lunedì 8 agosto 2016

Tre recensioni su tre volumi scientifici anti-darwinisti


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Ancora una volta riportiamo alcuni testi di Quagliati, tenendo presente quanto già detto per i precedenti [RS]
 
DIMENTICARE DARWIN – Ombre sull’evoluzione
di Giuseppe Sermonti. recensione di Mauro Quagliati
ISBN 88-18-01166-9
Rusconi Libri S.r.l., viale Sarca 235, 20126 Milano, 1999
Pag.158
9788818011661Con colpevole ritardo segnalo agli amici di Nexus quest’opera splendida che personalmente considero il miglior saggio divulgativo di biologia (anti)evolutiva oggi in commercio. Non si tratta di un semplice testo “eretico”, come il titolo programmatico fa presumere, questo libro è il prodotto di una meditazione profonda scaturita dalla cinquantennale esperienza di uno dei più competenti genetisti e microbiologi italiani, eppure pesantemente attaccato dall’establishment negli anni ’80, accusato di fondamentalismo creazionista. Docente universitario, direttore della “Rivista di Biologia“, Giuseppe Sermonti ha costituito nel Gruppo di Osaka un’aggregazione internazionale di ricercatori “dissidenti” al neo-darwinismo (tra cui figurava anche il compianto Giuliano Preparata).
Con un linguaggio narrativo e un tono sereno, privo di polemica, l’autore svela l’inconsistenza delle basi teoriche del neo-darwinismo, con la sua folle pretesa di attribuire il ruolo creativo nell’evoluzione a tre meccanismi che sortiscono proprio l’effetto opposto: la selezione naturale (forza normalizzante che elimina gli anormali), il rimescolamento sessuale (processo conservativo che ostacola la differenziazione) e la mitica “mutazione” genetica (fenomeno degenerativo per eccellenza contro cui la cellula si difende strenuamente persino correggendo essa stessa gli errori di copiatura dell’RNA). Sermonti auspica che il prossimo secolo ricordi la teoria sintetica dell’evoluzione (cosiddetta perché fonde le idee di Darwin con le leggi sull’eredità di Mendel, contraddicendo entrambe) come il Grande Scherzo dei biologi molecolari, che attribuiscono al patrimonio genetico il ruolo centrale nel mistero della vita e considerano ormai l’essere vivente come una manifestazione collaterale del suo DNA. Così impegnati nel decifrare il codice genetico, cioè le istruzioni per il funzionamento dell’organismo, costoro hanno perso di vista la vita stessa, esattamente come qualcuno che tenti di capire il significato di un romanzo studiando la grammatica della lingua in cui è scritto.
La complessità biochimica non va di pari passo con l’evoluzione anatomica della specie (ricordate il recente riconteggio dei geni umani, di poco superiori in numero a quelli dei topi?), anzi la natura offre esempi clamorosi del contrario: forme di vita diversissime contengono DNA identico (bruco-farfalla) oppure forme simili con DNA differenti compaiono distanti nel tempo e nello spazio per evoluzione convergente (squalo-ittiosauro-delfino, marsupiali-mammiferi).
L’autore suggerisce che i geni abbiano colonizzato delle forme archetipe preesistenti che si sono manifestate, con leggi simili e continuità, prima nel mondo minerale e poi in quello organico. Quest’idea, apparentemente così rivoluzionaria, non è altro che un’onesta deduzione dagli archivi paleontologici, dove troviamo specie nuove che nascono all’improvviso senza precursori; forme simili che compaiono contemporaneamente in continenti distanti (uccelli corridori); specie che permangono immutate nella forma e nelle dimensioni per milioni di anni indifferenti all’ambiente in cui vivono. E ad ogni estinzione si assiste ad una sorta di irraggiamento esplosivo senza discendenza, a partire da un modello morfologico ancestrale (non un antenato). Nella classe dei mammiferi, uno di questi modelli archetipi è la forma umana, l’eterno bambino apparso sulla Terra con un salto biologico senza precedenti.
Se la genetica spiega la piccola variabilità, cioè le infinite combinazioni di caratteri negli individui di una stessa specie (utili a mantenere la stabilità e la salute della specie), dove si trovano le grandi differenze che distinguono una mosca da un gatto? Forse nei meandri del cosiddetto campo morfogenetico, un’entità formativa ancora poco compresa, responsabile dello sviluppo armonico dell’embrione, che contiene il vero progetto della forma di vita.
Il libro offre ancora molti altri spunti di riflessione su tutti quei fenomeni misconosciuti in quanto privi di una spiegazione funzionale e utilitaristica: l’infinita varietà e vanità delle forme, i colori, i canti, le “giocose” architetture geometriche della natura, le incredibili conoscenze innate degli animali (la capinera canta la sua melodia e riconosce le costellazioni che la guidano nelle migrazioni senza alcun apprendimento). Sermonti contempla stupefatto l’esuberanza della vita e, spesso con fare poetico, le restituisce la magia e il mistero che le sono propri, smascherando l’ignoranza della scienza riduzionista e l’arroganza di certi suoi contemporanei, così sicuri di avere le risposte a tutti i quesiti fondamentali, da voler assumere loro stessi, con l’ingegneria genetica, il ruolo di creatori della vita.
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LE ORIGINI DELLA VITA
di Giovanni Monastra, recensione di Mauro Quagliati
ISBN 88-86583-89-3
Il Cerchio – Itacalibri, Castel Bolognese (RA), 2000
Pag.75
Giovanni Monastra, biologo, ricercatore in antropologia e farmacologia, prolifico autore di saggi divulgativi per il sito EstOvest (rivista on line di incontro tra la cultura orientale ed occidentale che propone pubblicazioni e ricerche indirizzate ad una concezione olista della realtà), ha realizzato un libretto indispensabile per iniziare ad affrontare in un’ottica scientifica aggiornata le gravi incongruenze del neodarwinismo.
Idealmente destinato a tutti gli studenti superiori e universitari impegnati nello studio delle scienze naturali e (audace proposta!) ai loro docenti, questo saggio offre una densa e rapida rassegna dei dati sperimentali che contrastano con la cosiddetta teoria sintetica dell’evoluzione, cioè quel paradigma egemone che propone un’interpretazione esclusivamente riduzionista della nascita ed evoluzione delle forme viventi; con lo scopo di mettere in discussione quelle “divinità laiche e scientiste” che insegnano nelle scuole una dogmatica e unilaterale visione della biologia e si arrogano il diritto di considerare antiscientifica ogni interpretazione alternativa della realtà.
Il nocciolo del discorso è che la ricerca scientifica recente scopre continuamente, nelle strutture viventi, un armonia, un ordine, una gerarchia di livelli che in nessun modo possono essere il risultato dell’azione combinata di mutazioni genetiche casuali e di selezione naturale, due forze cieche e prive di qualsiasi principio informatore. Il gradualismo delle modificazioni e lo stretto utilitarismo dei caratteri ereditati, i due cardini essenziali della teoria, si contraddicono a priori: come può ogni stadio intermedio essere utile alla sopravvivenza di una specie? Ogni organismo è un sistema unitario, caratterizzato da una complessità di tipo “irriducibile”, cioè tale da risultare inconcepibili le tappe del processo evolutivo che hanno portato al risultato finale (si pensi agli organi interni, al trasporto cellulare, al sistema immunitario, alla retroazione RNA – DNA – enzimi – proteine).
Ecco cosa ci dicono le diverse discipline esaminate. Apprendiamo dalla paleontologia che le forme di vita intermedie, i cosiddetti anelli di congiunzione, semplicemente non esistono nella serie fossile: nuove specie emergono all’improvviso con salti qualitativi e non attraverso processi lineari. Scopriamo che i primi batteri sono comparsi un miliardo di anni prima di quel che si pensava negli anni ’40, quando il neodarwinismo si è instaurato. La biologia molecolare sbugiarda il mitico esperimento di Miller del 1953 sull’abiogenesi (generazione della vita da processi chimici casuali e spontanei). La genetica confessa di non aver trovato disposizioni sequenziali e differenze nel DNA che riflettano le presunte linee filetiche (gli alberi di parentela tra le specie). Ma la scoperta più avvincente è la capacità artistica del tutto libera della natura, che si manifesta in analogie sconcertanti completamente prive di relazioni causali e di utilitarismo. Due esempi: insetti di dimensioni millimetriche riproducono nella forma e nel colore la faccia di una scimmia e il muso di un caimano (vedere foto per credere!). E’ davvero ironia della sorte che, proprio dall’arte del mimetismo (tradizionalmente a sostegno della selezione naturale) offra un esempio clamoroso del ribaltamento delle tesi darwiniane: i famosi insetto-foglia e insetto-stecco sono comparsi 100 milioni di anni prima dei vegetali a cui dovrebbero assomigliare!
Una breve appendice cita poi le tesi “eretiche” di Roberto Fondi e Giuseppe Sermonti sull’origine dell’uomo. Infatti dal punto di vista anatomico-comparativo, le scimmie e gli ominidi fossili sono le versioni “specializzate” e differenziate del modello morfologico più “primitivo” e meno evoluto tra i primati: l’essere umano.
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EVOLUZIONE SENZA SELEZIONE – Autoevoluzione di forma e funzione
di Antonio Lima-de-Faria, recensione di Mauro Quagliati
Introduzione all’edizione italiana dell’Autore, prefazione di Sergio Carrà, supervisione di Giuseppe Sermonti. A cura di Stefano Serafini.
456 pagg., 134 illustrazioni
ISBN 88-88251-05-07, 45,00 €
Nova Scripta, Genova, 2003
Ecco finalmente un libro da sbattere in faccia ai soliti sostenitori dell’insopportabile equazione anti-darwinismo = creazionismo. Questo testo è il frutto della lunga ricerca dello scienziato portoghese dell’Università di Lund (Svezia), universalmente riconosciuto come il pioniere e il maggior esponente della citogenetica e della biologia molecolare. Quando questo libro uscì nel 1988 il Professore Emerito con trentennale carriera alle spalle si trovò improvvisamente nel ruolo di eretico, per aver sostenuto che l’evoluzione biologica non procede per selezione naturale. Non perché questa non agisca in natura (ovviamente) ma perché un’ipotesi necessaria a coprire la reale ignoranza dei meccanismi evolutivi rimane, dopo 150 anni, il primo motore dello sviluppo biologico ed è diventata il maggiore ostacolo metodologico al riconoscimento di spiegazioni alternative. In questo studio ambizioso l’autore propone come modello una sorta di catena autoevolutiva che si sviluppa dalla dinamica materia-energia, influenzando le strutture morfologiche di tutti i regni naturali, fisico, chimico, minerale, biologico.
Quando inizierà il ripensamento generale del paradigma evolutivo se ogni autorevole voce avversa viene passata sotto silenzio, anche dopo un momentaneo polverone editoriale? La traduzione italiana, in particolare, arriva con “appena” 15 anni di ritardo, e si può solo ringraziare l’ottima opera di volontariato di Stefano Serafini, che ha portato avanti per anni questo progetto editoriale, constatando in prima persona l’aperta ostilità, al limite del sabotaggio, che si incontra in Italia a voler proporre una divulgazione scientifica non allineata a certi dettami. Il curatore dell’opera, epistemologo e attivo promulgatore di pensiero indipendente, non a caso è collaboratore del grande “eretico” Giuseppe Sermonti. Ma se nel caso dell’esimio professore di Roma l’ostracismo del pensiero accademico è valso insensate accuse di fondamentalismo religioso, nel volume di Lima-de-Faria la strada verso la “riconquista” della forma parte da un’impostazione prettamente materialista, lontanissima da ogni possibile suggestione trascendente.
Qual è dunque l’eresia dell’autore? La vediamo nelle centinaia di immagini che illustrano l’opera. La mentalità comune della biologia moderna distingue nei viventi le strutture omologhe, che hanno in comune la derivazione o la costituzione chimica, da quelle analoghe, che assolvono una stessa funzione pur non essendo geneticamente “parenti”. Lima-de-Faria confronta un’ala di pipistrello con quella di un uccello, la simmetria della stella marina con quella di un minerale, la rete dei capillari sanguigni con il delta di un fiume: egli rifiuta di considerarle delle semplici analogie casuali, ma le tratta tutte come delle omologie morfo-funzionali.
Nel mondo darwiniano la forma non è mai definitiva, ogni arto, organo, apparato è “malleabile”: se l’opportunismo della sopravvivenza e le pressioni ambientali lo richiedono esso è capace di trasformarsi, di generazione in generazione, in qualcos’altro, attraversando infiniti stati intermedi, con diverse funzioni e forme. Nella nuova ottica invece forma e funzione sorgono all’unisono perfettamente interdipendenti, per cui un rettile (il pterodattilo), un uccello, un mammifero (pipistrello), un insetto, o addirittura un pesce volante sono morfologicamente “parenti” fra di loro, come se obbedissero ad una legge periodica che regola l’apparire della funzione del volo, a intervalli di decine di milioni di anni.
In questa visione in cui i regni naturali sono fra di loro collegati da un ordine armonico e ciclico, spesso la ragione materiale della particolare forma la si trova nei regni inferiori: il livello autoevolutivo del vivente dipende da quello minerale, che a sua volta deriva da quello chimico, che ha le sue radici in quello fisico. Salta così anche la distinzione tra regno vivente e non vivente, e al gene non rimane che un ruolo secondario. Geni e cromosomi non “creano” la forma e la funzione, ma le influenzano, fissando particolari condizioni da un numero limitato di combinazioni possibili, predefinite dalla cascata autoevolutiva. Lima-de-Faria è più colpito dalla finitezza dei costituenti di base delle forme (gli elementi chimici organici, gli schemi dei cristalli, i tipi di cellule) piuttosto che dalla loro presunta caoticità sfrenata.
Ciò che scandalizza maggiormente la massa dei cattedratici nati e cresciuti nella culla del classico paradigma neo-darwiniano, è che la critica verso la decantata onnipotenza del gene, venga da uno scienziato che ha passato decenni a studiare i segreti della struttura e del funzionamento del DNA.
La sfida lanciata da quest’opera quasi sistematica di sintesi comparativa tra legame chimico, cristallo, pianta, animale è forse troppo precoce nel panorama di completo appiattimento delle opinioni scientifiche in materia. Come affermava 50 anni fa un botanico svedese (Nils Heribert-Nilsson):“La teoria evoluzionistica dovrebbe essere interamente abbandonata, essa è un serio ostacolo alla ricerca biologica. Impedisce l’ottenimento di risultati consistenti, anche da materiale sperimentale uniforme, dato che tutto deve in definitiva essere forzato ad adattarsi a questa teoria speculativa. Una biologia esatta non può essere costruita”.
Speriamo che un giorno questo testo diventi il primo mattone del nuovo edificio della scienza più bella e ricca di mistero.