Stemma dei Templari.
Sac. Luigi Parascandolo
del Clero napoletano:
I Templari
Da: La Frammassoneria figlia ed erede del Manicheismo, studii storici, tomo I., cap. VIII, Napoli 1865, pag. 96-108.
CAP. VIII.
I Templari — Depravazione di quest'Ordine e sua professione di Manicheismo — Abolizione del medesimo — I più nequitosi avanzi di quei Cavalieri s'innestano alla Frammassoneria.I Cattolici lettori, che mi hanno seguito nella sposizione della Storia del Neomanicheismo, di leggieri avveggonsi come quelle ree congreghe, in Oriente ed in Occidente, ognor che un temporaneo trionfo o la moltitudine degli adepti permise loro sostenersi con le arme, disvelarono tutta la rabbia che rodevale nelle viscere contro il nome Cristiano; al paro che ai nostri tempi hanno mostrato i loro figli ed eredi dei nequitosi principii, tutte volte riuscirono a passare dallo stato di aggregazioni arcane a quello pubblico, mercè le rivoluzioni che hanno preparate. Resta nondimeno, non dubito, nell'animo una perplessità come elleno avessero potuto propagarsi: non sembrando che tornasse loro sì di leggieri sovvertire quel gran numero di persone, di ogni lingua e di indoli diverse, in tempi in cui la Fede era grandemente radicata nei popoli. Ma è a considerare che oltre alla propensione dei cuori a quanto potesse coonestare le passioni; quello spirito vago, il quale più o meno investiva le menti, di risorgere dalla ignoranza quasi universale che per allora dominava l'Europa, facilmente poteva traviarle. A questo si aggiungevano i modi subdoli che adoperavano gli apostoli di quel Neomanicheismo nella triste opera di seduzione; per nulla dissimili da quelli altra volta adoperati per gli antichi Manichei, e che poi gli odierni settarii fedelmente hanno imitati. Luca Tudense viene narrando all'uopo, che affine di riuscire a trarre in inganno i poveri villici ed i pastori, essi andavano spargendo per le campagne e pe' burroni dei monti, schedule contenenti i loro errori [1]. E mentre di tal guisa procuravano imporre alle ignoranti moltitudini del Contado, con arti non meno nequitose aggredivano la buona fede delle classi più elevate nella Società. Giacchè Frate Raniero riferisce, come eglino s'insinuassero nelle case dei Nobili, infingendosi merciaiuoli di oggetti di lusso, che presentavano ai signori ed alle signore, per farne spaccio: e che riusciti a quella vendita, profferivansi loro di mostrare altre cose di maggior valore; e quando in quelli ridestavasi il desiderio di osservarle, ad essi snocciolavano alcuni testi della Bibbia, travolgendoli in sensi obbrobriosi al Clero [2].
Or la sovversione di pastori e bifolchi ignoranti, di donnicciuole volgari, e di signori che per allora non elevavansi, in quanto alla sfera del sapere, al di là dei loro Castaldi e dei Villici delle loro Fattorie, per le ragioni sopra esposte spiegasi fulgidissimamente. Ma che persone religiose, anzi un Ordine intero divenisse preda della setta, ed abbandonato al reprobo senso, ne adottasse ogni rea massima e le pratiche le più scellerate, è un fatto deplorabile, nella Storia della Chiesa, che mostra come possa riuscire a fatale depravazione, qualsiasi consorzio umano, ognor che si allontana dallo spirito di sua istituzione originaria. Fu questo l'Ordine religioso-militare dei Cavalieri del Tempio, fondato nei primi tempi della Crociata, in Palestina; e che aveva avuta scritta la sua regola da uno dei più grandi e santi uomini di quel secolo, da S. Bernardo. Intanto eglino aumentatisi in numero, non che in dovizie, nell'Oriente ed Occidente, montarono in superbia. Quindi incominciarono a mostrare poca deferenza alle Autorità ecclesiastiche, e ad un tempo ruppero guerra contro i Principi Cristiani, e depredarono indistintamente le terre di questi e degl'infedeli. E talvolta tradirono i Crociati, disvelandone i piani di strategica ai Musulmani. Resi dunque formidabili, questa loro potenza li fece schiavi di vizii abominevoli; e fin dallo scorcio del secolo XIII, essi erano diffamati pel loro orgoglio, e soprattutto per la loro avarizia; giacchè impedirono la conversione di alcune tribù infedeli della Siria, che desideravano venire a Gesù Cristo, per timore non perdessero un tributo che ricevevano da esse. Che anzi in gran parte dovevasi a loro la totale rovina delle Crociate nella Palestina, per le discordie in cui lungamente durarono con i Cavalieri dell'altro Ordine degli Ospedalieri [3]. Dopo la caduta di S. Giovanni d'Acri, che era l'ultimo baluardo dei Latini in Siria, essi ricoveratisi in Cipro, non indugiarono ad appiccare brighe con quel Re, Enrico di Lusignano [4]. E quello che soprattutto contribuì alla universale loro contaminazione, verosimilmente pare essere stato il commercio avuto con gli avanzi dei Manichei nell'Oriente. Divero fu rinvenuto, eglino averne in massima professati i principii erronei, non che le pratiche obbrobriose e brutali. Nell'anno 1307, fu disvelato, come dappoi confessarono alcuni di loro nell'esame giuridico che primamente seguì in Parigi, che da oltre a quarant'anni, l'ammissione all'Ordine, era una formale apostasia dal Cristianesimo, associata al vilipendio sacrilego della Croce, in oltraggio del suo Divino Autore, ed a riti nefandi nei quali disfogavano le loro brutalità [5]; e ciò, oltre la professione d'idolatria, avendo nella sala dei loro Capitoli una testa barbuta e coperta di oro e di argento. Questi esecrabili fatti sarebbero rimasti, chi sa per quanto altro tempo, occultati, se due di essi, il Priore di Montfaucon ed un Fiorentino a nome Nossodei, condannati dal Gran-Maestro, per gravi delitti, avvisarono non meglio poterne ottenere la impunità, che disvelando le nequizie dell'Ordine medesimo [6]. Però, in Ottobre detto anno, il Re di Francia, Filippo il Bello, ordinò la incarcerazione di quanti v'erano nei suoi Stati. E di cento quaranta di essi, che vennero arrestati in Parigi, ed esaminati per più giorni dall'Inquisitore generale, tranne tre, gli altri confessarono tutte quella abominazioni, di cui era accusato l'Ordine; dichiarando di nulla sapere della testa di legno dorato ed inargentato, la quale esponevasi solo nei Capitoli generali. Intanto il Pontefice, Clemente V, il quale si era lamentato di quegli arresti, perchè di persone religiose, avocata a se la disamina e la definitiva sentenza, nell'anno dopo spedì lettere encicliche a tutta la Cristianità, disponendo che i Vescovi, di unito agl'Inquisitori e ad altri Ecclesiastici, procurassero venire in chiaro di quelle accuse; sommettendo alla loro giurisdizione i Templari che fossero nelle rispettive Diocesi. Ad un tempo ordinava che i Metropolitani, per la migliore discussione del fatto, convocassero all'uopo i loro Suffraganei in Concilii provinciali [7]. Di più quel Pontefice volle inquirere di persona su le dette accuse; e però settantadue di quei Cavalieri, graduati nell'Ordine e tra essi altresì alcuni Sacerdoti, menati in Poitiers, dinnanzi a lui ed al sacro Collegio, confessarono, in replicate contestazioni ed esami, tutte quelle abominazioni, di cui la pubblica fama già li accusava come rei [8].
Pervenute poi quell'encicliche nelle province dell'Orbe Cristiano, i Templarii v'incontrarono più o meno quella sorte medesima, che i loro colleghi avevano esperimentata nella Francia. E dovettero sottoporsi agli ordini del Pontefice, costituendosi in arresto presso gli Ordinari locali. Soltanto quei ch'erano nell'isola di Cipro o quei del Regno di Aragona opposero una dissennata ed inutile resistenza. Gli uni procurarono fortificarsi in Nicosia ed in altri luoghi di quell'isola, minacciando di respingere con le armi il Luogotenente di quel Regno, Amalrico Signore di Tiro, il quale si era data premura di appoggiare con la sua autorità, la esecuzione delle mentovate encicliche del Sovrano Pontefice. Ma dappoi, eglino o che venissero a più sani consigli, o che omai si avvedessero, riuscire vana ogni loro oltranza; nei modi più solenni, fecero al medesimo, come delegato della Apostolica Sede, l'atto di consegna delle loro persone e dei loro beni [9]. Egualmente che i Templari di Cipro, quei d'Oltrepirenei, quando s'incominciò ad inquirere contro di loro, tentarono munirsi nelle Castella, che in quelle province di Spagna vi possedeva l'Ordine; ma dovettero cedere alla forza delle armi del Re Giacomo d'Aragona, che li obbligò a sottoporsi alle disposizioni del Papa [10]. Proseguivansi ad un tempo le inquisizioni nella Francia; ed a Troyes, a Bayeux, a Pont-de l'Arche, a Carcassona, a Chaors, egualmente che nell'Inghilterra, a Londra, ed in Italia, a Ravenna, a Bologna, a Pisa, a Firenze, ed in altri luoghi, dove quell'Ordine aveva case, gl'inquisiti non punto contraddissero a quanto veniva loro apposto. E non pochi tra essi, manifestando quegli esecrabili delitti, dei quali si era insozzato l'Ordine; disvelarono altresì il giuramento, con cui obbligavansi ad eseguire quanto venisse loro ingiunto dal Gran-Maestro, a non perdonarla al sacro nè al profano, ad avere in conto di lecito tutto ciò potesse condurre al bene dell'Ordine medesimo, e sopra ogni altro, a non mai tradire gli orrendi arcani dei loro misteri notturni, sotto pena di terribili gastighi. Aggiungendo che a cotali abominazioni erano stati costretti con la violenza, con la prigionia e con le più crudeli vessazioni; e che per tema delle vendette tremende loro minacciate non avevano avuto coraggio di abbandonare l'Ordine. Che anzi alcuni contestarono d'essersi già ravveduti di quelle nequizie, e gran tempo era che le avevano manifestate, nelle loro Confessioni Sacramentali, ai Penitenzieri dei Vescovi, ed a quelli di Roma nel Giubileo dell'anno 1300 [11]. Pe' processi originali, esistenti nella Biblioteca Vaticana, e che per allora furono compilati nelle diverse parti della Cristianità, ricavasi come oltre a duemila testimoni deposero contro quella grande depravazione di quell'Ordine, e confermarono quelle deposizioni nei modi di diritto [12]. Il Pontefice aveva deputati appositamente tre Cardinali, per l'esame del Gran-Maestro, Giacomo Molay, del Maestro di Cipro, del Visitatore di Francia, e dei Percettori di Poiteu, Guienna e Normandia. Quella inquisizione ebbe luogo in Chinon nella Turena, in presenza di quattro Notai che ne distesero gli Atti, e di non pochi testimoni: e quivi parimenti, i mentovati Prevosti dell'Ordine confessarono non una volta ed in replicati esami, l'apostasia dal Cristianesimo e la profanazione della Croce, con cui era gran tempo che solevansi aggregare i nuovi Cavalieri, non che le altre enormità che il pudore vieta indicare [13]. Per tutte queste ed altre attestazioni, pervenute dalle varie parti d'Europa, fu compreso, e non senza universale stupore, che quei sospetti, già prima concepiti in riguardo a quell'Ordine, avessero grandissimo fondamento: omai essendosi disvelato come i Templari eransi venduti ad ogni delitto, e dati in preda alle più obbrobriose nequizie. E quindi si venne in aperto d'onde derivavano tante querele sopra i frequenti tradimenti, di cui i Principi Cristiani erano vittime nelle loro guerre contro i Sarraceni, e che avevano portata la catastrofe delle Crociate nell'Oriente [14]. Cotali risultati pienamente ponendo in aperto le infamie e gli orrendi delitti, dei quali si era deturpato quell'Ordine, degenere dalla sua religiosa istituzione; non poteva impedirne omai la rovina. Questo fu il giudizio di quanti per allora erano in rinomanza di pietà e dottrina, stante lo scandalo universale in cui erano venuti quei Cavalieri appo i Cristiani e gl'infedeli [15]. E però quando il Papa l'abolì nel Concilio di Vienna, l'anno 1312, quella abolizione fu un atto di giustizia; per quel tempo essendo convinzione universale che l'antico Manicheismo, con ogni sua depravazione di principii e di pratiche, si fosse trasfuso in gran parte dei membri dell'Ordine, in seguito alle loro relazioni con gli Orientali.
Or a fronte di tante fulgidissime memorie della reità dell'Ordine suddetto, non uno v'è stato [= vi è stato qualcuno, N.d.R.], il quale, non che porne in dubbio le abominazioni, di più abbia procurato giustificarnelo; riversando l'onta di quelle accuse sopra il Re Filippo il Bello, come a colui che agognasse alle sterminate dovizie di quei Cavalieri, e sopra il Pontefice Clemente V che consentì alle rapaci voglie ed allo spirito di vendetta di quel Principe. E da cotali disfavorevoli presunzioni contro di entrambi, derivarono le querele di taluni, non forse le torture avessero strappate confessioni non vere. Il Condorset, che non punto potrebbe venire in sospetto di mentire sul proposito, o almanco è a supporsi meglio istruito, sufficientemente disvelò la poca consistenza di quelle querele; manifestando che adoperavasi per investigazioni all'uopo, le quali tendevano a mettere all'aperto i rapporti intimi dei Templari con la Frammassoneria [16]. E la triste morte di questo incredulo, senza dubbio dovette impedirgli il proseguimento di quelle ricerche e di quel lavoro, che sarebbe venuto pienamente alla illazione di considerare quei Cavalieri, degeneri da loro originaria istituzione, come maestri degli odierni Frammassoni. I quali però si fanno una gloria di questo, di che altri per difetto di avvedutezza vorrebbe senza fondamento frodarli. E come la funzione della canna, adoperata per gran tempo nei tenebrosi convegni della odierna Frammassoneria, disvelava manifestamente che con essa commemoravasi la morte di Manete, ed in uno la origine Manichea, che la tenebrosa setta ritrae dall'Oriente [17]; del pari, ed in modi non punto equivoci, addimostransi le originarie relazioni che i Frammassoni hanno con quell'Ordine depravato, da ritrarre nella schifose fogne, che erano divenute, per la miglior parte, le Case del medesimo, la somiglianza degli emblemi, nei quali eglino occultarono i misteri di loro rea associazione, la identità delle forme di misticismo e di morale che vantano portate in Europa dai Templari, non che quel culto arcano di Iehovah cui dicono venuto d'Oriente, e per loro raccolto, come eredità di quei Cavalieri. Il tempo e le abitudini di ogni secolo ebbero potuto variare quel simbolismo, e se vuolsi, anche alcuni di quegli orribili sistemi: nondimeno la sostanza, i voti, i giuramenti, l'odio, le cospirazioni sono gli stessi, disvelando in tutto questo, la funesta eredità di nequitosi padri nei figli, e di loro assai più tristi! Divero le iniziazioni in quell'Ordine contaminato erano in una contrapposizione all'Uomo-Dio che muore per la salute degli uomini, il Dio che non muore, ritratto in quella testa dorata, dinnanzi a cui eglino prostraronsi, in uno che nei modi più empii consumavano la loro apostasia dal Cristianesimo [18]. Ed in odio per lo appunto del suo Divino Autore, solennizzavano le feste del loro Iehovah specialmente nel Venerdì Santo [19]; come dappoi i primi Massoni Rosacroce, per l'odio stesso contro Cristo Signore, ebbero nei proprii statuti, di congregarsi nel Giovedì Santo, affine di contrapporre la pasqua massonica a quella dei Cristiani. Oltrechè l'abuso del Salmo CXXXII [20], il quale si adoperava pe' Templari, come il Cantico favorito nei loro misteri, celava gl'intendimenti supremi dell'aberrazione religiosa e sociale, la falsa libertà e la eguaglianza comunistica. E parimente dappoi ebbe formato come il motto d'ordine dei Massoni, affine di mascherare i principii acattolici e rivoluzionarii. Le cautele medesime che quei Cavalieri usarono a tenere lungi i profani, non che le vendette dei fratelli, alle quali eglino sottoponevansi con terribili giuramenti, dimostrano come da essi la Frammassoneria ereditasse le sue costumanze. Eglino erano soliti mettere fuori delle loro Case, chiunque non fosse iniziato; fratelli armati ne custodivano le porte, e fino circondavano il tetto, onde potesse serbarsi l'arcano; le vendette colpivano fino con la morte il Templario, che avesse rivelato i misteri dell'Ordine [21]. E non forse troviamo lo stesso giuramento, le stesse cure di precauzione, i nomi di fratelli terribili, non che quello di Tempio coperto e di Tempio che piove, in riguardo alle Loggie, ai loro custodi, al modo come potere essere inosservati, o non ascoltati? Infine quel voto di vendetta contro il Pontefice Clemente V, il Re Filippo il Bello e gli altri Sovrani che contribuirono alla distruzione dell'Ordine nel principio del secolo XIV, non cadendo su le persone, e perpetuatesi negli arcani della Frammassoneria per oltre a cinque secoli; non punto è ispirato dai legami di sangue o d'interesse con quei Templari. E però con esso disvelasi, l'intendimento dei Cavalieri superstiti essere stato, quello di perpetuare i misteri, i principii, le pratiche e le depravazioni dell'Ordine loro, una col voto di vendetta contro i Papi ed i Principi, e contro la Religione, che li proscrisse; all'uopo formando una generazione con gli stessi misteri d'iniquità, le stesse cospirazioni, gli stessi giuramenti, l'odio stesso e le bestemmie contro il Dio dei Cristiani, contro i Preti e contro i Re.
Tutto dunque, disvela negli odierni Frammassoni i figli di quei Cavalieri proscritti. Nè altrimenti poteva avvenire, chè omai secondo le memorie, tolte dagli Archivii medesimi della Frammassoneria, ricavasi come intimi rapporti essa abbia con gli antichi Templari. Giacchè gran numero di essi nel 1314, si riunirono a Müull [= Mull, N.d.R.] nella Scozia, affine di continuare nella pratica dei loro iniqui misteri. E nel 1314, quel Re, Roberto Bruce, li riunì alla società dei Liberi-Muratori, riserbandosi il diritto ereditario della dignità di Gran-Maestro della venerabile Loggia di Herodam in Edimburg. Ed alle ree dottrine, che già occultamente serpeggiavano in quel consorzio, i profughi Cavalieri del Tempio v'innestarono tutti gli errori, i quali avevano attinti in Levante dai misteri delle società secrete dei Greci, dei Siri e degli Ebrei; misteri infami e scellerati, ritraenti la loro origine dagli antichi stoici, dai riti Mitriaci dei Persiani e dal Buddismo Indiano, di cui non pochi di quell'Ordine, già corrotto, erano sozzi [22]. E questi misteri dappoi si continuarono insino ai nostri tempi, con un incremento di malizia e di livore a danno della Religione e degli ordini sociali, che voglionsi distruggere: l'una, perchè anatematizza i loro dogmi esecrabili; gli altri, perchè è intendimento della congreghe settarie menare alla superficie del consorzio sociale le luridezze che ne sono in fondo.
NOTE:
[1] In solita nequitia haereticis persistentibus, novo decipiendi genere, schedulas conscripserunt, et per devia montium projecerunt, ut invenientes eas pastores pecudum, Clericis deferrent legendas. Luc. Tudens. Advers. Albigens. error. lib. III , cap. I, 18.[2] Haeretici callide student qualiter se ingerant familiaritati nobilium et magnorum, et hoc faciunt hoc modo. Aliquas merces gratas et annulos et pepla dominis et dominabus habent ad emendum. Quibus venditis, si homines quaerant ab eo: habes plures ad vendendum; respondet: Habeo pretiosiores gemmas, quam sunt istae; haec vobis darem si feceritis me securum quod non proderitis me Clericis. Securitate itaque accepta, dicunt: Habeo gemmam a Deo fulgentem, quod homo per eam cognoscit Deum; aliam quae tantum rutilat, quod amorem Dei accendit in corde habentis eam; et sic de ceteris gemmis dicit metaphorice. Postea recitat sibi aliquod devotum capitulum, ut est id Lucae: Missus est Angelus Gabriel, etc. vel de Sermone Domini Ioann. XII. Ante diem festum etc. Cum igitur ipso incoeperit auditori placere, tunc subdit capitulum Matth. XXII: Super cathedram Moisi etc. Vae vobis, qui tulistis clavem scientiae; ipsi non intratis, et ceteros intrare prohibetis; et illud Marci XII: vae vobis, qui devoratis domum viduarum, et quae sequuntur. Quaesitus autem ab auditore, de quo istae imprecationes intelligantur, respondet de Clericis et Religiosis. Fratr. Raynerii Summa contr. Catharos etc. Cap. 8.
[3] Raynald. Annal. eccl. ann. 1291, § 29, 30; ann. 1306, § 5. — Helyot Hist des Ordr. Monast. Relig. et Milit. tom. VIII. [Pierre Hélyot, storico dei terziarî regolari di s. Francesco (Parigi 1660 - ivi 1716) N.d.R.]
[4] Raynald. ann. 1298, § 21; 1299, § 37, 38.
[5] Dixerunt aliqui eorum, quod credebant hunc modum professionis coepisse jam erant quadraginta anni et amplius, et hactenus fuerat occultatum: Vit. Clement. Pp. V, auctor. Ioanne Canonico S. Victoris Parisiens. in Baluze Vit. Papar. Avenionens. tom. 1.
[6] Raynald. ann, 1307, § 12. Heylot oper. citat.
[7] Ptolomaei Lucens. Vit. Clement. Pp. V, in Baluze oper. citat.
[8] Bulla Clement. Pp. V, Dat. Tolosae, III Kal. Ian. Pont. ann. IV, in Annal. Raynald. ann. 1307, § 12. — Bernard. Guidon. Vit. Clement. Pp. V, in Baluze oper. citat.
[9] Baluze oper. citat. tom. II, in Append. Monument.
[10] Helyot oper. citat.
[11] Layette I des Templiers, num. 14. 16, 17, 20, etc.
[12] Raynald. Annal. eccl. ann. 1311, § 53, 35. — Alcuni degli Atti di quegli esami dei Templari altresì vengono riferiti dal Bzow, tratti dai Codici Vaticani (ann. l308). Oltrechè potrebbesi riscontrare all'uopo la Cronaca di S. Denis, in Vit. Philippi Regis, non che il Walsingam Vit. Eduardi II Reg. Anglia , ann. 1340.
[13] Raynald. ann. l308, §, 4, 8, dove è rapportata la Bolla di Clemente V, con la quale convocando il Concilio generale in Vienna, accenna a quella Inquisizione, esponendone gli atti ed il risultato. Di più il Baluze riferisce per disteso la lettera che quel tre Cardinali diressero al Re di Francia, dove narransi le stesse cose: Vit. Papar. Avenionens. tom. II, in Appendic. Monumentor.
[14] Baluze Vit. Papar. Avenionens. tom. I, Vit. IV Clement. Pp. V, auctor. Bernardo Guidon. Vit. VI ejusd. Pap. auctor. Amalrico Augerio.
[15] Raynald. ann. 1311, § 53, 55.
[16] Esquisse d'un tableau, ecc. Ep. VI. — Al difetto del Condorset sembra che avesse supplito un altro scrittore, altra volta settario al par di lui, ma ravveduto; ed alle cui sode considerazioni non è possibile opporre ragione di sorte, riportandosene agli archivii della setta, che dovevangli essere molto conti. E però scrisse: «Filippo il Bello amava il Gran-Maestro Molay al punto, che lo designò per padrino di uno dei suoi figli. Non confiscò una sola delle terre dell'Ordine a proprio vantaggio, e tutt'i processi verbali ci segnalano dugento confessioni come fatte in piena libertà. I Concilii non permisero che i Templari fossero sottoposti alla tortura, ed il Papa animato dalla più viva brama di trovarli innocenti, dichiarò nulle le procedure del Monarca Francese, e sospese dalle loro funzioni gli Arcivescovi e Vescovi inquisitori. Questa condotta sembrò sì strana, che quel Re accusava Papa Clemente di favorire i delitti dei Templari. Ma il Pontefice non si arrese che dopo aver fatto interrogare in sua presenza, non piuttosto con la indulgenza di un padre che con la severità di un giudice, settantadue Cavalieri. E si condusse di questa guisa, anche per giustificarsi dal rimprovero di averli ciecamente favoriti. Ciò nondimeno Egli dovette udirsi ripetere dalla loro bocca liberamente, e senza violenza veruna, le confessioni medesime. E decorsero non pochi giorni, prima di permettere che loro venissero lette le deposizioni già fatte: ma le confessioni loro furono da essi spontaneamente riconfermate. Egli di persona volle interrogare direttamente il Gran-Maestro ed i principali superiori delle varia province d'Oltremare; fece interrogare quelli, che per causa d'infermità non avevano potuto allontanarsi dall'abituale proprio soggiorno; alla lettura delle deposizioni degli altri e questi pure aderirono. Non è, che dopo aver domandato a questi grandi colpevoli, se perseveravano tuttavia nelle loro dichiarazioni, e di averne riportato in tutta la libertà il giuramento, che il Sovrano Pontefice fu costretto a confessarsi ingannato; rivocando però le minacce fatte ai Vescovi della Francia, e permettendo che venisse proseguito il processo. Adunque è evidente come i Templari erano colpevoli dei più mostruosi misfatti; che nel loro processo non v'ebbe luogo nè l'odio, nè l'invidia, nè passione qualunque; quindi era un torto, che certi scrittori hanno preteso giustificarli. Verrebbe spontaneo il sospetto, non forse chiunque vuole crederli innocenti, abbia un qualche interesse di sostenerne la memoria. Difatti come altrimenti, ed in buona fede, potrebbesi supporre che nella sola Francia dugento Cavalieri volontariamente si dichiarino rei di colpe, dalle quali fossero del tutto innocenti? Sarebbe una infamia ed una vile manìa ributtante, al paro che i delitti medesimi! Egli è vero che Giacomo Molay, dopo avere sostenuto per tre anni la verità delle sue confessioni, volle ritrattarle. Ma i testimoni di quella scena non tardarono ad avvedersi che questo gran delinquente subiva allora gli effetti di un sommo smarrimento, causa piucchè i rimorsi della coscienza, la ignominiosa onta delle precedenti manifestazioni: i suoi sguardi, il suo gesto, la sua voce, tutto, annunziava in lui uno spirito profondamente abbattuto. Egli osò dichiarare essere gran tempo che non più apparteneva alla Società, di cui era il Gran-Maestro, ossia il Capo supremo. Negò persino di aver deposto mai nulla contro il suo Ordine; e salendo sul rogo, a cui fu condannato, appellò Filippo il Bello e Clemente V al Tribunale di Dio. Ma quanti altri scellerati, in quel momento supremo, non protestano della loro innocenza? D'altronde non è a credere che tutti indistintamente i Templari fossero dediti alle infamie, delle quali si è discorso, Non ve n'ebbe alcuno condannato in Spagna, nè a Magonza. Sembra altresì certo, che delle nove mila cose che a possedeva quest'Ordine così potente, talune ignoravano quegli atroci delitti. Si ritiene generalmente, che due terzi ne andassero contaminati, comunque non pochi Cavalieri li detestassero; e non vi aderissero nell'atto di loro aggregazione, che solo in seguito a molteplici vessazioni ed alle più terribili minacce. Cosa in vero strana, e che concorre luminosamente a dimostrare quanto i Templari fossero colpevoli, sta nel fatto che trenta o quaranta mila Cavalieri sopravvissero alla destruzione dell'Ordine, non meno che a Filippo ed a Clemente V i quali li avevano condannati; eglino si dispersero per diversi paesi e regni, e nulla avevano a temere. Ma non vi fu un solo, che accusasse d'ingiustizia la condanna portata contro l'Ordine; non uno che ritrattasse le confessioni, le quali aveva fatte nella prigionia subita, durante il processo: Doctrine e but de la Franc-Maçonnerie, par un Franc-Maçon qui ne l'est plus. Paris 1862.
[17] La morte di Manete fu, che per ordine del Re di Persia venne decorticato vivo a punte di canne spezzate: S. Epiphan. advers. Haeres. lib. II, tom. 1, cap. 66.
[18] Receptores dicebant illis, quos recipiebant, Christum non esse verum Deum, et ipsum fuisse falsum prophetam; non fuisse passum pro redemptione humani generis, sed pro sceleribus suis. Art. II declarat. in Du-puy, pag. 38. Nella citata opera, che ha per titolo Histoire de l'Ordre Militaire des Templiers, il Du-Puy ebbe raccolti tutt'i monumenti di quell'epoca; e nella quarta edizione fattane in Bruxelles in 4.° nel 1751, v'è tale un'aggiunta di monumenti, da riuscire opera quasi nuova (pag. 83-532). A questi voglionsi aggiungere, oltre all'idolo o testa dorata che i Templari adoravano col nome di Capo di Bafometo, le iscrizioni, le sculture e le pitture Gnostiche, rinvenute nelle Chiese, Castelli e Sepolcri, appartenuti a quell'Ordine nella Germania, e di cui ragiona l'eruditissimo De Hammer, Mines de l'Oriente, tom. VI. E v'è a notare, in proposito che quell'idolo dorato, ritraente il capo di un uomo, rinvenivasi nelle Logge della Frammassoneria in Ungheria, dove essa aveva serbate, in gran numero, le sue antiche costumanze superstiziose: Kleiser nel suo rapporto all'Imperadore Giuseppe II. Questo Principe l'aveva incaricato di farvisi ascrivere, onde potesse venire poi in cognizione del come comportarsi con i Massoni e gl'Illuminati; ed egli stesso fece dare alle stampe quel rapporto. Ma le due sette assorbirono la edizione di guisa, che appena è se omai possa trovarsene una copia. La testa medesima vedesi mentovata nello Specchio magico dei Franchi-Muratori della Cabala, la quale veneravano come l'Essere per eccellenza col nome di Sun (Io sono), che è il simbolo del Massonico Iehovah.
[19] Praecipue in die Vereris Sancti.
[20] Ecce quam bonum, etc.
[21] Injungebant eis per sacramentum, ne praedicta revelarent, sub poena mortis.
[22] Una tale fusione degli avanzi dei Templari nella Massoneria viene asserita dall'Acelleros, e la testimonianza di lui rendesi incontestabile, dacchè come Frammassone era in condizione di conoscere le antiche memorie delle sua rea congrega: La Franc-Maçonnerie dans sa veritable signification, ou son but et son histoire par Ed. Em. Eckert, Avocat a Dresde, traduit de l'allemand, disposé dam un nouvel ordre, et considérablement augmenté de documents authentiques, sur la Franc-Maçonnerie belge et française, par l'abbé Gyr, Prêtre du Diocèse de Liège, tom. 1.