giovedì 13 febbraio 2014

La Rivoluzione del 1859 nel Granducato di Toscana .


Antefatti (1848-49 - 1855)


  
File:Livorno Forte San Pietro (XIX Century).JPG
I sovversivi trincerati nella città di Livorno.

Il 1848 segnò per la penisola italiana come per l’Europa intera una tappa fondamentale del nefasto processo rivoluzionario, preparata, coordinata e realizzata grazie all'apporto delle società segrete (
Convegno massonico di Strasburgo del 1847) con uno scopo: sovvertire i fondamenti della civiltà cristiana e l’ordine legittimo.
Inutile nascondercelo: un ordine partì dai vertici della setta , e cospiratori di tutta Europa insorsero in armi per fare la Rivoluzione. Pur se nel fallimento generale, il 48’ è accaduto, e da quel momento costituisce una pietra miliare nella storia secolare di quel fenomeno di totale sovversione della civiltà cristiana e dell’ordine legittimo che prende il nome di Rivoluzione. Anche se la propaganda liberal-rivoluzionaria , e la leggenda della "vulgata risorgimentale" ,chiamò quel periodo "Primavera dei popoli", il saggio popolo non vi partecipò affatto, anzi , quando si accorse dell’inganno partecipò dalla parte opposta. Anche se i sovversivi vennero sconfitti e l’ordine all’apparenza ristabilito grazie all’intervento delle truppe dell’Imperial-Regio esercito e alla contro-rivoluzione popolare , il '48 fu la più grande delle vittorie della Rivoluzione non solo grazie alla propaganda delle menzogne ma anche perché i suoi agenti continuarono a ricoprire cariche governative negli Stati legittimi anche dopo che la Rivoluzione fu sconfitta. Questo fenomeno non risparmiò nemmeno il Granducato di Toscana dopo che il governo sovversivo li stabilito venne sconfitto e quella bella terra liberata dalla Rivoluzione.

File:Leopoldo II sbarca a Viareggio.jpg
Lo sbarco di Leopoldo II di Toscana a Viareggio.
 Il Granduca Leopoldo II , rimasto in esilio a Gaeta a causa degli inganni di quel tragico 1848 , sbarcò a
Viareggio acclamato dal popolo  alla fine di luglio del 1849 e rientrò a Firenze il 28,  dopo il Radetzky (giunto il 6 giugno), preceduto da un drappello di cavalleria ungherese. Cominciò proclamando una  amnistia, approvando la spesa di 171 lire per le due tavole di bronzo recanti i  nomi dei fiorentini morti in Lombardia nel 1848, da porsi nella Basilica di Santa Croce ed organizzando, alla fine del 1849, un plebiscito senza brogli in favore della restaurazione del governo granducale, che ovviamente con la grande affluenza popolare vinse. Annunciando , al contempo, la possibilità di una nuova costituzione. Leopoldo II si dimostrò troppo indulgente con coloro i quali avevano tradito il governo legittimo e dimostrò di non aver imparato quasi nulla dal tremendo periodo appena passato.  Vi fu una presenza  militare di sostegno delle truppe Imperial-Regie nel Granducato per mantenervi l’ordine prevenendo atti sovversivi; essa venne sottolineata da grandi eventi quali la parata delle truppe Imperiali al
Parco delle Cascine, il 18 agosto 1849 , genetliaco del giovane Imperatore Francesco Giuseppe I d’Austria . Per sancire lo stato di fatto della presenza dell'esercito imperiale, il 27 aprile 1850, Leopoldo II di Toscana sottoscrisse una convenzione militare con l’Impero d'Austria, che prevedeva il mantenimento di un corpo di spedizione di 10'000 soldati (le truppe imperial-regie si ritirarono  nella primavera del 1855). L’ordine sembrava essere tornato su tutto il Granducato, ma era solo un flebile apparenza. Gli anni passavano e le cospirazioni nell’ombra si susseguivano in attesa del mutare della marea degli eventi. 
 
Il governo Cavour e l'opera di alleanze con le potenze liberali d'Europa (1853-1856):



Regno di Sardegna.

La cospirazione contro l’ordine legittimo nella Penisola Italiana e nei suoi legittimi Stati trovava il suo caposaldo nel liberale Regno di Sardegna retto dal settario Cavour e dal falso Vittorio Emanuele II di Savoia-Carignano. Con lo scoppio della Guerra di Crimea il
4 ottobre 1853, e con l’entrata in guerra al fianco dell’Impero Ottomano contro l’Impero Russo dell’Inghilterra e della Francia nel marzo 1854, il Cavour ebbe l’occasione che aspettava per garantirsi un alleanza con le due potenze liberali implicate nel conflitto. Così il Regno di Sardegna si unì all'impresa: si indebitò con l’alleata Gran Bretagna per poter partecipare al conflitto. La cifra della quale si indebitò il governo Sardo ammontava a £ 50.000.000, debito che verrà estinto solo alla fine XIX Secolo  . Il  liberal-settario  presidente del Consiglio Cavour considerava  l'intervento un buon trampolino di lancio per entrare a far parte del gioco politico europeo, visto che cercava di assicurarsi l'appoggio di Londra e Parigi al fine di un esito positivo delle sue aspirazioni di espansionismo nazionalista a discapito del Lombardo-Veneto e degli Stati del Centro-Nord. Il Governo Sardo Inviò allora un Corpo di Spedizione nel
1855 che contava 18.000 soldati, capeggiati dal generale Alfonso Lamarmora , che di certo non brillava di capacità militari contro un esercito regolare.

Battaglia della Cernaia.


Durante la campagna in Crimea l'esercito Sardo fu impegnato marginalmente  in combattimento nella
Battaglia della Cernaia, subendo  23 perdite in combattimento. La maggior parte dei caduti del contingente Sardo, circa 2000 uomini , si ebbero a causa del Colera e della dissenteria .Il 28 dicembre 1855 l’Austria fece pervenire un ultimatum alla Russia e qualche tempo dopo lo Zar chiese l’armistizio e la guerra cessò (1º febbraio
1856) . A causa di questo sconsiderato ultimatum alla Russia ,che  da quarant'anni era sua  alleata , l'Austria pagherà un prezzo assai alto. La pace fu siglata nel Congresso di Parigi.Al Congresso di Parigi
Cavour si era preparato ad ottenere gli obiettivi per cui era partito: far prendere al Congresso una posizione sulle brame espansioniste del Regno di Sardegna nella Penisola Italiana a compensazione per l’aver mandato al macello 18.000 coscritti in Crimea. Tuttavia, l’importanza che aveva avuto l’Impero d’Austria nella sua ingenua risoluzione del conflitto convinse Cavour che gli sarebbe stato impossibile per il momento ottenere territori nel Lombardo-Veneto, così come scrisse in una lettera inviata al suo amico e collaboratore
Walewski il 21 gennaio 1856.
I partecipanti al Congresso di Parigi del 1856.
Il Conte di Cavour primo in piedi a sinistra.


Nemmeno la questione dei
Principati danubiani, si rivelò utile per il Cavour allo scopo di raggiungere il medesimo obiettivo espansionista sul Ducato di Modena e sul Ducato di Parma. Di conseguenza Cavour ripiegò su di un tema che attirò le simpatie dei membri di quel settario Congresso: le Legazioni Pontificie delle Romagne , i territori più settentrionali dello Stato Pontificio (comprendenti le Città di Bologna, Ferrara, Forlì e Ravenna) che erano difese dal 1849 da truppe di supporto dell’Imperial-Regio esercito .
Il 27 marzo Cavour ne propose, in via preventiva a
Francia e Gran Bretagna (anticattolica per eccellenza e desiderosa di spazzare via lo Stato Pontificio) , la trasformazione in Stato laico, con esercito proprio e un debole, se non nullo, legame politico con Roma. Gli inglesi in odio al Papato ne furono entusiasti, mentre una parte dei francesi non lo furono per nulla : la Francia di Napoleone III , per rabbonirsi l’opinione pubblica Cattolica , aveva assunto il ruolo di protettore dello Stato Pontificio e di conseguenza l’iniziativa anticattolica venne bocciata.
Al machiavellico Cavour non rimase quindi che perseguire in quel momento solo il primo dei due obiettivi, e cioè far prendere al Congresso una posizione finale sulla "questione nazionalista italiana".
Le firme al Trattato di Parigi furono apposte il 30 marzo
1856 e l’8 aprile, mentre i lavori volgevano alla conclusione, l’amico e socio del Cavour , e ministro degli Esteri francese Alexandre Walewski citò menzogne su menzogne facendole passare per problemi reali per il presunto mantenimento della pace: affermò che lo Stato Pontificio era sotto "occupazione straniera" , menzionando anche un inesistente malgoverno del Regno delle Due Sicilie.

Lord George Villiers,
IV conte di Clarendon.


Ancora più deciso fu l’intervento del massone e anticattolico ministro degli Esteri inglese Lord George_Villiers,_IV_conte_di_Clarendon
che attaccò il Governo Pontificio accusandolo di ospitare delle truppe straniere (i volontari che si arruolavano a loro spese per difendere il Papa e le truppe della Cattolica Austria che facevano altrettanto) , e il Regno delle Due Sicilie (alleato dello Stato Pontificio e nemico delle mire espansionistiche e di dominio sul Mediterraneo dell’Inghilterra) al quale, secondo il massonico ministro, doveva essere imposto di "intendere la voce della giustizia e dell’umanità", mentre era proprio la "Perfida Albione" a non intendere tale voce.
Dopo l’intervento, sottile e velenoso, di Cavour, sugli stessi temi menzogneri dei colleghi che l’avevano preceduto, Walewski chiese e ottenne, nonostante l’opposizione dell’Impero d’Austria, la registrazione del dibattito sulle menzogne nei riguardi degli Stati d’
Italia nel verbale del Congresso. Ricordiamoci che l’unico Stato che subiva mal governo in tutta la Penisola era proprio il liberale Regno di Sardegna , indebitato e con tassazioni elevatissime sulla povera gente.Cavour ebbe così le "spalle coperte" per mettere in pratica la sua diabolica opera rivoluzionaria in Italia. Si mise in contatto con tutti i capi sovversivi che risiedevano nell’ombra nelle Capitali egli Stati legittimi che si volevano usurpare . Egli si circondò di agenti incaricati di tenerlo sempre aggiornato sullo sviluppo del complotto da lui architettato. Fu in questo periodo che emerse l’Agente Segreto principale del Cavour: Filippo Curletti.
 


La preparazione della sovversione per opera dell'"Agente Segreto J.A." del Conte Cavour (1854-1858):



Filippo Curletti.

Nel 1854 Filippo Curletti , figlio di un fedele suddito del Papa ma dal quale non ereditò tale pregevole caratteristica, venne messo in relazione col Marchese Pepoli e col commendatore Minghetti, che erano nelle Romagne Pontificie i capi del partito liberale. Fu ben presto sedotto dalle loro dottrine e diventò uno dei loro agenti più zelanti. Il marchese Pepoli, che doveva ai talenti del suo segretario una certa reputazione come scrittore politico, si faceva del liberalismo un mezzo e non un fine. Esso aveva delle viste più ambiziose e si lusingava di arrivare, in grazia dell’"importanza" che gli dava la sua parentela coi Napoleone (per mezzo di Marat) ed i Brunswick (sigmaringen) (per mezzo della moglie), ad un vicereame, forse ad una corona ducale. Alla fine dovette imparare a soffocare le sue folli e fallite speranze.
Alla fine del 1858 la corrispondenza dei comitati liberali con Torino divenne più attiva che mai, e i membri furono sollecitati a raddoppiare l’azione e la premura in vista dell’eventualità di cui l’Europa intera cominciava ad occuparsi, la guerra tra Regno di Sardegna ed Impero d’Austria. Lo spirito del Curletti , concitato all’ultimo punto dall’approssimarsi della lotta, gli fece concepire il desiderio ardente di andare a Torino, al fine di poter seguire gli avvenimenti più da vicino.
Minghetti e Pepoli, ai quali il Curletti comunicò il suo progetto, lo incoraggiarono e gli diedero delle lettere di raccomandazione per il Conte Cavour. Arrivò a Torino avido di vedere l’uomo che tanto riempiva già di sé l’opinione pubblica liberale in Italia.

 
Il Conte di Cavour.

Il giorno stesso del suo arrivo, egli si recò presso il Conte Cavour, ed ebbe appena il tempo di vederlo; forse cinquanta persone riempivano l’anticamera: il Curletti profittò di un momento in cui il Cavour apparve alla porta del suo gabinetto congedando qualcheduno, per rimettergli le lettere di cui era latore. Il Cavour le percorse in un batter d’occhio, e gli disse unicamente: "ho appunto bisogno di un giovinotto, ardito e fidato; … bene, … bene, …ritornate da me questa sera al ministero": A Torino i ministri dell’interno e degli affari esteri avevano l’abitudine di recarsi tutte le sere ai loro ministeri. Lì vi restavano sovente a complottare e macchinare fino alle undici di sera.
La sera stessa alle ore 8, il Curletti si recò al ministero; un usciere senza livrea lo introdusse in un piccolo salotto, molto semplicemente ornato; nell’istante in cui entrò, il Conte Cavour discorreva in piedi con una persona, che l’invitato non conoscevo. Si voltò, ed accorgendosi del Curletti: "ecco precisamente, generale" disse egli al suo interlocutore, "il giovine di cui le parlavo, è romagnolo, nessuno qui lo conosce." Calcò queste parole sorridendo.
Il Curletti comprese un momento dopo quel sorriso, allorquando il generale Saint-Frond (seppe più tardi il suo nome) dopo aver indirizzata al Cavour una quantità di domande sulla sua età, sulla sua famiglia etc…etc…, disse tutto ad un tratto, rivolgendosi al Curletti : "sei tu capace di rapire una ragazza e di condurla questa sera a Moncalieri?". Rimasto un po’ stupefatto da prima ad una tale domanda, finì per rispondere di sì. "Ebbene! Vieni che te la faccio vedere"
riprese il generale, e dietro queste parole lasciarono il ministro. Non voglio entrare nei dettagli di una simile avventura colla quale incominciavano, con una piega abbastanza strana, i servigi del Curletti alla causa sovversiva nazionalista: il fatto fece d’altronde molto rumore a Torino, dove nessuno ignorava la storia della signorina Maria D… il cui fratello poco dopo fu nominato capo ufficio alle Poste.Questa spedizione non fu l’ultima di simile genere di cui fu incaricato il Curletti ma delle altre non si sa molto: perdonatemi ma la maniera con la quale incominciò i suoi rapporti col ministro Cavour è troppo singolare, per essere passata sotto silenzio.
Qualche giorno dopo, il Conte Cavour fece chiamare il Curletti . Ecco testualmente quale fu la loro conversazione. "Voi parlate in francese?" gli disse in questa lingua. "Sì Eccellenza". "Ho una occupazione da darvi… Sapete essere secreto?" "Vostra Eccellenza può contare sulla mia assoluta secretezza" rispose.
"Una assoluta secretezza è necessaria. Voi avrete cinquecento franchi al mese". Si interruppe: "è quanto vi è stato dato l’altro giorno". Il Cavour riprese: "oltre a ciò buone gratificazioni all’occasione… Vi incarico di sorvegliare Saint- Frond - ciò a voi riuscirà facile - Rattazzi, Della Margarita, Brofferio, Revel, e De Beauregard. Li conoscete tutti?" "Li conoscerò" rispose il Curletti. "Bisogna che io sappia ciò che fanno ogni giorno, che persone incontrano, a chi scrivono, quali lettere ricevono… infine tutto… voi mi capite… i rapporti devono essermi inviati a casa mia… Andate e siate prudente". Il modo con il quale disimpegnò questa prima missione provò al Conte Cavour che non era nuovo né in politica, né in intrighi; e che aveva ben profittato delle lezioni di Pepoli e di Minghetti. Mise d’altronde nelle sue funzioni tutto lo zelo di uno spirito ambizioso. E non tardò a ottenere l’intera confidenza del ministro.


Napoleone III.
 Quando Napoleone III sbarcò a Genova, il Conte Cavour condusse il Curletti con lui incaricandolo di tenerlo al corrente dei menomi fatti e gesti dell’Imperatore. La sua missione si protrasse fino alla partenza del Bonaparte da Alessandria. A quell’epoca il Curletti venne mandato in Toscana, ma la sorveglianza di cui Napoleone era l’oggetto continuò per tutto il tempo nel quale egli rimase in Lombardo-Veneto. Questo incarico fu d’altronde facilitato dalle comunicazioni regolari che il Curletti ottenne a condizioni relativamente modiche da Hyrvoix, ispettore di polizia appartenente alla casa imperiale bonapartista.
 
 






 
La Rivoluzione all'opera nel Granducato di Toscana:


File:Carlo Bon Compagni.jpg
Carlo Buoncompagni.

Nel frattempo la propaganda segreta dei Piemontesi nelle Romagne Pontificie e nel Granducato di Toscana cominciava a produrre i suoi frutti avvelenati ; tutto era pronto per una rivoluzione; i comitati che agitavano gli spiriti in questi due legittimi Stati sotto la direzione del Conte Cavour, domandavano al ministro il segnale dell’azione e qualche uomo sicuro per operare il movimento sovversivo. Curletti fu incaricato di questa missione e mandato da prima con ottanta carabinieri travestiti a Firenze per mettersi a disposizione dello spregevole e falso Carlo Buoncompagni, il quale era Ambasciatore del Regno di Sardegna presso la Corte del Granduca.
Il piano del movimento fu stabilito in un colloquio che il Curletti ebbe coll’Ambasciatore cui assistevano Ricasoli, Ridolfi, Salvagnoli e Bianchi(tutti personaggi di bassa lega che parteciparono ai moti sovversivi nel Granducato del 1848-1849). Il 27 aprile 1859 gli uomini del Curletti si dispersero per gruppi nei quartieri esterni della città, alle dieci del mattino cominciarono a produrre degli assembramenti colle grida di: "Viva l’Indipendenza… Abbasso i Lorena!" e si diressero con un movimento di concentrazione verso il Palazzo Pitti: gli sgherri sovversivi corsero alle casse pubbliche e se ne impadronirono (trafugarono circa 80.000.000 di Lire-Oro).

File:Bettino Ricasoli.jpg
Bettino Ricasoli.
 Ricasoli era stato incaricato di fare occupare dai suoi uomini i ministeri, le poste ed il palazzo granducale. Questo piano di campagna riuscì, come si sa, puntualmente; alle 4 del pomeriggio Buoncompagni era installato nel palazzo del Sovrano presso cui si era accreditato; alla stessa ora tutte le casse pubbliche erano vuote, senza che una sola lira fosse entrata nel tesoro piemontese. Quelli che non avevano potuto prendere parte al saccheggio si installarono chi alle poste chi ai ministeri.
Alla fine gli impiegati delle amministrazioni che si erano insediati a Firenze non possedevano altro titolo per i posti che occupavano che l’attribuzione che se ne fecero durante la sovversione di loro propria autorità. Il Curletti ricevette dalle mani stesse del Buoncompagni una gratificazione di seimila franchi.
Questo racconto di fatti storici assai importanti , semplice ma chiaro , sorprenderà forse coloro che credono ancora alle favole faziose vedute attraverso il prisma moltiplicante dei giornali del partito vittorioso. Con tutto ciò quella che io espongo è la storia di tutte le rivoluzioni.
Esse sono sempre l’opera di qualche uomo a cui due o tre funzionari comprati aprono le porte e di cui il popolo, per lo più indifferente o ostile , diventa in parte (la peggiore solitamente) inizialmente il complice senza saperlo, prestando loro, come frutto dell’inganno , il soccorso imponente delle sue masse.
Soldati del Granducato di Toscana.


L’armata Granducale , di cui i capi erano guadagnati alla rivoluzione , e nella quale i soldati erano fedeli al legittimo governo, era stata appositamente allontanata e spinta sui confini del modenese sotto pretesto di sorvegliare i movimenti che si sarebbero potuti produrre, nel caso in cui l’esercito Imperial-Regio in guerra contro i Franco-Piemontesi avesse evacuato il Ducato, ma in realtà era per tenerli lontano dal fulcro della rivoluzione , evitando che tentassero di penetrare in Toscana per sostegno del Granduca.
Si deve sottolineare per chiarezza che la situazione di sovversione incominciò alcuni giorni prima della Rivoluzione vera e propria del 27 aprile 1859. Già
il 23 aprile 1859 gli eventi cominciarono a precipitare visto che l'Impero d’Austria, apertamente provocato dal pesante riarmo sardo-piemontese , aveva inviato un ultimatum che intimava al Regno di Sardegna a ritirare le truppe dal confine lungo il Ticino (nei mesi precedenti infatti ci fu una politica provocatoria di riarmo e la concentrazione dell'esercito sabaudo lungo i confini tra il Regno di Sardegna ed il Regno Lombardo-Veneto). Il 24 aprile, giorno di
Pasqua, alcuni reparti , nelle cui fila militavano i famosi carabinieri piemontesi , i quali ricevevano gli ordini da comandanti comprati alla Rivoluzione , schierati non ricevettero il comando di presentare le armi al Granduca ed alla sua corte che si recava al Duomo per le celebrazioni liturgiche: tutto era volto a far credere al Granduca la sceneggiata che si stava per svolgere. La notte del 25 aprile in alcune caserme dove i carabinieri piemontesi si erano infiltrati accaddero episodi di disordine a causa di questi ultimi: gli sgherri al soldo della Rivoluzione si misero a gridare "Viva l'Italia" spezzando il busto del Granduca e lacerando i ritratti del Principe ereditario e, per depistare il tutto e far passare come spontanea la commedia, del comandante dell'esercito Granducale, il generale Ferrari il quale era stato già comprato alla Rivoluzione.
Il 26 aprile l'Impero d’Austria, provocato ulteriormente e non ascoltato, dichiarò guerra al Regno di Sardegna: cominciava la seconda guerra d’espansionismo sabaudo. La notte stessa a
Firenze, capitale del Granducato, si tenne una ulteriore riunione dei capi sovversivi. E come narrato in precedenza fu stabilita per il giorno successivo lo scoppio della Rivoluzione. Ovviamente la famiglia Granducale era allo scuro della macchinazione e del complotto che stava verificandosi nella Capitale. Infatti , il Principe ereditario Ferdinando nel suo diario , al giorno 27 aprile 1859 , scriveva:












 
Lo ricordo nuovamente che Ferdinando , come suo padre il Granduca Leopoldo II di Toscana , era allo scuro dei complotti filo sabaudi che causarono i disordini di quel giorno.

File:Litografia ballagny, fine XIX sec. Leopoldo II di lorena.JPG
Il Granduca Leopoldo II di Toscana.
 Leopoldo II di Toscana , un sovrano dal carattere mite ma deciso , prese gli eventi concompostezza. Con i suoi ministri prese alla fine la decisione di abbandonare Firenze per questioni di sicurezza, aspettando un aiuto da quell'alleata Austria alla quale negò l'appoggio militare qualche tempo prima dichiarando la neutralità del suo Stato. Quando gli andarono a comunicare che era tutto pronto per la partenza, lui aprì un cassetto della sua scrivania , prese dei sigari Toscani di ottima qualità, li infilò in tasca e in bocca ai suoi interlocutori dicendo, "fumateli, perché sigari così non li fumerete mai più".
Il Granduca Leopoldo II di Toscana, costretto dai liberal-settari filo sabaudi a lasciare Firenze, in un proclama lanciato dal suo forzato esilio in Ferrara (1° maggio 1859) e poi da Vienna (21 e 28 maggio 1859) scriveva: "Già in Firenze, la mattina del 27 aprile, ho solennemente protestato dinanzi i componenti il Corpo diplomatico, accreditato presso la mia persona, contro codeste violenze, dichiarando nulli, non avvenuti, e di nessun valore gli atti stessi: e quest’oggi, primo maggio, in Ferrara protesto nuovamente e solennemente contro quella violenza usatami, e ripeto la dichiarazione, allora formalmente espressa, della nullità degli atti suddetti, i quali apertamente tendono a rovesciare uno stato di cose, sanzionato dal trattato di Vienna del 1815 […] ". E il 21 maggio da Vienna "[…] Io era allora ben lontano dal prevedere che un Sovrano, al quale mi congiungono legami di parentela, ad onta dei sussistenti trattati e del diritto internazionale, senza che dal canto mio fosse avvenuta una provocazione, potesse usurpare il supremo potere ne’ miei Stati, col dichiararsi protettore della Toscana e nominare un commissario regio per governare il Granducato. Mi vedo quindi costretto a protestare contro questo atto d’ingiustizia . […]". E il 28 maggio, sempre da Vienna: "Nuovi avvenimenti mi costringono a rivolgermi per la terza volta alle Potenze amiche, che sottoscrissero il trattato di Vienna del 1815 […]. Violando i trattati in vigore ed il diritto delle genti […] un corpo di truppe francesi sbarcò nei miei Stati, ed un Principe della famiglia imperiale di Francia si è arrogato i diritti sovrani, col disporre de’ miei sudditi per formarsi un esercito. Questi fatti, coi quali si dispone de’ miei sudditi e delle mie truppe, costituiscono delitti flagranti contro tutte le leggi divine ed internazionali […]".


 
Le conseguenze della Rivoluzione nel Granducato di Toscana:


File:Ubaldino peruzzi.jpg
Ubaldino Peruzzi dè Medici.
 La sera del 27 aprile 1859 , il municipio di Firenze ormai occupato e controllato da funzionari della Rivoluzione nominò un "Governo Provvisorio Toscano" formato da squallidi traditori tra i quali vi erano  
Ubaldino Peruzzi , Vincenzo_Malenchini ed Alessandro Danzini.Il 28 aprile il governo rivoluzionario d’accordo col governo di Torino offrì la dittatura a
Vittorio Emanuele II che però ritenne opportuno non accettare subito in quanto la situazione internazionale era molto fluida e soprattutto non era chiara ne la posizione di Napoleone III ne l’esito della guerra contro l’Impero d’Austria.Vittorio Emanuele II si limitò ad agire nell’ombra in concerto col Cavour e accordando la propria protezione e nominò senza diritto legittimo alcuno commissario straordinario il suo inviato, già Ambasciatore doppiogiochista ,
Carlo Boncompagni , con funzioni di "capo di stato". Il commissario l'11 maggio formò un gabinetto di governo con personalità fidate alla causa liberal-rivoluzionaria e che lo avevano accompagnato fin dalle prime fasi del complotto (in realtà i posti furono occupati dagli sgherri il giorno stesso della Rivoluzione): Bettino Ricasoli agli interni, Cosimo_Ridolfi agli esteri ed istruzione pubblica, Enrico Poggi culto , Raffaele Busacca finanze, commercio e lavori pubblici, il piemontese Paolo_De_Caverobusacca alla guerra. Comandante dell'esercito fu nominato il generale Girolamo Calà Ulloa, un Napoletano in esilio con idee nazionaliste ; la pecora nera della famiglia Ulloa.
File:Pistolesi Saverio - Ritratto del generale Gerolamo Ulloa - litografia - 1859.jpg
Girolamo Calà Ulloa.
La sovranità della Toscana rimase quindi intatta , ma il governo era di fatto illegittimo e rivoluzionario. Il 21 luglio Leopoldo II di Toscana , che nel frattempo aveva raggiunto la Vienna , abdicò in favore del figlio che divenne legittimamente Granduca con il nome di
Ferdinando IV di Toscana.
Il 23 maggio i soldati del 5°
corpo d'armata francese sbarcarono a Livorno, al comando del principe Napoleone Gerolamo (Plon Plon) , ed occuparono i passi appenninici isolando il Granducato.
Il 29 maggio fu dichiarata l'alleanza del governo toscano filo sabaudo al
Regno di Sardegna ed alla Francia nella guerra contro l'impero d’Austria. Due giorni dopo, Napoleone Gerolamo partiva verso la Lombardia con le sue truppe e con le truppe di "volontari toscani" comprati alla Rivoluzione comandate da Girolamo_Calà Ulloa.Dopo l'armistizio di Villafranca, il 1º agosto il commissario straordinario cedette i poteri al consiglio dei ministri, presieduto dal barone Bettino Ricasoli.
Il Trattato di Zurigo che seguì alla pace di Villafranca dichiarava esplicitamente all’articolo 18:
"Art. 18. Sua Maestà l’Imperatore dei Francesi e Sua Maestà l’Imperatore d’Austria si obbligano a favorire con tutti i loro sforzi la creazione di una Confederazione tra gli Stati Italiani, che sarà posta sotto la presidenza onoraria del S. Padre, e lo scopo della quale sarà di mantenere l’indipendenza e l’inviolabilità degli Stati confederati, di assicurare lo svolgimento de’ loro interessi morali e materiali e di garantire la sicurezza interna ed esterna dell’Italia con l’esistenza di un’armata federale.
"La Venezia, che rimane posta sotto la corona di Sua Maestà Imperiale e Reale Apostolica, formerà uno degli Stati di questa Confederazione, e parteciperà agli obblighi come ai diritti risultanti dal patto federale, le cui clausole saranno determinate da un’assemblea composta dei rappresentanti di tutti gli Stati Italiani."

Era inteso anche in tale trattato che i sovrani di Modena , Parma e Toscana avrebbero dovuto rientrare in possesso dei loro legittimi Stati. Nessuna delle due cose citate venne rispettata ne dal Governo sardo-piemontese ne da Napoleone III .
Il governo sovversivo toscano prese provvedimenti tendenti all'annessione al Regno di Sardegna, come l’introduzione dello stemma di casa Savoia, della povera lira piemontese al posto della ricca moneta granducale. Non si perse l'occasione per tassare fino all’osso la popolazione per finanziare la costruzione di strade ferrate.
Carlo Boncompagni, di Mombello in Toscana , triste figuro e, come detto in precedenza , ambasciatore sardo a Firenze accreditato presso il Granduca , offriva asilo e copertura diplomatica nello stesso palazzo della legazione piemontese ai liberal-massoni toscani che cospiravano contro il loro legittimo Prìncipe. Boncompagni arrivò addirittura ad arringare dal balcone una torma di rivoluzionari, ringraziandoli del loro contributo alla sedizione e, naturalmente, nella sua qualità di commissario di Vittorio Emanuele, prese ad usurpare le funzioni dell’antico governo armando una guardia nazionale, convocando un’assemblea di pretesi rappresentanti della Nazione (votati da meno del 2% della popolazione) moltiplicando decreti e atti intesi a consolidare la rivoluzione. La sua condotta fu giudicata tanto scandalosa e disonorante che anche nella liberalissima Camera dei Lords britannica vi fu chi sostenne che Boncompagni " avrebbe potuto legittimamente essere dal Granduca di Toscana fatto impiccare per la gola alle porte del suo palazzo" (La Civiltà Cattolica. 1859. Anno X. Serie IV. Vol. IV, pp. 111-112; cfr. La Civiltà Cattolica. 1860. Anno XI. Serie IV. Vol. VI, p. 111). Proprio in Toscana un altro sovversivo, Bettino Ricasoli, Presidente del Consiglio dei Ministri del governo provvisorio toscano (in attesa del plebiscito che doveva aggregare quelle province al Regno di Sardegna) per stroncare la crescente nostalgia popolare per il Granduca e in odio agli antichi emblemi e vessilli mediceo-lorenesi, emanava ai Prefetti una circolare, in data 1° settembre 1859, in forza della quale " chiunque innalzasse una bandiera che non sia la bandiera nazionale italiana, oramai fatta nostra, troverà nell’autorità ferma e severa repressione" (La Civiltà Cattolica. 1859. Anno X. Serie IV. Vol. III, p. 749).
In contrasto con qualsivoglia legittimità venne indetto un plebiscito di annessione al Regno di Sardegna per l’11 e 12 marzo 1860. Dal Ricasoli fu vietata la libertà di stampa e di parola a chi non era del partito piemontese fino alla sera del giorno che precedette le votazioni ; impossibile naturalmente in così breve giro di ore mettere in piedi giornali o comitati per il no ; a differenza dei fautori del no , che erano o esiliati o incarcerati, i liberali poterono organizzare comitati per l’annessione in ogni Comune e inviare in ognuno una trentina di uomini armati per atterrire i contadini , minacciati dai padroni liberali di licenziamento dalle loro terre, se si fossero pronunziati per l’amato Granduca. Per parte sua la stampa risorgimental-massonica dichiarava reo di morte chi non avesse votato per l’annessione. I tipografi toscani furono diffidati dallo stampare scritti contrari all’annessione e "avvisati che un colpo di stile sarebbe stato il premio di chi osasse prestare i suoi torchi alla stampa di bollettini pel regno separato ".
In Toscana, alla vigilia della consultazione "editti, bandi, gride del Governo e dei suoi cagnotti tappezzavano le strade, le botteghe e fino le porte delle chiese, in quella che giornali, opuscoli, fogli e foglietti in un senso solo inondavano le città ed il contado" (La Civiltà Cattolica. 1860. Anno XI. Serie IV. Vol. VI, p. 16). Si trattava insomma di un vero e proprio monopolio dell’informazione. Per contro La Nazione di Firenze si distingueva nel vilipendere ogni legittimista o antisabaudo, definendolo "nemico della patria, partigiano dell’Austria" , idem p. 107.
La Civiltà Cattolica. 1860. Anno XI. Serie IV. Vol. VI, p. 16 riporta: Il Governo toscano (si noti l’ipocrisia rivoluzionaria) "considerando che, mentre la Toscana è richiamata a decidere per mezzo del suffragio universale de’ suoi futuri destini, è conveniente di rendere pienamente libera la discussione in materia politica, decreta: che ritorna libera la fondazione e pubblicazione dei Giornali, Scritti ed Opere, anche non periodiche, concernenti materie politiche", idem p. 106.
"I nobili ed i possidenti fedeli e cattolici essendo quasi tutti dovuti uscire dal paese, la classe numerosissima dei contadini restò alla balìa dei pochi possidenti e nobili devoti al Piemonte; i quali non perdonarono ad insinuazioni, a comandi, a minacce e perfino a scacciamenti dalle proprie terre, perché i loro dipendenti votassero per l’annessione" ibidem. Un problema di coscienza si poneva altresì per i militari toscani, chiamati al referendum da Vittorio Emanuele II , senza che prima fossero sciolti dal giuramento di fedeltà ai Savoia che si era loro imposto (cfr. La Civiltà Cattolica. 1860. Anno XI. Serie IV. Vol. VI, p. 107).
Naturalmente i verbali dei risultati e le schede sparirono subito e già nel 1903 non si trovavano più né presso le preture né presso i municipi . Del resto gli stessi organi della propaganda risorgimentale scrivevano dei plebisciti che "sarà più una formalità per appagare la diplomazia, che una cosa di sostanza" (cfr. Gazzetta di Firenze n. 209, 31 luglio 1866 citato in L’Unità Cattolica , 3 agosto 1866). Vediamoli comunque questi risultati truccati del plebiscito nel Granducato di Toscana dell’11-12 marzo 1860:


Granducato di Toscana (11-12 marzo 1860): SÌ: 566.571. NO : 14.925. Annessionisti: 97,43 % Contrari: 2,56 %.

Ma ammesso (senza concederlo) che i plebisciti si fossero svolti in maniera del tutto regolare, vi è un argomento giuridico contrario ancora più forte: i vari decreti di annessione furono emanati dal governo subalpino sul presupposto che le province inglobate nel regno sardo si erano offerte a Vittorio Emanuele (lasciamo stare ora quanto spontaneamente) e che questi aveva dovuto accettarle. Ma chi può offrire ciò che non gli appartiene? E se è giusto non riconoscere neppure al popolo toscano la cosiddetta autodeterminazione, la quale è dottrina liberale conseguente all’infausto principio della sovranità popolare, parto velenoso della rivoluzione francese, in forza del quale la metà più uno fa la verità e il potere proviene non già da Dio bensì dal basso, ebbene quale legittimazione ad unirsi al Piemonte e a disporre di ciò che loro non apparteneva potevano mai avere quattro settari che con l’inganno e con la violenza avevano usurpato le legittime Autorità degli antichi Stati italiani e , in questo caso, del Granducato di Toscana ? Sottolineando che sia i preliminari di Villafranca dell’11 luglio 1859, sia il trattato di Zurigo (10 novembre 1859) che poneva fine alla seconda guerra di espansionismo sabaudo , conservavano interi i loro Stati ai Duchi di Parma, di Modena , al Papa e al Granduca di Toscana .

Il Granduca Ferdinando IV di Toscana scriveva durante il suo soggiorno a Dresda una vibrante lettera di protesta verso i recenti deplorevoli accadimenti:

File:Disderi, Adolphe Eugène (1810-1890) - Asburgo-Lorena, Ferdinando IV di, granduca di Toscana (1835-1908).jpg
Il Granduca Ferdinando IV di Toscana.

"Finché, nel doloroso periodo scorso dal 27 aprile 1859 ad oggi, ci è stato permesso sperare che il vero amore della patria, che il sentimento del giusto e dell'onesto, che il rispetto dei trattati, che la parola del sovrano riuscirebbe ad arrestare il corso dell' opera perturbatrice, che, sotto il pretesto della felicità d'Italia, è sul punto di comprometterla nel modo più grave, ci siamo con cur...a stenuti dall'intervenire in questa grave discussione, sicuri essendo che la prima parola che avremmo da dirigere al nostro popolo, sarebbe una parola d'oblio intiero del passato e di felicità reciproca per l' avvenire. Ma gli atti compiuti dall'abile cospirazione che, all'ombra del trono della Savoia, ha inviluppato nelle sue reti tutta l'Italia centrale, e sacrificato ad un'ambizione dinastica tutto ciò che v'è di più sacro sulla terra, c'impongono il dovere di sollevare la nostra voce di sovrano italiano, e di fare appello alle potenze europee tanto nell'interesse dei nostri diritti violati quanto in quello dei nostri amatissimi Toscani e della nazione intera. Allorquando, nei primi mesi del 1859, i dissensi tra la Francia e la Sardegna, da un lato, e l'Austria, dall'altro, furono giunti al punto che si doveva considerar come probabile l'apertura delle ostilità, il governo granducale, fedele alla politica già seguita da lui in circostanze analoghe, propose ai gabinetti di Vienna, di Parigi e di Londra, la neutralità del suo paese, la quale, accettata dal primo, era in via di essere riconosciuta dagli altri, quando accaddero gli avvenimenti del 27 aprile. All'azione diplomatica venne a sostituirsi l'azione rivoluzionaria, come è provato dall'arrivo a Firenze, avvenuto la vigilia del 27 aprile nella sera e nella mattina di quel giorno, d'individui che, allora al servizio sardo, vennero a dirigere la rivoluzione ed a prendere il comando delle truppe del Granducato. Il nostro augusto padre, il Granduca Leopoldo II, si trovò così posto ad un tratto in faccia alle esigenze imperiose della rivoluzione. Egli intendeva che la sorte della guerra, già dichiarata, non dipenderebbe affatto dall'attitudine della Toscana, e che la neutralità reclamata avrebbe meglio garantito gli interesse dello stato, qualunque fosse l'esito di quella gran lotta. Nondimeno, nel desiderio di evitare le discoride intestine, chiamò a sè il Marchese di Laiatico che lavoce pubblica designava come l'uomo più accettevole per indurre una conciliazione, lo incaricò della formazione di un nuovo ministero, e gli confidò la condotta della politica interna ed esterna che gli sembrerebbe più più conveniente in si gravi congiunture. Il Marchese di Laiatico accetto questa missione, ed uscì dal Palazzo Pitti col mandato di adempierlo. Il luogo ed i consiglieri che andò a consultare per rispondere all'atto di fiducia del suo Sovrano, furono la legazione di Sardegna ed i capi dell'insurrezione che vi avevano stabilito il loro quartier generale.

"... Là deliberò la domanda di abdicazione di S.A.I e R. Leopldo II; ed il Marchese di Laiatico che, mandatario del principe, doveva difendere e mantenere la sua autorità, non credè mancare all'onore facendosi latore della nuova proposta. La domanda di abdicazione formulata nel momento stesso in cui il principe accedeva alle esigenze messe innanzi dai fautori della rivoluzione, lo mise in uno di quei casi supremi in cui non è più permesso che di prendere consiglio della propria dignità, la difesa della quale implica quella degli interessi reali della nazione. S.A.I e R. rifiutò di accettare questa ingiuriosa proposizione, e dopo aver protestato innanzi al corpo diplomatico contro la violenza che gli era fatta prese il solo partito possibile nella sua situazione, quello di ritirarsi da un paese, ove gli si impedival'esecizio della sua autorità sovrana e dove gli era interdetto di publicare i suoi decreti. Gli eventi della guerra riuscirono presto all'armistizio ed ai preliminari della pace di Villafranca, i quali espressamente consentiti da S.M il Re di Sardegna, recavano che i sovrani allontanati dalla rivoluzione rientrerebbero nei loro stati rispettivi, per far parte di una Confederazione italiana, che farebbe entrare la nazione nel diritto pubblico europeo. Allora, nel nobile desiderio di cancellare la traccia di antiche dissenzioni, e per togliere ogni pretesto agli atti di discordia, S.A.I e R. il Granduca Leopoldo II abdicò liberamente la corono il 25 luglio, e l'Europa quasi intiera ci riconobbe come sovrano legittimo della Toscana. Da quel giorno noi siamo investiti di un diritto sacro ed abbiamo dedicato la nostra esistenza intiera al nostro amatissimo popolo della Toscana, il cui avvenire era ormai garantito dalle savie misure di libertà interna e d'ordinamento federale contenute nel programma di S.M. l'Imperatore Napoleone. Il tratto di Zurigo, firmato da S.M. il Re di Sardegna, è venuto presto a raggiungere una consacrazione nuova ai diritti riconosciuti dalla Francia, ma tra i preliminari di Villafranca e le stipulazioni di Zurigo un fatto nuovo era accaduto. Le autorità rivoluzionarie della Toscana, docili schiave dell'ambizioso governo dal quale la loro origine illegale, avevano già proceduto alla convocazione di un'assemblea, destinata a votare arbitrariamente l'annessione della Toscana al Piemonte. Così, per un conculcamento di tutti i principi di diritto pubblico, un Governo che la parola e la sottoscrizione del suo Re obbligavano, se non a prestarci il suo appoggio, almeno a conservare verso noi una stretta neutralità, disconosceva i doveri sacri della sua posizione fino a suscitare contro il ristabilimento della nostra autorità legittima una manifestazione faziosa di cui doveva raccogliere i frutti; e, mentre l'Imperatore Napoleone, fedele alle sue promesse, dirigeva, innanzi al corpo legislativo ed innanzi all'Europa, consigli di moderazione e di prudenza al suo reale alleato, questi, approfittando della presenza dell'esercito francese, che ha fatto passare agli occhi del mondo per complice delle sue usurpazioni, proseguiva fino in fondo la sua politica invaditrice ed astuta, l'ultimo termine della quale doveva essere la sua annessione..."

"...In presenza a simili fatti, il silenzio non ci è più permesso. Noi dovevamo protestare e protestiamo con tutta la potenza delle nostre convinzioni, contro atti colpiti di nullità nel loro principio e nelle loro conseguenze. Protestiamo contro l'impiego di questi nuovi procedimenti di usurpazione territoriale per via di assemblee popolari che, se fossero ammessi nel giure delle nazioni, scuoterebbero subito tutte e fondamenta su cui si fondano l'indipendenza di ogni stato e l'equilibrio della società europea. Ci appelliamo a tutti i sovrani d'Europa personalmente interessanti nella nostra causa. Ci appelliamo alla rettitudine dell'Imperatore dei francesi che non ha potuto vedere, senza profondo dolore, la riuscita di queste intraprese colpevoli consumate all'ombra del suo nome e della sua spada. Ci appelliamo particolarmente a voi, nostri amatissimi toscani, che, durante più di un secolo, avete goduto sotto il governo della nostra famiglia di una prosperità di cui eravate orgogliosi a giusto titolo, perchè era opera vostra, essendo il risultato della vostra fedeltà e del vostro attaccamento alle vostre istituzioni. Se si è potuto, in questi ultimi tempi, traviare i vostri spiriti e sorprenedre la vostra buona fede, ciò è stato persuadendovi che l'annessione al regno di Sardegna vi renderebbe più forti e proteggerebbe più sicuramente la vostra indipendenza. Disingannatevi su questo punto. Per difenedere la sua indipendenza contro potenti vicini l'Italia non ha altra forza che l'azione moraledel diritto pubblico o l'accordo della nazione intera. Ma questo accordo per tanto tempo desiderato, voi stessi lo rendete impossibile, partecipando alla formazione di uno stato centrale che eccita già le giuste diffidenze di una parte d'Italia e prepara un antagonismo funesto. Voi separate la nazione in luogo di riunirla, ed il giorno in cui l'ambizione o la violenza vorranno tentare a mezzogiorno quello che è riuscito, nel centro, la guerra civile lacererà ancora una volta i nostri bei paesi e l'infelice Italia diverrà di nuovo la preda delle invasioni. Se la provvidenza sembrava aver riservato alla nostra nazione, fra tutte, la missione gloriosa di avvicinare tutte le membra della patria comune, di formare un solo fascio e di inaugurare finalmente la Confederazione Italiana, era a voi toscani, certamente, devoluto questo compito. Invece di questo, voi diventate con l'annessione le membra di uno stato nuovo lo spirito del quale, particolarmente amminitrativo e militare, nulla ha in comune colle grandezze delle vostre memorie a Firenze, la città delle arti la regina letteraria dell'Italia, non sarà più che il capoluogo di un dipartimento piemontese. Ma, grazie a Dio, la ragione del popolo non può restare lungo tempo pervertita a questp punto; questi cambiamenti repentini che l'orrore el'intrigo conducono nella vita delle nazioni non potrebbero avere conseguenze durevoli, e la vostra virtù ritemprata nei dolori che l'annessione vi prepara vi assicurerà più tardi migliori destini. Per me, cari ed amatissimi toscani, conservo nel mio tristo esilio il ricordo di tutti gli attestati di affezione e di rispetto che ho ricevuto fra voi; assisto da lontano e prendo parte alle vostre sofferenze, ringrazio dal fondo del cuore i numerosi amici che mi danno ogni giorno prova del loro attaccamento inalterabili ai miei interessi, e della loro confidenza nell'avvenire. Un giorno verrà in cui l'ingiustizia che mi ha colpito avrà termine, e questo giorno mi troverà pronto a consacravi tutte le forze della mia esistenza.

Dresda, 24 marzo 1860

FERDINANDO.


File:Comte Walewski Congrès de Paris 1856 BNF Gallica.jpg
Alexander Florian Joseph Colonna Walewski.







Ferdinando IV rimase in contatto con i legittimisti toscani ma , deviato da mali consigli di gente infida come il Walewski , incominciò a prendere strade filo liberali convinto (sempre dai cattivi consiglieri) che ciò avrebbe contribuito a riavere il suo legittimo Trono. Sotto insistenza del Walewski  , a Ferdinando IV venne sottoposto un progetto di proclama , che si doveva pubblicare al momento della firma del Trattato di Zurigo , dicendo che esso "piacerebbe a Parigi":





 

File:Flag of the Grand Duchy of Tuscany (1848).gif
Bandiera tricolore in uso nel Granducato di Toscana nel periodo sovversivo del 1848-1849. E' la stessa bandiera della quale si parla nel sopra citato proclama.


 
I contatti tra il Granduca in esilio e i legittimisti toscani furono fitti di corrispondenza, di tentativi più o meno ortodossi per riottenere ciò che gli spettava di diritto. Il movimento anti unitario nella Toscana occupata dall’illegittimo governo sabaudo ebbe il suo apice tra il 1859 ed il 1866. Vi furono sollevazioni popolari nelle campagne e nelle piccole città toscane dove la "repressione preventiva" non era riuscita a estinguere gli animi fedeli al legittimo governo. Vi furono repressioni sfociate in spargimenti di sangue e arresti di massa. Con la fine della Terza Guerra d’espansionismo sabaudo i principali leader legittimisti  , vedendo praticamente l’estromissione completa dell’Impero d’Austria dalla penisola e dal protettorato su di essa , si "accomodarono" al nuovo stato di cose fluendo nel partito Conservatore.
Non mi si accusi di esagerazione… io non esagero in nulla… tutto ciò è della più scrupolosa esattezza. Ma credetemi quando dico che a Firenze , come a Modena , Parma e nelle Romagne , sarebbe bastato qualche colpo di fucile per rovesciare gli esiti e impedire la vittoria della Rivoluzione in quelle terre.
 

Presidente e fondatore A.L.T.A. Amedeo Bellizzi.  

Fonte:


Filippo Curletti- LA VERITÀ SUGLI UOMINI E SULLECOSE DEL REGNO D’ITALIA RIVELAZIONI DI J. A. ANTICO AGENTE SECRETO DEL CONTE CAVOUR (a cura di Elena Bianchini Braglia).

Il movimento antiunitario in Toscana (1859-1866). Di Arnaldo Salvestrini.

La Civiltà Cattolica.