mercoledì 5 febbraio 2014

Conte Joseph De Maistre : Il principio religioso ha creato tutto, la sua assenza ha tutto distrutto

 

Conte Joseph De Maistre.
 LX. Se la formazione di tutti gli imperi, il progresso della civiltà e l'accordo unanime di tutta la storia e di tutte le tradizioni non bastassero ancora a convincerci, la morte degli imperi compirebbe la dimostrazione iniziata con la loro nascita. Come il principio religioso ha creato tutto, cosi è l'assenza di questo stesso principio ha tutto distrutto. La setta di Epicuro, che si potrebbe chiamare l'incredulità antica, degradò prima, e distrusse poi tutti i governi che ebbero la sventura di accordarle ospitalità. Ovunque Lucrezio annunciò Cesare. Ma tutte le esperienze passate scompaiono davanti allo spaventoso esempio offerto dal secolo scorso. Ci vorrà molto perché gli uomini, ancora inebriati dei suoi vapori, almeno in generale, abbiano sufficiente sangue freddo per contemplare questo esempio nella sua vera luce e per trame, soprattutto, le conseguenze necessarie: è dunque essenziale dirigere tutti gli sguardi su questa scena terribile.
LXI. Sempre vi sono state religioni sulla terra, e sempre vi sono stati degli empi che le hanno combattute; sempre, ugualmente, l'empietà fu un crimine; infatti come non può esserci religione falsa senza una qualche mistione di vero, così non può essere! Empietà che non combatta qualche verità divina più o meno sfigurata; ma non può esserci vera empietà,, se non in seno alla vera religione; e, per una conseguenza necessaria, l'empietà non ha mai potuto produrre nei tempi passati i mali che essa ha prodotti ai nostri giorni; poiché essa è sempre colpevole in proporzione alle luci che la circondano. È in base a questa regola che si deve giudicare il secolo diciottesimo, poiché, sotto questo aspetto, non assomiglia a nessun altro secolo. Si sente ripetere comunemente che tutti i secoli si assomigliano e che gli uomini sono sempre stati gli stessi; ma bisogna guardarsi bene dal credere ciecamente a queste massime generali, inventate dalla pigrizia o dalla leggerezza per dispensarsi dal riflettere. Al contrario, tutti i secoli e tutte le nazioni manifestano un loro carattere peculiare e distintivo che bisogna considerare attentamente. Senza dubbio vi sono sempre stati vizi nel mondo, ma questi vizi possono differire in quantità, in natura, in qualità dominante, in intensità.(85) Ora, sebbene vi siano sempre stati degli empi, mai si era avuta, prima del secolo diciottesimo e in seno al cristianesimo, una insurrezione contro Dio; mai, soprattutto, si era vista una cospirazione sacrilega di tutti i talenti contro il loro autore: ed è proprio questo che abbiamo visto ai nostri giorni. La commedia ha bestemmiato come la tragedia, il romanzo come la storia e la fisica. Gli uomini di questo secolo hanno prostituito il genio all'irreligione e, secondo la mirabile espressione di san Luigi IX morente, hanno guerreggiato contro dio con i suoi DONI. (86) L'empietà antica non si adira mai; talvolta essa ragiona; di solito scherza, ma sempre senza acredine. Lucrezio stesso non arriva mai fino all'insulto; e sebbene il suo temperamento cupo e malinconico lo portasse a vedere tutto nero, è pacato anche quando accusa la religione di avere prodotto grandi mali. Le religioni antiche non meritavano che l'incredulità contemporanea si adirasse contro di esse.
LXII. Quando la buona novella fu resa pubblica nell'universo, l'attacco divenne più violento; tuttavia i suoi nemici mantennero sempre una certa misura. Essi non si presentano nella storia che di tanto in tanto, e costantemente isolati. Non si vede mai un'unione o una lega formale; non si abbandonano mai al furore di cui noi siamo stati testimoni. Lo stesso Bayle, padre dell'incredulità moderna, non rassomiglia affatto ai suoi successori. Nei suoi sviamenti maggiormente degni di condanna, non si trova in lui una gran voglia di persuadere, e ancor meno il tono dell'irritazione o dello spirito partigiano: dubita più che non neghi; espone il pro e il contro, e spesso è più eloquente per la buona causa che per la cattiva.(87).
LXIII. Fu dunque soltanto nella prima metà del secolo diciottesimo che l'empietà divenne realmente una potenza. La si vede prima estendersi da ogni parte con una attività inimmaginabile. Dal palazzo alla capanna, si insinua dovunque e infesta tutto; ha sentieri invisibili, un'azione occulta ma infallibile, tanto che l'osservatore più attento, testimone dell'effetto, non sempre riesce a scoprirne i mezzi. Con un prestigio inconcepibile, si fa amare da quegli stessi dei quali è la più mortale nemica; e la stessa autorità, che essa è in procinto di immolare, l'abbraccia stupidamente prima di ricevere il colpo. Ben presto un semplice sistema diventa un'associazione formale, che, con rapida gradazione, si muta in complotto e infine in una grande congiura che copre l'Europa.
LXIV. Allora si manifesta per la prima volta quel carattere dell'empietà che appartiene soltanto al secolo diciottesimo. Non è più il tono freddo dell'indifferenza, o tutt'al più la maligna ironia dello scetticismo; è un odio mortale, è il tono della collera e spesso della rabbia. Gli scrittori di quest'epoca, almeno i più notevoli, non trattano più il cristianesimo come un errore umano senza conseguenze, ma lo perseguitano come un nemico capitale, lo combattono a oltranza; è una guerra a morte; e, fatto che sembrerebbe incredibile se non ne avessimo le tristi prove sotto gli occhi, molti di quegli uomini che si dicevano filosofi si sollevarono dall'odio contro il cristianesimo fino all'odio personale contro il suo divino autore. Essi lo odiarono realmente, come si può odiare un nemico vivente. Due uomini soprattutto,(88) che saranno per sempre coperti dagli anatemi della posterità, si sono distinti per questo genere di scelleratezza che sembrava molto superiore alle forze della più depravata natura umana.
LXV. Tuttavia, poiché l'Europa intera era stata civilizzata dal cristianesimo, e poiché i ministri di questa religione avevano ottenuto in tutti i paesi una autorevole esistenza politica, le istituzioni civili e religiose si erano mescolate e come amalgamate in maniera sorprendente, di modo che si poteva dire di tutti gli stati d'Europa ciò che, con maggiore o minore verità, Gibbon ha detto della Francia: che questo regno era stato fatto dai vescovi. Era dunque inevitabile che la filosofia del secolo non tardasse a odiare le istituzioni sociali che non le era possibile separare dal principio religioso. È ciò che avvenne: tutti i governi, tutte le istituzioni d'Europa, le spiacquero, perché erano cristiane; e nella misura in cui erano cristiane, un disagio d'opinione, uno scontento universale si impadronì di tutte le menti. In Francia soprattutto, la rabbia filosofica non conobbe più limite; e ben presto, di tante voci riunite formandosi una sola voce formidabile, la si udì gridare in mezzo alla colpevole Europa.
LXVI. "Abbandonaci! (89) Si dovrà dunque tremare eternamente davanti a sacerdoti e riceverne l'insegnamento che piacerà loro impartirci? La verità, in tutta Europa, è nascosta dai fumi del turibolo; è ora che essa esca da questa nube fatale. Non parleremo più di te ai nostri figli; starà a loro, quando saranno uomini, sapere se tu sei e cosa sei, e cosa domandi loro. Tutto ciò che esiste ci spiace perché il tuo nome è scritto su tutto ciò che esiste. Vogliamo distruggere tutto e rifare tutto senza di te. Esci dai nostri consigli, esci dalle nostre accademie, esci dalle nostre case: sapremo bene fare da soli; la ragione ci basta. Abbandonaci! ". Come ha punito, Dio, questo esecrabile delirio? L'ha punito come creò la luce, con una sola parola. Ha detto: fate! E il mondo politico è crollato.
Ecco dunque come i due generi di dimostrazioni si uniscono per colpire anche gli occhi meno perspicaci. Da un lato, il principio religioso presiede a tutte le creazioni politiche; dall'altro, tutto scompare non appena esso si ritira.
LXVII. È per aver chiuso gli occhi a queste grandi verità che l'Europa è colpevole; ed è perché è colpevole che soffre. Essa tuttavia respinge ancora la luce e misconosce il braccio che la colpisce. Ben pochi uomini, di questa generazione materiale, sono in grado di conoscere la data, la natura e l'enormità di certi delitti commessi dagli individui, dalle nazioni e dalle sovranità; un numero ancora inferiore è in grado di comprendere il genere di espiazione di cui tali delitti necessitano, e il prodigio adorabile che costringe il male a spazzare con le sue stesse mani il terreno che l'eterno architetto ha già misurato con l'occhio per le sue meravigliose costruzioni. Gli uomini di questo secolo hanno preso la loro risoluzione. Essi hanno giurato a sé stessi di guardare sempre a terra. (90) Ma sarebbe inutile, forse anche pericoloso, entrare in maggiori particolari. A noi è ingiunto di professare la verità con amore. (91) Più ancora, in certe occasioni, non bisogna professarla che con rispetto; e, nonostante tutte le precauzioni immaginabili, il passo sarebbe rischioso per lo scrittore anche più pacato e meglio intenzionato. Il mondo, d'altronde, racchiude sempre una moltitudine innumerevole di uomini cosi perversi, cosi profondamente corrotti che, se potessero sospettare certe cose, potrebbero anche raddoppiare di malvagità, e rendersi, per cosi dire, colpevoli come angeli ribelli. Che il loro abbrutimento, piuttosto, si rafforzi ancora, se possibile, affinché neppure possano divenire tanto colpevoli quanto degli uomini possono esserlo. L'accecamento è senza dubbio un castigo terribile; tuttavia qualche volta lascia ancora intravedere l'amore: è tutto ciò che può essere utile dire in questo momento. (92)

San Pietroburgo, maggio 1809

Note:
49 Si potrebbe dire: verso la restituzione in intero: espressione che la filosofia può benissimo prendere in prestito dalla giurisprudenza e che godrà, sotto questa nuova accezione, di una meravigliosa esattezza. Quanto all'opposizione e all'equilibrio delle due forze, basta aprire gli occhi. " Il bene è contrario al male e la vita alla morte.... Considerate tutte le opere dell'Altissimo; le troverete a due a due e opposte l'una all'altra " (Eccles. XXXIII, 15). Per dirla di sfuggita: da ciò nasce la regola del bello ideale. Poiché nulla nella natura è ciò che deve essere, il vero artista, quello che può dire EST DEUS IN NOBIS, ha il potere misterioso di discernere i tratti meno alterati, e di riunirli per formarne dei tutti che estistono solo nel suo intelletto.
50 Difficile est mutare in melius (Zanotti, cit. nel Transunto della R. Accademia di Torino, 1788-89, in 8°, p. 6).
51 *** o, se si vuole esprimere questo pensiero in maniera più laconica e senza alcuna licenza grammaticale, SENZA DIO NULLA MIGLIORA (Origene, Adv. Cels., I, 26, ed. Ruaei, Paris 1733, in fol., t. I, p. 345).
52 Nihil motum ex antiqno probabile est, Tito Livio, XXXIV, 53.
53 " Bisogna - si dice - ricorrere alle leggi fondamentali e primitive dello Stato, che uno costume ingiusto ha abolite; ed e un gioco per perdere tutto. Nulla sarà giusto su questa bilancia: tuttavia il popolo presta facilmente orecchio a questi discorsi " (Pascal, Pensées, I parte, ari. 6, Paris, Renouard, 1803, pp. 121-122). Non si potrebbe dire meglio; ma guardate che cosa è l'uomo! L'autore di questa osservazione e la sua laida setta non hanno cessato di giocare a questo gioco infallibile per perdere tutto; e il gioco è in effetti perfettamente riuscito. Del resto Voltaire, su questo punto, ha parlato come Pascal: " E' un'idea ben vana - dice - e un lavoro ben ingrato il voler richiamare tutto agli usi antichi " (Essai sur le Moeurs et l'Esprit, ecc., cap. LXXXV). Sentitelo poi parlare dei papi e vedrete come si ricordi della sua massima.
54 Almeno in rapporto al mento dell'istituzione: perché sotto altri punti di vista può essere importantissimo occuparsene.
55 Dante diceva a Virgilio, facendogli, bisogna confessarlo, un po' troppo onore: Maestro di color che sanno. Parini, sebbene avesse la testa totalmente guasta, ha avuto però il coraggio di dire a Voltaire, parodiando Dante: Sei maestro... di coloro che credono di sapere (II Mattino). l.a frase è esatta.
56 Précis du siecle de Louis XV, cap. XLII.
57 Ludens in orbe terrarum, Prov. VIII, 31.
58 II manoscritto originale del Saggio ha qui una squisita nota, cancellata poi da de Maistre, che l'edizione di Triomphe ci fa conoscere. Eccola: " Quanto a ciò che egli [Voitaire] dice poco sopra, che Cicerone, Ortensio e il primo Marco Antonio non comperarono affatto una carica di senatore, se un uomo qualsiasi avesse detto questo, si griderebbe senza riguardi: è una idiozia; e il mondo intero non avrebbe che una sola voce. Ma poiché si tratta di una divinità francese, majorum gentium, e poiché bisogna pur rispettare i culti stranieri, anche l'idolatria, vorrei trovare qualche sinonimo attenuato che non urtasse né la ragione né i francesi, cosa non agevole. Tutto ben considerato, prendo il partito di rimettermi puramente e semplicemente a loro, promettendo anticipatamente di avere per gradita e di ratificare ogni altra parola che essi lealmente mi proporranno. Spero che nessuno potrà adirarsi " (N.d.T.).
59 "Il principio che ogni potere legittimo derivi dal popolo è nobile e specioso in sé stesso; tuttavia è smentito da tutto il peso della storia e dell'esperienza * (Hume, Hist. of Engl., Charles I, cap. LIX, year 1642, Ed. inglese di Basilea, 1789, in 8°, p. 120).
60 Decade philisophique, ott. 1797, n. 1, p. 31 (1809). Questo brano collegato alla sua data ha il duplice merito di essere eminentemente piacevole e di far pensare. Vi si vede in quali idee si cullassero allora quei bambini e quanto sapessero intorno a ciò che l'uomo deve anzitutto sapere.
Da allora un nuovo ordine di cose ha sufficientemente confutato queste belle fantasie; e se tutta l'Europa è oggi attirata a Parigi, non è certo per andarvi ad assistere ai giochi olimpici (1814).
61 Cfr. la nota al settimo verso dell'Inno a Diana di Callimaco (ediz. di Spanheim), e Lanzi, Saggio di letteratura etrusco, ecc., in 8°, t. II, p. 241, nota. Gli Inni di Omero non sono in fondo che collezioni di epiteti; il che attiene allo stesso principio della polionimia.
62 Isaia, XL, 26.
63 Si riferisce ai nomi dei tre angeli Michele, Gabriele e Raffaele (N.d.T.).
64 Si ricordi il più grande nome [Pietro] dato divinamente e direttamente a un uomo. La ragione del nome fu data in questo caso con il nome stesso; e il nome esprime precisamente la destinazione o, il che è lo stesso, il potere.
65 Apocalisse, III, 12.
66 Questa osservazione è stata fatta dall'autore, anonimo ma molto conosciuto, del libro tedesco intitolato Die Siegesgeschichte der christlichen Religion, in einer gemeinnutzigen Erkiarung der Offenbarung Johannis, in 8°, Norimberga, 1799, p. 89. Non c'è nulla da dire contro questa pagina.
67 Num., XVI, 2.
68 Erodoto, Terpsic., V, 3.
69 Origene, Adversus Celsum, I, 18, 24, p. 341, e in Exhort. ad Martyr-, n. 46, e in nota, ediz. Ruaei, in fol., t. I, pp. 305 e 341.
70 Platone, in Cratilo, Opp., t. IlI, p. 244.
71 " In modo che - come ha osservato Dionigi di Alicarnasso - se l'epiteto è distintivo e naturale pesa nel discorso quanto un nome " (Sulla poesia di Omero, cap. VI). Si può anche dire, in un certo senso, che è migliore, perché ha il merito della creazione senza avere il demerito del neologismo.
72 Non ricordo alcun epiteto illustre di Voltaire, forse per qualche lacuna della mia memoria.
73 " Eccomi a rispondere alla vostra frase: trovandomi l'altro giorno nel Ceramico, ecc. " (Cic. Ad. Att., I, 10).
74 [Fornace per tegole] Con una certa latitudine che racchiude anche l'idea di terraglia.
75 Conosciamo, grazie all'edizione di Triomphe, l'annotazione posta a margine di questa frase, nel manoscritto originale: "il Palais-Royal " (N.d.T.).
76 L'Encyclopedie (N.d.T.].
77 Guillaume Thomas Raynal, Histoire philosophique et politique des élablissements et du commerce des Européens dans les deux Indes, Amsterdam 1770 (N.d.T.).
78 Rousseau (N.d.T.).
79 Quello di Voltaire (N.d.T.).
80 " Quanto manca perché gli stessi pezzi eseguiti all'Odèon producano in me la stessa sensazione che provavo all'antico Théatre de la Musique, dove li ascoltavo rapito. I nostri artisti hanno perduto la tradizione di questo capolavoro (lo Stabat di Pergolesi); per essi è scritto in lingua straniera, ne recitano le note senza conoscenze lo spirito; la loro esecuzione è gelida, senz'anima, senza sentimento, senza espressione. Anche l'orchestra suona macchinalmente e con una debolezza che uccide l'effetto. L'antica musica (quale?) e la rivale della più alta poesia; la nostra non è altro che la rivale dello stridio dei passeri. Cessino dunque i nostri moderni virtuosi... di disonorare composizioni sublimi...; non suonino più (soprattutto) Pergolesi: è troppo forte per loro " (Journal de l'Empire, 28 marzo 1812).
81 Nel secondo libro dell'Iliade, Ulisse vuole impedire ai Greci di rinunciare vilmente alla loro impresa. Se incontra in mezzo al tumulto eccitato dai malcontenti un re o un nobile, gli rivolge dolci parole per persuaderlo, ma se gli capita sotto mano un uomo del popolo (singolare gallicismo), lo percuote con forti colpi di scettro (Iliade, II, 198-199).
Si imputò un tempo a Scorate la colpa di aver fatto suoi i versi che Ulisse pronunciò in questa occasione e di averli citati per provare al popolo che esso non sa nulla e che non è nulla (Senofonte, Memor. Socr., I, II, 20).
Anche Pindaro può essere citato per la storia dello scettro, la dove ci racconta l'aneddoto di quell'antico re di Rodi che ammazzò suo cognato, colpendolo, in un momento di impazienza e senza cattiva intenzione, con uno scettro che sventuratamente si trovò fatto di un legno troppo duro (Olymp. VII, vv. 49-55). Bella lezione per alleggerire gli scettri!
82 Connestabile non è che una contrazione gallica di COMES STABULI, il compagno o il ministro del principe nel dipartimento delle scuderie.
83 Mercure de Trance, 17 giugno 1809, n. 413, p. 679.
84 Così, per esempio, se un uomo che non sia sovrano si nomina da se legislatore, è una prova certa che non lo è; e se un'assemblea osa chiamarsi legislatrice, non solo è una prova che essa non lo è, ma è anche una prova che ha perduto il bene dell'intelletto e che in breve tempo sarà abbandonata agli scherni dell'universo.
85 Bisogna inoltre considerare la mescolanza delle virtù, le cui proporzioni variano infinitamente. Quando si sono mostrati gli stessi generi di eccessi, in tempi e luoghi diversi, ci si crede in diritto di concludere magistralmente che gli uomini sono sempre stati gli stessi. Non c'è sofisma più grossolano e più comune di questo.
86 Joinville, nella raccolta dei Mémoires relatifs a l'histoire de France, in 8°, t. II, p. 160.
87 Guardate, per esempio, con quale robustezza logica ha combattuto il materialismo nell'articolo LEUCIPPO del suo DIZIONARIO.
88 Voltaire e Diderot. Sulla diversità di ruoli svolti dai due scrittori rivoluzionari, cfr. l'ampio saggio (ma tendenzioso) di A. Soboul, Che cos'è un philosophe? in Feudalesimo e Stato rivoluzionario. Guida, Napoli 1973, pp. 40-89 (N.d.T.).
89 Dixerunt Deo: RECEDE A NOBIS! Viam mandatorum tuorum nolumus (Giobbe, XXI, 14).
90 Oculos suos statuerunt declinare in terram. Ps. XVI, 2
91 Efes., IV, 15. Espressione intraducibile. La Vulgata, che preferisce, a ragione, parlare esattamente che parlare latino, ha tradotto: facientes veritatem in charitate.
92 Nel manoscritto originale, un'ultima frase, cancellata poi da de Maistre e che ci è nota per l'edizione curata da Triomphe, chiudeva così il testo del Saggio: " Si odono, si', i tuoni che parlano; ma quando anche fosse possibile distinguere ciò che dicono, dubito che sarebbe permesso scriverlo " (N.d.T.).