sabato 28 luglio 2012

R. P. Matteo Liberatore S.J. Da: La Chiesa e lo Stato (2a ed.) Napoli 1872, cap. I, pag. 37-47.CONDIZIONE DELLA CHIESA RISPETTO ALLO STATO.

 

CAPO I.

ARTICOLO III.

Di tre conseguenze che nascono dalla verità stabilita di sopra.

La Chiesa è vero regno. Essa è il regno di Dio sulla terra, del quale Cristo è il monarca invisibile, il suo Vicario è il monarca visibile. Allorchè Cristo dinanzi al presidente romano confessò di essere re, Rex sum ego, non disse (nota opportunamente S. Agostino) «il mio regno non è qui», ma «non è da qui»;non disse «il mio regno non è in questo mondo»,ma «non è da questo mondo».Imperocchè veramente il suo regno è quaggiù, ed è duraturo infino alla consumazione de' secoli [1]. Questo regno di Cristo, come mostrammo nell'articolo precedente, è il quinto impero predetto dal profeta Daniele, che sarebbe succeduto agli anteriori imperi della forza, ed avrebbe di sè riempiuta tutta la terra. L'impero romano, dice S. Tommaso, fu stabilito dalla divina Provvidenza a questo fine, acciocchè sotto il suo universale dominio la fede potesse predicarsi nell'universo mondo. Ed esso non è finito, ma da temporale si è mutato in spirituale: Romanum imperium firmatum fuit ad hoc, quod sub eius potestate praedicaretur fides per totum mundum ... nondum cessavit, sed commutatum est de temporali in spirituale [2]. Roma continua a comandare alle genti; benchè non colla forza delle armi, ma per virtù della Religione: Quidquid non possidet armis, religione tenet. Essa è la metropoli dell'intero universo, e, come tale, è regina delle nazioni.
La prima conseguenza, che spontaneamente si manifesta da ciò, si è che tutto il mondo è territorio proprio di questo regno; giacchè esso è destinato ad abbracciar nel suo seno tutto il genere umano: Euntes in mundum universum praedicate Evangelium. La Chiesa ha diritto, anzi dovere, di predicare il Vangelo infino agli estremi termini della terra; e costituire dappertutto il regno di Cristo. Ad ogni uomo è imposto l'obbligo di divenire suo suddito: Qui crediderit et baptizatus fuerit, salvus erit; qui vero non crediderit, condemnabitur. Cristo stesso, in virtù del suo assoluto ed universale dominio, ha investito la sua Chiesa di autorità sopra tutti gli uomini, a qualunque plaga del mondo appartengano. Onde S. Bernardo scrivendo ad Eugenio Papa diceva: Dee uscire dal mondo chi vuol trovare un luogo, non sottoposto alla tua cura: Orbe exeundum est ei, qui forte volet explorare quae non ad tuam pertinent curam [3]. Questa cura si estende perfino ai popoli tuttavia infedeli; i quali, benchè non siano sudditi della Chiesa in atto, lo sono nondimeno in potenza [4]. Ma rispetto ai Fedeli, i quali pel battesimo son divenuti attualmente membri di questa spiritual società, il potere della Chiesa è svolto in atto e in tutto il vigore del suo pieno esercizio. Il perchè giustamente la sacra Congregazione del S. Officio l'anno 1644, con decreto approvato da Papa Innocenzo X, ebbe a condannare come scismatica ed eretica la proposizione, la quale affermava che i sommi Pontefici, allorchè mandano le loro costituzioninei luoghi soggetti al dominio di altri principi secolari, promulgano leggi in territorio non loro.
Ogni paese cristiano, come appartiene al Principe laico per ciò che spetta l'ordine civile; così appartiene, ed a più forte ragione, al Principe ecclesiastico, per ciò che spetta l'ordine religioso. Dicemmo a più forte ragione, perchè la prima pertinenza nasce da giurisdizione umana, fondata nel fatto attuante la socievolezza dell'uomo; la seconda nasce da giurisdizione divina, ed è fondata nella essenziale dipendenza della creatura da Dio. L'autorità della Chiesa è l'autorità stessa di Cristo; il quale governa i fedeli mediante il suo Vicario quaggiù. Ogni persona battezzata è più suddita del Papa, che non sia di qualsivoglia altro governante terreno. Questa sudditanza è spirituale; ma però appunto ella abbraccia più l'uomo, che qualsivoglia altra sudditanza materiale; giacchè la parte principale dell'uomo non è il corpo, ma lo spirito.
«Questo dice il Signore Iddio: Io assumerò i Figliuoli d'Israele da mezzo alle nazioni, in cui si divisero..... e ne farò una sola gente sopra la terra nei monti d'Israele, e uno sarà il re, imperante a tutti; e non saranno più due genti; nè si partiranno più in due regni..... E il mio servo Davidde sarà re sopra di essi, ed unico pastore di tutti loro. Haec dicit Dominus Deus: ecce ego assumam filios Israel de medio nationum, ad quas abierunt..... Et faciam eos in gentem unam in terra, in montibus Israel, et rex unus erit omnibus imperans; et non erunt ultra duae gentes, nec dividentur amplius in duo regna..... Et servus meus David rex super eos, et pastor unus erit omnium eorum. Così vide in ispirito la futura Chiesa di Cristo il profeta Ezechiele [5]. Uno è il popolo fedele, formato dai credenti in Cristo, qualunque sia la loro terra o la loro lingua. In esso non ci ha nè tedesco, nè francese, nè greco, nè slavo; le distinzioni di razza, d'idioma, di limiti territoriali, spariscono. Una sola redenzione, una sola fede, un solo battesimo, una medesima speranza, un medesimo amore li unisce tutti: Unum corpus et unus spiritus, una spes vocationis vestrae, unus Dominus, una fides, unum baptisma. Così l'Apostolo Paolo [6]. Essi son tutti fratelli in Cristo; figliuoli per adozione di un medesimo padre, Iddio; partoriti ed allattati da una sola madre, la Chiesa. A questo popolo, viandante quaggiù, è dato un sol duce supremo, un solo principe e pastore, il mistico Davidde, colui al quale fu detto: Pasci le mie pecorelle; a te commetto le chiavi del regno dei cieli. «Il trono di Davidde, dice S. Epifanio, e la regia sede è il Sacerdozio, stabilito nella santa Chiesa; la qual dignità, regia insieme e pontificia, il Signore ha donato alla sua santa Chiesa, trasferendo in essa il trono davidico, che non dovea mancare in eterno: Thronus David et regia sedes est Sacerdotium in S. Ecclesia; quam dignitatem regiam simulque pontificiam simul coniunctim largitus est Dominus sanctae Ecclesiae suae, translato in ipsam throno David, non deficiente in aeternum [7].» Qual forsennatezza adunque non è quella di chiamare straniera a questo o quel popolo l'autorità del Pontefice? Se siffatto popolo è parte di questa gran società, di cui il Pontefice è capo; come può dirsi straniero il capo alle membra? Se tutta la moltitudine dei fedeli forma un sol regno, di cui il Pontefice è il sovrano; come può dirsi straniero il sovrano ai proprii sudditi? Se tutti i fedeli formano una sola famiglia, di cui il Pontefice è padre; come può dirsi straniero il padre ai proprii figli? Senza niun dubbio è assai più intima la relazione, che ciascun cristiano ha col Pontefice, che non quella che ha coi proprii governanti civili: perchè è relazione risultante da un legame, che Dio stesso immediatamente e positivamente ha stretto colle proprie mani; ed è relazione, che direttamente allaccia lo spirito e mira al supremo tra i beni dell'uomo, la felicità sempiterna. Al trar dei conti essa è relazione non distinta da quella, che stringe l'uomo con Dio; giacchè non bisogna dimenticare che l'autorità del Pontefice è l'autorità stessa di Cristo, di cui egli qui in terra tiene le veci, e prosegue l'opera nella santificazione e nel reggimento dei fedeli.
Un'altra conseguenza discende dalle cose discorse di sopra, ed è che propriamente parlando, non la Chiesa sia nello Stato ma viceversa lo Stato sia nella Chiesa. Ciò s'intende agevolmente, tanto solo che si riguardi alla stessa comprensione quantitativa. Certamente non il tutto è nelle parti, ma le parti sono nel tutto. Ora la Chiesa, attesa la sua cattolicità, ha ragione di tutto, a rispetto dei singoli Stati. Essa, come dicemmo, è istituita da Cristo come società universale, destinata a raccogliere nel suo seno tutto il genere umano. Per contrario ogni Stato, per ampio che sia, è sempre stretto da limiti, vuoi di territorio, vuoi di persone, vuoi di dominio. Lo stendersi indefinitamente gli è innaturale; perchè avendo per iscopo la pace e il ben essere temporale, è legato necessariamente a condizioni di luogo, di stirpe, di abitudini, e a tutti gli altri peculiari aggiunti, da cui dipendono i materiali vantaggi. Ora siffatte cose tra le genti si differenziano grandemente. Senonchè, quand'anche gli fosse connaturale l'aggrandirsi fino a comprendere tutti i popoli in una sola società politica (ipotesi più immaginaria che reale); ciò tuttavia non costituirebbe che una mera potenzialità. Niuno degli Stati esistenti è dotato del diritto di aggregare a sè successivamente tutti gli altri, e stendere sopra di essi il suo civile impero. Per contrario l'universalità della Chiesa è virtuale e giuridica; perchè nasce da vero diritto conferitole da Cristo di aggregare a sè tutti gli uomini, con vero obbligo in questi di secondarne l'invito, sotto pena di eterna dannazione: Qui non crediderit, condemnabitur.
Ma più che alla materiale estensione, è qui da por mente all'intrinseca coordinazione de' fini, per persuadersi della verità, di cui ragioniamo. Il fine, per cui è istituita la Chiesa, è supremo ed universale; e ad esso ella scorge e promuove con mezzi universali, quali sono l'ammaestramento dell'intelletto in ordine alla conoscenza del vero, la direzione della volontà, in ordine all'amore del bene. Essa collega tutti gli uomini in ciò che compete all'uomo, in quanto uomo, qual è il vero culto di Dio, e l'asseguimento della felicità sempiterna. Al contrario, il fine per cui è istituito ciascuno Stato politico, è secondario e particolare; e ad esso, con mezzi somministrati dalla sola natura, egli dirige i soli suoi sudditi, e sotto il circoscritto riguardo di cittadini. Ora una società si dice essere in un'altra, quando il suo fine è inferiore e subordinato al fine di qu[el]la; e però è in esso racchiuso, come il particolare nell'universale, o come i mezzi nel fine. Così, benchè la società domestica abbia fine distinto dalla società civile, e sia nel suo genere perfetta, per riferirsi anch'essa nel proprio ordine a tutta l'attività umana; nondimeno giustamente si dice essere ella nello Stato, e non lo Stato in lei, La ragione si è, perchè lo scopo civile è più alto e più ampio del domestico, e la famiglia è parte della nazione. Il medesimo a più forte ragione vale della Chiesa, rispetto allo Stato; giacchè il fine della Chiesa non solo riguarda la vita immortale, a cui certamente è ordinata tutta la vita temporale, ma di più è di ordine soprannaturale, e i popoli e le genti son come membri di questo gran corpo.
«Ancorchè si concedesse (ripeterò qui ciò che scrissi in altro luogo[8] ) quel che oppongono gli avversarii, essere la Chiesa nello Stato e non viceversa; tuttavolta non seguirebbe ciò, che essi ne deducono, ma seguirebbe anzi l'opposto. Imperocchè non dovrebbe dirsi che la Chiesa è nello Stato come la parte nel tutto, secondochè può dirsi delle inferiori associazioni dello stesso ordine civile, quali sarebbero, a cagion d'esempio, le province o i municipii per rispetto all'intera repubblica; ma dovrebbe dirsi che la Chiesa è nello Stato, come la forma è nella materia, perfezionandola e reggendola, o, più precisamente, come l'anima è nel corpo, da lei avvivato e a più alto grado condotto. Or chi dirà che l'anima è sottoposta al corpo, e non piuttosto il corpo all'anima? All'uopo S. Tommaso: –– La potestà secolare è sottoposta alla spirituale, come il corpo all'anima; e però non è giudizio usurpato, se il Prelato spirituale s'intrometta di cose temporali, in quell'ordine in cui la potestà secolare gli è soggetta –– [9].
«Senonchè quell'antecedente, sotto considerazione relativa è ambiguo, sotto considerazione assolutaè del tutto falso. È ambiguo sotto considerazione relativa, perchè come la Chiesa è nello Stato, così anche lo Stato è nella Chiesa. La Chiesa è nello Stato quanto ai negozii temporali, giacchè questi vengono regolati dalle leggi civili; ma vicendevolmente lo Stato è nella Chiesa quanto ai negozii spirituali, giacchè questi son governati dalle leggi canoniche.
«Se poi riguardiamo la cosa in modo assoluto, dee dirsi che lo Stato è nella Chiesa, e non che la Chiesa è nello Stato: Imperocchè la Chiesa guarda un fine più ampio, e si stende più in là dello Stato; giacchè abbraccia tutto l'Orbe e dirige al fine ultimo ed universale dell'uomo. Ora il fine particolare è compreso sotto l'universale; e la società minore è contenuta dalla maggiore. Nè può dirsi che la Chiesa si divide in diverse chiese, siccome la società civile si ripartisce in diversi Stati. Attesochè la Chiesa alla massima universalità accoppia la massima unità: ed è la stessa in ciascuna delle regioni ove regna:Sarà un sol gregge ed un solo Pastore[10]. Così ancora, non la Chiesa entra nei singoli Stati, ma i singoli Stati entrano nella Chiesa. Imperocchè sussiste per istituzione divina questa gran società spirituale, la quale invita e chiama a sè tutte le nazioni, e le nazioni rispondendo alla sua chiamata entrano in lei, come i fiumi entrano nel mare.»
La terza conseguenza, di sommo momento in questa materia e intimamente connessa colle due precedenti, si è che i giudizii intorno alle cause spirituali sono al tutto fuori del foro e dell'autorità temporale. Diconsi cause spirituali quelle, che riguardano la credenza cristiana, l'amministrazione de' sacramenti, i riti, la morale, il reggimento de' fedeli nell'esercizio della pietà, l'istituzione della vita nel bene ordinarsi al conseguimento dell'ultimo fine, e generalmente tutto ciò che si riferisce al culto di Dio e alla salute delle anime. Che tali cose sieno di sola pertinenza della Chiesa, e che però il Clero in ordine ad esse sia, per diritto divino, immune ed indipendente dall'autorità laicale; non solo è verità cattolica, ma il Suarez la reputa al tutto verità di fede. Veritas catholica est, clericos in spiritualibus seu ecclesiasticis causis omnino esse immunes a iurisdictione temporalium Principum. Ita docent omnes catholici scriptores in locis infra allegandis, conveniuntque omnes immunitatem clericorum quoad hanc partem esse de iure divino: quod aeque certum ac de Fide esse censeo [11]. E per fermo siffatta indipendenza non è che mera illazione di un principio di fede. Imperocchè è verità di fede, che l'autorità spirituale è stata da Dio conferita non ai Principi secolari, ma al Sacerdozio: Spiritus Sanctus posuit Episcopos regere Ecclesiam Dei [12]; e nulla è più evidente, che le cause spirituali non possono soggiacere, se non che ad autorità parimente spirituale, ossia dello stesso loro ordine. Non all'imperatore romano disse Cristo, bensi al solo Pietro: Pasci le mie pecorelle [13]; tuttociò che legherai sulla terra, sarà legato nei cieli, e tuttociò che scioglierai sulla terra, sarà sciolto nei cieli [14].«Se l'Imperatore è cattolico, dice giustamente Giovanni Papa, è figlio, non superiore della Chiesa.» E più sotto: «Ai sacerdoti volle Iddio che appartenessero le disposizioni riguardanti la Chiesa, non alle potestà del secolo. Si Imperator catholicus est, filius est, non praesul Ecclesiae... Ad Sacerdotes voluit Deus, quae Ecclesiae disponenda sunt, pertinere, non ad saeculi potestates.»
E veramente se le due potestà sono distinte, uopo è che si versino in materie distinte; e però le cause spirituali, che son la materia diretta dell'autorità spirituale, non possono soggiacere all'autorità temporale, la quale non può aggirarsi che intorno agli affari temporali. «Il mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, sceverò per guisa nei proprii atti e dignità distinte gli ufficii dell'una e dell'altra potestà (volendo che colla sua medicatrice umiltà si elevassero in alto, e non per umana superbia di nuovo si sommergessero in basso); che i cristiani Imperatori per le cose concernenti l'eterna vita avesser bisogno de' Pontefici, e i Pontefici pel corso delle sole cose temporali si servissero delle imperiali leggi per modo che l'azione spirituale fosse libera da intervento carnale. Mediator Dei et hominum, homo Christus Iesus sic actibus propriis et dignitatibus distinctis officia potestatis utriusque discrevit, propria volens medicinali humilitate sursum efferri, non humana superbia rursus in inferna demergi; ut christiani Imperatores pro aeterna vita Pontificibus indigerent, et Pontifices pro cursu temporalium tantummodo rerum imperialibus legibus uterentur, quatenus spiritualis actio carnalibus distaret incursibus.» Così Papa Nicolao I a Michele imperatore.
Ora se le cause spirituali sono esenti dalla giurisdizione secolare, ne segue che esente altresì da tal giurisdizione sia il Clero, in quanto tratta siffatte cause. E la ragione è chiarissima; perciocchè, come ben osserva il Suarez, le materie, cioè le cause, son la ragione, per cui le persone soggiacciono al foro ed a tale o tal foro; giacchè gli atti della giurisdizione riguardano prossimamente una data materia che si prescrive o si discute, rispetto alle persone soggette: e però dove la materia esce fuori della giurisdizione di alcuno, ne escono fuori altresì le persone, che a quella materia hanno rapporto, in quanto hanno un tale rapporto. Personae sortiuntur forum pro ratione materiarum seu causarum; quia iurisdictionis actus proxime versantur circa aliquam materiam, quam praecipit vel discutit, personae subiectae: et ideo si materia est extra iurisdictionem alicuius, etiam personae, ad quas pertinet talis materia, sub ratione tali erunt ab eadem iurisdictione immunes [15]. La quale immunità, benchè in maniera precipua competa ai chierici, i quali son persone sacre, e in modo peculiare son retti da leggi ecclesiastiche; nondimeno si estende altresì a tutti i fedeli, in quanto essi per ciò che riguarda le materie religiose, sono al tutto indipendenti dall'autorità laicale, e sol soggetti all'autorità della Chiesa. E la dimostrazione di ciò è facilissima; giacchè l'anzidetta indipendenza dal potere secolare deriva non da peculiare ragione, relativa al solo stato ecclesiastico, ma deriva da ragion generale, cioè dalla natura di tali cause, trascendenti il giro del potere laicale, e però si stende a tutti quelli, che esse in qualsivoglia modo concernono.
Nè alcuno dica che almeno indirettamente potrebbe l'autorità secolare intromettersi di tali cause, in quanto cioè offendessero l'ordine civile o politico, a cui essa provvede. Imperocchè cotesto potere indiretto non può appartenere ad una società, rispetto ad un'altra, se non in quanto questa seconda sia di per sè subordinata a quella prima. Di qui solamente può nascere che, attesa la sua sopraeminenza, ella scenda, occorrendone il bisogno, nell'ordine inferiore, per emendarlo e rimetterlo nella debita relazione all'ordine superiore. E così un tal potere indiretto compete all'autorità civile verso la società domestica, e le altre associazioni, che in seno dello Stato sorgessero per libero svolgimento dell'attività individuale. Nel proprio ordine la famiglia gode d'indipendenza: ma poichè il suo fine è subordinato al fine politico; ne segue che il potere civile, senza assorbire la patria potestà, può colle sue leggi dirigerne l'uso, secondo l'esigenza dell'ordine pubblico, e dove alcuna disposizione domestica nocesse al bene dell'intero corpo sociale, può entrare a conoscere e giudicar quella causa. Lo stesso dite a più forte ragione delle altre associazioni private, nelle quali la subordinazione dei loro fini particolari al fine generale del civile consorzio fa sì che il Principe abbia dominio indiretto, anche in ciò che intrinsecamente le riguarda. Ma questo appunto dimostra l'impossibilità di poter dire il medesimo per ciò che spetta alla Chiesa. Imperocchè non la Chiesa allo Stato, ma viceversa lo Stato è subordinato alla Chiesa; giacchè non il fine religioso al fine politico, ma per contrario il fine politico sottostà al fine religioso. Onde non lo Stato ha potestà indiretta sopra la Chiesa, ma all'opposto la Chiesa ha potestà indiretta sopra lo Stato. E così ella può correggere ed annullare le leggi civili o le sentenze del foro secolare, quando si opponessero al bene spirituale; e può frenare l'abuso del potere esecutivo e delle armi, ovvero prescriverne l'uso, quando il bisogno di difesa della cristiana religione lo richiedesse. Il tribunale della Chiesa è più alto del civile. Ora il tribunale superiore può rivedere le cause dell'inferiore; ma l'inferiore in niun modo può rivedere le cause del superiore. In questa faccenda di giudizii deve serbarsi la regola prescritta da Papa Bonifazio VIII, nella sua bolla dommatica Unam Sanctam Ecclesiam. «Se trasvia (dice quivi il Pontefice) la potestà terrena, deve essere giudicata dalla potestà spirituale. Se poi trasvia la stessa potestà spirituale, in tal caso quella, che è di grado inferiore, dev'essere giudicata dalla superiore. Ma la suprema tra queste non può essere giudicata che dal solo Dio, non mai dall'uomo:Si deviat terrena potestas, iudicabitur a potestate spirituali; sed si deviat spiritualis, minor a suo superiori, si vero suprema, a solo Deo, non ab homine, poterit iudicari.
Di qui si può intendere quanto disordine si acchiuda nei così dettiappelli per abuso, pei quali il magistrato laico si arroga il diritto di chiamare al proprio tribunale i sacri Ministri e giudicarli intorno agli atti di giurisdizione ecclesiastica e di esercizio del loro ministero. Di qui parimente può intendersi la turpitudine di quell'altra sacrilega usurpazione, designata col nome di Placet o Exequatur, per la quale si vieta che veruna Bolla o Breve o Rescritto papale sia messo in esecuzione o anche sol pubblicato senza l'approvazione della potestà laicale. Noi tratteremo di proposito di queste due iniquissime pretensioni, e mostreremo che esse tendono a distruggere da capo a fondo tutta l'indipendenza del regno di Cristo dal secolo. Come ilPlacet sottomette allo Stato la potestà legislativa della Chiesa; così il preteso Appello gli sottomette l'autorità giudiziaria. Per ora ci basti osservare che la costituzione organica della Chiesa, essendo fatta da Cristo, non è soggetta ad arbitrio umano; e però lo Stato, in cambio di perfidiare in quelle sue assurde pretensioni, farebbe miglior senno a ripudiarle da sè medesimo. Se si ostina a mantenerle, non ne riporterà altro che disprezzo; ed al più avrà occasione di esercitare tirannide; ma nè il Clero, nè i sinceri fedeli si acconceranno giammai a rispettarle.


NOTE:

[1] Christus non dixit: Regnum meum non est hic, sed non est hinc; non dixit: Regnum meum non est in hoc mundo, sed de hoc mundo. Hic enim est regnum eius usque in finem saeculi. S. Agostino, Trattato 115 in Ioan. [«Unde et hic non ait, Regnum meum non est in hoc mundo; sed, non est de hoc mundo. (...) non ait, Nunc autem regnum meum non est hic; sed, non est hinc. Hic est enim regnum ejus usque in finem saeculi (...)»S. Aug. In Joannis Evangelium, Tractatus CXV, Migne, P.L. vol. XXXV, col. 1939. N.d.R.]
[2] In 2.am ad Thessalonicenses, c. II, lect. 1.
[3] De Consideratione, lib. 3, cap. 1.
[4] Illi qui sunt infideles, etsi actu non sint de Ecclesia, sunt tamen de Ecclesia in potentia. S. Tommaso, Summa th. 3.a p. q. VIII, a. 3 ad 1.m.
[5] Prophetia Ezechielis, XXXVII, 21; 23, 24.
[6] Ad Ephes. IV. 4.
[7] Haeres. XXIX.
[8] Istituzioni di Etica e Diritto naturale, traduzione di G. L.Diritto sociale c. VI, a. 111, Obb. 1.
[9] Summa th. 2.a 2.ae q. 60, a 6 ad 3.
[10] Ioan. X, 16.
[11] Defensio Fidei cath. III. IV, c. II.
[12] Actorum, XX.
[13] Matth. XXI.
[14] Matth. XXVI.
[15] Defensio Fidei catholicae, I, IV, c. II.