L’Inquisizione è una delle armi preferite per
aggredire e colpevolizzare i cattolici. Così come l’accusa di omofobia,
l’Inquisizione viene citata per mettere subito a tacere
qualunque cattolico osi esporre una critica, magari contro un’opera artistica
ritenuta blasfema e offensiva. La frase: “Guarda che l’Inqusizione è finita,
eh?” scatta come riflesso pavloviano per zittire il cattolico reo di aver
esternato una sua opinione negativa.
Evidentemente la campagna anticattolica
illuminista e protestante è stata davvero efficace. Già, perché la
verità storica è ben diversa, non che questo ovviamente importi ai
nemici della Chiesa. Tuttavia riteniamo importante far notare alcune
pubblicazioni recenti, lo abbiamo già fatto segnalando il
saggio di Marina Montesano, docente di Storia medievale
nell’Università di Messina, la quale ha rivelato che il fenomeno non era per
nulla sviluppato nel Medioevo, ma «proprio durante il fiorire del
Rinascimento si elaborarono idee e strumenti atti a perseguire le streghe, e fu
in piena età moderna che si registrarono in Europa le condanne più gravi e
numerose». Inoltre, l’Inquisizione fu una questione decisamente
protestante e meno cattolica, tanto che «circa la metà delle
condanne capitali europee furono comminate in Germania [...]. I riformatori
facevano dunque dell’impegno contro Satana quasi un’ossessione». Al
contrario, l’Inquisizione spagnola -cattolica, per capirci meglio- «ebbe in
realtà un uso giudiziario della tortura assai moderato e un
numero di vittime molto basso, se paragonato all’Europa
centro-settentrionale».
Christopher Black, professore di
Storia d’Italia all’università di Glasgow, ha pubblicato nel 2013 il libro
Storia dell’Inquisizione in Italia. Tribunali, eretici, censura
(Carocci 2013), con il quale ha sfatato la tesi, tramandataci dalla
storiografia anticlericale, secondo cui l’Inquisizione romana
fu nient’altro che un “tribunale sanguinario”, documentando come le sentenze di
morte furono “relativamente poche” se confrontate a quelle di quasi tutti gli
altri tribunali italiani, la tortura “più rara”, e si diedero ai “rei” concrete
opportunità di “patteggiamento della pena”.
La storica Montesano ha recensito a sua volta in questi giorni il
volume dello storico scozzese spiegando che «alla conoscenza dell’operato
dell’inquisizione in Italia hanno contribuito negli ultimi decenni molti studi
(a partire da quelli di Romano Canosa e di Adriano Prosperi), alla luce dei
quali si può dire ormai superato, almeno in ambito
storiografico, il pregiudizio su un’istituzione vista come
unicamente assetata di sangue, pronta a torturare e condannare a morte in base a
ogni pretesto».
Viene anche spiegato che le diverse Inquisizioni,
come quella spagnola, della Repubblica di Venezia o quella siciliana
erano indipendenti dalla Santa Sede, così come quelle di altri
paesi cattolici che usavano strumenti di controllo e di repressione o di
moderata tolleranza rispetto ai gruppi cristiani riformati, «con ciò
vanificando il lavoro del sant’Uffizio». Per quanto riguarda gli
ebrei, nei territori della Santa Sede, «non subirono mai il
trattamento riservato loro in Spagna e non furono costretti alla conversione; ma
certamente il controllo sulle loro comunità si intensificò e irrigidì: in
particolar modo si prestava attenzione ai casi in cui conversioni spontanee –
generalmente ottenute per mezzo della catechesi condotta dai gesuiti – di ebrei
non fossero osteggiate da parenti e conoscenti; si indagava sulle frequenti
denunce di profanazioni compiute contro oggetti e figure sacre dei cristiani; si
esercitava un controllo sul contenuto dei testi religiosi degli ebrei».
Rispetto alla magia e alla
stregoneria, continua la Montesano seguendo le affermazioni del volume
di Black, «si deve sottolineare come sia ormai opinione condivisa che
l’Inquisizione del Sant’Uffizio si comportò in modo più scettico e
rigoroso nell’accertamento delle colpe di quanto facevano
contemporaneamente i tribunali laici e le gerarchie ecclesiastiche locali, più
facilmente inclini a cedere alle istanza fanaticamente persecutorie espresse
dalla società civile». I processi in ogni caso, concentrati più su pratiche
antireligiose o blasfeme, «difficilmente venivano conclusi
da condanne gravi: ma era necessario che l’imputato facesse ammenda e
riconoscesse i propri errori».
La conclusione di Christopher Black è che, quando
la Santa Sede sottraeva competenze e poteri alle autorità laiche, questo giocava
«a vantaggio degli imputati, consentendo loro di essere
sottoposti a istruttorie e processi duri ma rigorosi, soprattutto per quanto
riguarda l’impiego della tortura, cui Black dedica un dettagliato paragrafo,
sottratti alle logiche localistiche che risultavano generalmente penalizzanti
per i soggetti più deboli».
Seppur più umana e tollerante, anche
l’Inquisizione del Sant’Uffizio era certamente una pratica
sbagliata, ma è errato anche giudicare la storia con la mentalità
odierna e dopo il progresso dei diritti umani, dovuti proprio grazie al continuo
richiamo dei valori cristiani. La Chiesa si è domandata: «si può
investire la coscienza attuale di una “colpa” collegata a fenomeni storici
irripetibili, come le crociate o l’inquisizione? Non è fin troppo
facile giudicare i protagonisti del passato con la coscienza
attuale?», sottolineando anche che «la sua “domanda di perdono” non deve
essere intesa come ostentazione di finta umiltà, né come rinnegamento della sua
storia bimillenaria certamente ricca di meriti nei campi della carità, della
cultura e della santità. Essa risponde invece a un’irrinunciabile esigenza di
verità, che accanto agli aspetti positivi, riconosce i limiti e le
debolezze umane delle varie generazioni dei discepoli di Cristo».
La stessa presa di coscienza dovrebbe essere fatta anche da tutti coloro che
fino ad oggi hanno mentito circa l’analisi storica del fenomeno
dell’Inquisizione.
Fonte: