al capitolo X? E
come spiegare, senza ammettere lo spirito profetico, che questa povera giovane abbia saputo allora
che la potenza degli empi crescerebbe sempre più, fino a permettere loro di sperare che potrebbero
distrugger tutto, che potrebbero "andare fino agli estremi", come disse il sig. Combes, e che dopo la
loro disfatta, quello che si sarebbe giudicato come più necessario, ed a cui sarebbe uopo applicarsi
immediatamente, sarebbero queste tre cose: mettere le leggi civili in armonia colle leggi di Dio e
della Chiesa; dare ai figli una educazione eminentemente cristiana; ristabilire le corporazioni
operaie? Quest'ultimo punto appariva così singolare all'ab. Richaudeau, nel 1880, ch'egli giudicava

bene di mettere fra parentesi "dietro dimanda degli operai probabilmente; in ogni caso è chiaro che
esse non possono venir ristabilite senza il loro consenso". Ciò non ci sembra più strano. Ma come
suor Marianna poteva avere siffatti pensieri, e prevedere necessità di questo genere? La necessità
non solo di riparare a tutte le ingiustizie, ma di ricostituire sulle sue basi divine ed ecclesiastiche
tutto l'edificio delle leggi; la necessità di restituire all'insegnamento il primo principio
dell'educazione, l'istruzione cristiana; la necessità di organizzare ex novo il mondo operaio? Non è
cotesto il programma che dovrà tracciarsi colui che avrà il pensiero, la volontà, il potere di porre in
assetto la nostra società scossa fino dalle sue fondamenta più profonde?

Abbiamo presa questa profezia come tipo, perché non avvene alcuna più universalmente conosciuta.
Molte altre condurrebbero alle medesime conclusioni. Tutte nel loro modo parlano d'uno stato
disperato a cui porrà fine un intervento divino, seguito dal ristabilimento di tutte le cose.

Se le esaminiamo nei loro punti salienti, se le confrontiamo fra loro, vedremo ch'esse si accordano
nel dirci che siamo vicini ad un avvenimento che porrà fine alla Rivoluzione, restituirà la pace alla
Chiesa, riporrà la Francia nelle condizioni normali della sua esistenza e le renderà quella
preminenza e quella magistratura che esercitò sull'Europa e sul mondo per lo stabilimento e
l'estensione del regno di Nostro Signore Gesù Cristo.

Le grandi intelligenze giudicano che se noi non siamo ancora giunti alla fine dei tempi, è mestieri
che le cose così avvengano, e gli umili ci dichiarano aver appreso soprannaturalmente che questo
avverrà.

Pio IX ha più volte parlato come gli uni e gli altri.
Ricevendo una deputazione austriaca, il 5 marzo 1871, egli disse: "La tempesta scatenerà più
furiosa i suoi marosi; ma essi dovranno retrocedere. Io non so né il tempo né l'ora. Ma quello che è
certo si è che verrà il giorno in cui il Signore dirà: Usque huc et non ultra, hic confringes tumentes
fluctus tuos".


Nello stesso mese del medesimo anno, egli disse ai parroci di Roma riuniti intorno a lui
nell'occasione dell'apertura della Quaresima: "Tante preghiere faranno alfine sorgere l'aurora della
pace? E questa aurora sorgerà presto? È certo ch'essa spunterà, ma si leverà presto? Io l'ignoro.

Forse avremo da sopportare altri dolori ... dobbiamo risorgere dall'abisso di corruzione in cui,
permettendolo la Provvidenza, siamo caduti; ma chi sa che non ci sieno riservate prove maggiori?
Saremo certamente glorificati da una vendetta degna di Dio; questa vendetta si eserciterà mercé
l'ammirabile conversione, oppure mediante il terribile castigo de' suoi nemici?"

Tre mesi più tardi, egli diceva ai giovani romani del Circolo di S. Pietro: "Poiché niente noi
possiamo aspettarci dagli uomini, poniamo sempre la nostra speranza in Dio, il cui Cuore si prepara,
mi sembra, a compiere, nel momento da lui scelto, un gran prodigio che riempirà il mondo di
stupore".

Il 15 dicembre dello stesso anno, ricevendo una deputazione di collegi esteri stabiliti in Roma, disse
ancora: "Sono convinto che la presente persecuzione è molto più terribile di quella che la Chiesa ha
sostenuto pel passato. Volete voi conoscerne la ragione? Levate gli occhi, miei cari figli,
considerate la società, e vi accorgerete che essa non è cieca, ma apostata. L'apostata è più riprovato
agli occhi di Dio".

Tuttavia nel pensiero del santo Pontefice, questa riprovazione non era né assoluta né irrevocabile.
Un mese più tardi, il 25 gennaio 1872, così egli diceva ai fedeli di tutte le nazioni riuniti intorno a
lui, e protestanti contro l'abbandono in cui la diplomazia lasciava la Santa Sede: "La società è stata
chiusa come in un labirinto da cui non potrà uscire senza la mano di Dio".

In quante altre circostanze, Pio IX affermò la stessa impossibilità dal canto degli uomini e la stessa
speranza per riguardo di Dio!
Pio X non parla diversamente. Ricevendo il Card. Coullié, accompagnato da molti preti francesi,
dopo la Beatificazione del santo Curato d'Ars, disse: "Nei momenti difficili, scabrosi, noi siamo
impazienti di vedere la vittoria; ma non bisogna dimenticare che la Chiesa, cominciando dalla
persona del suo Fondatore, fu sempre perseguitata. Bisogna adattarci alle disposizioni
provvidenziali e armarci di pazienza. Dio permette le prove per purificarci. Ma siamo sicuri che la
sua protezione non ci mancherà e che la sua potenza splenderà nel momento provvidenziale.
"Io vi prego, continua il Papa con profonda emozione, io vi prego di unirvi a me in questa
convinzione che ben presto Dio opererà dei prodigi che ci daranno, non solo fiducia di credere che
la Francia non cesserà d'essere la Figlia primogenita della Chiesa, ma la gioia di constatarlo non
solamente nelle sue parole, ma ne' suoi atti".
 
Note:

(1) Le Missioni cattoliche hanno pubblicato nel loro numero del 1° aprile 1904 il riassunto di uno


studio interessante dovuto al P. Krote S. I. Questo riassunto era comparso qualche giorno prima
nella edizione tedesca: Die Katholischen Missionen di Friburgo (Baden). Secondo l'eminente


religioso vi sarebbero attualmente nel mondo 550 milioni di cristiani ed un miliardo non cristiani.

Dei 550 milioni di cristiani 374 abitano l'Europa, 134 l'America, 29 l'Asia, 8 l'Africa e 4 l'Oceania.

Continenti Cattolici Protestanti Greci

ortodossi

Raskolnik

ortodossi

russi

Orientali

Europa.... 177.657.261 97.293.434 97.059.645 1.736.464 220.394

America 71.330.879 62.556.967 - - -

Asia 11.513.276 1.926.108 12.034.149 436.907 2.726.053

Africa 3.004.563 1.663.341 53.479 - 3.608.466

Oceania 979.943 3.187.259 - - -

264.505.922 166.727.109 109.147.272 2.173.371 6.554.913

Sono compresi sotto il nome di protestanti tutti gli aderenti delle 500 a 700 diverse denominazioni

cristiane dell'Occidente.

Quanto alla popolazione non cristiana, si compone in

Giudei ...................... 11.037.000 Settari di Confucio e dei culti

degli antichi ......................

253.000.000

Maomettani ............ 202.048.240 Taoisti ........................

32.000.000

Bramini o Indous .......................

............................... 210.100.000

Shintoisti ....................

17.000.000

67

Antichi culti indiani ......

..................................12.113.766

Feticisti ed altri pagani

..................................

144.000.000

Buddisti ................. 120.250.000 Altre religioni ..............

2.814.482

Della popolazione totale del globo, che, secondo Yuraschke s'eleva a 1.539 milioni, 35,7% sono

cristiani, 131/2% maomettani, 0,7% ebrei, ovvero 762.102.000 sono monoteisti contro 776.000.000

politeisti. Pressoché metà della popolazione totale del mondo crede adunque all'unità di Dio.

Se compariamo le religioni dell'una e dell'altra, troviamo che la Chiesa cattolica co' suoi

264.505.922 membri, è la più numerosa e la più estesa. Pressoché la metà dei cristiani del globo,

cioè 43,2% e più del sesto della popolazione totale professa la religione cattolica. Di più la religione

cattolica è una e non divisa in una infinità di sètte, come sono il protestantismo, il monoteismo, il

buddismo ecc. Così a dispetto di tutti gli sforzi congiurati de' suoi nemici, la religione cattolica è

ancora alla fine del XIX secolo sparsa attraverso il mondo intero, e merita solo il nome di cattolica,

cioè universale.

(2) Questo fu scritto nel 1809.

Nuovo Israele, giudaismo, sionismo

            
 
Il rosone dell'antica chiesa di San Marco a Milano

Il rosone dell'antica chiesa di San Marco a Milano
 
 
Pubblichiamo la trascrizione della conferenza tenuta da Andrea Giacobazzi (collaboratore di Radio Spada) in occasione del 22° Convegno di Studi Cattolici (Rimini, 17-18-19 ottobre 2014). Il titolo dell'intervento era: "Nuovo Israele, giudaismo e sionismo: da san Pio X a Pio XII". Prima di passare al testo, proponiamo le slides che hanno fatto da sfondo alla conferenza stessa [cliccare per ingrandirle].

Antico Israele, Antica Alleanza, Nuovo Israele, Nuova Alleanza, ebraismo, giudaismo, sionismo. Sono termini da affrontare con chiarezza anche per la dimensione teologica che occupano. Se il Nuovo Israele (determinato dalla Nuova Alleanza) è la Chiesa, come Essa si pone rispetto a chi oggi rivendica per sé il titolo di “Israele”? Come l’Antico Testamento apre la strada al Nuovo?
  1. Il ruolo e la necessità della transizione dall’Antico Israele al Nuovo.
Nell’approcciare - anche in termini generali - qualsiasi tema inerente la Sacra Scrittura risulta difficile non notare come il Concilio Vaticano II, tra i suoi nefasti effetti ne ebbe in particolare due che riguardano direttamente ciò di cui stiamo parlando: in primis, allontanare dalla Fede ed indebolire la conoscenza delle Sacre cose portando ad uno sguardo più superficiale rispetto agli eventi biblici. Una conseguenza per alcuni paradossale ma in realtà facilmente comprensibile; in secundis, avendo implicato un netto avanzamento del modernismo, ha sostanzialmente contrastato la prospettiva cattolica relativa alla Nuova Alleanza.
È in particolare su questo secondo aspetto che ci focalizzeremo. Appare curioso notare come il compimento dell’Antico Testamento determinato dal Nuovo - e di conseguenza il carattere di Nuovo Israele proprio della Chiesa - sia stato avversato tanto dal giudaismo – per ovvie ragioni di tipo rivendicativo – quanto da nemici del giudaismo come, ad esempio, il nazionalsocialismo, il cui “cristianesimo positivo”, per altrettanto ovvie ragioni di stampo antibiblico, non vedeva di buon occhio la radice ebraica su cui sorse il Cristianesimo. Che i fedeli di Cristo siano i legittimi eredi della Tradizione veterotestamentaria risulta insopportabile tanto per chi presume di possedere l’Antico Alleanza, senza compierla, tanto per chi vorrebbe un Cristianesimo senza Tradizione e senza gli Antichi Libri della Bibbia.
In questo quadro, i modernisti - per una sorta di “compiacenza ecumenica”– hanno finito per sostenere o sottintendere il falso: ovvero che per salvarsi non sia necessaria la Nuova Alleanza, il messaggio di Cristo, ma possa bastare il Vecchio Patto.
Proposizione doppiamente falsa, non solo per quanto si è già spiegato ma perché, il giudaismo diasporico non ha lasciato inalterata la legge mosaica ma l’ha ampiamente alterata per mano del rabbinato. Nei Vangeli Gesù accusò i farisei di aver nascosto la “chiave della scienza” e domandò con vigore perché trasgredissero “il comandamento di Dio” in nome della loro “tradizione”. Non solo: i giudei, come i protestanti, hanno amputato la Scrittura dei libri cosiddetti deuterocanonici, tagliando dal corpo biblico parti significative.
Tobia, Giuditta, Sapienza, Ecclesiastico, Baruc, Primo e Secondo libro dei Maccabei, taluni passaggi di Daniele e di Ester: questi testi “censurati” in modo postumo. Come si può dunque dire che posseggano l’eredità dell’Antico Testamento?
Si deve invece con ragione sostenere che la Chiesa è l’Israele, il Corpo Mistico di Cristo. Nuovo e definitivo Israele. L’Antica Alleanza cede necessiariamente il passo alla Nuova e lo cede senza alternative, innestandosi pienamente. Maria è dunque la Nuova Eva (si inverte Eva in Ave); Gesù il Nuovo Adamo; Roma, la Nuova Gerusalemme; Pietro, Pastor Pastorum, il Nuovo Sommo Sacerdote; sul Golgota il Nuovo e Completo Sacrificio – ripetuto in maniera incruenta su tutti gli altari cattolici – che segna questo passaggio definitivo.
Vale quindi la pena di ribadire: chi eredita e completa la Legge di Mosè è la Chiesa Cattolica, non il rabbinato; la Vera Fede si trova nel Catechismo, non nel Talmud; le insegne di Re Davide spettano alla milizia cristiana, non ai giudei. Dalla parte di Sansone c’è la Chiesa, non l’attuale Sinagoga.  Nella Lettera agli Ebrei (8, 13) non ci sono dubbi circa l’Alleanza: “Dicendo «nuova», [Dio] dichiarò antica la prima. Or, ciò che è antiquato e vecchio, è vicino a sparire”.
Molte furono le profezie (e le “figure”) veterotestamentarie che hanno annunciato questo compimento, si pensi, giusto per nominarne una, a quella di Danile che indicò il tempo esatto della venuta del Messia. Oltre ad esse, la cessazione del sacerdozio ebraico, la distruzione del Tempio e la diaspora, seguite alla devastazione di Gerusalemme da parte dei Romani, furono i segni inequivocabili e definitivi che sigillarono quanto accennato: anche simbolicamente i luoghi dell’Antico lasciavano spazio al Nuovo e definitivo.
Risulterà ora chiaro perché i modernisti abbiano voluto così caparbiamente affievolire il carattere fondamentale di questo passaggio. Esso è una pietra d’inciampo insormontabile per l’eresia ecumenista, strumento di distruzione spirituale prediletto dai nemici della Chiesa.
  1. Dal giudaismo al sionismo: quale Israele?
Con la vocazione di Abramo e con gli episodi biblici di Isacco e Giacobbe iniziò la storia del popolo ebraico. Giacobbe fu il Santo eponimo del popolo d’Israele. La parola “eponimo” viene dal greco epónymos, composto di epí “sopra” e ónyma “nome”, significa infatti “soprannominato”. Giacobbe è quindi detto Israele. Vi è un passaggio biblico in cui tutto questo si rende profeticamente chiaro: Isacco benedì suo figlio Giacobbe, che rappresenta sia il Vecchio Israele (veterotestamentario) sia il Nuovo Israele ovvero la Chiesa, che a sua volta è il Corpo mistico di Cristo. Nell’atto della benedizione – riportato in Genesi 27, 29 – disse: “A te servano i popoli, a te si inchinino le genti”. Già in questa frase si nota come si distanzino inconciliabilmente la lettura che, da un lato, ne ha sempre dato la Chiesa (proponendola come urgenza di evangelizzare le genti e di farle entrare nel Corpo Mistico) e, sul fronte opposto, certo rabbinato che, anche ai giorni nostri, la legge in chiave nazionalista.
Il Signore diede la Sua legge a Mosè ma il popolo d’Israele tradì innumerevoli volte. Gli ebrei dopo Salomone si divisero in due regni: quello d’Israele e quello di Giuda. Il primo fu distrutto e disperso: le famose “dieci tribù disperse”. Il secondo pur tra mille traversie sopravvisse alla rovina del primo.
Arrivò la deportazione di Babilonia e iniziò così la fase storica del giudaismo (anche se oggi “ebrei” e “giudei” sono, per comodità, usati come sinonimi).
Nei tempi che seguirono, ebbero luogo la corruzione del dogma e la nascita di alcune sette, tra cui quella “purista” e ipocrita dei farisei. Questi, come abbiamo visto, non mancarono di indirizzare il popolo verso tradizioni umane e, di conseguenza, verso l’errore. Furono durissimamente contrastati da Nostro Signore. Il giudaismo era accecato al punto di non riconoscere il Messia e di metterlo a morte. Le profezie si compirono: la Palestina fu devastata dalle guerre, il Tempio distrutto dai romani, il sacrificio dovette cessare, iniziò la diaspora, Gerusalemme divenne Aelia Capitolina.
I giudei si trovarono privi del luogo di culto per eccellenza e dispersi in terre lontane. Nei secoli successivi venne redatto il Talmud. Il processo di ripiegamento della loro religione, già così sviata dalle sette al tempo di Nostro Signore, accelerò drammaticamente e il Cristianesimo – nonostante le persecuzioni della Sinagoga – trionfò: coloro i quali si ritenevano, a torto, gli eredi di Mosè finirono per perdersi nelle cavillose prescrizioni rabbiniche e a chiudersi sempre più fino a rigettare il proselitismo, spingendosi ad abbracciare un esclusivismo sempre più settario. La separazione dai cristiani divenne per loro qualcosa di auspicato.
Il processo storico qui descritto, seppur tra alterne vicende, durò fino al XVIII secolo, ovvero fino alla cosiddetta emancipazione rivoluzionaria. In verità un’emancipazione che, visti i rischi dati da una potenziale assimilazione, tra gli ebrei fu accolta in molti casi in maniera tutt’altro che gioiosa.
Ciò che è storicamente noto come “l’apertura dei ghetti” trovò entusiasti e refrattari. Certamente questo evento pose gli ebrei davanti ad un dilemma: se e come restare ebrei in una società non ebraica.
Semplificando abbondantemente possiamo dire che le risposte - pur con sovrapposizioni e varianti, in luoghi e momenti diversi - furono circa tre.
La prima fu quella assimilazionista: riguardò gli ebrei che colsero l’emancipazione come un’opportunità, alcuni di loro tranciarono i legami con la Sinagoga e si aprirono alle comunità nazionali in cui erano inseriti. Sebbene con diverse sfumature, in questa categoria può inserirsi anche la figura nota come “l’ebreo non ebreo”. Molti di loro furono impegnati in politica come liberali, socialisti, repubblicani e, in seguito, anche fascisti e comunisti. Non mancarono molti casi di conversioni al Cristianesimo.
La seconda risposta fu sostanzialmente refrattaria. Alcuni settori “ortodossi”, “tradizionalisti”, “religiosi” videro nella modernità e nell’emancipazione dei pericoli letali. Ancora oggi, tanto negli Stati Uniti quanto nel Vecchio Continente, si possono incontrare ebrei di questo gruppo: amano vivere, comportarsi e vestirsi come un tempo. Tendono a non partecipare più del minimo indispensabile alla vita dei popoli “gentili” tra i quali stanno. Molti membri di questo gruppo, quando nacque il sionismo, lo avversarono duramente, perché questa opzione politica risultava in contrasto con i precetti religiosi.
La terza risposta ebbe alcuni caratteri della prima ed alcuni della seconda, ovvero non fu animata da ebrei tradizionalisti e religiosi ma, come accennato, ipotizzò la creazione di uno Stato ebraico distinto dagli altri. Questa terza opzione fu incarnata dal sionismo. Il sionismo ebbe tra i suoi propugnatori principalmente da ebrei “laici” e intrisi di ideali romantici e nazionalistici tipicamente ottocenteschi. Come accennato, fu proprio dai settori religiosi che si levarono dure critiche e severe condanne verso quella che continua ad essere da alcuni considerata come la “bestemmia sionista”, la quale, con l’accelerazione imposta dall’azione umana, ricostruirebbe artificialmente il Regno d’Israele (se non anche il Tempio) senza attendere la venuta del Messia. Il rabbinato ortodosso e i leader politici del sionismo si guardarono con diffidenza per lungo tempo: ancora oggi alcune frange ultraortodosse – pensiamo al Neturei Karta – continuano ad attaccare duramente l’ideologia nazionale ebraica. Col passare del tempo, ed in particolare negli ultimi decenni, il sionismo vinse sugli altri due fronti: da un lato, si guadagnò amplissime simpatie tra gli ebrei – anche tra i più assimilati – della diaspora e dall’altro quelle del rabbinato ortodosso. Quest’ultimo elemento favorì la sua radicalizzazione nazionalista ed esclusivista.
La “fase acuta” in cui la Chiesa dovette confrontarsi sia con l’attivismo politico-ideologico dell’ebraismo assimilato (tanto liberale quanto socialista o comunista) sia con la nascita del sionismo e la conseguente costruzione graduale dell’indipendenza israeliana fu principalmente nel periodo che andò dal regno di Pio X a quello di Pio XII.
 
  1. La Dottrina Cattolica e la questione ebraica: il rifiuto del nazionalismo sionista, del razzismo nazionalsocialista e dell’ecumenismo
Prima di affrontare qualsiasi discorso relativo alla posizione della Chiesa rispetto alla questione ebraica – in particolare tra la fine del XIX e la prima metà del XX secolo – è necessario ribadire un concetto basilare: l’urgenza della conversione dei giudei a Cristo è, nella retta Dottrina, un dato fondante. Questo elemento investì totalmente la questione ebraica anche per ciò che riguardò i rapporti della Chiesa con le altre religioni (condanna dell’ecumenismo e dell’indifferentismo) e persino con il nazionalsocialismo, le cui proposte per la risoluzione del “problema ebraico in Europa” erano diametralmente opposte alla Verità e alla Carità rappresentate dai Pontefici Romani (i quali condannarono senza mezzi termini il razzismo). Vi è dunque perfetta armonia tra la diffidenza cattolica verso il nazionalismo sionista e l’irrinunciabile negazione del razzismo nazionalsocialista e dell’ecumenismo liberale e massonico. Lo “spirito” di queste ideologie nega, direttamente o indirettamente, la Regalità sociale di Cristo, così mirabilmente definita da Pio XI nell’Enciclica Quas Primas.
3.1 Cattolicesimo e sionismo: divergenze sostanziali
Già dai presupposti appena descritti si intende facilmente come per la teologia cattolica non sia contemplato un diritto, esistente per se, alla creazione di uno Stato ebraico. Si può con ragione affermare che la questione sia risolta in termini metafisici prima che politici, ovvero nella dottrina prima che nella prassi: in sostanza – come detto - l’urgenza sta nella conversione non nella fondazione di uno Stato la cui stessa esistenza non si potrebbe realizzare se i giudei abbracciassero la Fede Cristiana.
Visto però, anche nei secoli precedenti, il sussistere de facto di comunità che non convertendosi si mantenevano legate al giudaismo, per accidens non apparve vietato che gli ebrei potessero insediarsi in un territorio comune ed autonomo, in qualche parte del mondo, ovviamente senza che questo portasse ad identificare il suddetto territorio con la Terra Santa e la sua trasformazione in “Stato d’Israele” (verso il quale l’atteggiamento avverso del Vaticano ebbe motivazioni anche di ordine politico, complicate ulteriormente dalla delicata questione dei Luoghi Santi). Quanto detto è confortato dal fatto che nelle società cristiane sia stata tradizionalmente tollerata de jure la presenza israelitica anche in spazi separati.
Una volta chiarito ciò che indica il Magistero - per cui vale il principio semper idem, ovvero che non può mai contraddirsi - i modi con cui devono essere affrontate le problematiche connesse alla presenza ebraica entrano nell’ambito della prassi politica, che pure – è bene ribadirlo – deve essere un’ortoprassi, ossia ispirata ai dettami della religione.
Quando Teodoro Herzl decise di chiedere udienza a San Pio X, pare che le risposte del Capo della Chiesa furono tutt’altro che soddisfacenti per l’ideatore del sionismo. Il rifiuto fu netto: “Non riusciremo ad impedire agli ebrei di andare a Gerusalemme ma non potremo mai favorirlo”, “Gli ebrei non hanno riconosciuto il Signore nostro, quindi noi non possiamo riconoscere il popolo ebraico”, “Certo che preghiamo per loro, perché il loro spirito veda la luce. Proprio oggi la Chiesa celebra la festa dei non credenti che si sono convertiti in qualche modo miracoloso, come sulla strada di Damasco. Quindi se lei intende andare in Palestina a stabilirvi il suo popolo, saremo pronti con chiese e sacerdoti a battezzarvi tutti”.
Le stesse parole di San Pio X sullo “spirito che deve vedere la luce” erano mutuate dalla celeberrima preghiera del Venerdì Santo in cui si afferma in relazione agli ebrei: ut, agnita veritatis tuae luce, quae Christus est, a suis tenebris eruantur (affinché riconosciuta la luce della Tua verità, che è Cristo, siano sottratti alle loro tenebre).
I Papi successivi (Benedetto XV, Pio XI e Pio XII), pur con sfumature diverse, rimasero sostanzialmente diffidenti verso il nazionalismo sionista dati i rischi macroscopici che esso implicava. In termini politici è necessario ribadire che, alla fondazione dello Stato, il Vaticano non diede luogo ad un riconoscimento ufficiale. Nel maggio 1948, sulla stampa cattolica, non mancarono articoli che ricordavano come i Luoghi Santi appartenessero alla Cristianità, il “Vero Israele”. Effettivamente, come abbiamo visto, l’uso stesso della parola “Israele” attribuita allo Stato ebraico, suona come una sostituzione rispetto al Novus Israel, Verus Israel incarnato dalla Chiesa di Cristo, pienamente titolare di quella Nuova Alleanza che ha completato e rimpiazzato l’Antica.
Diversi furono i richiami di Papa Pacelli nel periodo in cui prendeva forma l’indipendenza israeliana, forte e decisa fu la richiesta dell'internazionalizzazione di Gerusalemme. Nell'Enciclica In Multiplicibus Curis (24 ottobre 1948) il Sommo Pontefice affermava:
«Siamo pieni di fiducia che queste suppliche e queste aspirazioni indice del valore che ai Luoghi Santi annette così gran parte della famiglia umana, rafforzino negli alti consessi, nei quali si discutono i problemi della pace, la persuasione dell'opportunità di dare a Gerusalemme e dintorni, ove si trovano tanti e così preziosi ricordi della vita e della morte del Salvatore, un carattere internazionale che, nelle presenti circostanze, sembra meglio garantire la tutela dei santuari. Così pure occorrerà assicurare con garanzie internazionali sia il libero accesso ai Luoghi Santi disseminati nella Palestina, sia la libertà di culto e il rispetto dei costumi e delle tradizioni religiose».
Il Venerdì Santo del 1949ancora una volta il Pontefice lanciava i suoi richiami attraverso l'Enciclica Redemptoris Nostris:
«Con la sospensione delle ostilità, si è ancora lungi dallo stabilire effettivamente in Palestina la tranquillità e l'ordine. Infatti, giungono ancora a Noi i lamenti di chi giustamente deplora danni e profanazione di santuari e di sacre immagini, e distruzione di pacifiche dimore di comunità religiose. Ci giungono ancora le implorazioni di tanti e tanti profughi, di ogni età e condizione, costretti dalla recente guerra a vivere in esilio, sparsi in campi di concentramento, esposti alla fame, alle epidemie e ai pericoli di ogni genere. […] Questa pace, vera e duratura, Noi abbiamo ripetutamente invocato; e, per affrettarla e consolidarla, già dichiarammo nella Nostra lettera enciclica In multiplicibus «essere assai opportuno che per Gerusalemme e per i suoi dintorni - là dove si trovano i venerandi monumenti della vita e della morte del divin Redentore - sia stabilito un regime internazionale, che nelle attuali circostanze sembra il più adatto per la tutela di questi sacri monumenti».
Come abbiamo accennato, queste posizioni sulla Palestina e sui Luoghi Santi, non impedirono in alcun modo atti di grande coraggio al momento della persecuzione hitleriana. Si pensi a Pio XI ai tempi della condanna dottrinale del razzismo e del paganesimo nazionalsocialista (Enciclica Mit Brennender Sorge, 1937) o, giusto per fare un ulteriore esempio, a Pio XII quando protesse gli ebrei dalla deportazione nei campi tedeschi. Questi, ed altri, furono chiari esercizi di carità cristiana verso uomini esposti a grandi pericoli e a forti vessazioni.
Una nota ulteriore sulla vexata quaestio di Pio XII: sugli scaffali delle librerie italiane in anni recenti si sono trovati fianco a fianco saggi con titoli come Il Papa di Hitler o Il Papa degli Ebrei. Quest'ultimo testo ebbe il merito di mettere in luce verità che erano state offuscate da certa propaganda. Apparirà scontato ma è bene ribadire che, copertine a parte, Pio XII non fu Papa dei nazionalsocialisti o dei giudei ma “semplicemente” Papa della Chiesa Cattolica, tanto nella sua volontà quanto nei suoi atti.
3.2 La Chiesa rigetta nazionalsocialismo ed ecumenismo
Come sì è accennato poco fa, la difesa della Regalità sociale di Cristo – Regalità che riguarda anche il cuore degli uomini – incontra nel sionismo un pericolo sostanziale. Questa soluzione della “questione ebraica” appare non soddisfacente ma risultano ancor più insoddisfacenti la soluzione razzista ed anticristiana tipica del nazionalsocialismo e la soluzione irenista-liberale propria dell’ecumenismo massonico, che tanta fortuna avrà nei decenni successivi.
Se per stroncare in modo definitivo l’ecumenismo interreligioso risulta sufficiente la lettura - insieme a miriadi di altri testi dottrinali - della Mortalium Animos di Pio XI o del Catechismo Maggiore di San Pio X, per quanto invece concerne il nazionalsocialismo il discorso si fa più lungo e complesso.
L’ideologia hitleriana nacque già “malata di modernità”: la sua contrapposizione all’ebraismo non era teologica ma razziale. Risulta curioso notare come l’esclusivismo nazionalsocialista fosse schiettamente anticristiano, così come schiettamente anticristiano ed “antigentile” è certo esclusivismo rabbinico che ancor oggi riecheggia dal Vicino Oriente. Gli hitleriani, combattendo energicamente la Chiesa Cattolica, si erano inventati un “Cristo ariano” ed un “cristianesimo positivo” immaginari e totalmente antibiblici.
Pio XI fu il Papa che non solo condannò le follie razziali tedesche ma che non esitò ad indicare come gravi pericoli – attraverso l’enciclica Non abbiamo bisogno (1931) - gli eccessi da “statolatria pagana” propri del fascismo italiano. La Mit brennender sorge (1937), che reca la sua firma, è largamente dovuta all’intenso lavoro di redazione compiuto dai cardinali Pacelli (futuro Pio XII) e von Faulhaber, arcivescovo di Monaco, di cui parleremo a breve.
Il testo non lascia spazio a dubbi:
«Se la razza o il popolo, se lo Stato o una sua determinata forma, se i rappresentanti del potere statale o altri elementi fondamentali della società umana hanno nell’ordine naturale un posto essenziale e degno di rispetto; chi peraltro li distacca da questa scala di valori terreni, elevandoli a suprema norma di tutto, anche dei valori religiosi e, divinizzandoli con culto idolatrico, perverte e falsifica l’ordine, da Dio creato e imposto, è lontano dalla vera fede in Dio e da una concezione della vita ad essa conforme. [...] Solamente spiriti superficiali possono cadere nell’errore di parlare di un Dio nazionale, di una religione nazionale, e intraprendere il folle tentativo di imprigionare nei limiti di un solo popolo, nella ristrettezza etnica di una sola razza, Dio, Creatore del mondo, re e legislatore dei popoli, davanti alla cui grandezza le nazioni sono piccole come gocce in un catino d’acqua»
Menzionavamo poc’anzi il Cardinal Faulhaber e facevamo cenno dei suoi meriti relativi alla redazione dell’Enciclica. Non si esagera nel definire questo prelato come un vero e proprio Defensor Fidei. Celeberrime furono le sue omelie contro il nazionalsocialismo e contro il “cristianesimo” - falso e depauperato dell’Antico Testamento – proposto dagli hitleriani. Questi, buttato via l'Antico Testamento, avrebbero dovuto buttar via anche i quattro evangelisti, San Paolo e tutto il Nuovo Testamento. In realtà l’atteggiamento nazionalsocialista rispetto alle Scritture veterotestamentarie aveva poco di inedito: già l’eresia di Marcione - diffusa fra il II e il V secolo - rifiutava ogni interpretazione cristiana dell'Antico Testamento e asseriva l'opposizione tra questo e il Vangelo.
Le parole dello stesso Faulhaber erano espressione della Dottrina e – ovviamente - ben distanti da ogni forma di “dialogo interreligioso”. Il cardinale sferzava con equilibrio e sapienza gli errori del giudaismo e dei protestanti chiarendo che i libri dell’Antico Testamento traevano il loro valore non dal fatto di essere stati scritti dagli ebrei ma dall’essere ispirati da Dio. Lo stesso principio eretico-protestante in base al quale solo la Scrittura (“Sola Scriptura”) potesse bastare per avere una retta Fede, fu avversato apertamente: risulta inaccettabile per la Chiesa e gravemente contradditorio per chiunque abbia buon senso.
Alla luce di quanto scritto, non sembra dunque erroneo parlare di “fariseismo” nazionalsocialista: alcune somiglianze tra gli atteggiamenti farisaici e quelli nazionalsocialisti balzano agli occhi. I primi lottavano contro la contaminazione straniera dell'ellenismo, i secondi contro ciò che era contrario allo spirito nazionale tedesco, in particolare se di marca ebraica. Entrambi erano dimentichi della Caritas nel suo significato autentico (“Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell'anèto e del cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle” [Matteo 23, 23]). Entrambi intransigenti, oltranzisti e ossessionati dalla purezza (“Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello! Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l'esterno del bicchiere e del piatto mentre all'interno sono pieni di rapina e d'intemperanza” [Matteo 23, 24-25]). Entrambi sedicenti difensori di una tradizione che però era tutta umana e contraria al Cristianesimo.
La casa editrice Morcelliana di Brescia nel 1934 pubblicò la raccolta delle omelie del Faulhaber: Giudaismo, Cristianesimo, Germanesimo: prediche tenute in S. Michele di Monaco nell'Avvento 1933.
Il clero tedesco offrì, pur non in modo unanime, esempi di eroica opposizione alle derive nazionalsocialiste. Si pensi, giusto per fare un esempio tra i molti, al vescovo di Munster, poi cardinale, Clemens August von Galen, detto il “Leone di Munster”. Fece una guerra aperta alle aberrazioni dell’ideologia hitleriana. Non si oppose ad Hitler per motivi banalmente politici ma religiosi e patriottici. Era considerato un reazionario della nobiltà westfalica, un uomo di principi gerarchici e che diffidava del “dispotismo della massa”.
Il coraggio e la fermezza dimostrati dalla Chiesa Cattolica tedesca ovviamente costarono molto in termini di persecuzioni dirette ed indirette.
  1. Conclusioni
Il compimento dell’Antico Israele nel Nuovo Israele è un elemento imprescindibile per la teologia cattolica. Il Nuovo ha la sua origine nell’Antico e l’Antico è la premessa del Nuovo. Nell’economia della salvezza la Nuova Alleanza non è opzionale, l’urgenza dell’adesione ad essa è irrinunciabile e riguarda ogni uomo.
La Regalità sociale di Cristo essendo universale risulta incompatibile con il nazionalismo ebraico-sionista, con le false dottrine e le inaccettabili pretese del giudaismo talmudico e, allo stesso tempo, con alcune assurde soluzioni della “questione ebraica”, tra le quali ad esempio, il nazionalsocialismo. Similmente, la vocazione pseudouniversalista e totalmente eretica dell’ecumenismo si contrappone al Cattolicesimo, tentando di sostituirlo con un falso culto indifferentista, irenista e liberale il quale, oltre tutto, nega il carattere vincolate ed esclusivo della Nuova Alleanza e de facto l’intera Tradizione Cristiana.

Sfruttare l'Olocausto per intervenire in Siria

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Traduzione con adattamenti, dall'originale di Maidhc Ó Cathail. A cura di Ilaria Pisa. (http://radiospada.org/)

Una propaganda a sfondo "olocaustico", lanciata recentemente contro il governo siriano.
“Ironia del destino vuole che l'olocausto nazista sia oggi diventato la principale arma ideologica per scatenare guerre di aggressione”, diceva Norman Finkelstein in “Defamation”, il documentario di Yoav Shamir (2009) che ha vinto diversi premi, sul tema di come la percezione dell'antisemitismo condizioni la politica americana ed israeliana. Ed oggi, se si cercano prove a supporto della tesi di Finkelstein, basta guardare alla mostra organizzata dal Museo statunitense dell'Olocausto (Washington DC), che offre al pubblico fotografie dalla Siria contemporanea di corpi senza vita (qui).
La mostra è intitolata “Genocide: The Threat Continues”  e comprende una dozzina di immagini, dichiaratamente tratte da un archivio di 55mila foto che sono riuscite a varcare il confine siriano grazi a "Caesar", un misterioso "informatore" siriano, che afferma di aver abbandonato il proprio lavoro di fotografo militare dopo aver ricevuto l'ordine di immortalare più di 10mila cadaveri nei suoi scatti. E, sottolineando la minaccia di un genocidio incombente, afferma che un destino analogo attende 150mila prigionieri nelle carceri di Bashar Assad.
“Sono immagini forti, che immediatamente richiamano l'Olocausto al visitatore” ha riferito Cameron Hudson, direttore del Center for the Prevention of Genocide (il curriculum di Hudson comprende un ruolo come esperto di intelligence presso l'Africa Directorate della CIA).
La promozione di questa mostra è iniziata alcuni mesi fa: "Caesar" si è recato a Washington a luglio, e ha incontrato il governo statunitense e diverse personalità del Congresso. Vi è stata anche una sorta di "conferenza stampa" a porte chiuse il 28 luglio, organizzata da Michael Chertoff, ex segretario del Dipartimento di Sicurezza nazionale.
Durante una cerimonia svoltasi al Museo dell'Olocausto nel 2012, Elie Wiesel - nobel per la Pace, sopravvissuto alla Shoah - aveva implicitamente criticato l'azione poco puntuale di Obama in Siria: "Perché Assad è ancora al potere?". Questo discorso ne rievocava un altro di Wiesel, tenuto in analoghe circostanze ma nel 1993, quando fece pressione su Clinton perché agisse militarmente in Bosnia.
In una illuminante intervista pubblicata l'11 agosto 2013 sul quotidiano turco Today's Zaman, l'interprete di "Caesar", Mouaz Moustafa, ha riecheggiato la critica di Wiesel alle ritrosie di Obama in Siria (la non-profit di Moustafa, dal canto suo, ha organizzato il viaggio di McCain del maggio 2013 per incontrare i ribelli siriani "moderati"). Probabilmente non è una coincidenza: Moustafa è uno dei volti più visibili dell'opposizione siriana a Washington, è direttore esecutivo della Syrian Emergency Task Force, ed ha collegamenti innegabili con i think tank della lobby ebraica, com'è emerso in seguito.
Uno dei siti della SETF, in effetti, suona come syriantaskforce.torahacademybr.org, e l'URL "torahacademybr.org" appartiene alla Torah Academy di Boca Raton (Florida), una yeshiva dichiaratamente sionista. Moustafa ha risposto a tali rivelazioni via Twitter: "Chiamatemi terrorista, qaedista, nazista, ma non sionista. [...] La registrazione dell'URL è stata solo uno stupido errore del web designer".
Le foto di "Caesar", peraltro, sono state subito sponsorizzate da uno dei (cripto)alleati arabo di Tel Aviv, che combatte a sua volta il governo siriano: il Qatar. La review sulle immagini è stata infatti commissionata dal governo del Qatar, che ha affidato il compito a David Crane, prosecutor per i crimini di guerra in Sierra Leone e docente universitario, che ha poi parlato (Yahoo News) di "una macchina industriale del massacro, mai vista dai tempi dell'Olocausto".
Come il direttore del Centro di prevenzione del Genocidio del Museo dell'Olocausto a Washington, anche Crane ha lavorato per l'intelligence statunitense. Ha poi fondato e diretto il Syrian Accountability Project (SAP) presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Syracuse (New York), che ha come mission lo sforzo congiunto di ONG, attivisti e studenti per documentari i crimini di guerra e crimini contro l'umanità perpetrati nell'ambito della crisi siriana. Il SAP, come riporta il suo sito, ha lavorato fianco a fianco con la Syrian National Coalition.
Quest'ultimo ente è stato fondato a Doha (Qatar) nel novembre 2012 e rappresenta la FSA (Free Syrian Army), che - com'è noto - ha collaborato con le brigate al-Nusra (legate ad Al-Qaeda) e gli islamisti di Ahrar al-Sham, coinvolte - com'è altrettanto noto - nei massacri di civili siriani, come quello avvenuto a marzo a Kassab, storica dimora della minoranza armena in Siria, lungo il confine turco.
Non basta: Crane è anche vicepresidente di I Am Syria, una campagna non-profit che cerca "di educare il mondo riguardo al conflitto siriano". Il presidente, Ammar Abdulhamid, è stato membro di due think tank neocon/pro-Israele con base a Washington (Saban Center for Middle East PolicyFoundation for the Defense of Democracies); uno dei direttori educativi, Andrew Beitar, è anche coordinatore educativo regionale per il Museo dell'Olocausto.
 

Il “Vescovo di Roma”, lo scisma latente e la Sede vacante

            
Pope Francis
 
Nota: pubblichiamo tramite Radio Spada questo interessante scritto di Guido Ferro Canale (che ringraziamo) consapevoli del vasto e complesso dibattito in corso all'interno del mondo cattolico integrale o "resistente" o "neo-resistente".  Non escludiamo affatto ulteriori approfondimenti, anche di segno diverso e ulteriore.
 
Quando ho cominciato a scrivere il mio precedente articolo – E' Francesco? Argomenti contrapposti, argomento trascurato – intendevo includervi anche ciò che scrivo ora: sarebbe dovuto essere l’”argomento trascurato”. Ma il pezzo, come spesso accade, mi è lievitato tra le mani, tanto da richiedere una divisione; mi restava comunque un altro argomento trascurato a giustificare il titolo, ossia la supplenza di giurisdizione per errore comune (che, per quanto circoscritta nell'ambito applicativo, attenua le conseguenze della nullità dell'elezione e, quindi, riduce l'esigenza di circoscrivere quam maxime le relative fattispecie).
Qui si tratta, invece, di un’altra ipotesi di Sede vacante, credo finora non formulata da nessuno; suppone risolti, ovviamente, i dubbi sulla legittimità dell’elezione, ma si può utilmente introdurre come quesito intorno all’atto immediatamente successivo: se fosse invalida l'accettazione??
A tutti quanti, immagino, è venuto il sospetto che Bergoglio abbia una concezione tutta sua del Papato (o si tratta dell’Episcopato romano). Portiamo all’estremo quest’impressione generale: se mi chiedono “Accetti l’elezione a Sommo Pontefice?” e il mio “Accetto” sottintende non il Pontificato quale è, ma un quid esistente solo nella mia testa; e se, in più, io non sono disposto ad accettare il Pontificato vero, non intendo rinunciare alla mia creatura… l’accettazione non è valida. Errore determinante sull’oggetto, oppure sua inesistenza, dipende dal punto di vista.
Desidero precisare che, al momento dell’elezione (putativa o legittima che sia), tutto quel che sapevo di Bergoglio si poteva riassumere in “gesuita, Cardinale, Arcivescovo di Buenos Aires, il candidato 'alternativo' a Ratzinger almeno nel finale del Conclave 2005” e che la sua prima comparsa alla Loggia delle Benedizioni non mi ha cagionato traumi indelebili: ho notato bensì qualcosa di strano, ma non ho capito subito che mancava la mozzetta; e anche nel discorsetto improvvisato, benché mi suonasse male il titolo di “Vescovo di Roma”, trovai rassicurante la successiva menzione del più appropriato “Papa”. Successivamente, però, al moltiplicare dei segni di discontinuità, se non proprio di rottura aperta, mi sono trovato a chiedermi se l’insieme di questi gesti non tradisse un animus scismatico; e anche quelle primissime “novità” mi son parse inquietanti. La mozzetta è insegna di giurisdizione; il fatto di non usarla e l’uso del titolo di “Vescovo di Roma” implicano forse un rifiuto del primato papale, quindi un vizio dell’accettazione?
Sia chiaro, non faccio di ogni erba un fascio: croce di ferro, scarpe etc. mi sembravano spiegabilissime in termini di semplice ostentazione, bensì riprovevole, ma non certo tale da integrare un delitto canonico; l’apostrofe a Marini - che mi vien confermata da fonti genovesi - “Il tempo delle carnevalate è finito” resta, per me, esempio di pura e schietta maleducazione; etc. etc. Neppure ho ignorato i segni che parevano incoraggianti: la visita alla Salus Populi Romani, un'insistenza sul Diavolo che mi sembrava positiva e, anzi, necessaria, e così via. Nei primi giorni, anzi, ipotizzavo che potesse trattarsi di una riedizione del Pontificato a due facce di Giovanni Paolo II, con l'aspetto mediatico-spettacolare da una parte e, dall'altra, una serie di tentativi di turare le falle della barca (almeno alcune). Pensavo perfino ad una strategia del tipo: conquistare un credito mediatico enorme per essere, poi, libero di agire come meglio si crede… foss’anche regolarizzando la Fraternità S. Pio X, gesto che non sarebbe mai stato perdonato a Benedetto XVI.
Mi sono orientato con decisione verso l’animus scismatico dopo aver verificato personalmente, sui file video del Centro Televisivo Vaticano, l’abitudine di non genuflettere mai dopo la Consacrazione. Dal mio punto di vista (al di là di dubbi, forse possibili, sull’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa…), era la prova provata che tutta questa fama di santità era falsa, semplicemente falsa. Semplicità, umiltà etc., insomma i tratti della “leggenda bergogliana”, potevano forse essere meri elementi caratteriali, ma mi sembrava molto più probabile che mascherassero un orgoglio smisurato. Nato, magari, proprio come orgoglio della sua stessa umiltà!
Il mio dubbio intorno alla validità dell’accettazione persisteva: non in termini di rifiuto dei poteri del Papa, visto che ne faceva uso, ma di un Papato di conio proprio. Beninteso, un errore che esasperi la plenitudo potestatis al punto di farne un potere assoluto e puramente arbitrario (alla Bergoglio, appunto) è, a mio avviso, l'esito logico di tanti eccessi di zelo nella difesa del Papato, lungo una linea che va da de Maistre a Veuillot... e ciascuno aggiunga i contemporanei che preferisce; ma supporre che quest’errore diventi essenziale, al punto di implicare il rifiuto pertinace di accettare il Pontificato vero, mi sembrava troppo. Non in astratto; rispetto agli elementi disponibili. Aggiungerò, anzi, che mi chiedevo se, nel mio ragionare, non fossi un po’ troppo condizionato dal disagio crescente e viscerale che avvertivo.
Ma, con il trascorrere dei mesi, l'aggravarsi degli scandali, della minaccia di rovina per le anime e del media-delirio bergoglioide mi hanno indirizzato in un’altra direzione, verso un’ipotesi. L’ho tenuta per me piuttosto a lungo, parlandone solo con pochi amici, in attesa degli eventi; ma le recentissime turbolenze sinodali e il ruolo chiave giocatovi da “Francesco” mi hanno fatto avvertire un vero obbligo grave e urgente di divulgarla. A tutela della mia anima, perché, ove fossi in errore, altri potranno correggermi; a vantaggio di tutti, se per disgrazia avessi ragione, come sono tristemente convinto che sia.
Credo che non ci sia alcun bisogno di specificare che lo scisma rende vacante la Sede tanto quanto l'eresia, benché l'ipotesi sia stata assai meno trattata dai probati auctores e anche dalle controversie tradizionaliste: solo Mons. Gamber, che io sappia, ha rispolverato l'argomento, riguardo alla promulgazione del Novus Ordo Missae. Si è scritto a profusione sulle dichiarazioni di Bergoglio, ma a parer mio – e senza nulla togliere alla loro gravità – tra interviste semi-smentite, detti e atti semi-ufficiali, improvvisazione costante, ci saranno sempre margini per chi vorrà negare trattarsi di eresia formale. Non così nell’ipotesi che prospetto; o almeno, non vedo una sola difesa che riesca a reggere.
Lo scisma, in qualsiasi fedele, sarebbe il rifiuto di sottomissione al Romano Pontefice o di comunione con chi a Lui è soggetto; nel Papa stesso – horribile dictu! - può solo essere la volontà di rompere con tutta la Chiesa e di volersene creare una per conto proprio. Questo prendere costantemente le distanza, nei fatti, dai propri predecessori immediati, quasi avessero sbagliato tutto, fossero stati privi di misericordia, etc.; il parallelo fomentare un clima di rinnovamento febbrile che libito fe' licito in sua legge; cosa sono, se non rottura con la Chiesa di ieri per creare quella di domani, che dovrà essere rigorosamente bergogliocentrica?
In termini weberiani, siamo all'esasperazione del potere carismatico: non c'è più spazio per la Rivelazione o la Tradizione, per il diritto divino od umano, e neppure per le semplici usanze; l'unica forma di legittimazione di Bergoglio sta nelle sue pretese qualità eccezionali. Ne segue che ogni suo minimo detto o fatto è “profetico”, trasuda ispirazione al punto di essere più che insindacabile: il più rispettoso cenno di critica sarebbe alto tradimento.
Ma per l'appunto: al di là delle censure dottrinali – sacrosante, se non fosse che il “carisma” non si formalizza in una struttura di pensiero, in proposizioni confutabili – cos'è quest'insofferenza per qualsiasi argine se non una rottura con tutta la costituzione divina della Chiesa?
Se questo non è scisma, io non vedo cosa lo possa essere.
E tralascio il mio tremendo sospetto, che al Santissimo Sacramento Bergoglio riserbi l'inchino – e non la genuflessione – perché Lo considera un suo pari. Che si saluta con educazione, ma con cui non si vuole avere nulla a che fare.
Neppure intendo parlare di profezie, complotti o disegni eversivi; tutte le relative ipotesi potrebbero, infatti, essere perfettamente vere (anzi, secondo me alcune sono piuttosto plausibili), ma non aggiungerebbero comunque nulla ai fatti notori e conclamati.
Tra cui ve n’è uno che giudico decisivo. Al punto che credo o temo che neanche il lettore più refrattario agli argomenti fin qui svolti lo possa refutare.
E’ impossibile negare, con un minimo di obiettività, che, intorno alla figura di Bergoglio, si sia sviluppato un movimento scismatico; che tutte le intenzioni da me appena attribuite a lui siano senz'altro riferibili ad una moltitudine di persone. Più o meno credenti, più o meno fuorviate dai media, più o meno “erranti di lungo corso” che hanno visto una Grande Luce.
Fin qui ho supposto che Bergoglio non sia colpevole del delitto di eresia e che l'elezione sia stata perfettamente legittima; sono anche passato oltre il dubbio di partenza sulla validità dell'accettazione. Bene: spingiamoci al massimo del garantismo; supponiamo che, dietro tutti i canti della Bergogliade, stia bensì un disegno, ma diverso e non scismatico. Ad esempio, egli potrebbe essere animato dalla convinzione che la Chiesa abbia un gran bisogno di riparare i propri danni d'immagine, indubbiamente nocivi all'apostolato; in ipotesi, egli sbaglierebbe completamente strategia, ma sarebbe animato da intenzione retta. Resterebbe fermo il dovere di resistenza contro atti che demoliscono la Chiesa anziché edificarla, però non si potrebbe ipotizzare la vacanza della Sede.
Tuttavia, perfino in questa prospettiva, la più favorevole a Bergoglio che mi riesce di concepire, si cela un dettaglio esiziale. Un dettaglio macroscopico, in effetti: appunto il movimento scismatico di cui sopra.
Bergoglio sa benissimo – vista la passione per le telefonate, visto che segue la rassegna stampa, etc. etc. - che le sue parole e i suoi gesti vengono presentati e intesi in un certo modo. Ha di sicuro almeno un'idea generale di quella che si proclama “la nuova chiesa di Papa Francesco” (maiuscole conseguenti all'ordine di importanza). Se, come assunto in ipotesi, la sua intenzione fosse retta, dovrebbe immediatamente correggere il tiro di parole e gesti. Più gesti che parole, a meno che queste non siano inequivocabili.
Non farlo significa cooperare al peccato altrui.
Cooperare formalmente. Perché, consapevoli della conseguenza deleteria del proprio comportamento, non la si vuole direttamente, ma si accetta che si verifichi, magari vedendola come “male minore” rispetto ad un preteso vantaggio in termini di – lasciatemelo dire – marketing da supermercato delle religioni.
Ma non è mai lecito volere il male, né come fine né come mezzo, né comunque come conseguenza – prevista ed evitabile – della propria azione.
Non è lecito moralmente. E neppure sul piano del diritto penale canonico, dove la cooperazione nel peccato diventa concorso nel delitto. Recita, infatti, il can. 1329:
§1. Coloro che di comune accordo concorrono nel delitto, e non vengono espressamente nominati dalla legge o dal precetto, se sono stabilite pene ferendae sententiae contro l'autore principale, sono soggetti alle stesse pene o ad altre di pari o minore gravità.
§2. Incorrono nella pena latae sententiae annessa al delitto i complici non nominati dalla legge o dal precetto, se senza la loro opera il delitto non sarebbe stato commesso e la pena sia di tal natura che possa essere loro applicata, altrimenti possono essere puniti con pene ferendae sententiae.”.
L’intenzione è retta? No: non è mai lecito fare il male perché ne derivi il bene. E comunque non basta. “Se compio un delitto sapendo che è tale perché voglio in tal modo raggiungere uno scopo buono, può essere ugualmente ravvisabile il titolo del dolo - come coscienza e volontà di ciò che si sta facendo - pur sussistendo il convincimento, erroneo o vero, di agire per uno scopo lecito e morale.”. A. D’Auria, L’imputabilità nel diritto penale canonico, PUG 1997,  pag. 84. Lo stesso ragionamento può applicarsi senza difficoltà al dolo di concorso: coscienza a volontà di contribuire al delitto altrui, sebbene il proprio intento “principale” sia un altro.
Dunque, Bergoglio concorre nell'altrui delitto di scisma: non è “complice” (§2) nel senso del previo accordo (§1), ma in quello del contributo consapevole, senza il quale il delitto non sarebbe stato commesso. E se per caso si volesse ancora ipotizzare, in costui, un difetto di consapevolezza circa le conseguenze delle proprie azioni, il can. 1325 risponderebbe che l'ignoranza non scusa neppure in minima parte, laddove sia crassa, supina o affettata.
Quanti, che prima magari si limitavano ad un generico disinteresse per la vita della Chiesa, o a un “Non capisco perché i divorziati non possano fare la Comunione!”, ...e via discorrendo con tutte le categorie note all'esperienza comune; quanti di costoro, dicevo, son passati alla militanza bergogliana attiva? Quanti, prima forse semplici peccatori, sono giunti alla ribellione aperta, al delitto di scisma?? “La Chiesa deve cambiare! Meno male che c'è questo Papa! Adesso si fa come diciamo noi!”. E codesto trascinante esempio biancovestito non ha, forse, fatto trascendere a nuovi eccessi anche i ribelli storici e conclamati?
Ciascuno di voi, se conosce anche un solo caso del genere, può essere moralmente certo che Jorge Mario Bergoglio porta la pena di quel delitto, che quello scisma grava la sua anima con il fardello della scomunica latae sententiae. E' vero, infatti, che egli non sa nulla del singolo caso in questione, che non si è rappresentato il delitto di Tizio, né ha voluto concorrervi. Tuttavia, in chi imbracci un mitra e cominci a sparare all'impazzata in mezzo alla strada, per la condanna non si richiede certo la volontà di uccidere proprio coloro che ha ucciso; similmente, quando ci si è necessariamente rappresentati il fatto che una pluralità indeterminata, e assai numerosa, di soggetti sarebbe stata in vario modo spinta, o aiutata in modo determinante, a compiere atti scismatici, tanto basta perché si contragga la pena prevista per ciascuno, sebbene non siano stati considerati nella loro individualità.
Suscita orrore il pensiero del cumulo di scomuniche che viene a gravare sull'anima di chi ha cagionato uno scandalo di proporzioni simili!
C’è però, e per fortuna, una sorta di consolazione.
Da cinquant'anni suonati, ormai, noi, tutti noi che vogliamo restare Cattolici, discutiamo sul Concilio e il post-Concilio, ci dividiamo lungo uno spettro che va dai continuisti ai seguaci degli antipapi, sgranati come un Rosario di lacrime per la dolorosissima condizione della Chiesa... e spesso, troppo spesso in lotta aperta. Desiderosi di reagire, ma incerti sulla via giusta o intenti a disputare in proposito. E “se la tromba ha un suono incerto, chi si preparerà per la battaglia?” (1Cor 14,8).
Ma ora, finalmente, tra tanti dubbi e legittimi dibattiti, possiamo disporre di una certezza.
Comunque la pensiamo sul Concilio e su tutto ciò che ne è seguito fino alla rinuncia di Benedetto XVI inclusa, se abbiamo quel minimo di onestà intellettuale che basta ad ammettere i fatti evidenti e se la mia ricostruzione giuridica è corretta – come temo che sia – dobbiamo trovarci tutti d'accordo - tutti, perfino i più accesi continuasti - nel concludere che la Sede è vacante.
E se, su questo tragico punto comune, riuscissimo a ritrovare almeno un poco di unità soprannaturale, quel briciolo di pasta che poi la Grazia sa come far lievitare, io sono certo, certissimo che, proprio nell'ora più cupa, quando le Tenebre paiono scatenate del tutto, avrebbe inizio la reazione. Santa e destinata a trionfare, non importa se con un trionfo visibile o nel cataclisma della fine dei tempi.
Questa è un'ora che chiama a raccolta intorno allo stendardo, nudo e scabro, della Croce. Non promette gloria o ricompense in questo mondo, ma solo dileggio, disprezzo o martirio. Ma siamo mandati “come agnelli in mezzo ai lupi” affinché essi credano di trionfare… e un'altra forza, che non è la nostra, sconvolga i loro cammini di empietà. E' tempo che squilli la tromba dell'Arcangelo, ben più potente e sicura delle nostre. Perché ci attende l'equivalente spirituale di una lotta all'ultimo sangue. Da questa lotta dovrà emergere, trionfante, il Cuore Immacolato di Maria; ed Ella, che sa essere dolce Madre di Gesù Bambino e, nello stesso tempo, schiacciare al suolo il serpente; che oggi accoglie ognuno di noi, peccatore, per riportarlo a Dio, ma da sola ha sconfitto, con la forza di una Fede adamantina, tutte le eresie di tutti i tempi; ci ottenga la grazia incommensurabile di saper essere inflessibili sui diritti di Dio e la salvezza dell'anima nostra, senza mai perdere neppure l'apparenza della vera Carità; ci ottenga di convincere, prima ancora che di vincere, e con il profumo soave delle virtù prima che con ogni risorsa dialettica. Così Dio ci aiuti!
 
Guido Ferro Canale