domenica 22 luglio 2012

La Civiltà Cattolica, anno XIII, serie V, vol. II, Roma 1862, pag. 5-14. R. P. Matteo Liberatore S.J. (1821-1884) La Passione di Cristo e l'epoca presente.


In ogni tempo la commemorazione dei dolori di Cristo torna utilissima alla meditazion de' Fedeli, per ravvisarvi l'archetipo e la forma esemplare dei travagli e delle persecuzioni, a cui più o meno è sempre sottoposta la Chiesa. Imperocchè , siccome la Chiesa è il corpo mistico di Cristo, e quasi Cristo stesso diffuso, in virtù della fede e della grazia, nella moltitudine de' credenti, e in sè unificanteli coll'obbedienza a un solo Pastore che faccia le sue veci sulla terra; così le tribolazioni e i patimenti, a cui la Chiesa soggiace nelle diverse sue membra e massimamente nel supremo suo Capo, sono una vera imitazione o, diciam meglio, una continuazione delle tribolazioni e dei patimenti di Cristo. Sono noti in tal proposito i flebili versi, onde l'Alighieri ci dipinge Cristo paziente nella persona del gran pontefice Bonifazio VIII, vituperato e imprigionato da' satelliti del sacrilego Filippo di Francia.
Perchè men paia il mal futuro e il fatto,
Veggio in Alagna entrar lo fiordaliso,
E nel Vicario suo Cristo esser catto. Veggiolo un'altra volta esser deriso,
Veggio rinnovellar l'aceto e il fiele, E tra vivi ladroni essere anciso.
Veggio 'l nuovo Pilato sì crudele,
Che ciò nol sazia, ma senza decreto
Porta nel tempio le cupide vele [1].
Alla qual vista, non reggendogli l'animo, esce il divino Poeta in quella esclamazione, piena di nobile sdegno:
O Signor mio, quando sarò io lieto
Fa dolce l'ira tua nel tuo segreto [2]?
Tuttavia in modo assai speciale la considerazione dei patimenti di Cristo riesce acconcia ai tempi nostri, attesa l'aspra guerra che gli empii fanno al Vicario di Cristo, e nella quale vediamo un'immagine molto viva ed espressa di ciò, che il divin Redentore degnò di soffrire nella sua umanità sacrosanta. Qui non mancano nè i subornati del popolo, che gridano: non hunc sed Barabbam; nè il discepolo beneficato, che tradisce il suo divino Maestro per trenta denari; nè il Presidente Pilato, che da prima mostra di volerlo salvare, poi dice emendabo illum et dimittam, e finalmente per viltà lo cede in mano de' suoi nemici, tradidit Iesum voluntati eorum. Abbiamo il vino attossicato dal fiele, porto a Cristo per confortarlo, la corona di spine e le mani che gliela intessono e di tratto in tratto gliene fanno sentire le trafitture, percotendola colla canna; la veste inconsutile, giuocata da' suoi crocefissori, e da lui non permesso che venisse lacerata; che più? abbiam perfino i rimproveri e gl'insulti dei farisei, degli scribi, del cattivo ladro, nelle ingiuste accuse e nei biasimi codardi degli ipocriti, dei falsi sapienti, dei venduti giornali. Tutto ciò ci darebbe ampia materia di paragone assai spiccato e di opportune e proficue applicazioni. Ma, perciocchè saremmo quinci condotti a ragguagli, che sebben tutti sentono, pure non tutti sono in condizion di descrivere; crediamo meglio di volgere il nostro discorso a un riguardo più generale intorno alla passione di Cristo e all'epoca presente; il quale ci sarà ancor esso di scuola e di sprone, e da cui i fedeli potranno egualmente attingere lezione e conforto.
La morte del Redentore non fu se non il compimento di quella persecuzione, che si levò contro di lui infin dalla culla. Nasce Cristo, e tosto Erode si argomenta di ucciderlo. Per qual ragione? Per gelosia del nuovo regno, che Cristo veniva a fondare e che l'ambizioso tetrarca concepì confusamente come un pericolo pel suo. Cristo appena nato, si manifesta alle genti qual re; ma re d'un ordine superiore a quello, onde regnano i dominatori della terra; re, a cui i regi stessi del mondo avrebbono volontariamente prestata adorazione ed omaggio. Così l'intesero i Magi; così l'intese il medesimo Erode. Dov'è il nato re de' Giudei? interrogano quelli; perciocchè abbiamo veduta in Oriente la stella annunziatrice di lui, e qua ci siamo recati per adorarlo [3]. Cotesta dimanda e cotesta dichiarazione, fatte in Gerosolima dai Magi Re, e alla presenza di chi senza contrasto regnava sopra i Giudei, mostrano chiaramente che essi attribuivano al neonato un regno diverso dal politico, e che un tal regno sovrastava a tutte le terrene signoríe. Altrimenti, se asessero inteso parlare d'un trono mondano, come non avrebbono temuto di suscitare contro di sè lo sdegno di Erode? E se non avessero concepito quel regno di natura più sublime che i loro, come non avrebbono creduto di avvilirsi, dicendo d'aver intrappreso un sì lungo viaggio non gia per visitarne il possessore in segno d'amicizia, ma per adorarlo in segno di sudditanza? L'una e l'altra cosa fu ben compresa eziandio da Erode. Imperocchè egli si volse a cercare da sacerdoti e da sapienti qual luogo avessero annunziato i Profeti pel nascimento del Messia [4], e si mostrò anch'egli desideroso di curvarsi al nato re: Cum inveneritis, renuntiate mihi; ut et ego veniens adorem eum [5]. Senonchè in cambio d'adorazione egli ne meditava l'eccidio; e per chiudergli ogni via allo scampo ordinò la strage di tutti gl'infanti, venuti a luce intorno a quel tempo. Cristo dunque fin dal suo nascere è chiesto a morte, perchè re; e re non voluto dall'ombrosa politica del mondo.
Il termine della vita di Cristo fu somigliante al principio. Egli viene condannato alla morte di croce per questo titolo appunto di re, per questo regno superiore ai regni terreni, che già contra lui bambino eccitò l'ira di Erode. Con qual arma gli Ebrei espugnarono l'animo di Pilato e l'indussero a segnar l'iniqua sentenza contro l'innocente Gesù? Finché essi si tennero all'accusa di bestemmia per essersi lui predicato figliuol di Dio, il Presidente romano si rise di loro, e ne prese anzi fomento a confermarsi nel proposito di liberarlo [6]. Ma quando quelli gli ricordarono che Cristo si era chiamato re, e che con ciò opponevasi a Cesare: omnis, qui se regem facit contradicit Caesari; Pilato non istette più saldo e si decise di condannar l'accusato: Pilatus, cum audisset hos sermones, adduxit Iesum foras et sedit pro tribunali [7].
Tutto il contesto di questo tratto della storia evangelica conferma la nostra asserzione. Pilato, assiso nel tribunale ed accingendosi a proferir la sentenza, non altra cagione accenna del venire a quell'atto, se non d'essere Cristo re: ecce rex vester; regem vestrum crucifigam [8]? Nell'epigrafe poi da soprapporsi alla croce, come dichiarativa della colpa del condannato, non altro segnò se non il titolo di re: Iesus Nazarenus, Rex Iudaeorum [9]. Infine, questa fu l'unica imputazione che Cristo, interrogato dal Presidente romano, formalmente e solennemente confermò con esplicita confessione: Rex es tu? Rex sum Ego [10]. Cristo dunque morì perchè re, e perchè egli stesso si confessò tale dinanzi alla potenza del secolo.
Due solenni confessioni fece Cristo, nel tempo della sua sacrosanta passione: l'una al cospetto della Sinagoga, rappresentata dal Sinedrio; l'altra al cospetto della potenza terrena, rappresentata da Pilato. Colla prima dichiarò che egli era il figliuol di Dio. Ti scongiuro di dirci se tu sei il figliuolo di Dio vivente; così levandosi in piedi l'interroga il Sommo Sacerdote. Sì, tu lo hai detto, risponde Cristo. E questa confessione gli procacciò sentenza di morte come a bestemmiatore: Ecce audistis blasphemiam. –– Reus est mortis [11]. Ciò a rispetto della Sinagoga. Quanto poi alla potenza terrena, rappresentata dal Ministro dì Cesare, Cristo avanti ad essa dichiarò d'essere re: Rex sum ego. Imperocchè avendogli chiesto Pilato: tu dunque sei re? egli rispose: Sì tu l'hai detto; io sono re. E questa confessione gli fruttò sentenza di morte come a ribelle: Quia ipse dixit: rex sum. –– Omnis, qui se regem facit, contradicit Caesari [12].
Ma qual è questo regno, di cui Cristo si confessò re dinanzi al Pretore romano? Questo regno è la Chiesa; il cui lieto annunzio alle genti è però appunto chiamato evangelium regni [13]. La Chiesa è perpetuamente designata dagli Evangelisti con questo nome di regno, perchè stabilita da Dio tra gli uomini come società perfetta, benchè ordinata ad un fine celeste [14]. Ora cotesto regno, di cui Cristo si afferma re, è dichiarato da Cristo stesso indipendente dal mondo: regnum meum non est de hoc mundo [15] , perchè fondato da lui non per autorità ricevuta da Cesare, ma per autorità comunicatagli dal Padre suo. Quindi i diritti di esso sono al tutto divini; e le sue armi, benchè non siano carnali, sono tuttavia potenziate ad abbattere ogni altezza che si elevi contro la scienza di Dio [16]. E come no, se nell'uomo, ente morale, la verità sola è base e radice di tutto, e la Chiesa è appunto il regno della verità? Così la dichiarò lo stesso Cristo; perocchè dopo aver detto d'essere re, venne subito a spiegare qual fosse la natura del suo regno, soggiungendo d'esser venuto al mondo per bandire la verità, della quale chiunque vuol esser partecipe dee a lui obbedire. Ego in hoc natus sum et ad hoc veni in mundum, ut testimonium perhibeam veritati. Omnis, qui est ex veritate, audit vocem meam [17].
Il regno della verità, cioè la Chiesa di Cristo,, può, considerarsi sotto doppio aspetto; in sè stesso, ed a fronte della potenza terrena. Considerato in sè stesso, posa sopra questo domma che Cristo è il Figliuol di Dio. Tu es Christus filius Dei vivi. Fu questa la confessione che meritò a Pietro d'essere stabilito fondamento della Chiesa: Et ego dico tibi, tu es Petrus et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam. Considerato poi nel secondo aspetto, cioè a fronte della potenza terrena, l'anzidetto regno posa sopra il domma d'avere Cristo per re, e però non dipendere che da lui solo e da chi è costituito per farne le veci su la terra. Cristo confessò solennemente l'una e l'altra verità: Testimonium reddidit sub Pontio Pilato, bonam confessionem [18]. Per aver confessato la prima, riportò la taccia di bestemmiatore; per aver confessato la seconda, riportò la taccia di ribelle. Nondimeno costante nella sua nobile e preziosa confessione, sofferse volentieri la morte, mostrando così fino a qual segno amasse la Chiesa: Christus dilexit Ecclesiam, et seipsum tradidit pro ea [19]. Ma questa sua morte valse a lei il trionfo; e la Chiesa fu veramente stabilita qual regno. Cristo vinse morendo; Cristo regnò sopra i popoli col suo sangue acquistati.
Or, venendo all'applicazione per l' epoca presente, noi ci troviamo in condizione di dover imitare e continuare questa confessione di Cristo, ed incontrar per essa una partecipazione de' suoi martíri: Ciò si renderà manifesto, tanto sol che si dia un guardo a quel che importa la ragione di regno, e alle pretensioni degli odierni padroni del secolo.
La Chiesa, come dicemmo, è il regno della verità; essendo questa la missione del suo divin fondatore: Ego ad hoc veni in mundum, ut testimonium perhibeam veritati. Ciò che è verità per l'intelletto, è bene per la volontà, è legge morale per la vita privata, è legge di giustizia per le relazioni sociali. La Chiesa dunque per ciò stesso che è il regno della verità, è il regno altresi dell'onestà, il regno del diritto; di cui essa per divina istituzione è stabilita banditrice e mantenitrice nell'universo. Onde l'Apostolo la noma colonna e sostegno della verità, columnam et firmamentum veritatis [20]. Or acciocchè la Chiesa in ordine, a questo suo nobilissimo fine, della verità, della moralità, del diritto, sussista e si conservi come regno, ha in prima mestieri di constare di governati e governanti, in guisa che gli uni e gli altri si riducano finalmente all'unità d'un supremo monarca. I governati sono i fedeli, i governanti sono i Vescovi e gl'inferiori pastori, il supremo monarca è il Vicario di Cristo, nella persona del quale Cristo stesso regna ed è visibile sulla terra. Di più è d'uopo che la Chiesa nella sfera della verità, della morale, della giustizia, goda liberamente dei tre poteri: legislalivo, esecutivo, giudiziario; senza de' quali non può concepirsi vera autorità indipendente e regale. È necessario altresì che coerentemente al suo fine essa abbia ministri e milizia e associazioni, che con ordinato organismo rispondano alle diverse parti di quel fine; e tutti questi suoi officiali da lei ricevano stipendio e mezzi al mantenimento della vita e al decoro del proprio ministero. Quindi i Cleri nella Chiesa, i diversi Ordini religiosi, il diritto di beni e possedimenti temporali. Finalmente, poichè l'unità di questo regno non potrebbe convenientemente e agevolmente conservarsi nella varietà dei governi laicali e delle nazioni, se il suprema Capo, che a tutti dà legge e a cui tutti obbediscono, fosse suddito di questo o quel principe terreno; la Chiesa ha diritto che esso suo Capo supremo abbia vera indipendenza politica, e però sovranità territoriale, bastevole a guarentirlo da qualsiasi impedimento di potenza diversa dalla sua. Quindi la necessità del principato civile dei Papi, quale i secoli e la divina Provvidenza l'hanno costituito; e la verità di quella formola: Appunto, perchè il regno spirituale di Cristo non è da questo mondo, è necessario che il Vicario di Cristo abbia un regno temporale in questo mondo [21].
Basta questo semplice schizzo per ravvisare a colpo d'occhio come gli sforzi della rivoluzione, a fronte di cui ci troviamo oggidì, sono diretti ad abbattere il regno di Cristo, e come la sua idea dominante sia appunto la negazione di Cristo qual Re. Essa poco si cura che Cristo sia tenuto figliuol di Dio; e tanto o tanto comporterebbe che la Chiesa durasse, purchè si restringesse nella sola cerchia astratta dei dommi e nell'ordine invisibile della preghiera. Ma che la Chiesa discenda alle concrete applicazioni di essi dommi, che s'intrometta nel pratico dei costumi, che si sostenga regno, e regno nel modo sopra indicato; oh questo la rivoluzione non può, non vuole tollerarlo in alcun modo. Essa dice espressamente di non volere Cristo come Re: nolumus hunc regnare super nos; e ripete co' Giudei: non habemus regem nisi Caesarem. Quindi essa vuole spogliato il Clero d'ogni possesso, distrutti gli Ordini religiosi, annientati i Fori ecclesiastici, imbavagliata la bocca ai banditori evangelici, e soprattutto scoronato il Pontefice, o almen ridotto a re da burla e di dolori come si fece di Cristo. Essa nega che la Chiesa sia il regno della verità, e vieta che entri come tale a regolare le azioni, i doveri, i diritti dell'uomo, sia individuali sia sociali. Ne vuole rimossa ogni influenza dall'ordine politico colla così della secolarizzazione dello Stato, ogni direzione dall'ordine domestico col matrimonio civile, ogni ingerenza dall'Ordine individuale colla libertà del pensiero e della parola. Essa vuole l'uomo e la società informata dello spirito moderno, e lo spirito moderno per lei importa di non avere altra norma per credere ed operare che il dettame della propria ragione, per regolare la famiglia che le sole leggi dello Stato, per istruire la gioventù che i soli principii prettamente filosofici, per ordinare le istituzioni di carità che la sola filantropia del ceto laicale. Essa in somma si travaglia con ogni studio ad affrancare pienamente l'uomo dall'autorità della Chiesa.
Nè ciò basta. Imperocchè, a mirare più intimamente la cosa, la rivoluzione non solo pretende di sottrarre l'uomo dalle leggi della Chiesa; ma di sottoporre la Chiesa stessa alle leggi dell'uomo. Essa vuole non solamente sostituire nel mondo il regno della opinione al regno della verità, ma vuole che la verità stessa si assoggetti all'opinione, e da essa riceva la norma de' suoi giudizii, l'impulso alle sue prescrizioni. A questo si riducono in sostanza le querele contro de' Vescovi, le circolari Miglietti, le richieste di Te Deum e di funzioni sacre per santificare agli occhi del popolo fatti iniqui e sacrileghi, le dimostrazioni di Piazza contro del Clero; e perfino i rimproveri di ostinazione fatti all'eroica fermezza del Pontefice, per misera adulazione alla potenza di Cesare. Si pretende che il fatto compiuto costituisca il diritto; l'evento felice, la giustizia; un'alzata o una seduta in Parlamento, ciò che è bene o male nelle relazioni sociali: e a questi risultati or della violenza, or della frode, or dell'ignoranza, or del capriccio, si pretende che si uniformi la morale ed il giure cristiano. Che se taluno rilutta a così iniqua pretensione, e ricorda che obedire oportet magis Deo, quam hominibus; cotesta evangelica libertà vien qualificata delitto politico e ribellione alla potenza del secolo. Quinci gli esilii e gl'imprigionamenti de' sacri Pastori, le sentenze de' tribunali contro i ministri del santuario; le destituzioni di pubblici officiali, ricusanti di prestare sacrileghi giuramenti; le violenze, le multe, le carceri inflitte a scrittori cattolici. Tutto si epiloga in questo, che la Rivoluzione non vuole che Cristo sia re nè che il suo regno sia riguardato come indipendente da questo mondo.
Ma l'anima fedele, avvalorata dall'esempio del suo Signore, opporrà intrepida il petto e la voce a cotesta iniqua pretensione dei figliuoli di Belial, e sosterrà che Cristo è vero Re, e che il suo regno, originato dal cielo, è ordinato a dar legge al mondo non a ricevere legge dal mondo. Ogni atto, ogni parola, che difenda l'indipendenza della Chiesa e le sue inviolabili ragioni, sarà un eco continuato di questa nobile confessione, e ripeterà dinanzi ai nuovi Pilati la, dichiarazione, fatta da Cristo: Rex sum ego. Una tal confessione si addice ad ogni cristiano, giacchè ad ogni cristiano corre debito di seguire l'esempio di Cristo [22]. Tuttavia in modo più appropriato essa spetta agli ecclesiastici, i quali non solo sono seguaci, ma legati, e ministri del Redentore.
Egli è vero che ciò attirerà ad essi sul capo l'ira e la persecuzione degli empii; e già ne stiamo vedendo, più che non sariasi per innanzi creduto, gli effetti. Imperocchè con rabbia veramente infernale i nuovi Giudei stan tormentando colle spogliazioni, cogli sbandeggiamenti, colla prigionia, con ogni sorta di violenza i magnanimi confessori del regno di Cristo, e peggiori cose minacciano per l'avvenire. Ma Cristo stesso infonde e infonderà sempre più nel cuor de' suoi servi valore e fortezza, sicchè non temono nè temeranno la ferocia implacabile dei loro avversarii. Essi si confortano al pensiero che così seguono le vestigie del loro Duce, che così camminano per la via segnata loro dai martiri, e dolcissimo suonano al loro orecchio quelle parole di Cristo: Voi siete quelli, che meco perseveraste nelle tentazioni; ed io sto disponendo per voi il regno, come per me lo dispose il Padre mio. Vos estis, qui; permansistis mecum in tentationibus meis;. et ego dispono vobis regnum, sicut disposuit mihi Pater [23].

NOTE:



[1] Purgatorio canto XX.
[2] Ivi.
[3] Cum natus esset Iesus in Bethlehem Iuda in diebus Herodis regis, ecce Magi ab Oriente venerunt Ierosolymam, dicentes: ubi est qui natus est rex Iudaeorum? Vidimus enim stellam eius in Oriente et venimus adorare eum. Matth. II, 1, 2.
[4] Congregans omnes principes sacerdotum et scribas populi, sciscitabatur ab eis ubi Christus nasceretur. At illi dixerunt ei: in Bethlehem Iudae; sic enim scriptum est per Prophetam: Et tu, Bethlehem, terra Iuda, nequaquam minima es in principibus Iuda; ex te enim exiet dux, qui regat populum meum Israel. Ivi 4, 5, 6.
[5] Ivi 8.
[6] Responderunt Iudaei: Nos legem habemus et secundum legem debet mori, quia Filium Dei se fecit. Cum audisset Pilatus hunc sermonem, magis timuit..... Et exinde quaerebat dimittere eum. Ioann. XIX, 7, 8, 12.|
[7] Ivi 12, 13.
[8] Ivi 14, 15.
[9] Ivi 19.
[10] Ivi XVIII, 37.
[11] Matth. XXVI, 65, 66.
[12] Ioan. XIX, 21, 22.
[13] Matth. IV, 23.
[14] Innumerabili sono i luoghi dei Sacri Evaugelii, in cui la Chiesa è designata coll'appellazione di regno. Basterà citarne qualcuno del solo Evangelio di S. Matteo. Appropinquavit regnum caelorum. Ivi III, 2. Simile est regnum caelorum grano sinapis. Ivi XIII, 38. Colligent de regno eius omnia scandala. Ivi 41. Simile est regnum caelorum sagenae missae in mari, et ex omni genere piscium congreganti. Ivi 47, ecc. ecc.
[15] Ioann. XIX, 21.
[16] Arma militiae nostrae non carnalia sunt, sed potentia Deo ad destructionem munitionum, consilia destruentes, et omnem altitudinem extollentem se adversus scientiam Dei. 2.a ad Cor. X, 4, 5.
[17] Ioann. XVIII, 37.
[18] 1.a ad Timoth. VI, 13.
[19] Ad Ephes. V, 25.
[20] 1.a ad Timoth. III.
[21] Qualcuno, o per cecità d'intelletto o per malizia di volontà ripugnante al vero evidente, ha scritto che se la sovranità temporale fosse necessaria all'indipendenza della Chiesa, Cristo l'avrebbe istituita fin da principio. Miserabile sofisma! Se valesse un tale argomento, si proverebbe altresi che alla Chiesa non è necessaria la dottrina e la scienza, perchè Cristo in tal caso avrebbe scelto i suoi Apostoli tra i dotti e i letterati e non tra i pescatori e gl'idioti. Non tutto ciò che è necessario al bene e alla conservazione della Chiesa fu da Cristo costituito nei primordii della medesima. Ma molte cose furon lasciate allo svolgimento naturale dei germi da lui piantati, alla prudenza dei Pastori da lui stabiliti, e soprattutto alla provvidenza che Egli stesso continuerebbe ad esercitare dal Cielo sopra la diletta sua Sposa: Ecce ego vobiscum sum omnibus diebus, usque ad consummationem saeculi. Matth. XXVIII, 20.
In tutte le cose il Creatore ha voluto che si vada per via di progresso dall'imperfetto al perfetto. L'infante non ha il necessario alla natura, ma l'acquista a poco a poco. Nella conoscenza l'uomo comincia dalla percezione del sensibile, e quindi procede all'astrazion dell'idea. Nell'ordine della volontà dai primi albori del dì la legge morale gli splende fino a giungere al pieno meriggio. Nella società naturale dal germe di diritti anteriori sbocciano diritti novelli e più estesi, secondo nuove relazioni che sorgono. Qual meraviglia adunque che la Chiesa progredisca colla medesima legge?
Come non fu conveniente che Cristo elegesse da prima i sapienti, acciocchè non si attribuisse la propagazion del Vangelo alla loro sapienza, benchè volesse che poscia la sapienza albergasse come in propria sede nella sua Chiesa; così non fu conveniente che attribuisse agli Apostoli alcuna sovranità temporale, acciocchè non si recasse il frutto della loro predicazione alla potenza terrena e non si mettessero in sospetto e tumulto i dominatori di questo mondo. Ma ciò non toglie, che poscia stabilita la Chiesa, non si dovesse accettare e mantenere questa natural guarentigia ed indispensabile della libertà del ministero apostolico. Egli miracolosamente supplì da prima alla mancanza di dottrina; ma poscia volle lo studio e l'istruzione de' suoi ministri. Del pari supplì da prima miracolosamente e per vie straordinarie all'indipendenza del Pontefice; poscia volle che vi si provvedesse per mezzi naturali e convenevoli allo stato ordinario dell'uomo.
[22] Christus passus est pro nobis, vobis relinquens exemplum ut sequamini vestigia eius. Così a tutti i fedeli scriveva l'Apostolo Pietro. Epist. I; c. 2, v. 21.
[23] Lucae XXII, 28, 29.